Sentenza n. 50 del 2023

SENTENZA N. 50

ANNO 2023

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Silvana SCIARRA;

Giudici: Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 12, comma 1, lettera a), della legge della Regione Lombardia 20 maggio 2022, n. 9 (Legge di semplificazione 2022), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 25 luglio 2022, depositato in cancelleria il 25 luglio 2022, iscritto al n. 46 del registro ricorsi 2022 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 37, prima serie speciale, dell’anno 2022.

Visto l’atto di costituzione della Regione Lombardia;

udito nell’udienza pubblica del 25 gennaio 2023 il Giudice relatore Franco Modugno;

uditi l’avvocato dello Stato Gianna Galluzzo per il Presidente del Consiglio dei ministri e gli avvocati Alessandra Zimmitti e Piera Pujatti per la Regione Lombardia;

deliberato nella camera di consiglio del 25 gennaio 2023.

Ritenuto in fatto

1.– Con ricorso depositato il 27 luglio 2022 (reg. ric. n. 46 del 2022), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questione di legittimità costituzionale dell’art. 12, comma 1, lettera a), della legge della Regione Lombardia 20 maggio 2022, n. 9 (Legge di semplificazione 2022), nella parte in cui modifica il secondo periodo del comma 12 dell’art. 21 della legge della Regione Lombardia 12 dicembre 2003, n. 26 (Disciplina dei servizi locali di interesse economico generale. Norme in materia di gestione dei rifiuti, di energia, di utilizzo del sottosuolo e di risorse idriche), per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, in relazione all’art. 3 del decreto legislativo 13 gennaio 2003, n. 36 (Attuazione della direttiva 1999/31/CE relativa alle discariche di rifiuti), nonché dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 3 della direttiva 1999/31/CE del Consiglio, del 26 aprile 1999, relative alle discariche di rifiuti.

1.1.– L’art. 21, comma 12, della legge reg. Lombardia n. 26 del 2003 individua, nel primo periodo, alcune eccezioni all’ambito di applicazione dei criteri di localizzazione degli impianti di smaltimento e recupero dei rifiuti, per i quali l’art. 8, comma 7, della legge della Regione Lombardia 12 luglio 2007, n. 12, recante «Modifiche alla legge regionale 12 dicembre 2003, n. 26 (Disciplina dei servizi locali di interesse economico generale. Norme in materia di gestione dei rifiuti, di energia, di utilizzo del sottosuolo e di risorse idriche) ed altre disposizioni in materia di gestione dei rifiuti», ha previsto che la Giunta regionale provvedesse, mediante propria delibera e sentita la commissione consiliare competente, ad integrare la deliberazione della Giunta della Regione Lombardia 27 giugno 2005, n. 220, recante «Approvazione del Programma Regionale di Gestione dei Rifiuti (P.R.G.R) ai sensi degli artt. 19, 20 e 55 della l.r. 26 del 23 dicembre 2001 e in applicazione delle direttive 75/442/CEE, 91/689/CEE, 94/62/CEE nonché del rapporto ambientale di valutazione ambientale strategica ai sensi della direttiva 2001/42/CE del Parlamento Europeo e del consiglio del 27 giugno 2001».

In particolare, a norma del primo periodo della menzionata disposizione, fanno eccezione ai criteri di localizzazione così individuati «le discariche per la messa in sicurezza permanente e gli impianti di trattamento dei rifiuti realizzati nell’area oggetto di bonifica e destinati esclusivamente alle operazioni di bonifica dei relativi siti contaminati […]».

Il secondo periodo della medesima disposizione prevedeva, nella previgente versione, che «[t]ale messa in sicurezza permanente» dovesse essere realizzata «secondo i criteri e le modalità» previsti dal d.lgs. n. 36 del 2003.

L’impugnato art. 12 della legge reg. Lombardia n. 9 del 2022, al comma 1, lettera a), ha introdotto una modifica a quest’ultima disposizione, prevedendo che «[t]ale messa in sicurezza permanente» debba essere realizzata «in coerenza con gli obiettivi di tutela ambientale» fissati dal d.lgs. n. 36 del 2003.

Il ricorrente sostiene che la precedente formulazione, prevedendo «l’applicazione automatica» dei criteri e delle modalità disposti dal citato decreto legislativo alla messa in sicurezza permanente effettuata a traverso le tipologie di impianti elencate nel primo periodo, fosse più coerente con la normativa statale, mentre quella attualmente in vigore, più generica e meno aderente a quest’ultima, violerebbe diversi parametri costituzionali.

1.2.– In primo luogo, la disposizione impugnata entrerebbe in contrasto con l’art. 3 del d.lgs. n. 36 del 2003, il quale stabilisce, al comma 1, che «[l]e disposizioni del presente decreto si applicano a tutte le discariche, come definite dall’articolo 2, comma 1, lettera g)», riproducendo sul punto quanto previsto dall’art. 3, paragrafo 1, della direttiva 1999/31/CE.

La disposizione costituirebbe una distorsione applicativa delle due previsioni normative da ultimo richiamate, poiché l’ambiguità semantica dell’espressione «in coerenza con gli obiettivi di tutela ambientale» sarebbe foriera di sostanziali dubbi interpretativi che renderebbero concreto il rischio di un’elusione dei principi fondamentali stabiliti dalla normativa statale; distorsione censurata da questa Corte nelle sentenze n. 107 del 2017, n. 449 del 2005, n. 412 del 2004 e n. 228 del 2003.

Il ricorrente sostiene, inoltre, che la disposizione regionale si riferisca a tipologie di impianti che, seppur realizzati nell’area oggetto di bonifica e destinati esclusivamente alle operazioni di bonifica, sono, comunque sia, soggetti all’applicazione integrale del d.lgs. n. 36 del 2003 e della direttiva 1999/31/CE. Per tale motivo, il citato art. 3, nel prevedere l’ambito applicativo del decreto legislativo, rivestirebbe la qualità di parametro interposto per la verifica del rispetto dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., il quale assegna alla potestà legislativa esclusiva statale la «tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali».

La difesa statale richiama, a tal proposito, la giurisprudenza costituzionale che, in materia di bonifica di siti inquinati, ha affermato che la relativa disciplina rientra nella materia di competenza esclusiva statale della «tutela dell’ambiente», nel cui ambito la legislazione regionale può solo introdurre norme idonee a realizzare un innalzamento dei livelli di tutela ambientale o, comunque sia, non derogatorie in senso peggiorativo rispetto a quelle contenute nel codice dell’ambiente (sentenze n. 251 del 2021, n. 215 del 2018, n. 247 del 2009 e n. 214 del 2008).

1.3.– Per le medesime ragioni, la novella legislativa entrerebbe in contrasto anche con l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 3 della direttiva 1999/31/CE.

Con riguardo a quest’ultimo profilo, la difesa statale precisa che manca, nella delibera del Consiglio dei ministri, il riferimento al parametro costituzionale in questione. Ciò nonostante, sulla scorta di quanto affermato da questa Corte nelle sentenze n. 272 del 2020 e n. 128 del 2018, ritiene di poter integrare la solo parziale individuazione dei motivi di censura ivi svolta, spettando alla parte ricorrente, nella discrezionalità della difesa tecnica, la più puntuale indicazione dei parametri del giudizio.

1.4.– Il ricorrente sostiene, altresì, che la disposizione regionale impugnata violi gli standard di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema posti dal legislatore statale nell’esercizio della competenza legislativa esclusiva lui attribuita dall’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., precisando che a quest’ambito di competenza va ricondotta la disciplina dei rifiuti. A sostegno di quest’ultima affermazione sono citate, fra le altre, le sentenze di questa Corte n. 227 del 2020, n. 289, n. 231, n. 142, n. 129 e n. 28 del 2019, n. 215, n. 151, n. 150 e n. 126 del 2018, n. 244 e n. 154 del 2016 e n. 58 del 2015.

Quanto alle ulteriori competenze regionali sulle quali la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema possa incidere in ragione del suo carattere trasversale (ex multis, sentenze n. 215 e n. 151 del 2018, n. 54 del 2012, n. 151 del 2011, n. 225 del 2009, n. 380 del 2007, n. 62 del 2005 e n. 259 del 2004), l’Avvocatura sottolinea che, pur se le regioni mantengono una competenza legislativa finalizzata alla cura di interessi funzionalmente collegati con quelli ambientali, la disciplina statale «costituisce, anche in attuazione degli obblighi comunitari, un livello di tutela uniforme e si impone sull’intero territorio nazionale, come un limite alla disciplina che le Regioni e le Province autonome dettano in altre materie di loro competenza, per evitare che esse deroghino al livello di tutela ambientale stabilito dallo Stato, ovvero lo peggiorino» (sentenza n. 58 del 2015).

2.– Con atto depositato in data 26 agosto 2022, si è costituita in giudizio la Regione Lombardia, eccependo la non fondatezza del ricorso.

2.1.– In primo luogo, la resistente sostiene che l’impugnata disposizione regionale, a differenza di quanto sostenuto dallo Stato, non concerna la materia dei rifiuti (e delle discariche di rifiuti), ma quella dei cosiddetti volumi confinati, realizzati per gli interventi di messa in sicurezza permanente nell’ambito delle bonifiche dei siti contaminati, contenenti solo terreni. Questi “volumi confinati”, secondo la difesa regionale, non dovrebbero essere necessariamente realizzati secondo i criteri e le modalità previste dal d.lgs. n. 36 del 2003.

Tale ricostruzione è sostenuta, innanzitutto, sulla base della suddivisione del modificato art. 21, comma 12, della legge reg. Lombardia n. 26 del 2003, in diversi periodi, dei quali il primo avrebbe ad oggetto le discariche contenenti materiale costituito da rifiuti e realizzate per la messa in sicurezza permanente nelle aree oggetto di bonifica; il secondo – modificato dalla novella legislativa oggi impugnata – avrebbe invece ad oggetto i soli volumi confinati in sito e contenenti materiale costituito da matrici ambientali (in particolare terreni) per la messa in sicurezza permanente nelle aree oggetto di bonifica. Sostiene infatti la Regione che, a differenza di quanto ritenuto dalla difesa statale, in questa parte dell’articolo non vi sarebbe alcun riferimento alle «discariche» per la messa in sicurezza permanente.

2.2.– In secondo luogo (e a sostegno della ricostruzione proposta), la Regione Lombardia ritiene che la modifica normativa impugnata non si presterebbe all’obiezione di scarsa chiarezza o di ambiguità semantica mossa dal ricorrente. L’orientamento interpretativo regionale emergerebbe, infatti, dalla deliberazione della Giunta della Regione Lombardia 15 dicembre 2021, n. 5703 (Indirizzi per interventi di messa in sicurezza permanente con realizzazione di volume confinato negli interventi di bonifica – Modifica dell’allegato 1 alla d.g.r. 2789 del 31 gennaio 2020), la quale distingue i procedimenti e le misure da adottare secondo che i materiali rinvenuti nel corso della messa in sicurezza siano terreni o rifiuti, precisando che gli indirizzi in essa contenuti riguardano esclusivamente la prima ipotesi, mentre, nella seconda ipotesi, «non oggetto dei presenti indirizzi», «è possibile inquadrare l’area come sito di discarica o luogo di abbandono rifiuti». In questo senso moverebbe, in particolare, l’Allegato 1 alla menzionata delibera, recante «Indirizzi per la messa in sicurezza permanente nei casi in cui sia prevista la realizzazione di un volume confinato on site a servizio di un intervento di bonifica (art. 240, comma 1, lettera o) D.lgs. 3 aprile 2006, n. 152)».

Tali indirizzi per la messa in sicurezza permanente, che, a detta della resistente, cristallizzerebbero la prassi interpretativa regionale di distinzione dei volumi confinati secondo il loro contenuto, offrirebbero una chiave interpretativa per dedurre l’applicabilità delle disposizioni regionali alla sola fattispecie di confinamento di matrici ambientali (e non di rifiuti).

Così inteso l’intervento normativo, non verrebbe allora messa in dubbio l’applicabilità del d.lgs. n. 36 del 2003 all’ipotesi di confinamento di materiale contenente rifiuti, mentre, per l’ipotesi di messa in sicurezza permanente riguardante matrici ambientali, cui il decreto non si applicherebbe, la Regione Lombardia avrebbe inteso offrire una disciplina cautelativa, ponendo l’obbligo del raggiungimento degli obiettivi da esso perseguiti.

2.3.– Movendo dalla proposta ricostruzione, la Regione resistente ritiene che la disposizione impugnata non riguardi la materia dei rifiuti, secondo la nozione offerta dal diritto statale e da quello dell’Unione europea, e che, pertanto, non si ponga in contrasto neppure con l’art. 117, primo comma, Cost.

2.4.– La difesa regionale argomenta, poi, le ragioni per le quali la materia dei suoli e delle matrici ambientali di riporto non sarebbe ricompresa nell’ambito di applicazione del d.lgs. n. 36 del 2003, per come definito dall’art. 3 addotto dal ricorrente a parametro interposto.

Il comma 1 di quest’ultimo articolo prevede, infatti, che «[l]e disposizioni del presente decreto si applicano a tutte le discariche, come definite dall’articolo 2, comma 1, lettera g)», ossia alle aree adibite «a smaltimento dei rifiuti mediante operazioni di deposito sul suolo o nel suolo, compresa la zona interna al luogo di produzione dei rifiuti adibita allo smaltimento dei medesimi da parte del produttore degli stessi, nonché qualsiasi area ove i rifiuti sono sottoposti a deposito temporaneo per più di un anno».

Ne consegue, ad avviso della Regione resistente, uno stretto collegamento tra il concetto di discarica e quello di rifiuto, la cui nozione viene ricavata dagli artt. 183 e 185 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale).

Il primo offre la relativa definizione ai fini dell’applicazione della Parte IV del decreto, intendendo per “rifiuto” «qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l’intenzione o abbia l’obbligo di disfarsi»; il secondo, invece, prevede una serie di esclusioni dall’ambito di applicazione della medesima Parte IV, ossia un elenco di sostanze soggette a normative speciali. Fra queste ultime, la difesa regionale si sofferma sulla lettera b) del comma 1 dell’art. 185, il quale esclude «il terreno (in situ), inclusi il suolo contaminato non scavato e gli edifici collegati permanentemente al terreno, fermo restando quanto previsto dagli artt. 239 e ss. relativamente alla bonifica di siti contaminati». Lo stesso art. 185 è stato oggetto di interpretazione autentica, sostiene la resistente, ad opera dell’art. 3, comma 1, del decreto-legge 25 gennaio 2012, n. 12 (recte: n. 2) (Misure straordinarie e urgenti in materia ambientale), convertito, con modificazioni, in legge 24 marzo 2012, n. 28, il quale precisa che i riferimenti al «suolo» ivi contenuti devono essere interpretati «come riferiti anche alle matrici materiali di riporto di cui all’allegato 2 alla parte IV del medesimo decreto legislativo».

Da questo complesso normativo, la difesa regionale trae conferma dell’ipotesi interpretativa secondo cui suoli e matrici materiali di riporto sono attratti alla normativa specifica in tema di bonifiche (di cui al Titolo V, Parte IV, del d.lgs. n. 152 del 2006) e sottratti alla normativa dedicata, in generale, ai rifiuti (di cui alla Parte IV).

Così interpretata, la disposizione regionale rientrerebbe nell’ambito della competenza legislativa regionale, per come delineata dall’art. 196, comma 1, lettera h), cod. ambiente, ossia nell’ambito della redazione di linee guida e di criteri per la predisposizione e l’approvazione dei progetti di bonifica e di messa in sicurezza e, integrando in ottica ulteriormente cautelativa la disciplina delle bonifiche e del ripristino ambientale dei siti inquinati, detterebbe criteri che rendono gli obiettivi di tutela ambientale più rigorosi di quanto previsto dalla normativa statale, soprattutto al fine di garantire la tutela della salute anche nell’ambito della messa in sicurezza permanente con realizzazione di volumi confinati on site non contenenti rifiuti.

2.5.– Infine, la Regione Lombardia sostiene la non fondatezza della questione di legittimità costituzionale in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.

Avendo riguardo alla messa in sicurezza permanente di matrici ambientali (e non contenenti rifiuti), la resistente ricostruisce la finalità dell’intervento nel senso della realizzazione di un’opera conclusiva, volta a porre rimedio in modo permanente ad una situazione di criticità ambientale, e menziona l’Allegato 3 alla Parte IV del «d.lgs. n. 157/07» (recte: d.lgs. n. 152 del 2006) quale punto di riferimento per l’individuazione dei criteri per la selezione e l’esecuzione degli interventi necessari.

In questo quadro, la previsione dell’obbligo del rispetto degli obiettivi di tutela ambientale fissati dal d.lgs. n. 36 del 2003 costituirebbe uno strumento efficace nell’ottica dell’obiettivo del miglior rapporto costi-benefici e non metterebbe in dubbio la competenza legislativa statale esclusiva in materia di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, pur fermo il carattere trasversale della normativa ambientale, che comporta sovrapposizioni con altri ambiti di competenza (sono citate le sentenze di questa Corte n. 20 del 2012, n. 191 del 2011, n. 378 del 2007, n. 226 del 2003 e n. 536 del 2002). In questi ambiti, le regioni conservano infatti poteri di scelta nelle materie di propria spettanza (nel caso di specie, la disciplina di dettaglio in materia di tutela della salute), purché questi poteri siano esercitati in senso più rigoroso rispetto a quanto previsto dalla normativa statale posta a tutela dell’ambiente e dell’ecosistema (sono richiamate, di questa Corte, la sentenza n. 378 del 2007, nonché, ex plurimis, le sentenze n. 21 del 2022, n. 189 del 2021, n. 178 del 2019 e n. 121 del 2018).

3.– In data 3 gennaio 2023, la Regione Lombardia ha presentato una memoria nella quale, oltre a ribadire gli argomenti già sostenuti nell’atto di costituzione, vengono prospettate alcune conseguenze che potrebbero derivare dalla qualificazione delle matrici ambientali quali rifiuti, ritenendo che una tale inclusione, per un verso, comporterebbe oneri economici sproporzionati rispetto alla natura dell’intervento e richiederebbe la realizzazione di vere e proprie discariche anche in caso di piccoli cumuli di matrici ambientali, mentre, per altro verso, impedirebbe di gestire il materiale in situ, come richiesto dalla normativa in materia di bonifiche.

Sostiene la resistente, a tale ultimo proposito, che i siti di bonifica non presentano caratteristiche geomorfologiche tali da ospitare una discarica, ragion per cui il materiale contaminato dovrebbe essere spostato in discarica autorizzata, aprendo così a rischi di inquinamento del territorio esterno all’area da bonificare e di spargimento di inquinanti pericolosi per la salute umana. Inoltre, la difesa regionale osserva che l’impossibilità tecnica di realizzare operazioni di questo genere ha, in numerose occasioni, ritardato le operazioni di bonifica, con conseguente aumento del rischio per la salute umana.

Per tali ragioni, la difesa regionale ha insistito affinché il ricorso venga respinto.

4.– In data 3 gennaio 2023, l’Avvocatura generale dello Stato ha presentato una memoria, nella quale ribatte agli argomenti della controparte e ribadisce quelli che sorreggono il ricorso introduttivo.

4.1.– In primo luogo, la difesa statale contesta, sulla base di un argomento letterale e di un argomento sistematico, la ricostruzione della Regione Lombardia secondo la quale il primo e il secondo periodo del modificato art. 21, comma 12, della legge reg. Lombardia n. 26 del 2003 verterebbero su due ambiti oggettivi distinti, adducendo, in sintesi, che il mancato riferimento esplicito alle «discariche per la messa in sicurezza permanente» all’interno del secondo periodo della disposizione varrebbe ad evitare una «inutile ripetizione».

4.2.– La difesa statale contesta, inoltre, che il riferimento alla delib. Giunta reg. Lombardia n. 5703 del 2021 possa valere a sostegno dell’interpretazione proposta dalla resistente. In primo luogo, per ragioni di ordine cronologico, ritenendo implausibile che un atto precedente rispetto alla modifica normativa possa offrire una valida «chiave interpretativa» di un provvedimento normativo inesistente al momento della sua adozione. In secondo luogo, per ragioni di ordine gerarchico, non ritenendo che una possibile interpretazione della legge regionale in contrasto con la Costituzione possa essere esclusa per il tramite di un’interpretazione conforme ad un atto avente mera natura amministrativa, il quale potrebbe peraltro essere modificato e riformulato nel tempo.

4.3.– Il ricorrente adduce inoltre che, a partire dall’interpretazione della disposizione sostenuta dalla difesa statale, verrebbe a cadere, di conseguenza, anche l’affermazione della Regione resistente della riconducibilità della stessa all’art. 196, comma 1, lettera h), cod. ambiente. Si tratterebbe, infatti, di disposizione afferente ad un ambito materiale di esclusiva competenza legislativa dello Stato e rivolta, peraltro, non già a garantire livelli più rigorosi di tutela ambientale o di tutela della salute umana, ma, all’opposto, a determinare un significativo peggioramento degli standard di tutela, nella misura in cui si presterebbe ad essere interpretata nel senso di escludere i più volte menzionati impianti dall’ambito di applicazione dei criteri e delle modalità di cui al d.lgs. n. 36 del 2003.

4.4.– Per tali ragioni, il ricorrente ha insistito per l’accoglimento del ricorso.

Considerato in diritto

1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso questioni di legittimità costituzionale dell’art. 12 della legge reg. Lombardia n. 9 del 2022, nella parte in cui, con la lettera a) del comma 1, ha sostituito il secondo periodo del comma 12 dell’art. 21 della legge reg. Lombardia n. 26 del 2003.

Il citato comma 12, dopo aver previsto, al primo periodo, che le «discariche per la messa in sicurezza permanente e gli impianti di trattamento dei rifiuti realizzati nell’area oggetto di bonifica e destinati esclusivamente alle operazioni di bonifica dei relativi siti contaminati» non sono soggetti ai comuni criteri di localizzazione delle discariche di rifiuti stabiliti a livello regionale, disponeva, al secondo periodo: «[t]ale messa in sicurezza permanente deve essere realizzata secondo i criteri e le modalità previste dal D.Lgs. 36/2003».

A seguito della novella legislativa impugnata, quest’ultima disposizione risulta così riformulata: «[t]ale messa in sicurezza permanente deve essere realizzata in coerenza con gli obiettivi di tutela ambientale, fissati dal D.Lgs. 36/2003».

Ad avviso del ricorrente, la nuova formulazione della disposizione regionale, nella sua maggiore genericità, non assicurerebbe più l’applicazione automatica dei criteri e delle modalità previsti dal citato d.lgs. n. 36 del 2003, ponendosi così in contrasto con l’art. 3 dello stesso decreto, che definisce l’ambito applicativo della relativa disciplina in termini comprensivi degli interventi oggetto della normativa regionale.

La disposizione impugnata violerebbe, di conseguenza, l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., che riserva alla competenza legislativa esclusiva dello Stato la materia «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema», entro la quale si colloca la disciplina dei rifiuti e della bonifica dei siti contaminati.

Sarebbe violato, inoltre, l’art. 117, primo comma, Cost., stante il contrasto della disposizione impugnata con l’art. 3 della citata direttiva 1999/31/CE, che fissa in termini analoghi a quelli della norma statale il campo applicativo delle proprie disposizioni.

2.– In via preliminare occorre esaminare, ancorché non eccepita dalla resistente, la mancata corrispondenza tra i parametri costituzionali evocati nel ricorso e quelli indicati nella delibera del 21 luglio 2022, con cui il Consiglio dei ministri ha autorizzato la proposizione dell’impugnativa. Quest’ultima delibera, difatti, non riporta espressamente l’art. 117, primo comma, Cost. fra i parametri in riferimento ai quali promuovere questione di legittimità costituzionale.

Ciò non determina, tuttavia, l’inammissibilità della censura.

Diversi passaggi della relazione ministeriale, cui la delibera rinvia, rendono evidente la volontà dell’organo politico, titolare del potere di impugnativa, di porre a questa Corte, a mezzo dell’intermediazione tecnica dell’Avvocatura generale dello Stato, la questione di legittimità costituzionale concernente la violazione del parametro in discorso. Ciò si evince, ad esempio, dal passaggio in cui «si evidenzia che la normativa in questione, risultando in contrasto con la normativa dell’Unione, precedentemente richiamata, potrebbe, conseguentemente, comportare il rischio dell’apertura di una procedura di infrazione a carico dell’Italia», o dall’affermazione secondo cui, «per i motivi esposti, la norma in questione oltre a porsi in contrasto con la normativa statale e unionale sopra indicata, viola gli standard di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema posti dal legislatore statale». In presenza di tale manifestazione di volontà, per costante giurisprudenza di questa Corte (ex plurimis, sentenze n. 272 del 2020 e n. 228 del 2017), deve ritenersi consentito all’Avvocatura dello Stato effettuare una «più puntuale indicazione dei parametri del giudizio, giacché la discrezionalità della difesa tecnica ben può integrare una solo parziale individuazione dei motivi di censura» (sentenze n. 128 del 2018, n. 290 del 2009, n. 365 e n. 98 del 2007 e n. 533 del 2002).

3.– Nel merito, la questione proposta con riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. è fondata.

3.1.– Per meglio intendere i termini della questione, giova premettere che l’istituto della messa in sicurezza permanente, nella sua originaria configurazione, consisteva, secondo la definizione offerta dall’art. 2, lettera i), del decreto ministeriale 25 ottobre 1999, n. 471 (Regolamento recante criteri, procedure e modalità per la messa in sicurezza, la bonifica e il ripristino ambientale dei siti inquinati, ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, e successive modificazioni e integrazioni), in un insieme di interventi, posti in essere nel corso della bonifica di un sito inquinato, atti ad isolare in modo definitivo le fonti inquinanti rispetto alle matrici ambientali circostanti, qualora le fonti inquinanti fossero costituite da rifiuti stoccati e non fosse possibile procedere alla rimozione degli stessi a costi sopportabili, pur applicando le migliori tecnologie disponibili. La messa in sicurezza permanente era, dunque, originariamente riferita ai soli materiali, presenti in un sito inquinato, qualificabili come rifiuti.

Fra le misure che contraddistinguevano i richiamati interventi di isolamento vi era, in particolare, quella della realizzazione di discariche per la messa in sicurezza permanente e di impianti di trattamento dei rifiuti prodotti in corso di bonifica; operazione da effettuare seguendo i criteri e le modalità prescritti dal d.lgs. n. 36 del 2003, di attuazione della direttiva 1999/31/CE.

Secondo l’art. 3, comma 1, dello stesso decreto legislativo, infatti, «[l]e disposizioni del presente decreto si applicano a tutte le discariche, come definite dall’articolo 2, comma 1, lettera g)», ossia alle «are[e] adibit[e] a smaltimento dei rifiuti mediante operazioni di deposito sul suolo o nel suolo, compresa la zona interna al luogo di produzione dei rifiuti adibita allo smaltimento dei medesimi da parte del produttore degli stessi, nonché qualsiasi area ove i rifiuti sono sottoposti a deposito temporaneo per più di un anno. Sono esclusi da tale definizione gli impianti in cui i rifiuti sono scaricati al fine di essere preparati per il successivo trasporto in un impianto di recupero, trattamento o smaltimento, e lo stoccaggio di rifiuti in attesa di recupero o trattamento per un periodo inferiore a tre anni come norma generale, o lo stoccaggio di rifiuti in attesa di smaltimento per un periodo inferiore a un anno». Dal combinato disposto di queste previsioni normative emerge, dunque, che le discariche per la messa in sicurezza permanente sono ricomprese nell’ambito di applicazione del d.lgs. n. 36 del 2003 e che ad esse si applicano criteri e modalità ivi previsti.

3.2.– Più di recente, il d.lgs. n. 152 del 2006, all’art. 240, comma 1, lettera o), ha ridefinito la messa in sicurezza permanente in termini maggiormente comprensivi, stabilendo che essa si concreta nell’«insieme degli interventi atti a isolare in modo definitivo le fonti inquinanti rispetto alle matrici ambientali circostanti e a garantire un elevato e definitivo livello di sicurezza per le persone e per l’ambiente». Attualmente, pertanto, gli interventi in questione, in aggiunta a quelli già sopra delineati, possono riguardare anche fonti inquinanti non qualificabili come rifiuti, come, ad esempio, il suolo contaminato (art. 185, comma 1, lettera b, cod. ambiente) o matrici materiali di riporto (art. 3, comma 1, del d.l. n. 2 del 2012, come convertito).

3.3.– Così ricostruito il quadro normativo di riferimento, possono meglio comprendersi le diverse opzioni interpretative proposte dallo Stato e dalla Regione con riguardo al rapporto intercorrente fra il primo e il secondo periodo dell’art. 21, comma 12, della legge reg. Lombardia n. 26 del 2003, come modificato dall’impugnato art. 12, comma 1, lettera a), della legge reg. Lombardia n. 9 del 2022.

Il primo periodo del menzionato comma 12, introdotto dall’art. 3, comma 1, lettera i), della legge della Regione Lombardia 29 giugno 2009, n. 10 (Disposizioni in materia di ambiente e servizi di interesse economico generale – Collegato ordinamentale), tuttora immodificato, stabilisce che le «discariche per la messa in sicurezza permanente e gli impianti di trattamento dei rifiuti realizzati nell’area oggetto di bonifica e destinati esclusivamente alle operazioni di bonifica dei relativi siti contaminati, approvati ed autorizzati ai sensi delle procedure previste dal titolo V, parte VI [recte: IV], del D.lgs. 152/2006» restano esclusi dall’ambito di applicazione dei criteri generali di localizzazione degli impianti di smaltimento e recupero dei rifiuti fissati dall’art. 8, comma 7, della legge reg. Lombardia n. 12 del 2007. Tale ultima disposizione richiede che la Giunta regionale, nella delibera di approvazione del programma di gestione dei rifiuti, preveda per tali impianti una distanza minima dalle discariche già in esercizio, esaurite o da bonificare, dalle zone di protezione speciale, dai siti di importanza comunitaria e dalle aree protette, tenendo conto, altresì, che «nelle aree di pregio agricolo e, in particolare, per quelle DOC, DOCG, per quelle coltivate a riso e in quelle limitrofe, non possono essere autorizzate discariche».

Ne consegue che, a norma del primo periodo del citato art. 21, comma 12, le discariche per la messa in sicurezza permanente e gli impianti di trattamento dei rifiuti prodotti in corso di bonifica possono essere collocati anche in aree particolarmente “sensibili”.

Il secondo periodo, oggetto dell’intervento di modifica oggi impugnato, prevede poi che «[t]ale messa in sicurezza permanente» debba essere realizzata «in coerenza con gli obiettivi di tutela ambientale» fissati dal d.lgs. n. 36 del 2003, mentre in precedenza stabiliva che essa dovesse aver luogo «secondo i criteri e le modalità» previste dallo stesso decreto.

4.– Il ricorrente, movendo dal presupposto interpretativo per cui il secondo periodo della disposizione in questione verte sullo stesso oggetto del primo (ossia: le «discariche per la messa in sicurezza permanente» e «gli impianti di trattamento dei rifiuti realizzati nell’area oggetto di bonifica»), ritiene che la novella legislativa restringa il campo di applicazione del d.lgs. n. 36 del 2003, come definito dal suo art. 3. La genericità dell’attuale formulazione della disposizione – che si limita a richiedere la «coerenza con gli obiettivi di tutela ambientale» di cui al menzionato decreto legislativo – consentirebbe, infatti, di sottrarre le discariche e gli impianti in parola alla osservanza del citato decreto legislativo in ogni sua prescrizione. Di qui, la denunciata lesione della competenza legislativa esclusiva statale in materia di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema.

5.– La Regione Lombardia, invece, sostiene che il secondo periodo della disposizione modificata abbia una sfera applicativa differente da quella del primo: mentre il primo periodo riguarderebbe discariche e impianti di trattamento di rifiuti realizzati nell’ambito di una messa in sicurezza permanente, il secondo riguarderebbe soltanto i cosiddetti “volumi confinati in sito” contenenti matrici ambientali (in particolare terreni), ossia impianti per i quali non sarebbe necessario osservare le modalità e i criteri previsti dal d.lgs. n. 36 del 2003.

Questa ricostruzione interpretativa viene sostenuta sulla base di due principali argomenti. In primo luogo, sul piano letterale, la Regione assume che, se la disposizione avesse voluto riferirsi ai rifiuti, avrebbe utilizzato l’espressione «tali discariche per la messa in sicurezza permanente», piuttosto che «tale messa in sicurezza permanente». Sul piano sistematico, la difesa regionale allega poi l’esistenza di una prassi interpretativa che distingue le discariche (di rifiuti) dai “volumi confinati” (di matrici ambientali e matrici materiali di riporto), in ambito di bonifica. Tale prassi si troverebbe emblematicamente cristallizzata nella delib. Giunta reg. Lombardia n. 5703 del 2021, la quale – in particolar modo all’Allegato 1 – dichiara di occuparsi dei soli casi di confinamento di matrici ambientali e non di rifiuti. Queste considerazioni varrebbero, altresì, a fugare le censure di scarsa chiarezza e ambiguità semantica mosse dal ricorrente alla disposizione impugnata.

L’intervento normativo viene dunque inquadrato dalla Regione Lombardia nell’ambito della tutela della salute umana e ritenuto pienamente legittimo, perché riconducibile alla competenza per la redazione di linee guida e di criteri per la predisposizione e l’approvazione dei progetti di bonifica e di messa in sicurezza (assegnata alle regioni dall’art. 196, comma 1, lettera h, cod. ambiente) e volto ad innalzare i livelli di tutela dell’ambiente in un ambito materiale di competenza legislativa concorrente fra Stato e regioni.

6.– Gli argomenti prospettati dalla difesa regionale a sostegno dell’ipotesi interpretativa della distinzione di oggetti fra primo e secondo periodo del modificato art. 21, comma 12, della legge reg. Lombardia n. 26 del 2003 non sono persuasivi.

6.1.– Dal punto di vista letterale, non è convincente l’argomento della necessaria ripetizione, nel secondo periodo del comma, dell’intero oggetto riportato nel primo: l’aggettivo dimostrativo «tale», anteposto all’espressione «messa in sicurezza permanente», assume proprio una valenza relazionale con l’oggetto indicato nella prima parte del comma e vale dunque ad evitare una inutile ripetizione.

6.2.– Dal punto di vista sistematico, occorre poi ricordare che il comma 12 dell’art. 21, nel suo complesso, appare diretto a disciplinare la realizzazione degli impianti di contenimento e trattamento dei rifiuti in corso di bonifica di sito contaminato (i quali vengono sottratti, con il primo periodo, dall’ambito di applicazione dei criteri di localizzazione delle discariche di rifiuti). È, quindi, ragionevole dedurre che il suo oggetto non cambi nel secondo periodo poiché, all’opposto, se questa fosse stata l’intenzione del legislatore regionale, tale intento avrebbe dovuto essere esplicitato in maniera chiara.

6.3.– Né convince, sempre sul piano sistematico, la tesi della Regione Lombardia secondo cui la disposizione si presterebbe ad un’interpretazione conforme a Costituzione poiché in tal senso deporrebbe la prassi interpretativa regionale, cristallizzata nella citata deliberazione n. 5703 del 2021. La circostanza che, nella prassi, la Regione Lombardia abbia interpretativamente distinto gli oggetti del primo e del secondo periodo della disposizione in discorso, non toglie che tale adeguamento interpretativo sia stato effettuato con un atto agilmente modificabile e riformulabile nel corso del tempo.

6.4.– A tutto ciò va aggiunto che dai lavori preparatori della legge reg. Lombardia n. 9 del 2022 emergono plurimi riferimenti espliciti ai «criteri costruttivi delle discariche» quali oggetto dell’intervento normativo oggi impugnato. Nella relazione al progetto di legge si afferma espressamente, in particolare, che la modifica in questione era volta ad «aggiornare il riferimento in legge ai criteri e alle modalità previste dal D.lgs. 36/2003 a seguito delle sopravvenute modifiche normative intervenute con il d.lgs. 121/2020 “Attuazione della direttiva (UE) 2018/850, che modifica la direttiva 1999/31/CE relativa alle discariche di rifiuti”» e alla luce «dell’evoluzione delle tecniche di bonifica e dell’attenzione alla sito-specificità dei luoghi e dei progetti» che avrebbero richiesto, nell’ottica del legislatore regionale, di non considerare più il d.lgs. n. 36 del 2003 «l’unico riferimento per i criteri costruttivi delle discariche».

6.5.– La rilevata plausibilità e persuasività dell’interpretazione, secondo cui la disposizione concerne rifiuti, si fa ancor più rilevante nella sede del sindacato di legittimità costituzionale in via principale, dove, come più volte sottolineato da questa Corte, «“vanno tenute presenti anche le possibili distorsioni applicative di determinate disposizioni legislative”, a maggior ragione quando “l’ambiguità semantica riguardi una disposizione regionale foriera di sostanziali dubbi interpretativi”» che rendono concreto il rischio di una lesione della competenza legislativa statale (ex multis, sentenze n. 231 del 2019 e n. 107 del 2017; nello stesso senso, sentenze n. 449 del 2005, n. 412 del 2004 e n. 228 del 2003).

7.– A partire dal presupposto interpretativo così precisato, occorre infine ricordare che, per costante giurisprudenza di questa Corte, la disciplina dei rifiuti va ricondotta alla materia «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema», affidata dall’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., alla competenza legislativa esclusiva dello Stato (ex plurimis, sentenze n. 191 del 2022, n. 227 del 2020, n. 289, n. 231, n. 142, n. 129 e n. 28 del 2019, n. 215 e n. 151 del 2018).

Pertanto, l’attenuazione del vincolo al rispetto del d.lgs. n. 36 del 2003, operata dalla norma impugnata, costituisce una violazione di tale competenza esclusiva.

7.1.– Ciò, a prescindere da ogni rilievo circa la correttezza delle conseguenze che la Regione resistente fa discendere dalla propria opposta prospettiva ermeneutica e, in particolare, circa la possibilità per essa di prevedere una disciplina più rigorosa in relazione alla tutela dell’ambiente, in vista della tutela della salute umana, ove gli interventi di messa in sicurezza permanente non abbiano ad oggetto rifiuti. Questa Corte ha, infatti, costantemente inquadrato nella materia «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema» anche, e in modo specifico, la disciplina della bonifica dei siti contaminati (sentenze n. 251 del 2021, n. 126 del 2018, n. 247 del 2009 e n. 214 del 2008), negando fondamento alla rivendicazione, in tale ambito, di una competenza legislativa della regione in relazione alla tutela della salute (sentenza n. 247 del 2009) e rilevando come spetti «alla disciplina statale tener conto degli altri interessi costituzionalmente rilevanti contrapposti alla tutela dell’ambiente» (sentenza n. 214 del 2008).

8.– Va, pertanto, dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 12, comma 1, lettera a), della legge reg. Lombardia n. 9 del 2022, per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.

La questione sollevata in riferimento all’art. 117, primo comma, Cost. resta assorbita.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 12, comma 1, lettera a), della legge della Regione Lombardia 20 maggio 2022, n. 9 (Legge di semplificazione 2022).

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 gennaio 2023.

F.to:

Silvana SCIARRA, Presidente

Franco MODUGNO, Redattore

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria il 24 marzo 2023.