Sentenza n. 58 del 2023

SENTENZA N. 58

ANNO 2023

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Silvana SCIARRA;

Giudici: Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 4, commi 1, 2 e 5, 5, 7, commi 1, 2 e 3, e 10 della legge della Provincia autonoma di Trento 2 maggio 2022, n. 4, recante «Misure per la promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili per il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo delle fonti rinnovabili previsti dal decreto legislativo 8 novembre 2021, n. 199 (Attuazione della direttiva (UE) 2018/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 dicembre 2018, sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili), e modifiche di disposizioni connesse», promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso spedito per la notifica il 28 giugno 2022, depositato in cancelleria il 5 luglio 2022, iscritto al n. 42 del registro ricorsi 2022 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 33, prima serie speciale, dell’anno 2022.

Visto l’atto di costituzione della Provincia autonoma di Trento;

udito nell’udienza pubblica del 25 gennaio 2023 il Giudice relatore Maria Rosaria San Giorgio;

uditi l’avvocato dello Stato Giancarlo Caselli per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Sabrina Azzolini per la Provincia autonoma di Trento;

deliberato nella camera di consiglio dell’8 febbraio 2023.

Ritenuto in fatto

1.– Con ricorso spedito per la notifica in data 28 giugno 2022, depositato il successivo 5 luglio ed iscritto al n. 42 del registro ricorsi 2022, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di legittimità costituzionale degli artt. 4, commi 1, 2 e 5, 5, 7, commi 1, 2 e 3, e 10 della legge della Provincia autonoma di Trento 2 maggio 2022, n. 4, recante «Misure per la promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili per il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo delle fonti rinnovabili previsti dal decreto legislativo 8 novembre 2021, n. 199 (Attuazione della direttiva (UE) 2018/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 dicembre 2018, sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili), e modifiche di disposizioni connesse».

Il ricorrente premette che, in relazione alla materia dell’energia, il decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), recante lo statuto speciale della Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol, «non attribuisce specifiche competenze alle Province autonome di Trento e di Bolzano». Aggiunge il ricorrente che, ai sensi dell’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), la competenza legislativa concorrente nella materia «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia» deve ritenersi devoluta alle Province autonome nei limiti in cui viene loro conferita una potestà più ampia di quella connessa all’autonomia statutaria in materia di energia (viene citata la sentenza di questa Corte n. 383 del 2005). Tale competenza, tuttavia, rimarrebbe comunque condizionata all’osservanza dei limiti e dei principi stabiliti dalle leggi dello Stato nella materia. Rileverebbero, al riguardo, le norme dettate dal decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 (Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità), dal decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28 (Attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE), dal decreto del Ministro dello sviluppo economico 10 settembre 2010 (Linee guida per l’autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili) e, da ultimo, dal decreto legislativo 8 novembre 2021, n. 199, recante «Attuazione della direttiva (UE) 2018/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 dicembre 2018, sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili».

In tale contesto, posizione preminente assumerebbe l’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003, volto a razionalizzare e semplificare le procedure autorizzative per la costruzione e per l’esercizio degli impianti di produzione di energia alimentati da fonti rinnovabili e, in particolare, la previsione di un’autorizzazione unica, ivi contemplata. Particolare rilevanza avrebbe, inoltre, la previsione di cui al d.m. 10 settembre 2010, secondo cui le regioni possono procedere all’indicazione di aree e di siti non idonei all’installazione di specifiche tipologie di impianti.

In generale, la normativa statale avrebbe intrapreso un percorso di semplificazione, culminato con le recenti previsioni di cui al decreto-legge 16 luglio 2020, n. 763 (recte: n. 76), recante «Misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitale», convertito, con modificazioni, in legge 11 settembre 2020, n. 120), e al decreto-legge 31 maggio 2021, n. 77 (Governance del Piano nazionale di ripresa e resilienza e prime misure di rafforzamento delle strutture amministrative e di accelerazione e snellimento delle procedure), convertito, con modificazioni, in legge 29 luglio 2021, n. 108. Il ricorrente opera un riferimento alle previsioni ancora più recentemente dettate dal decreto-legge 1° marzo 2022, n. 174 (recte: n. 17), recante «Misure urgenti per il contenimento dei costi dell’energia elettrica e del gas naturale, per lo sviluppo delle energie rinnovabili e per il rilancio delle politiche industriali», convertito, con modificazioni, in legge 27 aprile 2022, n. 34), dal decreto-legge 21 marzo 2022, n. 215 (recte: n. 21), recante «Misure urgenti per contrastare gli effetti economici e umanitari della crisi ucraina», convertito, con modificazioni, in legge 20 maggio 2022, n. 51), e dal decreto-legge 17 maggio 2022, n. 506 (recte: n. 50), recante «Misure urgenti in materia di politiche energetiche nazionali, produttività delle imprese e attrazione degli investimenti, nonché in materia di politiche sociali e di crisi ucraina», convertito, con modificazioni, in legge 15 luglio 2022, n. 91.

Le menzionate fonti statali perseguirebbero, in modo armonico sull’intero territorio nazionale, «un obiettivo di accelerazione della diffusione delle installazioni di fonti di energie rinnovabili (FER)», riducendo gli ostacoli normativi e non.

La legge provinciale oggetto delle censure del ricorrente, pur perseguendo la condivisibile finalità di promozione e di sostegno alla produzione di energia da fonti rinnovabili, oltre che di semplificazione, introdurrebbe tuttavia una disciplina che «si sovrappone, in parte discostandosene, da quella statale».

1.1.– Così delineato il contesto normativo generale in cui si inquadra la legge prov. Trento n. 4 del 2022, il ricorso solleva, anzitutto, censure concernenti l’art. 4, commi 1, 2 e 5, di tale legge provinciale.

La disposizione disciplina l’installazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili e stabilisce che, a tal fine, si considerano «idonee» le aree elencate nell’apposito Allegato B (comma 1); per l’effetto, si consente ivi l’installazione degli impianti anche in deroga alle previsioni degli strumenti urbanistici (comma 2). Il comma 5, inoltre, consente ai comuni, entro certi limiti, di individuare ulteriori aree idonee, utilizzando lo strumento della variante semplificata al Piano regolatore generale (PRG).

L’individuazione “aprioristica” delle aree idonee, così compiuta dalla legge provinciale, contrasterebbe tuttavia – secondo il ricorrente – con le previsioni dell’art. 20 del d.lgs. n. 199 del 2021 che, al contrario, impone il coinvolgimento del Ministro della transizione ecologica, del Ministro della cultura e del Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, nonché l’intesa in sede di Conferenza unificata di cui all’art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281 (Definizione ed ampliamento delle attribuzioni della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano ed unificazione, per le materie ed i compiti di interesse comune delle regioni, delle province e dei comuni, con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali). Il contrasto con questa previsione statale «di riferimento» determinerebbe l’illegittimità costituzionale delle norme provinciali impugnate per violazione dell’art. 117, commi secondo, lettera s), e terzo della Costituzione.

1.2.– Oggetto di impugnazione è, poi, l’art. 5 della legge prov. Trento n. 4 del 2022, rubricato «Procedura abilitativa semplificata». Il comma 1 di questa disposizione prevede che gli interventi di installazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili, con potenza inferiore a determinate soglie, sono assoggettati a segnalazione certificata di inizio attività (SCIA), nell’ambito di una procedura abilitativa semplificata descritta dai successivi commi. In particolare, si prevede che la SCIA, corredata dagli elaborati tecnici per la connessione, redatti dal gestore di rete, venga presentata al comune «almeno trenta giorni prima dell’effettivo inizio dei lavori» (comma 2), onerandosi l’amministrazione di opporre divieto all’inizio dei lavori se, entro il termine di trenta giorni dalla presentazione della SCIA, risulti accertata l’assenza di una o più condizioni dichiarate nella relazione; in mancanza di tale divieto, l’installazione dell’impianto si ritiene assentita (comma 3). Qualora siano necessari atti di assenso, di competenza del comune o di altre amministrazioni, ed essi non siano stati allegati alla SCIA, il comune provvede ad acquisirli d’ufficio ovvero convoca un’apposita conferenza di servizi decisoria (comma 4). La sussistenza del titolo a realizzare l’intervento è provata con la copia della SCIA da cui risultino, oltre alla data di presentazione della stessa SCIA, l’elenco di quanto presentato a corredo del progetto, l’attestazione del professionista e gli atti di assenso eventualmente necessari (comma 5). Il comma 6 fa poi rinvio, per quanto non disciplinato, all’art. 86 della legge della Provincia autonoma di Trento 4 agosto 2015, n. 15 (Legge provinciale per il governo del territorio).

Rispetto a tali previsioni, come vigenti al momento della proposizione del ricorso, questo ne censura la «difformità da quanto previsto dal quadro normativo nazionale», richiamando l’art. 6 del d.lgs. n. 28 del 2011, che disciplina un titolo abilitativo diverso dalla SCIA, ossia la procedura autorizzativa semplificata (PAS), caratterizzata «da un regime giuridico differente». La scelta di prevedere la SCIA, in relazione a fattispecie ormai sottoposte a PAS, violerebbe l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., «in quanto espone a rischio i valori della tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali», posto che, «mentre la SCIA viene presentata contestualmente all’inizio dei lavori, la PAS deve essere presentata trenta giorni prima dell’avvio del cantiere dando così modo all’ente locale di intervenire per scongiurare il pregiudizio ai valori sopra indicati e dunque prima dell’inizio dei lavori». Sarebbe, inoltre, violato l’art. 117, terzo comma, Cost., in quanto la disciplina così dettata dalla norma provinciale impugnata «si discosta pericolosamente dal modello procedurale indicato nell’art. 6 del Dlgs n. 28/2011, che rappresenta un principio fondamentale della materia».

1.3.– Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna, poi, l’art. 7, commi 1, 2 e 3, della legge prov. Trento n. 4 del 2022, in materia di «interventi di edilizia libera». La disposizione si riferisce all’installazione di impianti solari fotovoltaici e termici sulle coperture delle costruzioni esistenti e ne consente la libera realizzazione «previa comunicazione al comune» e prescindendo dall’«acquisizione di permessi, autorizzazioni o atti amministrativi di assenso comunque denominati, inclusa l’autorizzazione paesaggistica» (comma 1). Detta previsione, con il comma 2, viene estesa anche «all’installazione, nelle pertinenze delle costruzioni, di impianti solari fotovoltaici e termici a terra con capacità di generazione inferiore alle soglie previste dall’articolo 3, comma 1, per l’applicazione dell’autorizzazione integrata». Si aggiunge, comunque, che «nei centri storici e negli insediamenti storici sparsi gli impianti solari fotovoltaici e termici devono essere installati in modo da minimizzarne la visibilità, con inclinazione identica o coerente rispetto alla copertura nel caso di tetti a falda in aderenza o integrati, e possono essere installati a terra nelle pertinenze delle costruzioni solo in caso di insufficienza o inidoneità della copertura della costruzione medesima» (comma 3).

Le norme così riportate, che individuano i tipi di intervento realizzabili in edilizia libera, contrasterebbero con la normativa statale concernente i medesimi interventi, di cui all’art. 7-bis, comma 5, del d.lgs. n. 28 del 2011 (come sostituito dall’art. 9, comma 1, del d.l. n. 17 del 2022, come convertito), ivi ricondotti alla categoria degli interventi di manutenzione ordinaria. Il dedotto contrasto starebbe nella previsione che esonera dall’autorizzazione paesaggistica; ciò che non sarebbe contemplato dalla normativa nazionale.

Il ricorrente ricorda che la Provincia autonoma di Trento ha potestà legislativa primaria nelle materie dell’«urbanistica e piani regolatori» e della «tutela del paesaggio» (rispettivamente, numeri 5 e 6 dell’art. 8 dello statuto speciale) e che dette competenze sono state esercitate con la legge della Provincia autonoma di Trento 4 marzo 2008, n. 1 (Pianificazione urbanistica e governo del territorio), e con la legge della Provincia autonoma di Trento 27 maggio 2008, n. 5 (Approvazione del nuovo piano urbanistico provinciale). Quest’ultima, in particolare, ha dettato specifiche disposizioni che individuano i «beni ambientali» sottoposti a tutela (art. 12 dell’Allegato B, recante le norme di attuazione del Piano urbanistico provinciale – PUP). Successivamente, nel medesimo solco, si è collocata la legge prov. Trento n. 15 del 2015, che ha riconosciuto alla Provincia le attribuzioni in materia di «pianificazione provinciale, anche con valenza paesaggistica, relativa all’intero territorio provinciale, secondo le modalità ed entro i limiti indicati dagli articoli 21 e 22» (così l’art. 4, comma 1, lettera a), e ha precisato la valenza paesaggistica del PUP (art. 21, comma 2). Inoltre, il Capo I del Titolo III della citata legge provinciale n. 15 del 2015 (artt. 63 e seguenti) individua gli interventi assoggettati ad autorizzazione paesaggistica, nonché gli organi competenti al rilascio del titolo e i relativi profili procedurali. Tra gli interventi che necessitano dell’autorizzazione paesaggistica l’art. 64, comma 2, lettera d), della legge prov. Trento n. 15 del 2015 vi include anche quelli che interessano i «beni ambientali» (così come definiti dall’art. 12 dell’Allegato B della legge prov. Trento n. 5 del 2008 e individuati, poi, dall’art. 65 della stessa legge provinciale n. 15 del 2015).

Per effetto delle menzionate norme, l’esonero dall’autorizzazione paesaggistica, imposto dalla disposizione provinciale impugnata, non coinvolgerebbe i menzionati «beni ambientali», in quanto specificamente individuati dalla legislazione provinciale: e ciò, grazie alla norma di salvezza contenuta nell’ultimo periodo del comma 1 dell’art. 7 impugnato, secondo cui «[r]estano fermi l’acquisizione delle autorizzazioni previste dalle norme di settore a tutela dei beni ambientali e dei beni culturali e il rispetto delle norme sulla sicurezza, antisismiche, igienico-sanitarie e di tutela del pericolo idrogeologico». Tuttavia, la categoria dei «beni ambientali» non esaurirebbe tutti i beni paesaggistici indicati dall’art. 134 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137), con conseguente venir meno di una completa tutela paesaggistica nel territorio provinciale. Sotto tale aspetto, la disposizione impugnata sarebbe affetta da «un’evidente aporia interna» e da contraddittorietà, in quanto, pur intendendo far salva l’acquisizione delle autorizzazioni previste dalle norme di settore, finirebbe per limitare tale clausola di salvezza ai soli «beni ambientali» predetti.

Secondo il ricorrente, l’esonero dall’autorizzazione paesaggistica, consentito dalla normativa impugnata, si porrebbe in contrasto con le previsioni, di cui alla invocata disciplina statale, che invece impongono quel titolo per determinati impianti (secondo procedure ora ordinarie, ora semplificate). Ciò comporterebbe un’alterazione sostanziale della ratio sottesa agli interventi di semplificazione recentemente introdotti dal legislatore nazionale. In particolare, il ricorrente richiama l’art. 7-bis, comma 5, del d.lgs. n. 28 del 2011, che impone comunque l’autorizzazione paesaggistica per le installazioni effettuate sui beni indicati dall’art. 136, comma 1, lettera b), del d.lgs. n. 42 del 2004 (ville, giardini e parchi, non tutelati dalle disposizioni della Parte II del codice, che si distinguono per la loro non comune bellezza) nonché – limitatamente ai pannelli non integrati nelle coperture e visibili dagli spazi pubblici esterni e dai punti di vista panoramici, ovvero ai pannelli su immobili aventi coperture tradizionali – sui beni indicati dall’art. 136, comma 1, lettera c), dello stesso cod. beni culturali (i complessi di cose immobili che compongono un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale, inclusi i centri e i nuclei storici).

Tale contrasto non sarebbe risolto neppure con la previsione di cui al comma 3 dell’art. 7 impugnato, che prevede bensì alcuni criteri («peraltro elastici») di contemperamento per l’installazione degli impianti de quibus nei centri storici e negli insediamenti storici sparsi, ma pur sempre senza mai richiedere l’autorizzazione paesaggistica.

Il legislatore provinciale si sarebbe dunque mosso al di fuori dei limiti consentiti dalle norme fondamentali di riforma economico-sociale, tra le quali andrebbero annoverate proprio quelle che individuano le fattispecie per le quali è necessario il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, anche semplificata. La Provincia autonoma, regolando i profili anche procedurali che vengono qui in rilievo, avrebbe inoltre travalicato le proprie competenze pure in relazione alla spettanza esclusiva allo Stato della «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni», di cui all’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost. Che la disciplina nazionale di semplificazione delle procedure in tema di autorizzazioni paesaggistiche sia riconducibile a tale ultimo titolo di competenza, del resto, discenderebbe «dall’oggettiva necessità di dettare regole uniformi e valide in ogni contesto geografico della Repubblica».

Analoghe considerazioni, secondo il ricorrente, dovrebbero valere anche per la norma provinciale (art. 7, comma 2, della legge prov. Trento n. 4 del 2022) che estende l’esonero dall’autorizzazione paesaggistica all’installazione degli impianti (fotovoltaici e termici) a terra, nelle pertinenze delle costruzioni. Si tratta di ulteriori fattispecie per le quali, in base alle fonti statali (artt. 6 e 6-bis del d.lgs. n. 28 del 2011), l’autorizzazione paesaggistica sarebbe «sempre indefettibile, in presenza di vincoli».

1.4.– Oggetto di impugnazione è, infine, l’art. 10 della legge prov. Trento n. 4 del 2022, che – nel sostituire il testo dell’art. 114, comma 2, della legge prov. Trento n. 15 del 2015, nonché nell’aggiungere la lettera d) al comma 4 di tale art. 114 – stabilisce le modalità di alimentazione e di funzionamento degli impianti per la produzione di biogas nelle aree destinate all’agricoltura. Il nuovo comma 2 prevede che gli impianti de quibus «devono essere alimentati con materiali e sostanze definiti dalla deliberazione prevista dal comma 4 e con l’utilizzo prevalente di effluenti zootecnici prodotti dall’azienda». A tal fine si precisa che «gli effluenti zootecnici rappresentano almeno il 70 per cento del materiale che alimenta l’impianto». Si aggiunge che «[l]a distribuzione nel suolo del digestato avviene nel rispetto delle disposizioni stabilite da quest’articolo e dall’articolo 19-bis del D.P.G.P. 26 gennaio 1987, n. 1-41/Legisl. (testo unico provinciale sulla tutela dell’ambiente dagli inquinamenti 1987)». Inoltre, con la nuova lettera d) del comma 4, si demanda alla Giunta provinciale di definire «la tipologia e il territorio di provenienza dei materiali e delle sostanze che alimentano l’impianto».

Il ricorrente ricorda che, a livello nazionale, gli impianti di biogas trovano disciplina negli artt. 5 e 12 del d.lgs. n. 387 del 2003, negli artt. 8-bis, 24 e 26 del d.lgs. n. 28 del 2011, nonché negli artt. 11 e 14 del d.lgs. n. 199 del 2021. Vi sarebbero, poi, «appositi decreti ministeriali» che regolamentano gli incentivi a tariffa, applicati agli impianti medesimi. In tale quadro, le norme impugnate introdurrebbero, per il funzionamento di questi impianti, «requisiti che non trovano alcun riscontro nella normativa statale» e la cui previsione, peraltro rimessa alla Giunta provinciale, «potrebbe limitare gli investimenti sul biogas ed essere in controtendenza con la finalità di promozione delle energie rinnovabili seguita dal Legislatore nazionale». Ne deriverebbe il contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., e con la normativa statale interposta già citata.

2.– Si è costituita in giudizio la Provincia autonoma di Trento, in persona del Presidente pro tempore, concludendo per l’inammissibilità e/o la non fondatezza delle questioni promosse dal Presidente del Consiglio dei ministri.

La resistente riferisce che la legge prov. Trento n. 4 del 2022 è volta a realizzare il principio della massima diffusione degli impianti da fonte rinnovabile, in ottemperanza alle previsioni dell’Unione europea (in particolare, della direttiva 2018/2001/UE del Parlamento europeo e del Consiglio dell’11 dicembre 2018, sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili). La Provincia autonoma di Trento, sulla base del Piano energetico ambientale provinciale (PEAP) 2021-2030, afferma di essere riuscita a rispettare e a superare gli obiettivi ad essa assegnati in materia di produzione di energia da fonti rinnovabili, in tal modo attualmente coprendo il 34,8 per cento del fabbisogno energetico provinciale, nel pieno recepimento degli obiettivi europei. Ciò, in particolare, è avvenuto «sulla base di studi che hanno consentito di quantificare il potenziale del territorio provinciale», con elaborazione di un apposito «modello digitale del territorio» grazie al quale, tra l’altro, sarebbe oggi possibile «individuare in maniera puntuale e concreta le aree maggiormente idonee all’effettivo raggiungimento del target previsto».

In tale contesto, la legge provinciale n. 4 del 2022 conferirebbe attuazione proprio alle finalità indicate dalle disposizioni di rango primario dello Stato nella materia, di competenza concorrente, della «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia» (art. 117, terzo comma, Cost.). Il legislatore provinciale avrebbe esercitato la competenza che ad esso è attribuita dall’art. 8, numeri 5) e 6) dello statuto speciale, che si riferisce alle materie «urbanistica e piani regolatori» e «tutela del paesaggio», e ciò avrebbe fatto nel rispetto del principio della massima diffusione delle fonti di energia rinnovabili, che costituisce una norma fondamentale di riforma economico-sociale. Sarebbero stati recepiti, in tal modo, gli istituti e la disciplina delineati dal d.lgs. n. 199 del 2021: ciò in un contesto in cui, comunque, l’art. 49 dello stesso d.lgs. n. 199 del 2021 fa salve le competenze delle province autonome, rendendo applicabili le norme statali solo a condizione che siano rispettati gli statuti speciali e le norme di attuazione statutaria.

In definitiva, rimarca la resistente, la legge provinciale impugnata è intervenuta a perseguire le finalità di sviluppo delle energie rinnovabili «all’interno di una struttura ordinamentale differente rispetto a quella statale, sia per i profili di pianificazione territoriale che per i profili di tutela del paesaggio», come tali rientranti nella competenza primaria della Provincia. Non opererebbe, pertanto, la competenza legislativa statale esclusiva di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. (è richiamata la sentenza n. 226 del 2009 di questa Corte).

Le questioni di legittimità costituzionale promosse dal Governo, pertanto, eluderebbero il confronto con le competenze legislative di carattere primario della Provincia autonoma, come detto ascrivibili all’art. 8, numeri 5) e 6), dello statuto speciale. Del resto, questa Corte avrebbe già affermato che le linee guida di cui al d.m. 10 settembre 2010 non troverebbero applicazione nei confronti proprio della Provincia autonoma di Trento, nelle parti in cui esse recano prescrizioni riconducibili alla tutela del paesaggio (è richiamata la sentenza n. 275 del 2011).

2.1.– Venendo quindi alla disamina delle singole questioni promosse dal Presidente del Consiglio dei ministri, la Provincia autonoma resistente eccepisce anzitutto l’inammissibilità della prima questione, avente ad oggetto l’art. 4, commi 1, 2 e 5, della legge prov. Trento n. 4 del 2022. A giudizio della resistente, infatti, il ricorso avrebbe trascurato del tutto la circostanza della riconducibilità delle disposizioni impugnate alle materie di competenza legislativa primaria, di cui all’art. 8, numeri 5) e 6), dello statuto di autonomia. La loro riconduzione alla materia concorrente della «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia» sarebbe stata affermata, nel ricorso, in modo del tutto generico.

Nel merito, la prima questione sarebbe comunque non fondata.

La resistente fa notare che le aree idonee elencate nell’Allegato B della legge prov. Trento n. 4 del 2022 corrispondono (con l’unica eccezione di quelle indicate dalle lettere e ed f) a precise categorie urbanistiche «che si ritrovano nella cartografia standard dei Piani Regolatori Comunali»: ciò, al fine di «garantire uniformità sul territorio a livello provinciale, nonché prevedibilità e certezza in termini di individuazione e funzionamento del meccanismo autorizzatorio». In tal modo, la norma provinciale prevarrebbe sulle previsioni comunali concernenti le specifiche aree e sarebbe, altresì, funzionale al rispetto del paesaggio.

Le aree idonee così individuate, in ogni caso, corrisponderebbero nella sostanza a quelle già indicate dal legislatore statale all’art. 20, comma 8, del d.lgs. n. 199 del 2021 (norma, quest’ultima, destinata a trovare applicazione nelle more dell’adozione dei decreti ministeriali recanti le nuove linee guida), salva l’introduzione, da parte della Provincia, di criteri ancor più stringenti di quelli statali. Si ricorda che, proprio per effetto delle previsioni introdotte dall’art. 22 del d.lgs. n. 199 del 2021, l’accertamento della “idoneità” di un’area comporta che gli impianti potranno ivi essere realizzati senza autorizzazione paesaggistica, essendo sufficiente un mero parere non vincolante da parte dell’autorità competente in materia paesaggistica (art. 22, comma 1, lettera a, del d.lgs. n. 199 del 2021). Di conseguenza, l’individuazione delle aree idonee assumerebbe una «specifica rilevanza» proprio sotto il profilo paesaggistico, che rientra nelle competenze legislative primarie della Provincia autonoma ai sensi dell’art. 8, numero 6), dello statuto di autonomia.

Il legislatore provinciale, pertanto, laddove ha stabilito criteri più rigorosi e limitanti in punto di individuazione delle aree idonee per l’installazione degli impianti di produzione di energia da fonte rinnovabile, avrebbe compiuto «una precisa scelta urbanistica e di tutela del paesaggio trentino». Simile scelta si rinviene, anzitutto, per quanto concerne le fasce adiacenti ad autostrade e aree industriali le quali – pur se genericamente rientranti tra le aree idonee per l’installazione di impianti fotovoltaici a terra, ai sensi dell’art. 20, comma 8, lettere c-ter) e c-quater), del d.lgs. n. 199 del 2021 – per il territorio della Provincia autonoma di Trento non necessariamente risulteranno incluse in tale classificazione: un’agevolazione generalizzata dell’installazione degli impianti fotovoltaici avrebbe infatti comportato, assume la resistente, «un rilevante rischio di consumo di suolo e di compromissione del paesaggio in aree in cui la commistione tra superficie agricola e industriale è molto stretta, perché le condizioni orografiche non lasciano quelle grandi superfici di cui dispongono altre regioni». Analoga scelta, poi, si rinviene laddove la legge provinciale impugnata ha omesso di includere le aree agricole tra quelle “idonee” indicate dell’apposito Allegato B.

In definitiva, il legislatore provinciale, nell’esercizio della propria potestà primaria ai sensi dell’art. 8, numero 6), dello statuto di autonomia, avrebbe compiuto un «bilanciamento in concreto degli interessi, strettamente aderente alla specificità dei luoghi», in ossequio al «principio-guida della limitazione del consumo di suolo, quale bene comune e risorsa non rinnovabile», sancito all’art. 18 della legge prov. Trento n. 15 del 2015. In tal modo, le impugnate disposizioni provinciali consentirebbero di raggiungere «un punto di equilibrio tra esigenze di sviluppo della produzione di energia da fonte rinnovabile ed esigenze di salvaguardia paesaggistica, ambientale e di limitazione del consumo di suolo, considerata la particolare conformazione orografica del Trentino».

Nel dettaglio, la Provincia autonoma resistente osserva che l’art. 4, comma 1, della legge provinciale impugnata avrebbe dato attuazione proprio alle previsioni dell’art. 20 del d.lgs. n. 199 del 2021, il cui comma 4, dopo aver rimesso alle sole regioni il compito di individuare con legge le aree idonee conformemente alle indicazioni provenienti dai decreti ministeriali, all’ultimo periodo così testualmente dispone: «Le Province autonome provvedono al processo programmatorio di individuazione delle aree idonee ai sensi dello Statuto speciale e delle relative norme di attuazione». Per le sole province autonome, dunque, il legislatore nazionale non avrebbe prescritto la necessità di rispettare i principi e i criteri dettati dai decreti ministeriali, né di provvedere entro un termine stabilito. Ciò, del resto, sarebbe in coerenza con l’assetto statutario delle competenze, riconosciuto dall’art. 49 dello stesso d.lgs. n. 199 del 2021. La Provincia autonoma di Trento, pertanto, nel caso specifico avrebbe legiferato in ragione della propria potestà legislativa primaria in materia di «tutela del paesaggio», potestà che – secondo quanto affermato da questa Corte, in specie con la sentenza n. 224 del 2012 – non è “annullata” dall’attribuzione allo Stato della competenza a porre i principi fondamentali nella materia concorrente dell’energia. La disposizione contestata, peraltro, non comporterebbe alcun arresto o rallentamento del percorso di promozione delle energie rinnovabili, al contrario concorrendo alla sua realizzazione «tramite l’individuazione certa delle aree alle quali si applica la procedura prevista dall’art. 4 della legge provinciale n. 4 del 2022». Non potrebbe, pertanto, trovare qui applicazione la ratio decidendi di cui alla sentenza di questa Corte n. 166 del 2009, incentrata sul principio fondamentale, tratto dall’art. 12, comma 10, del d.lgs. n. 387 del 2003, che precludeva alle regioni l’autonoma individuazione dei criteri di inserimento degli impianti nel paesaggio.

Anche l’elencazione delle aree idonee compiuta, in via transitoria, dall’art. 20, comma 8, del d.lgs. n. 199 del 2021 – prosegue la resistente – non sarebbe applicabile alle Province autonome, proprio per effetto della richiamata previsione di cui all’ultimo periodo del comma 4 dello stesso art. 20.

Con riferimento, poi, all’ulteriore norma impugnata, l’art. 4, comma 5, della legge prov. Trento n. 4 del 2022, la resistente osserva che essa – nel rimettere ai singoli comuni la possibilità di individuare ulteriori aree idonee, mediante variante semplificata al PRG – non introduce, di per sé, alcuna deroga alla normativa di tutela del patrimonio culturale e del paesaggio, posto che, per espressa previsione della legge prov. Trento n. 15 del 2015, gli strumenti urbanistici devono essere coerenti con le previsioni di tutela paesaggistica. Non si tratterebbe, peraltro, della «devoluzione di una competenza provinciale al Comune», ma della «possibilità data all’ente locale di proporre ulteriori aree idonee, ad integrazione di quelle risultanti dall’Allegato B», nel rispetto dei criteri ivi indicati, e subordinatamente all’assenso da parte della Giunta provinciale, chiamata ad approvare la variante del PRG.

2.2.– Inammissibile sarebbe anche la seconda questione, concernente l’art. 5 della legge prov. Trento n. 4 del 2022. Il ricorrente avrebbe mancato di considerare che la disposizione impugnata «è riconducibile alla materia di competenza legislativa primaria “urbanistica e piani regolatori” ex art. 8, n. 5 dello Statuto speciale di autonomia», con ciò trascurando di spiegare perché il legislatore provinciale non avrebbe potuto recepire, tra gli istituti giuridici propri dell’ordinamento provinciale nella materia dell’urbanistica, lo strumento di semplificazione così introdotto.

Nel merito, la questione sarebbe comunque non fondata.

La SCIA indicata dalla norma provinciale impugnata non integrerebbe affatto un titolo abilitativo differente da quello previsto dalla norma statale interposta. Mentre quest’ultima si riferisce, con la locuzione «procedura abilitativa semplificata» (PAS), al «tipo di procedimento amministrativo nell’ambito del quale è presentata la dichiarazione dell’istante accompagnata dall’attestazione di conformità urbanistica», il termine «SCIA», utilizzato dall’art. 5 della legge prov. Trento n. 4 del 2022, «indica la tipologia di atto che il richiedente è tenuto a presentare per la realizzazione dell’intervento edilizio nell’ambito della procedura semplificata». In altri termini, il legislatore provinciale avrebbe recepito la PAS utilizzando il termine «SCIA», ma mantenendo le medesime scansioni procedimentali previste dall’art. 6 del d.lgs. n. 28 del 2011 (in particolare, il termine di 30 giorni entro il quale il comune è chiamato a pronunciarsi). Simile impostazione risulterebbe coerente con la normativa statale di riferimento che individua proprio nella SCIA il titolo abilitativo per la costruzione, l’esercizio e la modifica degli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili, con potenza inferiore a determinate soglie.

2.3.– Anche la terza questione, concernente gli interventi di edilizia libera senza autorizzazione paesaggistica, di cui all’art. 7, commi 1, 2 e 3, della legge prov. Trento n. 4 del 2022, sarebbe, nel complesso, non fondata.

Premessa un’eccezione di inammissibilità riguardante solo la questione sul comma 3 dell’art. 7 (in quanto l’esonero dall’autorizzazione paesaggistica – osserva la resistente – sarebbe previsto solo dai commi 1 e 2, il comma 3 limitandosi a introdurre criteri per l’inserimento degli impianti nei centri storici, senza che alcuna censura, nel ricorso, abbia raggiunto tale specifica previsione), nel merito la resistente sostiene l’erroneità del presupposto di partenza del ricorso, secondo cui i beni indicati dall’art. 136, comma 1, lettere b) e c), del d.lgs. n. 42 del 2004 non troverebbero tutela quali «beni ambientali» nell’ambito dell’ordinamento provinciale. Al contrario, detti beni – in esito a un quadro riepilogativo della legislazione provinciale – risulterebbero «tutelati quali beni ambientali nell’ambito dell’ordinamento provinciale».

Di conseguenza, grazie alla clausola di salvezza di cui all’ultimo periodo dell’art. 7, comma 1, della legge prov. Trento n. 4 del 2022, il legislatore provinciale avrebbe inteso «tenere ferma l’autorizzazione paesaggistica per gli interventi riguardanti i beni ambientali individuati ex art. 65 della legge prov. Trento n. 15 del 2015 e, dunque, riguardanti tutti i beni predetti», rimanendo sulla stessa linea di quanto prevede l’art. 7-bis, comma 5, del d.lgs. n. 28 del 2011. Le due discipline, quella provinciale e quella statale, sarebbero pertanto «equivalenti, pur nella diversità degli istituti giuridici previsti dai due ordinamenti in materia di tutela del paesaggio», e l’una costituirebbe l’adattamento dell’altra nell’ordinamento provinciale.

Il legislatore provinciale, peraltro, avrebbe anche provveduto a recepire – con apposite modifiche apportate alla legge prov. Trento n. 15 del 2015, «condivise con le competenti strutture della Presidenza del Consiglio dei Ministri» – la disciplina della procedura autorizzatoria semplificata di cui al decreto del Presidente della Repubblica 13 febbraio 2017, n. 31 (Regolamento recante individuazione degli interventi esclusi dall’autorizzazione paesaggistica o sottoposti a procedura autorizzatoria semplificata), e ciò mediante le previsioni della legge della Provincia autonoma di Trento 15 marzo 2018, n. 5 (Modificazioni della legge provinciale sull’attività amministrativa 1992, della legge provinciale per il governo del territorio 2015 e disposizione in materia di autorizzazione integrata ambientale), e della legge della Provincia autonoma di Trento 3 agosto 2018, n. 15 (Assestamento del bilancio di previsione della Provincia autonoma di Trento per gli esercizi finanziari 2018 – 2020). Ciò, pur nella consapevolezza che, a mente dell’art. 2, comma 1, del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonché la potestà statale di indirizzo e coordinamento), le previsioni del d.P.R. n. 31 del 2017, in quanto non aventi rango legislativo, non potrebbero essere considerate norme fondamentali di riforma economico-sociale, atte – come tali – a configurare un limite per la legislazione provinciale.

In ogni caso – precisa la resistente – le competenze legislative primarie in materia di urbanistica e tutela del paesaggio, di cui all’art. 8, numeri 5) e 6), dello statuto speciale di autonomia, e alle quali sarebbero da ricondurre le norme impugnate, non sarebbero venute meno a fronte del titolo di competenza legislativa statale esclusiva di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.; tanto ciò vero che questa Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 131, comma 3, del d.lgs. n. 42 del 2004 «nella parte in cui include le Province autonome di Trento e di Bolzano tra gli enti territoriali soggetti al limite della potestà legislativa esclusiva statale di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione» (è citata la sentenza n. 226 del 2009).

Del resto il legislatore provinciale, di fronte alle norme di grande riforma economico-sociale recate dal cod. beni culturali, «ha dovuto tenere conto del sistema giuridico provinciale di tutela del paesaggio», adattandovi quelle norme ma non potendo menzionare espressamente le aree e i beni contemplati dall’art. 136, comma 1, lettere b) e c), del d.lgs. n. 42 del 2004, che non trovano, nell’ambito della pianificazione urbanistica provinciale, i riferimenti necessari ad identificarli immediatamente. Pertanto, a giudizio della resistente, qualora le norme statali invocate come interposte nel ricorso dovessero imporsi alla Provincia autonoma di Trento «fin nel dettaglio della loro formulazione», esse «finirebbero con il travolgere l’intero sistema giuridico di tutela del paesaggio e con il travolgere la potestà legislativa provinciale primaria in materia di tutela del paesaggio», dovendosi viceversa ricordare che spetta al legislatore provinciale provvedere a recepire le norme fondamentali di riforma economico-sociale in subiecta materia.

In ogni caso, a giudizio della resistente, l’esonero dall’autorizzazione paesaggistica nell’ambito delle aree di cui alla lettera c) dell’art. 136, comma 1, del d.lgs. n. 42 del 2004, come previsto dall’art. 7-bis, comma 5, del d.lgs. n. 28 del 2011, in quanto «disposizione di estremo dettaglio», sarebbe «inidonea ad integrare una norma fondamentale di riforma economico sociale o ad essere considerata una disposizione coessenziale rispetto alla realizzazione di una norma avente detta rilevanza» (è citata, di questa Corte, la sentenza n. 482 del 1995).

Quanto, poi, ai criteri specifici dettati per i centri storici dal comma 3 dell’art. 7 impugnato, la resistente evidenzia che essi mirano a minimizzare la visibilità degli impianti, in modo da tutelare «la percezione visiva di tutti i centri storici del territorio trentino per il valore identitario ad essi riconosciuto». Verrebbe in considerazione, pertanto, un aspetto pienamente riconducibile alla materia della tutela del paesaggio, di competenza legislativa primaria provinciale, la quale non potrebbe ritenersi “annullata” dall’attribuzione allo Stato della competenza a porre i principi fondamentali della materia «energia».

2.4.– Infine, con riguardo alla quarta questione promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri, concernente l’art. 10 della legge prov. Trento n. 4 del 2022, la resistente – sulla premessa che anche questa disposizione sarebbe riconducibile alla propria competenza legislativa primaria nelle materie della tutela del paesaggio e dell’urbanistica – ripropone l’eccezione preliminare già sollevata per le altre questioni, contestando al ricorrente di non aver «spiegato perché la disposizione impugnata non sarebbe riconducibile alle ridette materie».

Nel merito, anche tale questione sarebbe non fondata.

La resistente ricorda che uno degli obiettivi fondamentali del PUP, approvato con la legge prov. Trento n. 5 del 2008, è la tutela delle aree agricole che rappresentano una parte molto ridotta dell’intero territorio provinciale (circa il 10 per cento), in un contesto economico in cui (come evidenziato nella relazione illustrativa del PUP) il settore agricolo presenta evidenti limiti, specie se confrontato con i dati di rilievo nazionale. L’art. 18 della legge prov. Trento n. 15 del 2015 pone il principio della limitazione del consumo di suolo, quale bene comune e risorsa non rinnovabile: tale principio – fa notare la resistente – «costituisce uno strumento di difesa delle aree agricole da istanze di sviluppo insediativo che non trovino giustificazione nel soddisfacimento del bisogno abitativo primario o, per le esigenze di natura produttiva, ove non vi siano soluzioni alternative con riferimento al possibile e razionale utilizzo delle aree esistenti e già insediate». Per tali ragioni, l’art. 114 della legge prov. Trento n. 15 del 2015 limita la possibilità di insediamento, nelle aree agricole, solo di quegli impianti, strutture e infrastrutture che abbiano attinenza ad attività agricole esercitate professionalmente. Analoghe limitazioni sono poste dagli artt. 37 e 38 delle norme di attuazione del PUP, riportate nella legge prov. Trento n. 5 del 2008.

Coerentemente con tali previsioni, allora, l’art. 114 della legge prov. Trento n. 15 del 2015 ammette la realizzazione di impianti di biogas nelle aree agricole subordinatamente alla condizione che essi assolvano a una funzione accessoria e strumentale rispetto all’attività principale dell’allevamento zootecnico.

La novella introdotta con la disposizione impugnata, nel confermare tale assetto, si sarebbe limitata ad ampliare il novero dei materiali e delle sostanze che possono alimentare gli impianti di biogas, facendo venir meno il previgente vincolo delle «biomasse vegetali» e rinviando a una deliberazione della Giunta provinciale quanto alla definizione delle tipologie di materiali e di sostanze destinate a tale scopo. Essa, pertanto, perseguirebbe l’intento di incentivare la realizzazione di questi impianti (che, di per sé, «costituisce una deroga al principio di inedificabilità» nelle aree agricole), pur sempre nel rispetto della regola di attinenza all’attività agricola esercitata sul territorio. In tal modo, si contribuirebbe a perseguire l’obiettivo della «promozione di strategie di gestione integrata degli effluenti zootecnici per il riequilibrio del rapporto agricoltura-ambiente, proteggendo e risanando le zone vulnerabili dall’inquinamento provocato da nitrati di origine animale».

Per contro – fa notare la resistente –, al di fuori delle aree agricole, non è previsto alcun criterio concernente la tipologia e la provenienza dei materiali e delle sostanze che alimentano gli impianti di biogas: ciò, in conformità a quanto previsto a livello nazionale dalle norme invocate, quali interposte, dal ricorrente.

In definitiva, la disciplina provinciale impugnata consentirebbe di perseguire, anche nelle zone agricole, il fine della promozione delle energie rinnovabili, «limitando solo il dimensionamento di questi impianti allo scopo di preservare l’estensione delle aree agricole, quali aree soggette a tutela». Sarebbero, pertanto, rispettati i principi fondamentali dettati dallo Stato sulla promozione della produzione e del consumo di energia da fonti rinnovabili e, al contempo, rimarrebbe intatta la competenza legislativa primaria della Provincia autonoma nelle materie dell’urbanistica e della tutela del paesaggio, cui sarebbe da ascrivere la disposizione impugnata.

3.– Con memoria successivamente depositata, la Provincia autonoma di Trento ha svolto ulteriori difese.

La resistente, anzitutto, ha ribadito la eccezione di inammissibilità riferita alla circostanza che, nel ricorso, si sarebbe omesso «di considerare i rilevanti ambiti di competenza legislativa provinciale in materia di “urbanistica e piani regolatori” […] e in materia di “tutela del paesaggio”» e «l’impianto normativo provinciale vigente nell’ambito del quale dovrebbe innestarsi il regime abilitativo semplificato in materia di impianti alimentati da fonti energetiche rinnovabili (FER)».

Si rimarca, poi, anche l’inammissibilità delle censure riferite al parametro di cui all’art. 117, primo comma, Cost., in quanto richiamato nelle premesse del ricorso ma poi «in alcun modo argomentato» nelle pagine successive.

3.1.– Con specifico riguardo alla prima questione, la resistente evidenzia che il ricorrente avrebbe «trascura[to] completamente di considerare che l’art. 20, co. 8, del d.lgs. 199/2021 pone una disciplina transitoria, da applicare nelle more dell’individuazione delle aree idonee sulla base dei criteri e delle modalità definiti dai decreti ministeriali previsti dal comma 1 del medesimo articolo, e che questa disciplina transitoria trova tutt’ora applicazione senza limite di tempo, mentre è ampiamente decorso il termine di 180 giorni fissato dal comma 1 per l’adozione dei ridetti criteri e modalità di individuazione di aree idonee e superfici». Quanto poi alla possibilità, rimessa ai comuni dall’art. 4, comma 5, della legge prov. Trento n. 4 del 2022, di individuare, con variante semplificata al PRG, «ulteriori aree idonee» (oltre a quelle di cui all’Allegato B della medesima legge provinciale), la resistente contesta al ricorrente di non aver «spiega[to] in cosa consista la difformità dalla disciplina di principio dettata dallo Stato», essendosi limitato «ad affermare genericamente che, dalla lettura dell’art. 20 del d.lgs. n. 199 del 2021, emerge la volontà legislativa di pervenire all’adozione di criteri omogenei ed uniformi per tutto il territorio nazionale». Ne deriverebbe l’inammissibilità della questione per genericità.

Nel merito, la resistente ricorda di essere titolare di potestà legislativa primaria in materia di «urbanistica e piani regolatori» e di «tutela del paesaggio», ai sensi dell’art. 8, numeri 5) e 6), dello statuto di autonomia. L’art. 16 del medesimo statuto, poi, le assegna le funzioni amministrative in tutte le materie nelle quali essa può legiferare. Ricorda, inoltre, che per tali materie «gli artt. 2 e 3 del d.lgs. n. 266 del 1992 escludono che la potestà legislativa provinciale possa essere limitata da atti statali non legislativi e prevede vincoli sostanziali e procedurali affinché gli atti di indirizzo e coordinamento possano essere ritenuti efficaci in confronto delle Province autonome».

La clausola di salvezza di cui all’art. 49 del d.lgs. n. 199 del 2021 determinerebbe l’esclusione delle due Province autonome dall’ambito di applicazione del vincolo di conformità posto dall’art. 20, comma 5, del medesimo decreto legislativo; ciò risulterebbe «coerente con la riconducibilità alle materie dell’urbanistica e della tutela del paesaggio del processo pianificatorio concernente l’individuazione delle aree idonee all’installazione di impianti alimentati da FER, disciplinata del medesimo articolo». Analogamente, sarebbe centrale l’art. 20, comma 4, ultimo periodo, del d.lgs. n. 199 del 2021, che porta ad escludere che la Provincia autonoma di Trento debba uniformarsi ai principi e ai criteri dettati per l’individuazione delle aree idonee e non idonee.

3.2.– Quanto alla seconda questione, la memoria difensiva si limita a richiamare le conclusioni già rassegnate nell’atto di costituzione in giudizio.

3.3.– Sulla terza questione, la resistente, nel richiamarsi a quanto già dedotto, solleva una nuova eccezione di inammissibilità, contestando al ricorrente di non essere «stato in grado di identificare quale delle tipologie di immobili identificate dall’art. 136 del d.lgs. n. 42 del 2004 sarebbe da ritenere esclusa dalla categoria dei beni ambientali prevista dall’art. 12 delle norme di attuazione del PUP approvate con legge prov. n. 5 del 2008 (“manufatti e siti di particolare pregio paesaggistico e ambientale”) e dall’art. 65 della legge prov. n. 15 del 2015». Né il ricorrente avrebbe spiegato per quale ragione la disciplina provinciale dell’autorizzazione paesaggistica, di cui all’art. 64, comma 2, lettera d), e all’art. 65 della legge prov. Trento n. 15 del 2015 integrerebbe un minor livello di tutela rispetto a quanto prevede l’art. 146 cod. beni culturali. Ne deriverebbe l’inammissibilità della questione per difetto o genericità della motivazione.

Nel merito, le norme provinciali censurate avrebbero «mantenuto integro il perimetro della tutela paesaggistica previsto dall’art. 136 del d.lgs. n. 42 del 2004, in quanto l’installazione di impianti sugli edifici costituenti beni ambientali risulta sempre subordinata ad autorizzazione paesaggistica per tutte le fattispecie di beni immobili previste dall’art. 136». Non si avrebbe, nella specie, un livello di tutela paesaggistica inferiore rispetto a quello offerto dall’art. 7-bis, comma 5, del d.lgs. n. 28 del 2011, in quanto l’esonero dall’autorizzazione paesaggistica, introdotto dalla norma censurata, sarebbe destinato ad operare solo per l’installazione di impianti su edifici che si trovino in aree di tutela ambientale e che «non siano stati individuati quali beni ambientali dalla Giunta provinciale».

Quanto al lamentato contrasto con le norme di semplificazione di cui al d.P.R. n. 31 del 2017, la resistente ribadisce che tale fonte «ha natura di regolamento amministrativo e non può recare norme fondamentali di riforma economico sociale vincolanti in materia di tutela del paesaggio in confronto delle due province autonome o principi fondamentali nelle materie di competenza concorrenza concorrente».

Riguardo, poi, alle prescrizioni concernenti l’installazione degli impianti nei centri storici (di cui all’impugnato art. 7, comma 3), la resistente, nel ribadire l’eccezione di inammissibilità già sollevata nel ricorso, osserva trattarsi di un completamento della cornice normativa già posta, dal legislatore provinciale, a tutela del valore identitario di tutti gli insediamenti storici del territorio.

3.4.– Infine, con riferimento alla quarta questione, la Provincia autonoma resistente ribadisce che il novellato art. 114 della legge prov. Trento n. 15 del 2015 sarebbe riconducibile alle materie di competenza legislativa primaria «tutela del paesaggio» e «urbanistica e piani regolatori», posto che esso non avrebbe ad oggetto, in generale, la realizzazione degli impianti di biogas, «bensì lo speciale regime abilitativo relativo alla realizzazione degli impianti di biogas nelle aree destinate all’agricoltura, […] in deroga alla generale disciplina in materia di edificazione nelle aree agricole»; ciò, pur sempre «in coerenza con le previsioni del PUP riguardanti le aree agricole che, in considerazione del loro rilievo paesaggistico, vietano l’edificazione in dette aree se non per esigenze connesse all’esercizio dell’attività agricola medesima».

Le previsioni recate dalle norme impugnate garantirebbero che, nelle aree destinate all’agricoltura, «siano realizzati solo impianti per la produzione di biogas di carattere accessorio e strumentale rispetto all’attività principale dell’allevamento zootecnico». Ciò sarebbe coerente con lo scopo di evitare che, in dette aree, possano essere realizzati impianti di produzione di energia aventi «dimensioni urbanisticamente non coerenti rispetto alla destinazione dell’area e all’attività agricola svolta, in ossequio al principio urbanistico dell’attinenza degli edifici realizzati in area agricola all’attività agricola esercitata sull’area, sancito dall’art. 37 delle norme di attuazione del PUP». Le aree non agricole, comunque, rimarrebbero sottratte all’operatività delle norme censurate.

Considerato in diritto

1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso diverse questioni di legittimità costituzionale aventi a oggetto le seguenti disposizioni della legge prov. Trento n. 4 del 2022: l’art. 4, commi 1, 2 e 5, che detta norme sull’individuazione delle aree idonee all’installazione di impianti alimentati da fonti rinnovabili (aree che sono, specificamente, elencate nell’Allegato B della medesima legge provinciale), consentendo ai comuni di individuare ulteriori aree idonee mediante una variante semplificata al Piano regolatore generale (PRG); l’art. 5, che, in punto di regime autorizzatorio per gli impianti alimentati da fonti rinnovabili, con potenza inferiore a determinate soglie, stabilisce il regime della segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) e detta le relative norme procedimentali; l’art. 7, commi 1, 2 e 3, che introduce un regime di liberalizzazione per l’installazione di impianti solari fotovoltaici e termici, consentendo di procedere senza necessità di alcun atto amministrativo di assenso, comunque denominato, con esplicito esonero anche dall’autorizzazione paesaggistica; l’art. 10, che, nell’introdurre alcune modifiche all’art. 114 della legge prov. Trento n. 15 del 2015, stabilisce le modalità di alimentazione e di funzionamento degli impianti di biogas nelle aree destinate all’agricoltura.

È dedotta la violazione degli artt. 4 e 8 dello statuto speciale e dell’art. 117, commi primo, secondo, lettere s) e m), e terzo, Cost.: detti parametri sono indicati nella parte introduttiva del ricorso, con la precisazione che le doglianze ex art. 117, secondo comma, lettere s) e m), Cost., si riferiscono specificamente alle questioni concernenti l’art. 7, commi 1, 2 e 3, della legge provinciale, mentre la successiva trattazione delle singole doglianze richiama, di volta in volta, gli specifici parametri costituzionali che vengono dedotti per ciascuna delle questioni.

2.– Nel costituirsi in giudizio, la Provincia autonoma di Trento ha preliminarmente dedotto che il ricorso eluderebbe il confronto con le proprie competenze legislative di carattere primario, ascrivibili in via prevalente alle materie «urbanistica e piani regolatori» e «tutela del paesaggio» di cui all’art. 8, numeri 5) e 6), dello statuto di autonomia.

Tale eccezione – che, per la sua natura trasversale, conviene esaminare prima ancora di iniziare la disamina delle singole questioni – non è fondata.

Nella parte introduttiva del ricorso, invero, il Presidente del Consiglio dei ministri ha espressamente richiamato gli artt. 4 e 8 dello statuto speciale, deducendone la violazione, e ha considerato la particolare situazione di autonomia delle due Province di Trento e di Bolzano. In specie, il ricorrente ha evidenziato che lo statuto non attribuisce specifiche competenze alle due Province autonome in materia di energia e che, di conseguenza, a norma dell’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001, si deve ritenere attribuita alle stesse una competenza legislativa di natura concorrente, ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost.

Tali affermazioni, ancorché sintetiche, appaiono adeguate a consentire lo scrutinio nel merito delle singole questioni, in quanto il nucleo del ragionamento condotto dal ricorrente, che sostiene il travalicamento delle competenze rimesse al legislatore provinciale, emerge con sufficiente nettezza (da ultimo, sentenza n. 117 del 2022). Ciò vale, a maggior ragione, e pur a prescindere da specifici rilievi sollevati dalla Provincia resistente, anche per le questioni (trattate, nel ricorso, all’interno del terzo e del quarto motivo di doglianza) che involgono i titoli di competenza legislativa statale esclusiva di cui alle lettere m) e s) dell’art. 117, secondo comma, Cost., e in specie per la questione promossa sull’art. 7 della legge prov. Trento n. 4 del 2022, in tema di autorizzazione paesaggistica per l’installazione di impianti solari fotovoltaici e termici. In tali casi, infatti, il ricorrente, nell’argomentare la propria competenza legislativa esclusiva negli ambiti coinvolti dalle norme provinciali contestate, non ha mancato di richiamare (ora attraverso uno specifico riferimento che si rinviene all’interno del motivo di impugnazione, ora attraverso la generale premessa che è anteposta alla trattazione dei singoli motivi) proprio le norme statutarie che attribuiscono competenza primaria alla Provincia autonoma di Trento in materia di urbanistica e di paesaggio, con ciò sostenendo implicitamente, ma comunque chiaramente, la prevalenza dei richiamati titoli di competenza statali.

3.– In via preliminare, devono essere dichiarate inammissibili le censure promosse in riferimento al parametro di cui all’art. 117, primo comma, Cost., posto che esso è fugacemente richiamato solo nella premessa generale del ricorso, senza poi essere citato, né tantomeno argomentato, all’interno dei singoli motivi di doglianza. Non è peraltro indicata alcuna fonte interposta derivante dall’ordinamento comunitario o da quello internazionale. Tali omissioni non consentono lo scrutinio, nel merito, delle censure.

Può dunque passarsi alla disamina delle singole questioni.

4.– Con la prima questione, il Presidente del Consiglio dei ministri impugna l’art. 4, commi 1, 2 e 5, della legge prov. Trento n. 4 del 2022, che, ai fini del «raggiungimento degli obiettivi di sviluppo delle fonti rinnovabili previsti dal decreto legislativo n. 199 del 2021», individua, tramite rinvio a quelle indicate nell’Allegato B, le aree «idonee» all’installazione di impianti alimentati da fonti rinnovabili (comma 1). Tale allegato, a sua volta, individua le seguenti aree: «a) aree per servizi infrastrutturali e discariche; b) aree produttive industriali-artigianali; c) aree miste commerciali, terziarie e produttive; d) aree «estrattive effettive» e cave; e) siti ancora da bonificare aventi interesse nazionale e siti d’interesse locale; f) discariche non controllate e bonificate; g) aree di servizio per la mobilità; h) strade esistenti o da potenziare; i) aree a parcheggio».

Il comma 2 dell’art. 4 stabilisce che, nelle aree idonee, «è ammessa l’installazione di impianti alimentati da fonti rinnovabili anche in deroga agli strumenti urbanistici subordinati al PUP e in assenza di una specifica previsione urbanistica. L’installazione degli impianti avviene nel rispetto degli standard urbanistici e in modo da non limitare la destinazione d’uso della zona prevista dagli strumenti urbanistici».

Il successivo comma 5 consente ai comuni di individuare, mediante apposita «variante semplificata al piano regolatore generale», ulteriori aree idonee, «con particolare riguardo alle aree compromesse, alle aree non più utilizzabili per altri scopi e alle aree acquisite al patrimonio dell’ente pubblico in esito a procedimenti repressivi di abusi edilizi».

Le censure statali lamentano la non conformità di questa disciplina rispetto al quadro normativo nazionale, costituito dalle previsioni dell’art. 20 del d.lgs. n. 199 del 2021. Ciò, in quanto le norme impugnate, senza considerare le prescrizioni all’uopo stabilite da quest’ultima disposizione, individuano esse stesse, «aprioristicamente», le aree idonee, per di più rimettendo ai singoli comuni la potestà di individuarne altre ancora, in tal modo prescindendo da criteri di omogeneità e uniformità sull’intero territorio nazionale che la disciplina dello Stato intende perseguire.

Viene dunque dedotta – sulla scorta del generale richiamo agli artt. 4 e 8 dello statuto di autonomia, operato nella premessa del ricorso – la violazione dell’art. 117, commi secondo, lettera s), e terzo, Cost. (in relazione all’art. 20 del d.lgs. n. 199 del 2021: sono, questi, i parametri specificamente richiamati nella rubrica del motivo in esame).

4.1.– La questione è inammissibile, con riguardo ad entrambi i parametri evocati dal ricorrente.

4.2.– Con riferimento al parametro di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., la questione è inammissibile in quanto detto parametro non è richiamato dalla deliberazione a impugnare adottata dal Presidente del Consiglio dei ministri.

Quest’ultima, con specifico riguardo alla questione in esame, aveva indicato solo i commi primo e terzo dell’art. 117 Cost., senza mai menzionare il secondo comma, lettera s), e senza tantomeno operare alcun riferimento a profili di tutela ambientale o paesaggistica in tesi pregiudicati dalla disposizione provinciale de qua.

Va ribadito, come da costante orientamento di questa Corte, che nei giudizi in via principale deve sussistere «una piena e necessaria corrispondenza tra la deliberazione con cui l’organo legittimato si determina all’impugnazione ed il contenuto del ricorso, attesa la natura politica dell’atto d’impugnazione» (sentenze n. 154 del 2017 e n. 110 del 2016; nello stesso senso, ancor prima, ex plurimis, sentenze n. 46 del 2015 e n. 198 del 2012), poiché «l’omissione di qualsiasi accenno ad un parametro costituzionale nella delibera di autorizzazione all’impugnazione dell’organo politico comporta l’esclusione della volontà del ricorrente di promuovere la questione al riguardo, con conseguente inammissibilità della questione che, sul medesimo parametro, sia stata proposta dalla difesa nel ricorso» (sentenze n. 128 del 2018 e n. 239 del 2016).

Nel caso di specie, peraltro, l’evocazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. non risulta affatto «meramente ancillare» a quella dell’art. 117, terzo comma, Cost. (con possibilità, in tesi, di ritenere sussistente la volontà dell’organo politico di impugnare la disposizione provinciale anche sotto tale profilo, secondo quanto ritenuto da questa Corte in casi di “ancillarità”: ad esempio, sentenza n. 281 del 2020). Essa, infatti, sottende un differente titolo di competenza (statale esclusivo, anziché concorrente), tale da richiedere un inquadramento e una motivazione, nel ricorso, del tutto diversa da quella che l’organo tecnico ha svolto. Deve, pertanto, escludersi la sussistenza di una evidente volontà dell’organo politico, titolare del potere di impugnativa, di porre la questione di legittimità costituzionale concernente la violazione della competenza legislativa esclusiva statale in materia di tutela dell’ambiente, avendo quell’organo fatto riferimento solo al titolo di competenza concorrente.

4.3.– Inammissibile, per altre e diverse ragioni, è infine anche la questione promossa ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost.

4.3.1.– È opportuno premettere alcuni tratti fondamentali del quadro normativo nazionale, concernente l’individuazione delle aree in cui è consentita l’installazione degli impianti di energia rinnovabile, dando atto del passaggio – tuttora in atto – dalla disciplina introdotta con l’art. 12, comma 10, del d.lgs. n. 387 del 2003, e successivamente attuata con le linee guida ministeriali adottate nel 2010, a quella recentemente dettata dall’art. 20 del d.lgs. n. 199 del 2021.

L’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003, nell’introdurre «princìpi che […] non tollerano eccezioni sull’intero territorio nazionale» (sentenze n. 77 del 2022, n. 286 del 2019, n. 69 del 2018 e n. 99 del 2012; nello stesso senso, sentenza n. 177 del 2021), con l’obiettivo di razionalizzare e di semplificare le procedure autorizzative per la costruzione e per l’esercizio degli impianti di produzione di energia alimentati da fonti rinnovabili, ha previsto lo svolgimento di un unico procedimento amministrativo, nel quale, attraverso apposita conferenza dei servizi, confluiscono le istanze di tutela dell’ambiente, del paesaggio e del patrimonio storico-artistico, in vista del conseguimento di un’«autorizzazione unica» (comma 3). Per lo svolgimento di tale procedimento, l’art. 12 ha previsto l’approvazione di apposite linee guida ministeriali «volte, in particolare, ad assicurare un corretto inserimento degli impianti […] nel paesaggio» (comma 10, secondo periodo). Si è quindi stabilito che, «[i]n attuazione di tali linee guida, le regioni possono procedere alla indicazione di aree e siti non idonei alla installazione di specifiche tipologie di impianti» (comma 10, terzo periodo).

La giurisprudenza di questa Corte ha annoverato le linee guida ministeriali, poi approvate con d.m. 10 settembre 2010, tra i principi fondamentali della materia concorrente «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», di cui all’art. 117, terzo comma, Cost., vincolanti nei confronti delle regioni in quanto «“costituiscono, in settori squisitamente tecnici, il completamento della normativa primaria” (sentenza n. 86 del 2019)», precisando che esse, nell’indicare puntuali modalità attuative della legge statale, «hanno “natura inderogabile e devono essere applicate in modo uniforme in tutto il territorio nazionale (sentenze n. 286 e n. 86 del 2019, n. 69 del 2018)” (sentenza n. 106 del 2020)» (sentenza n. 177 del 2021 e, in senso analogo, sentenze n. 11 del 2022 e n. 46 del 2021; da ultimo, anche sentenza n. 77 del 2022). Sulla base di quanto previsto dalle linee guida – come affermato da questa Corte – le regioni sono chiamate a svolgere un’apposita istruttoria per individuare le «aree non idonee», da intendersi quali obiettivi di protezione ambientale e paesaggistica non compatibili con l’insediamento di specifiche tipologie e/o dimensioni di impianti energetici.

In definitiva, nell’impianto delineato nel 2003 dal legislatore nazionale, come attuato dalle linee guida del 2010, le regioni sono chiamate a individuare le aree «non idonee» all’esito di un apposito procedimento amministrativo, operando un bilanciamento in concreto degli interessi strettamente aderente alla specificità dei luoghi, senza poter imporre in via legislativa vincoli generali non previsti dalla disciplina statale (sentenza n. 177 del 2021).

4.3.2.– Rispetto a questo sistema, l’art. 20 del d.lgs. n. 199 del 2021 ha introdotto rilevanti novità. Anzitutto, in base al comma 1, le regioni sono ora chiamate a individuare le aree «idonee» all’installazione degli impianti; ciò, pur sempre sulla scorta dei principi e dei criteri stabiliti con appositi decreti interministeriali, previsti dal comma 1. Inoltre, tale individuazione dovrà avvenire non in sede amministrativa, bensì «con legge», come precisa il comma 4 (primo periodo), attivandosi, in difetto, a norma del secondo periodo del comma 4, i poteri sostitutivi dello Stato di cui all’art. 41 della legge 24 dicembre 2012, n. 234 (Norme generali sulla partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione europea).

Questa Corte, di recente, ha avuto modo di osservare che, in raccordo con la disciplina dettata dall’art. 20 del d.lgs. n. 199 del 2021, «l’art. 18, comma 3, del medesimo decreto legislativo stabilisce che, solo “[a] seguito dell’entrata in vigore della disciplina statale e regionale per l’individuazione di superfici e aree idonee ai sensi dell’art. 20, con decreto del Ministero della transizione ecologica, di concerto con il Ministero della cultura, previa intesa in sede di Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, sono aggiornate le linee guida per l’autorizzazione degli impianti a fonti rinnovabili di cui all’articolo 12, comma 10, del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387”. Il citato iter non è stato al momento completato e le linee guida emanate con il d.m. 10 settembre 2010 non sono state ancora aggiornate» (sentenza n. 27 del 2023).

Il nuovo sistema, imperniato su decreti interministeriali non ancora adottati, è completato da una disciplina transitoria, dettata dal comma 8 dell’art. 20, a sua volta applicabile solo «[n]elle more dell’individuazione delle aree idonee sulla base dei criteri e delle modalità stabiliti dai decreti di cui al comma 1». In base a tale disciplina transitoria, sono considerate idonee le aree elencate dalle lettere a) e seguenti del comma 8.

4.3.3.– Per quanto più specificamente concerne la posizione delle due Province autonome, l’art. 20, comma 4, del d.lgs. n. 199 del 2021 introduce una previsione che non si rinveniva nell’impianto del d.lgs. n. 387 del 2003, secondo cui «[l]e Province autonome provvedono al processo programmatorio di individuazione delle aree idonee ai sensi dello Statuto speciale e delle relative norme di attuazione».

Tale previsione deve essere coordinata con quella di cui all’art. 49 del medesimo d.lgs. n. 199 del 2021 che, con riferimento questa volta non allo specifico aspetto dell’individuazione delle aree idonee, ma all’intera disciplina dettata da tale decreto legislativo, e quindi a tutti gli aspetti afferenti alla promozione dell’uso delle energie rinnovabili, stabilisce quanto segue: «Sono fatte salve le competenze delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome di Trento e di Bolzano, che provvedono alle finalità del presente decreto ai sensi dei rispettivi statuti speciali e delle relative norme di attuazione».

La clausola dell’art. 49 corrisponde, anche letteralmente, a quella che si rinveniva nell’art. 19 del d.lgs. n. 387 del 2003, avente portata generale ma comunque riferibile, secondo la giurisprudenza di questa Corte, anche allo specifico aspetto dell’individuazione delle aree. Proprio in base a tale clausola si è ritenuto che fosse da considerarsi salva la competenza legislativa primaria delle due Province autonome sul paesaggio (come riconosciuta dall’art. 8, numero 6, dello statuto di autonomia), la quale «deve tuttavia coesistere con la competenza statale in materia di tutela dell’ambiente e con quella concorrente in materia di energia» e che deve, pertanto, soggiacere agli obiettivi nazionali sul consumo e sulla ripartizione, tra regioni e province autonome, della quota minima di incremento dell’energia rinnovabile (sentenza n. 275 del 2011). In questa prospettiva, la Corte non ha mancato di precisare che le Province autonome di Trento e di Bolzano non sono tuttavia svincolate dall’osservanza dei principi fondamentali dettati dal d.lgs. n. 387 del 2003 sulla localizzazione degli impianti, in quanto la loro potestà legislativa primaria in materia di tutela del paesaggio le esonera unicamente dal rispetto delle disposizioni regolamentari e di dettaglio contenute in alcuni punti specifici delle linee guida ministeriali (sentenza n. 224 del 2012).

Nel complessivo contesto delle norme delineate sia dal d.lgs. n. 387 del 2003, sia dalle linee guida ministeriali, questa Corte ha ricondotto il regime dell’autorizzazione unica, in via prevalente, alla materia concorrente dell’energia, riconoscendo ad esso «carattere di normazione di principio e non di dettaglio», nonché «valenza estesa all’intero territorio nazionale, senza eccezioni, in quanto funzionale alla creazione di un sistema di regole certe, trasparenti ed uniformi di ingresso degli operatori economici nel settore di riferimento». Ha quindi affermato che «le autonomie speciali dotate di competenza statutaria in materia di tutela del paesaggio possono individuare aree e siti non idonei alla installazione degli impianti al di fuori delle prescrizioni contenute nelle linee guida, ma sempre all’interno dei principi fondamentali dettati dal legislatore statale nella materia dell’energia» (sentenza n. 275 del 2012).

4.3.4.– Rispetto al quadro normativo statale così tratteggiato, il ricorrente non si è adeguatamente confrontato con la portata del d.lgs. n. 199 del 2021 in merito alla disciplina delle aree idonee e non idonee, mancando di verificare in quali termini il nuovo sistema di individuazione delle aree potesse considerarsi già efficace. In proposito, questa Corte ha già osservato che, nella perdurante assenza dei decreti interministeriali previsti dal comma 1 dell’art. 20, quello introdotto nel 2021 deve considerarsi «un quadro normativo oggi ancora non compiutamente definito» (sentenza n. 216 del 2022).

Ma, ancor prima, il ricorrente non ha adeguatamente ricostruito gli effettivi margini di autonomia che, per questo specifico profilo, devono oggi considerarsi assegnati alle due Province autonome, anche in ordine alla corretta tempistica dell’intervento del legislatore provinciale. Ciò, avuto riguardo al fatto che il legislatore statale del 2021, pur riproducendo, all’art. 49 la clausola generale di salvezza che già era contenuta nell’art. 19 del d.lgs. n. 387 del 2003, ha aggiunto la nuova e più specifica clausola di cui all’art. 20, comma 4, ultimo periodo, del d.lgs. n. 199 del 2021, concernente proprio il regime dell’individuazione delle aree idonee da parte delle due Province autonome, e tuttavia non considerata dal ricorrente.

Le riscontrate carenze comportano l’inammissibilità della questione. Come già evidenziato da questa Corte, l’impugnazione avverso una disposizione regionale che arrechi pregiudizio alle attribuzioni statali, incidendo su materie rientranti nelle competenze legislative dello Stato, deve «essere adeguatamente motivat[a] e, a supporto delle censure prospettate, deve chiarire il meccanismo attraverso cui si realizza il preteso vulnus lamentato»; in particolare, «quando il vizio sia prospettato in relazione a norme interposte specificamente richiamate è necessario evidenziare la pertinenza e la coerenza di tale richiamo rispetto al parametro evocato» (sentenza n. 232 del 2019; da ultimo, sentenza n. 71 del 2022).

5.– È poi impugnato l’intero art. 5 della legge prov. Trento n. 4 del 2022, rubricato «Procedura abilitativa semplificata».

La disposizione stabilisce – facendo salve le ipotesi di comunicazione di inizio lavori asseverata (CILA) e di edilizia libera, di cui, rispettivamente, ai successivi artt. 6 e 7 – che gli interventi di installazione di impianti alimentati da fonti rinnovabili, aventi una potenza inferiore a determinate soglie (queste ultime, individuate sia mediante richiamo alla Tabella A del d.lgs. n. 387 del 2003, sia mediante richiamo all’Allegato A alla stessa legge provinciale), sono assoggettati a segnalazione certificata di inizio attività (SCIA), «nell’ambito della procedura abilitativa semplificata disciplinata dal presente articolo» (così il comma 1).

Il comma 2 prevede che la SCIA, accompagnata da una relazione del progettista e dagli elaborati tecnici per la connessione, è presentata al comune «almeno trenta giorni prima dell’effettivo inizio dei lavori». Qualora, entro trenta giorni dalla presentazione della SCIA, risulti accertata l’assenza di una o più delle condizioni dichiarate nella relazione, il comune «vieta di iniziare i lavori». Quando, invece, il comune non procede in tal modo, «l’attività di costruzione è da ritenersi assentita» (così il comma 3).

A norma del comma 4, poi, se la costruzione e l’esercizio degli impianti è sottoposta ad atti di assenso di competenza del comune o di altre amministrazioni e questi atti non sono allegati alla SCIA, «il comune provvede ad acquisirli d’ufficio o convoca, entro venti giorni dalla presentazione della SCIA, una conferenza di servizi decisoria dandone comunicazione al proponente». In questo caso, il termine di trenta giorni previsto dal comma 2 «è sospeso fino all’acquisizione d’ufficio degli atti di assenso o fino all’adozione della determinazione motivata di conclusione del procedimento».

Il comma 5 stabilisce il titolo di assentimento dell’opera e, al riguardo, prevede quanto segue: «La sussistenza del titolo a realizzare l’intervento è provata con la copia della SCIA da cui risulta la data di presentazione della SCIA stessa, l’elenco di quanto presentato a corredo del progetto, l’attestazione del professionista, gli atti di assenso eventualmente necessari».

Con norma di chiusura, il comma 6 dispone che «[p]er quanto non disciplinato da quest’articolo si applica l’articolo 86 della legge provinciale per il governo del territorio 2015» (il quale, a sua volta, detta la disciplina generale della SCIA valida per gli interventi edilizi nel territorio della Provincia autonoma di Trento, stabilendone i requisiti e i soggetti che possono avvalersene).

Le censure del ricorrente attengono alla dedotta non conformità di questa disciplina provinciale con quanto prescrive l’art. 6 del d.lgs. n. 28 del 2011, che ha introdotto la «procedura abilitativa semplificata» (PAS). Tale non conformità starebbe in ciò, che «[i] due istituti, PAS e SCIA costituiscono titoli abilitativi diversi e sono caratterizzati da un regime giuridico differente». In particolare, precisa il ricorrente, «mentre la SCIA viene presentata contestualmente all’inizio dei lavori, la PAS deve essere presentata trenta giorni prima dell’avvio del cantiere dando così modo all’ente locale di intervenire [...] e dunque prima dell’inizio dei lavori».

Viene quindi censurata – sulla scorta, anche qui, del generale richiamo agli artt. 4 e 8 dello statuto di autonomia, compiuto nella premessa del ricorso – la violazione dell’art. 117, commi secondo, lettera s), e terzo Cost. (quest’ultimo, in relazione all’art. 6 del d.lgs. n. 28 del 2011: sono, questi, i parametri specificamente richiamati nella rubrica del motivo in esame).

5.1.– Va preliminarmente evidenziato che, successivamente alla proposizione del ricorso, l’art. 19, comma 2, della legge della Provincia autonoma di Trento 6 luglio 2022, n. 7, recante «Riforma delle comunità: modificazioni della legge provinciale 16 giugno 2006, n. 3 (Norme in materia di governo dell’autonomia del Trentino), e della legge provinciale per il governo del territorio 2015. Modificazioni della legge provinciale sulle fonti rinnovabili 2022», ha introdotto nell’art. 5 della legge prov. Trento n. 4 del 2022 il comma 5-bis, che prevede quanto segue: «[l]a realizzazione dell’intervento deve essere completata entro tre anni decorrenti dal termine di conclusione della procedura di cui al comma 3 o al comma 4».

Questo ius superveniens, avente peraltro portata marginale e di completamento della disciplina della SCIA, non può considerarsi incluso nel sindacato di legittimità costituzionale sollecitato dal ricorso in esame, che attiene unicamente all’originario testo dell’art. 5, quale all’epoca in vigore. Le considerazioni che seguono, pertanto, si riferiscono a tale disposizione, quale vigente al momento della proposizione del ricorso.

5.2.– La questione è inammissibile, limitatamente alla pretesa violazione del parametro di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. Esso, infatti, non è richiamato dalla deliberazione adottata dal Presidente del Consiglio dei ministri.

5.3.– La censura relativa all’art. 5 della legge prov. Trento n. 4 del 2022, promossa per violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., in relazione all’art. 6 del d.lgs. n. 28 del 2011, non è fondata.

5.3.1.– Giova premettere un inquadramento normativo.

L’art. 6 del d.lgs. n. 28 del 2011, nella formulazione oggi vigente, prevede la PAS per gli impianti che, in ragione della loro bassa potenza, in precedenza erano assentiti con SCIA (anziché con il più complesso titolo dell’autorizzazione unica).

La procedura della PAS si articola, nei suoi tratti salienti, come segue. Il proprietario dell’immobile (ovvero, chi ha la disponibilità degli immobili interessati dall’impianto e dalle opere connesse) presenta al comune, «almeno trenta giorni prima dell’effettivo inizio dei lavori», una «dichiarazione», accompagnata da «una dettagliata relazione a firma di un progettista abilitato e dagli opportuni elaborati progettuali», che attesti la compatibilità del progetto con gli strumenti urbanistici approvati e i regolamenti edilizi vigenti e la non contrarietà agli strumenti urbanistici adottati, nonché il rispetto delle norme di sicurezza e di quelle igienico-sanitarie. Alla dichiarazione sono allegati gli elaborati tecnici per la connessione redatti dal gestore della rete. Nel caso in cui siano richiesti atti di assenso nelle materie cosiddette sensibili (di cui al comma 4 dell’art. 20 della legge 7 agosto 1990, n. 241, recante «Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi»), e tali atti non siano allegati alla dichiarazione, devono esserlo gli elaborati tecnici richiesti dalle norme di settore (così l’art. 6, comma 2).

Una volta presentata la segnalazione, pertanto, i lavori non possono iniziare immediatamente (come accade, invece, nel regime ordinario della SCIA, delineato dall’art. 19, comma 2, della legge n. 241 del 1990), ma solo a seguito del decorso del termine di trenta giorni, e solo se l’amministrazione non abbia adottato un espresso provvedimento inibitorio.

Invero il comune, ove entro detto termine riscontri l’assenza di una o più delle condizioni attestate nella relazione del progettista, «notifica all’interessato l’ordine motivato di non effettuare il previsto intervento». In assenza di tale notifica, decorso il termine di trenta giorni «l’attività di costruzione deve ritenersi assentita» (così l’art. 6, comma 4).

Qualora alla dichiarazione non siano allegati i necessari atti di assenso, spetta al comune renderli tempestivamente (se di sua competenza) ovvero acquisirli d’ufficio (ove di competenza di altre amministrazioni), se del caso convocando apposita conferenza di servizi. In queste evenienze, «[i]l termine di trenta giorni di cui al comma 2 è sospeso fino alla acquisizione degli atti di assenso ovvero fino all’adozione della determinazione motivata di conclusione del procedimento» (così l’art. 6, comma 5).

La realizzazione dell’intervento va «completata entro tre anni dal perfezionamento della procedura abilitativa semplificata ai sensi dei commi 4 o 5» (così l’art. 6, comma 6).

La sussistenza del titolo «è provata con la copia della dichiarazione da cui risulta la data di ricevimento della dichiarazione stessa, l’elenco di quanto presentato a corredo del progetto, l’attestazione del professionista abilitato, nonché gli atti di assenso eventualmente necessari» (così l’art. 6, comma 7).

Quello fin qui descritto costituisce un vero e proprio procedimento amministrativo, caratterizzato da un certo grado di semplificazione (rispetto all’ordinario procedimento dell’autorizzazione unica), che parte su iniziativa del privato con la presentazione al comune di una «dichiarazione» e che è volto all’ottenimento di un titolo. La sua denominazione («Procedura abilitativa semplificata», da cui l’acronimo PAS) chiarisce tale natura e rende evidente la distinzione tra l’atto di iniziativa (la «dichiarazione» del privato), il momento procedimentale e l’atto amministrativo finale (il titolo).

In tale contesto, emerge anche dalla giurisprudenza amministrativa la sussumibilità della speciale procedura “semplificata”, prevista dall’art. 6 del d.lgs. n. 28 del 2011 nel modello procedimentale della SCIA di cui all’art. 19 della legge n. 241 del 1990 (arg. ex Consiglio di Stato, sezione quarta, sentenze 4 gennaio 2023, n. 130 e 3 febbraio 2022, n. 771; TAR Calabria, sezione prima, sentenza 16 giugno 2021, n. 1243; TAR Campania, sezione staccata di Salerno, sezione prima, sentenza 20 dicembre 2018, n. 1838).

Analogamente, questa Corte – nel considerare la disciplina sulla formazione del titolo edilizio a seguito di dichiarazione di inizio di attività (DIA) o di SCIA come rientrante tra i principi fondamentali della materia concorrente «governo del territorio» – ha precisato che la DIA, così come la SCIA, «si inseriscono in una fattispecie il cui effetto è pur sempre quello di legittimare il privato ad effettuare gli interventi edilizi (sentenze n. 121 del 2014, n. 188 e n. 164 del 2012)»: una fattispecie avente «struttura complessa», che «non si esaurisce, rispettivamente, con la dichiarazione o la segnalazione, ma si sviluppa in fasi ulteriori: una prima, di ordinaria attività di controllo dell’Amministrazione (rispettivamente nei termini di sessanta e trenta giorni); una seconda, in cui può esercitarsi l’autotutela amministrativa» (sentenza n. 49 del 2016). Le modalità di intervento della pubblica amministrazione costituiscono, dunque, «il necessario completamento della disciplina di tali titoli abilitativi, poiché la individuazione della loro consistenza e della loro efficacia non può prescindere dalla capacità di resistenza rispetto alle verifiche effettuate dall’Amministrazione successivamente alla maturazione degli stessi», sicché «[l]a disciplina di questa fase ulteriore […] è parte integrante di quella del titolo abilitativo e costituisce con essa un tutt’uno inscindibile» (così, ancora, sentenza n. 49 del 2016).

5.3.2.– Alla luce di quanto precede, deve quindi concludersi che la SCIA introdotta dalle norme provinciali impugnate non presenta alcuna sostanziale differenza rispetto alla PAS di cui all’art. 6 del d.lgs. n. 28 del 2011. Il legislatore provinciale, senza peraltro mancare di utilizzare proprio la denominazione «procedura abilitativa semplificata» (che costituisce la rubrica della norma censurata), ha solo utilizzato la denominazione «SCIA» per riferirsi all’atto che segna l’inizio di un procedimento caratterizzato – nel raffronto con il citato art. 6 del d.lgs. n. 28 del 2011 – dalle medesime scansioni e dai medesimi poteri di intervento inibitorio del comune.

Del resto, neanche l’art. 5 della legge prov. Trento n. 4 del 2022 consente l’immediato inizio dei lavori, a seguito della presentazione della «segnalazione», ma impone di attendere che trascorra il termine di trenta giorni, entro il quale l’amministrazione potrà svolgere le proprie verifiche ed eventualmente intervenire con il provvedimento inibitorio. Inoltre, detto art. 5 delinea tale «segnalazione» con le medesime caratteristiche della «dichiarazione» menzionata dall’art. 6 del d.lgs. n. 28 del 2011 (il quale, peraltro, sin dalla sua formulazione originaria, ha impiegato tale termine, che richiamava l’istituto della DIA, unico all’epoca vigente), prescrivendo che sia corredata dalla relazione del progettista e dagli elaborati tecnici per la connessione. Uguale, poi, è la disciplina sull’eventuale sospensione del termine di trenta giorni, ai fini dell’acquisizione d’ufficio degli atti di assenso necessari (ma non allegati dal privato) e dello svolgimento della conferenza di servizi. Ancora, del tutto sovrapponibile è la disciplina relativa al titolo finale che è costituito dalla copia della «segnalazione», da cui risulti la data della «presentazione» (ovvero, «la data di ricevimento», come si esprime il comma 7 del citato art. 6 del d.lgs. n. 28 del 2011), unitamente all’«elenco di quanto presentato a corredo del progetto, [all]’attestazione del professionista, [a]gli atti di assenso eventualmente necessari» (così l’art. 5, comma 5, della legge prov. Trento n. 4 del 2022, che corrisponde quasi letteralmente al primo).

Da quanto precede emerge che la norma provinciale censurata, nel delineare le fasi in cui è scandita la «procedura abilitativa semplificata» per l’ottenimento della SCIA, è rispettosa dei principi fondamentali dettati dal legislatore statale con l’invocata disposizione interposta. Non sussistono, pertanto, le difformità lamentate dal ricorrente rispetto alla disciplina statale della PAS, con particolare riguardo a quella relativa al momento in cui è consentito l’inizio dei lavori, che coincide nelle due discipline poste a raffronto.

Ne deriva la non fondatezza della questione.

6.– Viene poi impugnato l’art. 7, commi 1, 2 e 3, della legge prov. Trento n. 4 del 2022, che consente la libera installazione di impianti solari fotovoltaici e termici, e delle relative opere funzionali alla connessione alla rete elettrica, sia sulle coperture delle costruzioni esistenti (comma 1), sia a terra nelle pertinenze delle costruzioni medesime (comma 2) e salvo il rispetto di alcune misure di mitigazione (comma 3). Le ragioni dell’impugnazione poggiano sulla prevista esplicita esenzione – non solo da qualsiasi atto di assenso, comunque denominato, ma anche – dall’autorizzazione paesaggistica.

In particolare, ai fini delle installazioni, il comma 1 dell’art. 7 richiede una semplice «previa comunicazione al comune» e precisa che esse «non sono subordinate all’acquisizione di permessi, autorizzazioni o atti amministrativi di assenso comunque denominati, inclusa l’autorizzazione paesaggistica». Si aggiunge, all’ultimo periodo del comma 1, la seguente clausola di salvezza: «Restano fermi l’acquisizione delle autorizzazioni previste dalle norme di settore a tutela dei beni ambientali e dei beni culturali e il rispetto delle norme sulla sicurezza, antisismiche, igienico-sanitarie e di tutela del pericolo idrogeologico».

Il comma 2, come precisato, estende tale regime di liberalizzazione anche alle installazioni «a terra», purché si tratti di impianti aventi una capacità di generazione «inferiore alle soglie previste dall’articolo 3, comma 1, per l’applicazione dell’autorizzazione integrata». Con tale riferimento, vengono così richiamati i limiti di potenza indicati dal d.lgs. n. 387 del 2003 (Tabella A), validi, a livello nazionale, per segnare il confine tra l’autorizzazione unica e i regimi abilitativi più blandi.

Il comma 3 (parimenti impugnato) stabilisce poi alcune misure di mitigazione della liberalizzazione, da applicarsi «nei centri storici e negli insediamenti storici sparsi». Si stabilisce dunque che, «[f]ermo restando quanto previsto dai commi 1 e 2», in tali aree gli impianti solari fotovoltaici e termici devono essere installati «in modo da minimizzarne la visibilità, con inclinazione identica o coerente rispetto alla copertura nel caso di tetti a falda in aderenza o integrati, e possono essere installati a terra nelle pertinenze delle costruzioni solo in caso di insufficienza o inidoneità della copertura della costruzione medesima».

Non sono invece sottoposti a impugnazione i successivi commi 4, 5 e 6 dell’art. 7, che recano ulteriori norme di contorno, volte, in particolare, a estendere l’ambito oggettivo di applicabilità dell’art. 7.

Le censure del ricorrente si appuntano, esclusivamente, sull’esonero dall’autorizzazione paesaggistica, invocando il titolo di competenza legislativa statale esclusiva nella materia della tutela dell’ambiente (lettera s del secondo comma dell’art. 117 Cost.) e nella materia della determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale (lettera m). Allo stesso tempo, è lamentato il contrasto con una serie di norme statali (gli artt. 136, 142, 146 e 149 del d.lgs. n. 42 del 2004, come attuati mediante il d.P.R. n. 31 del 2017; gli artt. 6, 6-bis e 7-bis del d.lgs. n. 28 del 2011).

Il punto centrale delle censure statali, riferite alla tutela dei valori paesaggistici, è costituito dal richiamo alle norme nazionali che, nel quadro della semplificazione delle procedure autorizzative per la realizzazione di interventi di efficienza energetica e di piccoli impianti a fonti rinnovabili, hanno di recente riformulato il regime di liberalizzazione per l’installazione di impianti solari fotovoltaici e termici. Si tratta delle previsioni – assunte quale parametro di raffronto, rispetto alle norme provinciali impugnate – di cui all’art. 9, comma 1, del d.l. n. 17 del 2022, come sostituito dalla legge di conversione n. 34 del 2022, che ha riscritto il comma 5 dell’art. 7-bis del d.lgs. n. 28 del 2011.

Con le disposizioni denunziate il legislatore provinciale avrebbe travalicato i limiti imposti dalle norme fondamentali di riforma economico-sociale, tra le quali andrebbero annoverate quelle che, limitatamente all’installazione degli impianti solari fotovoltaici e termici, individuano le fattispecie per le quali è necessario il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, anche semplificata. Viene, inoltre, dedotta la violazione della competenza legislativa esclusiva dello Stato nella «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni», di cui all’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., posto che, a giudizio del ricorrente, la disciplina nazionale sulla semplificazione delle procedure, in tema di autorizzazioni paesaggistiche, sarebbe riconducibile a tale ultimo titolo di competenza, avuto riguardo all’«oggettiva necessità di dettare regole uniformi e valide in ogni contesto geografico della Repubblica».

In definitiva, viene denunciata – sulla scorta, anche in questo caso, del preteso superamento della competenza legislativa provinciale di cui agli artt. 4 e 8 dello statuto di autonomia, contestato con lo specifico motivo – la violazione dell’art. 117, secondo comma, lettere s) e m), Cost. (in relazione alle «norme interposte» di cui agli artt. 136, 142, 146 e 149 del d.lgs. n. 42 del 2004, come attuati mediante il d.P.R. n. 31 del 2017, e agli artt. 6, 6-bis e 7-bis del d.lgs. n. 28 del 2011).

6.1.– Preliminarmente, va esaminata l’eccezione di inammissibilità concernente la sola parte del motivo di ricorso con il quale è impugnato il comma 3 dell’art. 7 della legge prov. Trento n. 4 del 2022. L’esonero dall’autorizzazione paesaggistica – che, come osserva la resistente, costituisce il vero nucleo delle doglianze di controparte – sarebbe infatti sancito solo dai commi 1 e 2, mentre il comma 3 si limiterebbe ad introdurre criteri per l’inserimento degli impianti nei centri storici. Rispetto a tale specifica previsione, si afferma, il ricorso non prospetta alcuna censura.

L’eccezione non è fondata.

La doglianza che, nel corpo del terzo motivo di impugnazione, viene rivolta contro la deroga all’autorizzazione paesaggistica è invero chiara nel riferirsi anche al comma 3 dell’art. 7 impugnato, posto che, come argomenta il ricorrente, anche tale specifica disposizione introdurrebbe previsioni non idonee a controbilanciare la deroga sancita dai primi due commi. Del resto, pure lo stesso comma 3, analogamente alle disposizioni che lo precedono, finisce per ribadire la possibilità di prescindere dall’autorizzazione paesaggistica, posto che si apre con la clausola «Fermo restando quanto previsto dai commi 1 e 2», in tal modo, quindi, riproducendo la deroga contestata, che viene fatta valere anche per i centri storici.

6.2.– Fondata è, invece, nei termini di seguito precisati, l’ulteriore eccezione di inammissibilità, sollevata dalla Provincia autonoma nella memoria depositata il 3 gennaio 2023, concernente la questione promossa in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettere s) e m), Cost.

Giova, al riguardo, ricordare che, in base alle norme statali richiamate dal ricorrente, l’installazione, con qualunque modalità, anche nelle zone A degli strumenti urbanistici comunali (come individuate ai sensi del decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, recante «Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell’art. 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765»), di impianti solari fotovoltaici e termici sugli edifici, ovvero su strutture e manufatti fuori terra diversi dagli edifici (ivi compresi strutture, manufatti ed edifici già esistenti all’interno dei comprensori sciistici), nonché nelle relative pertinenze, è considerata intervento di manutenzione ordinaria e non è subordinata all’acquisizione di permessi, autorizzazioni o atti amministrativi di assenso comunque denominati, ivi compresi quelli previsti dal cod. beni culturali. La stessa disposizione introduce, poi, alcune eccezioni, con riguardo alle installazioni effettuate in aree o immobili vincolati ai sensi dell’art. 136, lettere b) e c), del d.lgs. n. 42 del 2004, ossia, rispettivamente, presso «le ville, i giardini e i parchi, non tutelati dalle disposizioni della Parte seconda del [cod. beni culturali], che si distinguono per la loro non comune bellezza» e presso «i complessi di cose immobili che compongono un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale, inclusi i centri ed i nuclei storici».

Dal canto suo, la disposizione impugnata, nell’includere l’autorizzazione paesaggistica tra gli atti di assenso amministrativo da cui si prescinde per dette installazioni, fa tuttavia esplicitamente salva l’acquisizione delle autorizzazioni previste, tra le altre, «dalle norme di settore a tutela dei beni ambientali» (così l’art. 7, comma 1, ultimo periodo, della legge prov. Trento n. 4 del 2022).

Detti beni sono tutelati, nell’ordinamento provinciale, dall’art. 64, comma 2, lettera d), della legge prov. Trento n. 15 del 2015, che assoggetta ad autorizzazione paesaggistica, per l’appunto, «i beni ambientali di cui all’articolo 65». Quest’ultimo, a sua volta, rubricato «Individuazione di beni ambientali e inclusione negli elenchi», stabilisce, al comma 1, che la Giunta provinciale, sentita la commissione per la pianificazione territoriale e il paesaggio (CPC) competente per territorio, individua e inserisce in uno o più elenchi: «a) i beni immobili, anche non compresi nelle aree di tutela ambientale individuate dal PUP, che rivestono cospicui caratteri di bellezza naturale o di singolarità ecologica o formano punti di vista o di belvedere; b) gli alberi monumentali perché appartengono a specie rare o hanno una forma particolare o un peculiare pregio paesaggistico o rappresentano una testimonianza o un simbolo della storia, della tradizione o della cultura locale, e gli alberi monumentali riconosciuti come beni ambientali tra quelli censiti ai sensi dell’articolo 7 della legge 14 gennaio 2013, n. 10 (Norme per lo sviluppo degli spazi verdi urbani); c) le opere d’infrastrutturazione del territorio, le aree terrazzate e i manufatti, anche non soggetti alle norme per la tutela delle cose d’interesse storico o artistico, che si distinguono, singolarmente o nel loro insieme, per il loro peculiare interesse architettonico». Il comma 2 dell’art. 65 aggiunge che, tra i beni così inseriti negli elenchi, la Giunta provinciale individua le aree agricole di pregio, «che per la presenza di singolari produzioni tipiche o per lo speciale rilievo paesaggistico si configurano come beni ambientali non suscettibili di riduzione […]».

La disciplina provinciale così richiamata costituisce espressione della potestà legislativa primaria che lo statuto di autonomia riconosce alle Province autonome di Trento e di Bolzano nella materia «tutela del paesaggio» (art. 8, numero 6). Tale potestà, che deve esercitarsi entro i limiti indicati dall’art. 4 del medesimo statuto (il quale richiama, in particolare, il limite delle «norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica»), deve ritenersi estesa alle modalità di classificazione dei beni oggetto di tutela paesaggistica, dovendosi riconoscere a ciascuna delle due Province la possibilità di utilizzare proprie e autonome categorie giuridiche nelle quali far confluire, adattandole, le regole desumibili dalle norme fondamentali di riforma economico-sociale dettate dallo Stato.

Tanto premesso, sarebbe stato preciso onere del ricorrente illustrare compiutamente la disciplina che sovraintende alla classificazione dei beni oggetto di tutela paesaggistica nella Provincia autonoma di Trento. Il sistema delineato da tale disciplina, come dianzi chiarito, si riferisce alla categoria dei «beni ambientali» e non conosce, invece, quella dei «beni paesaggistici» nelle stesse forme di cui al codice dei beni culturali e del paesaggio. Tale sistema avrebbe dovuto essere raffrontato con le previsioni statali di tutela, al fine di individuare le ragioni per le quali, ad avviso del ricorrente, la disciplina impugnata non assicurerebbe il medesimo livello di tutela che è previsto per i beni indicati dalle lettere b) e c) dell’art. 136 del d.lgs. n. 42 del 2004.

La genericità della ricostruzione operata, sul punto, nel ricorso determina una carenza della motivazione che non consente lo scrutinio nel merito, con conseguente inammissibilità della censura.

7.– La questione promossa con il quarto e ultimo motivo di ricorso ha ad oggetto l’art. 10 della legge prov. Trento n. 4 del 2022, rubricato «Modificazioni dell’articolo 114 della legge provinciale per il governo del territorio 2015, relative agli impianti di biogas». La disposizione introduce alcune modifiche all’art. 114 della legge prov. Trento n. 15 del 2015, concernente la realizzazione di impianti per la produzione di biogas nelle aree agricole, sostituendone il comma 2 e aggiungendo la nuova lettera d) nel comma 4.

Le modifiche attengono, in sostanza, al collegamento funzionale che deve intercorrere tra l’impianto de quo, il terreno agricolo sul quale esso viene installato e l’impresa agricola zootecnica che vi insista. Già il testo previgente dell’art. 114 consentiva la realizzazione, da parte dell’imprenditore agricolo, nelle aree destinate all’agricoltura, della tipologia di impianti in esame, a patto che essi funzionassero «mediante il recupero e il trattamento di residui zootecnici e agricoli» e «purché questi impianti svolgano una funzione accessoria e strumentale rispetto all’attività principale di allevamento zootecnico e siano previsti dal PRG» (così il comma 1 dell’art. 114 della legge prov. Trento n. 15 del 2015, tuttora vigente).

La novella del 2022 aggiunge adesso che «[g]li impianti devono essere alimentati con materiali e sostanze definiti dalla deliberazione prevista dal comma 4 e con l’utilizzo prevalente di effluenti zootecnici prodotti dall’azienda. A tal fine gli effluenti zootecnici rappresentano almeno il 70 per cento del materiale che alimenta l’impianto. La distribuzione nel suolo del digestato avviene nel rispetto delle disposizioni stabilite da quest’articolo e dall’articolo 19-bis del D.P.G.P. 26 gennaio 1987, n. 1-41/Legisl. (testo unico provinciale sulla tutela dell’ambiente dagli inquinamenti 1987)» (così il nuovo comma 2, oggetto di odierno scrutinio).

Il comma 4 dell’art. 114 demanda alla Giunta provinciale di definire: «a) i limiti dimensionali degli impianti; b) ulteriori criteri relativi alla localizzazione degli impianti; c) specifiche condizioni per la realizzazione, la gestione – comprese le modalità di distribuzione del digestato – e il controllo degli impianti; d) la tipologia e il territorio di provenienza dei materiali e delle sostanze che alimentano l’impianto» (quest’ultima è l’aggiunta sottoposta a impugnazione da parte dello Stato).

Le censure promosse dal Presidente del Consiglio dei ministri – sulla scorta, anche qui, del generale riferimento sia agli artt. 4 e 8 dello statuto di autonomia, sia all’art. 117, primo comma, Cost., compiuto nella premessa del ricorso – si appuntano sulla violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., sostenendosi che la novella introdurrebbe «per il funzionamento di tali impianti, requisiti che non trovano alcun riscontro nella normativa statale», e la cui previsione «potrebbe» comportare limitazioni per «gli investimenti sul biogas», in «controtendenza con la finalità di promozione delle energie rinnovabili seguita dal Legislatore nazionale». Il ricorrente rinvia, in proposito, alle previsioni degli artt. 5 e 12 del d.lgs. n. 387 del 2003, degli artt. 8-bis, 24 e 26 del d.lgs. n. 28 del 2011 e degli artt. 11 e 14 del d.lgs. n. 199 del 2021: norme, tutte, delle quali è lamentata la «violazione» ad opera del legislatore provinciale.

7.1.– Preliminarmente, deve rimarcarsi che anche per la questione in esame la delibera a impugnare della Presidenza del Consiglio dei ministri aveva indicato, quale parametro di legittimità costituzionale, solo l’art. 117, terzo comma, Cost., sotto il profilo della competenza legislativa concorrente in materia di energia. Essa, invece, non aveva affatto indicato il parametro di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., afferente alla competenza legislativa esclusiva statale in materia di ambiente, che invece risulta essere l’unico parametro evocato nel ricorso.

A differenza delle precedenti questioni, tuttavia, in questo caso è possibile ritenere che l’organo tecnico statale, nella redazione del ricorso, sia incorso in un mero errore materiale nell’indicazione prettamente numerica del parametro. Le argomentazioni spese, che coincidono con quelle di cui alla delibera a impugnare, sono invero impostate proprio nel senso di censurare la violazione dei principi fondamentali dettati dallo Stato (attraverso le richiamate norme interposte), nella materia concorrente «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», di cui all’art. 117, terzo comma, Cost.

Pertanto, può considerarsi che sia quest’ultimo il parametro effettivamente evocato nel ricorso, sulla cui scorta deve quindi essere svolta la seguente disamina.

7.2.– Così delineato il thema decidendum, la questione è comunque inammissibile per eccessiva genericità.

La disciplina dettata dall’art. 10 della legge prov. Trento n. 4 del 2022, nell’integrare le previsioni sugli impianti di biogas di cui all’art. 114 della legge prov. Trento n. 15 del 2015, ha regolato sostanzialmente tre diversi aspetti, collegati alla gestione di tali impianti nelle aree agricole. Anzitutto, essa ha stabilito quale deve essere la percentuale di «prevalenza» degli effluenti zootecnici prodotti dall’azienda agricola che compongono i materiali e le sostanze utilizzati per alimentare l’impianto. In secondo luogo, ha precisato le modalità di distribuzione, nel suolo, del digestato proveniente dal ciclo di funzionamento dell’impianto, rimandando a quelle già precisate dall’art. 19-bis del decreto del Presidente della Giunta provinciale 26 gennaio 1987, n. 1-41/Legisl. (Approvazione del testo unico delle leggi provinciali in materia di tutela dell’ambiente dagli inquinamenti), come aggiunto dall’art. 29, comma 2, della legge della Provincia autonoma di Trento 29 dicembre 2017, n. 17 (Legge collegata alla manovra di bilancio provinciale 2018), che disciplina per l’appunto le modalità di «Utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento, delle acque reflue e del digestato». Infine, detta disciplina ha fissato la tipologia e il territorio di provenienza delle sostanze utilizzate per alimentare l’impianto, rinviando, sul punto, ad apposita delibera della Giunta provinciale.

Nessuno di questi tre aspetti, che formano oggetto della disposizione impugnata, è considerato ex professo dalla normativa statale invocata, quale interposta, dal ricorrente. Tale normativa, invero, non si occupa delle modalità di funzionamento e di alimentazione degli impianti per la produzione di biogas, ma prevede e disciplina altri e diversi istituti e/o aspetti concernenti, in una prospettiva più generale, la produzione di energia da fonti rinnovabili e, talvolta più specificamente, anche gli impianti di biogas.

Nel dettaglio, quelle norme si riferiscono: all’istituzione di una «commissione di esperti» presso il Ministero delle politiche agricole e forestali (oggi: Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste), avente il compito di predisporre una relazione prodromica all’individuazione, da parte dei ministeri a ciò competenti, dei criteri per l’incentivazione della produzione di energia elettrica da biomasse, gas residuati dai processi di depurazione e biogas (così l’art. 5 del d.lgs. n. 387 del 2003); alla possibilità di collocare in zona agricola una serie di impianti alimentati da fonti rinnovabili, ivi inclusi quelli «alimentati dalle biomasse» (così l’art. 2, comma 1, lettera b, del d.lgs. n. 387 del 2003, come richiamato dall’art. 12, comma 7, dello stesso decreto); al regime di autorizzazione per la costruzione e l’esercizio degli impianti per la produzione di biometano, senza peraltro nulla prevedere con specifico riguardo alle modalità di funzionamento e alimentazione (art. 8-bis del d.lgs. n. 28 del 2011, come introdotto dall’art. 30, comma 2, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91, recante «Disposizioni urgenti per il settore agricolo, la tutela ambientale e l’efficientamento energetico dell’edilizia scolastica e universitaria, il rilancio e lo sviluppo delle imprese, il contenimento dei costi gravanti sulle tariffe elettriche, nonché per la definizione immediata di adempimenti derivanti dalla normativa europea», convertito, con modificazioni, in legge 11 agosto 2014, n. 116, e successivamente oggetto di varie modifiche, in specie, da ultimo, ad opera del d.lgs. n. 199 del 2021); al sistema degli incentivi pubblici per la produzione di energia elettrica da fonte rinnovabile con riferimento, in tale contesto, anche alle fonti costituite da «biogas, biomasse e bioliquidi sostenibili» (art. 24 del d.lgs. n. 28 del 2011); allo specifico aspetto della cumulabilità degli incentivi per la produzione di energie rinnovabili (generalmente intese) con altri incentivi pubblici comunque denominati (art. 26 del d.lgs. n. 28 del 2011); al sistema incentivante per il biometano immesso nella rete del gas naturale e, più in generale, per gli impianti che producono energia avvalendosi di biogas e di altri gas (art. 11 del d.lgs. n. 199 del 2021); infine, alle modalità di raccordo tra talune misure previste in seno al Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e i meccanismi incentivanti di cui al d.lgs. n. 199 del 2021, anche con riferimento al biogas e al biometano (art. 14 del d.lgs. n. 199 del 2021, rubricato «Criteri specifici di coordinamento fra misure del PNRR e strumenti di incentivazione settoriali»).

Rispetto a tale coacervo di disposizioni aventi portata generale (in materia di produzione di energia da fonti rinnovabili) e, talvolta, più specifica (in materia di regime incentivante per gli impianti di biogas e loro raccordo con le misure PNRR), il ricorrente non ha precisato quali fossero le norme da considerarsi effettivamente parametri interposti nella disamina della questione promossa, in tesi violate dalla previsione provinciale impugnata. Una certa attinenza, tra tutte le disposizioni citate dal ricorrente, può forse attribuirsi solo all’art. 24, comma 2, lettera h), punto iii), del d.lgs. n. 28 del 2011, che coinvolge anche gli impianti per la produzione di biogas nel quadro della disciplina (generale) dei relativi meccanismi incentivanti, determinando, in tale contesto, un certo favor per la provenienza delle sostanze di alimentazione dell’impianto dall’azienda agricola, in chiave di collegamento funzionale tra l’esercizio dell’impianto e lo sfruttamento delle aree agricole. Nulla, tuttavia, questa disposizione precisa, nel dettaglio, circa i territori di origine e le “percentuali di prevalenza” delle sostanze provenienti dall’azienda, né tantomeno circa le modalità di distribuzione, nel suolo, del digestato. Anche le più recenti disposizioni del d.lgs. n. 199 del 2021 (artt. 11 e 14), laddove specificamente si riferiscono pure agli impianti che producono biogas, si limitano a dettare norme aventi portata generale, dalle quali è possibile cogliere solo un generico favor del legislatore per queste tipologie di impianti.

In definitiva, le censure del Presidente del Consiglio dei ministri risultano motivate in modo generico attraverso l’evocazione di norme statali che, tutt’al più, sono espressione del medesimo favor per questo tipo di fonte rinnovabile e per la sussistenza di un collegamento funzionale tra l’impianto e l’area agricola sul quale esso sorge.

In tal modo, il ricorrente è venuto meno all’onere di esatta definizione della questione e di puntuale motivazione che questa Corte ha più volte ribadito essere particolarmente rilevante nel ricorso in via principale, e la cui carenza conduce alla sua inammissibilità (ex plurimis, sentenze n. 5 del 2022 e n. 83 del 2018).

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 4, commi 1, 2 e 5, della legge della Provincia autonoma di Trento 2 maggio 2022, n. 4, recante «Misure per la promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili per il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo delle fonti rinnovabili previsti dal decreto legislativo 8 novembre 2021, n. 199 (Attuazione della direttiva (UE) 2018/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 dicembre 2018, sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili), e modifiche di disposizioni connesse», promosse, in riferimento agli artt. 4 e 8 del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), e all’art. 117, commi primo, secondo, lettera s), e terzo, della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe;

2) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 5 della legge prov. Trento n. 4 del 2022, nella formulazione antecedente all’integrazione disposta con l’art. 19, comma 2, della legge della Provincia autonoma di Trento 6 luglio 2022, n. 7, recante «Riforma delle comunità: modificazioni della legge provinciale 16 giugno 2006, n. 3 (Norme in materia di governo dell’autonomia del Trentino), e della legge provinciale per il governo del territorio 2015. Modificazioni della legge provinciale sulle fonti rinnovabili 2022», promosse, in riferimento agli artt. 4 e 8 dello statuto speciale e all’art. 117, commi primo e secondo, lettera s), Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe;

3) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 7, commi 1, 2 e 3, della legge prov. Trento n. 4 del 2022, promosse, in riferimento agli artt. 4 e 8 dello statuto speciale e all’art. 117, commi primo e secondo, lettere s) e m), Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe;

4) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 10 della legge prov. Trento n. 4 del 2022, promosse, in riferimento agli artt. 4 e 8 dello statuto speciale e all’art. 117, commi primo e terzo, Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe;

5) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 5 della legge prov. Trento n. 4 del 2022, nella formulazione antecedente all’integrazione disposta con l’art. 19, comma 2, della legge prov. Trento n. 7 del 2022, promossa, in riferimento agli artt. 4 e 8 dello statuto speciale e all’art. 117, terzo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 6 del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28 (Attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE), dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l’8 febbraio 2023.

F.to:

Silvana SCIARRA, Presidente

Maria Rosaria SAN GIORGIO, Redattore

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria il 3 aprile 2023.