Sentenza n. 264 del 2022

SENTENZA N. 264

ANNO 2022

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Silvana SCIARRA

Giudici: Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Marco D’ALBERTI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 24, comma 9, della legge della Regione Umbria 22 febbraio 2005, n. 11 (Norme in materia di governo del territorio: pianificazione urbanistica comunale), promosso dal Consiglio di Stato, sezione quarta, nel procedimento vertente tra R. C. e altro e il Comune di Terni e altri, con ordinanza del 2 luglio 2021, iscritta al n. 173 del registro ordinanze 2021 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 45, prima serie speciale, dell’anno 2021.

Udito nella camera di consiglio del 9 novembre 2022 il Giudice relatore Franco Modugno;

deliberato nella camera di consiglio del 9 novembre 2022.

Ritenuto in fatto

1.– Il Consiglio di Stato, sezione quarta, dubita della legittimità costituzionale dell’art. 24, comma 9, della legge della Regione Umbria 22 febbraio 2005, n. 11 (Norme in materia di governo del territorio: pianificazione urbanistica comunale), nel testo in vigore anteriormente all’abrogazione disposta dall’art. 271, comma 1, lettera p), della legge della Regione Umbria 21 gennaio 2015, n. 1 (Testo unico governo del territorio e materie correlate), nella parte in cui – secondo il giudice a quo – «stabilisce che sono i Comuni, anziché l’ufficio tecnico regionale competente, a rendere il parere sugli strumenti urbanistici generali e attuativi dei Comuni siti in zone sismiche».

Ad avviso del rimettente, la norma regionale censurata violerebbe l’art. 117, terzo comma, della Costituzione, ponendosi in contrasto con la previsione dell’art. 89 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia. (Testo A)», da ritenere espressiva di un principio fondamentale nelle materie «governo del territorio» e «protezione civile», in base alla quale il parere sugli strumenti urbanistici generali dei comuni siti in zone sismiche o in abitati da consolidare deve essere richiesto al «competente ufficio tecnico regionale».

2. – Il giudice a quo premette, in fatto, di essere stato adito in appello, dai medesimi ricorrenti, avverso le sentenze del Tribunale amministrativo regionale per l’Umbria n. 750 e n. 751 del 2016.

2.1.– Con questa seconda pronuncia, il giudice di prime cure ha respinto il ricorso con cui era stato chiesto l’annullamento di due concessioni edilizie in sanatoria, concernenti un complesso edilizio adibito a struttura ricettiva in località Piediluco (nel Comune di Terni), entrambe del 3 agosto 2011 – relative, rispettivamente, a interventi di tamponatura e di ampliamento anche in sopraelevazione e alla realizzazione di un locale ad uso sala ristorante – e di tutti gli atti preparatori dei procedimenti che avevano portato al rilascio di esse.

2.2.– Con la sentenza n. 750 del 2016 il TAR Umbria aveva respinto, invece, il ricorso proposto per ottenere l’annullamento: a) del «piano attuativo di iniziativa privata per la trasformazione» del già citato complesso edilizio in Piediluco, adottato con delibera della Giunta comunale del 7 maggio del 2014 e approvato con delibera della stessa Giunta del 1° aprile 2015, della quale i ricorrenti assumono di aver avuto conoscenza a seguito della pubblicazione sul Bollettino Ufficiale regionale, avvenuta il 14 ottobre 2015; b) del parere di compatibilità paesaggistica accordato dalla Soprintendenza delle Belle arti e paesaggio dell’Umbria con nota del 23 luglio 2014; c) del parere di non assoggettabilità alla procedura di valutazione di incidenza (VINCA), accordato dalla Regione Umbria con nota del 13 novembre 2014; d) del parere di compatibilità idrogeologica, idraulica e sismica, di cui all’art. 89 del d.P.R. n. 380 del 2001, espresso dalla Giunta comunale con l’impugnata delibera del 7 maggio 2014; e) del parere dell’11 aprile 2014 reso dalla Commissione comunale per la qualità architettonica e del paesaggio.

I ricorrenti, denunciando i citati atti per violazione di legge, incompetenza ed eccesso di potere, deducevano vizi tanto procedurali, ossia: omessa comunicazione di avvio del procedimento, incompetenza della Giunta comunale, sia a rendere il parere sismico, sia a deliberare l’approvazione del piano attuativo, difetto di motivazione dei pareri della stessa Commissione e della Soprintendenza, approvazione del piano regolatore comunale generale in difetto della valutazione ambientale strategica (VAS); quanto sostanziali, vale a dire: erronea qualificazione degli interventi di tipo demolitorio e di nuova costruzione come interventi di ristrutturazione edilizia ammessi dal vigente piano regolatore generale (PRG), omessa valutazione preventiva sulla necessità della VAS, omessa VINCA dei suddetti interventi, illegittimità della costruzione con sagoma differente rispetto a quella originaria, illegittimità dell’aumento di cubatura o superficie utile coperta, illegittimità dei condoni riguardanti l’edificio in contestazione.

2.3.– Il Consiglio di Stato ricorda che, avverso la sentenza n. 750 del 2016, la ricorrente aveva dedotto i seguenti motivi: a) erronea reiezione della richiesta di riunione dei procedimenti; b) erronea reiezione della censura di falsa applicazione di legge, poiché sono stati giudicati coerenti con le regole di pianificazione generale le opzioni di radicale trasformazione per via demolitoria e nuova sostituzione ricostruttiva; c) travisamento dei fatti, avendo ritenuto che la sagoma dell’edificio in fieri fosse la medesima di quella preesistente; d) erronea reiezione della censura di violazione e falsa applicazione di legge sull’incompetenza del comune a rendere il parere sismico; e) erronea reiezione del motivo con il quale veniva denunciata, sia l’insufficienza della motivazione per relationem, resa dalla Commissione comunale per la qualità architettonica e il paesaggio, sia l’inadeguata motivazione del parere favorevole della Soprintendenza; f) omesso esame della censura sulla mancata effettuazione della VAS; g) travisamento della censura sulla mancata effettuazione della VINCA.

3.– Il Consiglio di Stato, dopo aver disposto la riunione dei giudizi e rigettato il motivo di appello sulla decisione del giudice di prime cure di non riunire i ricorsi, respinge l’appello sulla sentenza del TAR Umbria n. 751 del 2017, dichiarando non fondati tutti i motivi di gravame.

3.1.– Con riguardo all’appello della sentenza del TAR Umbria n. 750 del 2016, nel quale è sorto l’incidente di costituzionalità, il Consiglio di Stato decide, invece, l’impugnazione limitatamente ai gravami riguardanti il difetto di VAS e di VINCA, i quali, preliminarmente rigettata l’eccezione di inammissibilità dei motivi per tardività dell’impugnazione del piano attuativo, vengono dichiarati non fondati. Per la definizione delle censure rivolte avverso la parte della decisione che ha riconosciuto la competenza del comune a rendere parere sismico, il Collegio ritiene necessaria la rimessione a questa Corte della questione di legittimità costituzionale dell’art. 24, comma 9, della legge reg. Umbria n. 11 del 2005.

4.– La citata disposizione, nel prevedere che «[i]l comune, in sede di adozione del piano attuativo […], esprime parere ai fini dell’articolo 89 del D.P.R. n. 380/2001 ed ai fini idrogeologici e idraulici, sentito il parere della commissione comunale per la qualità architettonica ed il paesaggio», attribuirebbe al comune la competenza di esprimere il parere ai fini idrogeologici e idraulici, che l’art. 89 t.u. edilizia riserva, invece, all’organo tecnico regionale.

Secondo il giudice a quo, l’art. 24, comma 9, della legge reg. Umbria n. 11 del 2005, così disponendo, si porrebbe in contrasto con l’art. 117, terzo comma, Cost., poiché violerebbe i principi fondamentali in materia di «governo del territorio» e «protezione civile», espressi dal citato art. 89.

4.1.– Innanzitutto, il Collegio rimettente afferma che la questione è rilevante, dato che la decisione sul motivo in esame dovrebbe scontare l’applicazione alla fattispecie, ratione temporis, della norma censurata e, qualora essa venisse dichiarata costituzionalmente illegittima, conseguirebbe l’accoglimento del motivo di appello basato sulla incompetenza del comune ad esprimere, in sede di adozione del piano, il parere di cui all’art. 89 del d.P.R. n. 380 del 2001.

4.1.1.– Sempre in punto di rilevanza il rimettente svolge ulteriori considerazioni.

Il Consiglio di Stato premette che la disposizione censurata è stata abrogata dall’art. 271, comma 1, lettera p), della legge reg. Umbria n. 1 del 2015, ma che, tuttavia, il suo contenuto normativo è stato riprodotto dall’art. 28, comma 10, della medesima legge regionale. Senonché, quest’ultima disposizione è stata dichiarata costituzionalmente illegittima, unitamente al successivo art. 56, comma 3, con la sentenza n. 68 del 2018. La declaratoria di illegittimità costituzionale ha colpito le citate disposizioni proprio nella parte in cui stabilivano che fossero i comuni, anziché l’ufficio tecnico regionale competente, a rendere il parere sugli strumenti urbanistici generali ed attuativi dei comuni siti in zone sismiche.

La questione di legittimità costituzionale avrebbe pertanto ad oggetto una norma, applicata ratione temporis alla fattispecie che ha dato origine al giudizio, anche se non più in vigore nell’ordinamento giuridico.

4.1.2.– Il Collegio rimettente afferma, tuttavia, di non poter ignorare, ai fini della valutazione sulla rilevanza, «la nota distinzione tra “disposizione” e “norma”», ossia tra la proposizione normativa (o enunciato), la disposizione, e il risultato dell’attività interpretativa di una disposizione, la norma; distinzione, questa, che rifletterebbe la dialettica tra legislazione e interpretazione.

Sulla base di tale distinzione, infatti, il giudice a quo rileva che le proposizioni normative recate dall’art. 24, comma 9, della legge reg. Umbria n. 11 del 2005 e dall’art. 28, comma 10, della legge reg. Umbria n. 1 del 2015, sono diverse, ma le norme si appaleserebbero identiche; nella controversia al suo esame andrebbe applicata, pertanto, una norma regionale non più esistente nella «corrente interpretazione che ne ha fornito la Corte costituzionale». Il che significherebbe – sempre a parere del rimettente – applicare al rapporto tuttora pendente una norma dichiarata costituzionalmente illegittima, pur se «presente nell’ordinamento giuridico come “diritto astratto”, in ragione della disposizione (testo legislativo) che la veicola». Poiché l’oggetto del sindacato di costituzionalità «sono, non sempre le disposizioni, quanto, piuttosto, proprio le norme», si potrebbe ritenere – così si continua – che la norma di cui all’art. 24, comma 9, della legge reg. Umbria n. 11 del 2005, «non sia più cogente» a seguito della sentenza costituzionale n. 68 del 2018.

4.1.3.– A parere del Consiglio di Stato, tale soluzione si configurerebbe, tuttavia, quale «attività interpretativa» che, pur potendosi legittimare alla luce dei principi costituzionali, anche di matrice europea, di economia processuale, sottrarrebbe a questa Corte la dichiarazione di illegittimità costituzionale della legge e, per di più, non potrebbe sortire l’effetto espulsivo della norma dall’ordinamento giuridico. Quest’ultima, infatti, continuerebbe ad «esistere nella gerarchia formale delle fonti» e a generare incertezza negli operatori e nell’attività regolatrice dei rapporti amministrativi, incisi temporalmente dalla norma in questione. E verrebbero, così, compromessi i valori ordinamentali dell’effettività di tutela e della certezza del diritto.

4.1.4.– Alla luce di tali considerazioni, il giudice a quo ritiene, quindi, rilevante la questione, rimettendone lo scrutinio a questa Corte, alla quale si chiede anche di chiarire se il sindacato di legittimità costituzionale «può e deve essere esercitato tutte le volte che di “efficacia” (art. 136 Cost.) e di “applicazione” (art. 30, legge 11 marzo 1953, n. 87) della legge possa parlarsi», indipendentemente dalla avvenuta abrogazione della norma ad opera di una legge regionale sopravvenuta, ma inapplicabile ratione temporis, o dalla dichiarazione di illegittimità costituzionale che ha investito la norma sopravvenuta recante il medesimo contenuto precettivo; oppure se, allorché vi siano disposizioni diverse, ma norme perfettamente identiche, la declaratoria di illegittimità costituzionale della norma successiva possa esonerare il giudice dalla necessità di operare, sempre e in ogni caso, il rinvio anche della norma anteriore, ab illo tempore vigente, il cui «testo materiale» continua ad essere presente nell’ordinamento «gerarchico formale»; ciò, pur se il suo contenuto, identicamente riprodotto in una norma successiva, e poi dichiarata costituzionalmente illegittima, non costituisca «più, di fatto, diritto vivente».

Nonostante tali considerazioni, il giudice a quo conchiude, a conforto della rilevanza della questione, che la legge reg. Umbria n. 11 del 2005, e con essa la norma censurata, è stata abrogata, come detto, dall’art. 271, comma 1, lettera p), della successiva legge reg. Umbria n. 1 del 2015, a decorrere dalla data di entrata in vigore di quest’ultima, ossia dal 29 gennaio 2015. Fino a tale data, pertanto, il cesurato art. 24, comma 9, avrebbe prodotto effetti e regolato il procedimento da cui è sorto il giudizio che ha investito il rimettente.

5.– In punto di non manifesta infondatezza, il Consiglio di Stato ricorda, richiamando le sentenze di questa Corte n. 167 del 2014 e n. 68 del 2018 – quest’ultima dichiarativa dell’illegittimità costituzionale della norma di identico contenuto a quella all’odierno esame – che questa Corte ha riconosciuto all’art. 89 del d.P.R. n. 380 del 2001 la natura di norma di principio in materia di governo del territorio e di protezione civile, poiché, volto ad assicurare la tutela dell’incolumità pubblica, rivestirebbe una posizione fondante, in ragione della rilevanza del bene protetto. Tale disposizione si imporrebbe, pertanto, al legislatore regionale nella parte in cui prescrive a tutti i comuni, per la realizzazione degli interventi edilizi in zone sismiche, di richiedere il parere del competente ufficio tecnico regionale sugli strumenti urbanistici generali e particolareggiati.

Sulla base di tale assunto, il rimettente ricorda, infatti, che questa Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 28, comma 10, e 56, comma 3, della legge reg. Umbria n. 1 del 2015, nella parte in cui stabilivano che fossero i comuni, anziché l’ufficio tecnico regionale competente, a rendere il parere sugli strumenti urbanistici generali e attuativi dei comuni siti in zone sismiche.

5.1.– Il giudice a quo ritiene che le argomentazioni appena richiamate valgano a revocare in dubbio anche la legittimità costituzionale del censurato art. 24, comma 9, il quale, pertanto, sarebbe costituzionalmente illegittimo nella parte in cui assegnava ai comuni, piuttosto che al competente ufficio tecnico regionale, il compito di rendere il parere sugli strumenti urbanistici generali attuativi dei comuni siti in zone sismiche. Questa disposizione, infatti, al pari di quella dichiarata costituzionalmente illegittima nel precedente giudizio di legittimità costituzionale, si porrebbe in contrasto con il principio fondamentale posto dal già ricordato art. 89 t.u. edilizia. Del resto, come ha chiarito questa Corte, sempre nella sentenza n. 68 del 2018, non varrebbe a far superare i rilevati profili di illegittimità costituzionale la circostanza che l’art. 20 della legge 10 dicembre 1981, n. 741 (Ulteriori norme per l’accelerazione delle procedure per l’esecuzione di opere pubbliche), avesse consentito alle regioni di prevedere uno snellimento delle procedure e di introdurre norme per l’adeguamento degli strumenti urbanistici generali e particolareggiati vigenti. Ciò, in quanto il d.P.R. n. 380 del 2001 avrebbe fatto venir meno le possibilità di deroga di cui al richiamato art. 20.

5.2.– In definitiva, secondo il rimette, l’art. 24, comma 9, della legge reg. Umbria n. 11 del 2005 si porrebbe in contrasto con i principi fondamentali in materia di «governo del territorio» e di «protezione civile», espressi dal citato art. 89, e sarebbe, pertanto, costituzionalmente illegittimo per violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost.

5.3.– Sulla scorta di tali considerazioni, il giudice a quo ha rigettato quindi parzialmente l’appello e ha dichiarato, nel contempo, rilevante e non manifestamente infondata la questione dianzi indicata, sospendendo il giudizio in corso.

Considerato in diritto

1.– Il Consiglio di Stato, sezione quarta, dubita della legittimità costituzionale dell’art. 24, comma 9, della legge reg. Umbria n. 11 del 2005, nel testo in vigore anteriormente all’abrogazione disposta dall’art. 271, comma 1, lettera p), della legge reg. Umbria n. 1 del 2015, nella parte in cui – secondo il giudice a quo – «stabilisce che sono i Comuni, anziché l’ufficio tecnico regionale competente, a rendere il parere sugli strumenti urbanistici generali e attuativi dei Comuni siti in zone sismiche».

Ad avviso del rimettente, la norma regionale censurata violerebbe l’art. 117, terzo comma, Cost., ponendosi in contrasto con la previsione dell’art. 89 del d.P.R. n. 380 del 2001, da ritenere espressiva di un principio fondamentale in materia di «governo del territorio» e di «protezione civile», in base alla quale il parere sugli strumenti urbanistici generali dei comuni siti in zone sismiche o il cui territorio comprende abitati da consolidare deve essere richiesto al «competente ufficio tecnico regionale».

2.– In via preliminare, va rilevato che non costituisce, di per sé, motivo di inammissibilità il fatto che il Consiglio di Stato abbia sollevato la questione con atto qualificato come sentenza, e segnatamente come sentenza parziale.

Per costante giurisprudenza di questa Corte, la circostanza che le questioni siano state sollevate con sentenza – e, in particolare, con sentenza parziale (o non definitiva) – anziché con ordinanza, non influisce sulla rituale instaurazione del giudizio, qualora il giudice a quo, indipendentemente dal nomen iuris dell’atto di promovimento, abbia disposto la sospensione del procedimento e la trasmissione del fascicolo, in conformità a quanto previsto dall’art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale) (ex plurimis, sentenze n. 248 del 2021, n. 208 e n. 179 del 2019, n. 126 e n. 116 del 2018, n. 275 del 2013 e n. 94 del 2009).

Tutto ciò vale, peraltro, alla condizione – rispettata nel presente giudizio – che, tramite la suddetta sentenza parziale, il procedimento principale non sia stato già integralmente definito (sentenze n. 86 del 2017 e n. 94 del 2009), con conseguente esaurimento della potestas iudicandi del giudice rimettente.

3.– Sempre in via preliminare, è necessario ricostruire brevemente il panorama normativo in cui si colloca l’odierno incidente di legittimità costituzionale.

3.1.– La legge reg. Umbria n. 11 del 2005, nel regolare la pianificazione urbanistica comunale, recava una disciplina derogatoria del disposto dell’art. 89 del d.P.R. n. 380 del 2001, in forza del quale tutti i comuni siti in zone sismiche o comprendenti abitati da consolidare «devono richiedere il parere del competente ufficio tecnico regionale sugli strumenti urbanistici generali e particolareggiati prima della delibera di adozione nonché sulle lottizzazioni convenzionate prima della delibera di approvazione, e loro varianti ai fini della verifica della compatibilità delle rispettive previsioni con le condizioni geomorfologiche del territorio».

La citata legge regionale demandava, per converso, agli stessi comuni l’espressione del parere in questione, sia in rapporto agli strumenti urbanistici generali, sia in relazione ai piani attuativi.

Quanto ai primi, l’art. 13, comma 9, della legge reg. Umbria n. 11 del 2005 prevedeva, infatti, che il parere di cui all’art. 89 del d.P.R. n. 380 del 2001 «in merito alle previsioni del PRG, parte strutturale», fosse espresso – al pari di quello in materia idraulica e idrogeologica – «dal comune in sede di adozione, tenuto conto degli elaborati del PRG relativi alle indagini geologiche, idrogeologiche e idrauliche, nonché agli studi di microzonazione sismica effettuati nei casi e con le modalità previste dalle normative vigenti, nonché di quanto previsto all’articolo 3, comma 1, lettera b)».

Una disposizione similare era contenuta nell’art. 24, comma 9, della stessa legge regionale – oggi censurato – con riguardo ai piani attuativi. Ivi si stabiliva, in particolare, che «[i]l comune, in sede di adozione del piano attuativo e tenuto conto della relazione geologica, idrogeologica e geotecnica, relativa alle aree interessate, nonché degli studi di microzonazione sismica di dettaglio nei casi previsti dalle normative vigenti, esprime parere ai fini dell’articolo 89 del D.P.R. n. 380/2001 ed ai fini idrogeologici e idraulici, sentito il parere della commissione comunale per la qualità architettonica ed il paesaggio».

3.2.– Le due disposizioni ora ricordate sono state espressamente abrogate – unitamente all’intera legge reg. Umbria n. 11 del 2005 – dall’art. 271, comma 1, lettera p), della legge reg. Umbria n. 1 del 2015, recante il «[t]esto unico governo del territorio e materie correlate».

Il contenuto delle disposizioni abrogate è stato peraltro trasfuso, rispettivamente, negli artt. 28, comma 10, e 56, comma 3, della stessa legge reg. n. 1 del 2015.

La prima di tali nuove disposizioni – sulla falsariga dell’abrogato art. 13, comma 9, della legge reg. Umbria n. 11 del 2005 – ribadiva, infatti, che il parere di cui all’art. 89 del d.P.R. n. 380 del 2001, «sulla verifica di compatibilità delle previsioni del PRG, parte strutturale, con le condizioni geomorfologiche del territorio, nonché quello in materia idraulica e idrogeologica, in merito alle stesse previsioni del PRG, sono espressi dal comune in sede di adozione» dello stesso piano regolatore generale.

Rispetto, poi, alla pianificazione attuativa, l’art. 56, comma 3, della legge reg. Umbria n. 1 del 2015 – ponendosi sulla scia del censurato art. 24, comma 9, della legge reg. Umbria n. 11 del 2005 – prevedeva che lo sportello unico per le attività produttive e per l’edilizia (SUAPE) acquisisse direttamente, ove essi non fossero già stati allegati dal richiedente il piano attuativo, «gli altri pareri, assensi, autorizzazioni e nulla-osta comunque denominati, nonché i pareri che debbono essere resi dagli uffici comunali, necessari ai fini dell’approvazione del piano attuativo compreso il parere in materia sismica, idraulica ed idrogeologica da esprimere con le modalità di cui all’articolo 112, comma 4, lettera d)».

3.3.– A seguito di impugnazione del Presidente del Consiglio dei ministri, con la sentenza n. 68 del 2018, questa Corte ha dichiarato, peraltro, costituzionalmente illegittimi i citati artt. 28, comma 10, e 56, comma 3, della legge reg. Umbria n. 1 del 2015, proprio nella parte in cui stabilivano che fossero i comuni, anziché l’ufficio tecnico regionale competente, a rendere il parere sugli strumenti urbanistici generali ed attuativi dei comuni siti in zone sismiche.

Questa Corte ha ritenuto che le norme regionali impugnate violassero l’art. 117, terzo comma, Cost., in ragione del loro contrasto con l’art. 89 t.u. edilizia, che, nel demandare il parere in questione all’ufficio tecnico regionale competente, esprimeva un principio fondamentale in materia non solo di «governo del territorio», ma anche di «protezione civile», in quanto volto ad assicurare la tutela dell’incolumità pubblica.

4.– Ad avviso del Consiglio di Stato, la questione sollevata deve ritenersi rilevante nel giudizio a quo, avente ad oggetto la richiesta di annullamento di un piano attuativo ad iniziativa privata, adottato dal Comune di Piediluco il 7 maggio 2014 e approvato il successivo 1° aprile 2015: richiesta di annullamento basata anche sull’assenza del parere dell’ufficio tecnico regionale in materia sismica (essendo stato tale parere reso, in sua vece, dal Comune ai sensi dell’art. 24, comma 9, della legge reg. Umbria n. 11 del 2005).

4.1.– Il giudice a quo osserva, anzitutto, che il censurato art. 24, comma 9, malgrado la sua abrogazione, deve reputarsi ancora applicabile nel giudizio principale. La disposizione è stata, infatti, abrogata dall’art. 271, comma 1, lettera p), della legge reg. Umbria n. 1 del 2015 a decorrere dalla data di entrata in vigore di quest’ultima legge (29 gennaio 2015). In forza del principio tempus regit actum, valevole nei giudizi aventi ad oggetto atti amministrativi, la norma denunciata continua, pertanto, a regolare il parere in materia sismica reso nel procedimento urbanistico di cui si discute, in quanto espresso in data anteriore a quella dell’abrogazione (7 maggio 2014). Di conseguenza, solo ove la norma regionale fosse rimossa sarebbe possibile accogliere il motivo di appello, inteso a far valere l’incompetenza del comune ad esprimere, in sede di adozione del piano attuativo, il parere di cui all’art. 89 del d.P.R. n. 380 del 2001.

Tale ragionamento appare senz’altro idoneo a superare il vaglio di non implausibilità, in cui si esprime il controllo esterno di questa Corte sulla motivazione del giudice a quo in ordine alla rilevanza della questione (ex plurimis, sentenze n. 192 e n. 109 del 2022, n. 183 del 2021 e n. 218 del 2020).

4.2.– Il Consiglio di Stato esclude, per altro verso, che la norma censurata possa considerarsi “travolta” dalla declaratoria di illegittimità costituzionale pronunciata con la sentenza n. 68 del 2018, avente ad oggetto una norma di uguale contenuto: norma che il rimettente individua nell’art. 28, comma 10, della legge reg. Umbria n. 1 del 2015, ma che va più esattamente identificata nell’art. 56, comma 3, di tale legge, pure colpita dalla declaratoria di illegittimità costituzionale (essendo questa a regolare, come quella censurata, l’espressione del parere in sede di adozione dei piani attuativi).

Si tratta di affermazione pienamente condivisibile.

La conclusione contraria – prospettata, ma correttamente scartata dallo stesso rimettente – si fonda su di un presupposto erroneo, ovverosia che, essendo oggetto del controllo di legittimità costituzionale le norme, e non le disposizioni, una volta che sia stata espulsa dall’ordinamento una determinata norma, il correlato significato normativo debba ritenersi non più esistente, e quindi non più applicabile, pur se veicolato da una disposizione differente da quella sottoposta a scrutinio.

Deve per converso affermarsi che il contenuto normativo di una disposizione, allorché quest’ultima non sia stata formalmente rimossa dall’ordinamento, è vigente e applicabile (e, di conseguenza, ove ne ricorrano le condizioni, sottoponibile a verifica di legittimità costituzionale), pur se, in precedenza, un contenuto normativo identico, ma promanante o ricavabile da una differente disposizione, sia stato già dichiarato costituzionalmente illegittimo.

Questa Corte ha già avuto modo di rilevare che «le sentenze che dichiarano l’illegittimità costituzionale di una o più norme non si estendono a quelle che non siano in esse esplicitamente menzionate, il che per argumentum si desume anche dall’art. 27 della legge n. 87 del 1953, che prevede la possibilità di estendere la pronuncia di illegittimità costituzionale a norme non espressamente impugnate. Da ciò la conseguenza che, quando la Corte non abbia fatto espresso uso di tale potere rispetto a norme analoghe o connesse […], le norme che non siano formalmente comprese nella dichiarazione di illegittimità costituzionale debbono considerarsi ancora vigenti, ancorché rispetto ad esse siano ravvisabili gli stessi vizi di incostituzionalità» (sentenza n. 436 del 1992; in senso analogo, più di recente, sentenza n. 40 del 2020).

Tale conclusione, del resto, trova puntuale conferma nella nota affermazione contenuta nella sentenza n. 84 del 1996, secondo la quale questa Corte «giudica su norme, ma pronuncia su disposizioni», e queste ultime sono altresì «il tramite di ritrasferimento nell’ordinamento» delle valutazioni operate in sede di controllo di costituzionalità. Ne discende che, se su una data disposizione questa Corte non si pronuncia, non solo la disposizione, ma anche la norma da essa espressa o da essa ricavabile continuerà a vivere nell’ordinamento, potendo peraltro quest’ultima divenire oggetto, per il tramite della relativa disposizione, d’una diversa questione di legittimità costituzionale.

In definitiva, dunque, la rimozione dall’ordinamento d’una disposizione, e del correlato contenuto normativo, si verifica solo quando la dichiarazione di illegittimità costituzionale ricada espressamente su detta disposizione, ritrasferendo su di essa gli esiti e gli effetti dello scrutinio sulla relativa norma condotto da questa Corte.

5.– Ciò chiarito, può passarsi all’esame del merito.

Come si è già ricordato, il giudice a quo ritiene l’art. 24, comma 9, della legge reg. Umbria n. 11 del 2005, vigente ratione temporis, costituzionalmente illegittimo, per violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., poiché – statuendo che siano i comuni, anziché l’ufficio tecnico regionale competente, a rendere il parere sugli strumenti urbanistici generali e attuativi dei comuni siti in zone sismiche – si porrebbe in contrasto con quanto previsto dall’art. 89 del d.P.R. n. 380 del 2001, il quale prescrive espressamente che i comuni siti in zone dichiarate sismiche debbono richiedere il parere del competente ufficio tecnico regionale sugli strumenti urbanistici generali e particolareggiati.

La questione è fondata.

Deve essere qui ribadito quanto già affermato nella richiamata sentenza n. 68 del 2018, che ha dichiarato costituzionalmente illegittimi gli artt. 28, comma 10, e 56, comma 4, della legge reg. Umbria n. 1 del 2015 proprio perché contrastanti con l’art. 89 t.u. edilizia, qualificando espressamente quest’ultimo come norma di principio in materia di «governo del territorio» e di «protezione civile», in forza della «posizione “fondante”» che essa riveste nell’ordinamento, «attesa la rilevanza del bene protetto, che involge i valori di tutela dell’incolumità pubblica, i quali non tollerano alcuna differenziazione collegata ad ambiti territoriali» (sentenza n. 167 del 2014)» (sentenza n. 68 del 2018).

Anche l’art. 24, comma 9, della legge reg. Umbria n. 11 del 2005, prevedendo che il parere sismico sugli strumenti urbanistici attuativi sia reso dal comune, si pone dunque in contrasto con il principio fondamentale posto dall’art. 89 del d.P.R. n. 380 del 2001.

È, pertanto, costituzionalmente illegittima la norma censurata, nella parte in cui prescrive che sia il comune, anziché l’ufficio tecnico regionale competente, a rendere il parere sugli strumenti urbanistici attuativi dei comuni siti in zone sismiche. Contrariamente a quanto sembra ritenere il rimettente, la norma stessa non riguarda il parere espresso in sede di adozione degli strumenti urbanistici generali (regolato invece dall’art. 13, comma 9, della legge reg. Umbria n. 11 del 2005 e peraltro non rilevante nel giudizio a quo), il quale resta, di conseguenza, estraneo all’odierna pronuncia.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 24, comma 9, della legge della Regione Umbria 22 febbraio 2005, n. 11 (Norme in materia di governo del territorio: pianificazione urbanistica comunale), nel testo in vigore anteriormente all’abrogazione disposta dall’art. 271, comma 1, lettera p), della legge della Regione Umbria 21 gennaio 2015, n. 1 (Testo unico governo del territorio e materie correlate), nella parte in cui prevede che sia il comune, anziché l’ufficio tecnico regionale competente, a rendere il parere sugli strumenti urbanistici attuativi dei comuni siti in zone sismiche.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 novembre 2022.

F.to:

Silvana SCIARRA, Presidente

Franco MODUGNO, Redattore

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria il 22 dicembre 2022