Sentenza n. 251 del 2022

SENTENZA N. 251

ANNO 2022

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Daria de PRETIS;

Giudici: Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 1, lettera a), della legge della Regione Lombardia 16 dicembre 2021, n. 23 (Seconda legge di revisione normativa ordinamentale 2021), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 17 febbraio 2022, depositato in cancelleria il 23 febbraio 2022, iscritto al n. 13 del registro ricorsi 2022 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 11, prima serie speciale, dell’anno 2022.

Visto l’atto di costituzione della Regione Lombardia;

udita nell’udienza pubblica del 22 novembre 2022 la Giudice relatrice Daria de Pretis;

uditi l’avvocato dello Stato Generoso Di Leo per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Piera Pujatti per la Regione Lombardia;

deliberato nella camera di consiglio del 23 novembre 2022.

Ritenuto in fatto

1.– Con ricorso notificato il 17 febbraio 2022 e depositato il 23 febbraio 2022, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 1, lettera a), della legge della Regione Lombardia 16 dicembre 2021, n. 23 (Seconda legge di revisione normativa ordinamentale 2021), in riferimento agli artt. 3, 5, 9, 117, commi primo e secondo, lettere p) e s), e 118, commi primo e secondo, della Costituzione e al principio di leale collaborazione, in relazione: agli artt. 135, 143 e 145 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137); alla legge 9 gennaio 2006, n. 14 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione europea sul paesaggio, fatta a Firenze il 20 ottobre 2000); e all’art. 14, comma 27, lettera d), del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio 2010, n. 122.

1.1.– L’art. 6, comma 1, lettera a), della legge reg. Lombardia n. 23 del 2021 è impugnato, innanzitutto, in riferimento al principio di leale collaborazione e agli artt. 9 e 117, secondo comma, lettera s), Cost., in relazione agli artt. 135, 143 e 145 cod. beni culturali e alla Convenzione europea del paesaggio.

Il citato art. 6, comma 1, lettera a), ha sostituito il secondo periodo del comma 3 dell’art. 154 della legge della Regione Lombardia 5 dicembre 2008, n. 31 (Testo unico delle leggi regionali in materia di agricoltura, foreste, pesca e sviluppo rurale), che, nel testo vigente prima della modifica operata dalla norma impugnata, recitava: «Il riuso degli immobili rurali destinati ad agriturismo, anche distaccati, può avvenire attraverso interventi di ristrutturazione edilizia, di restauro e risanamento conservativo e attraverso ampliamenti necessari all’adeguamento igienico-sanitario e tecnologico. È, altresì, consentito, per una sola volta, l’ampliamento nella misura massima del dieci per cento della superficie lorda di pavimento destinata a uso agrituristico sulla base della potenzialità agrituristica risultante dal certificato di connessione».

L’impugnato art. 6, comma 1, lettera a), ha sostituito solo il secondo periodo della disposizione, che ora recita: «è, altresì, consentito, per una sola volta, l’ampliamento nella misura massima del dieci per cento della superficie lorda dei fabbricati, individuati nel certificato di connessione, già destinati o da destinare all’attività agrituristica».

La modifica avrebbe dunque esteso la portata della disposizione di cui al citato art. 154, consentendo l’ampliamento, sempre nella misura del dieci per cento, della superficie lorda (e non di pavimento) dei fabbricati non solo già destinati, ma anche da destinare, in futuro, ad attività agrituristica.

1.1.1.– Secondo il ricorrente, tale «generalizzata» possibilità di realizzare incrementi volumetrici nella misura anzidetta sarebbe prevista «senza alcuna considerazione o riferimento al contesto paesaggistico». In particolare, il legislatore regionale non avrebbe tenuto conto che solo al piano paesaggistico elaborato d’intesa tra lo Stato e la Regione, secondo quanto previsto agli artt. 135, 143 e 145 cod. beni culturali, spetta stabilire, per ciascuna area tutelata, le prescrizioni d’uso (cioè i criteri di gestione del vincolo, volti a orientare la fase autorizzatoria) e individuare la tipologia delle trasformazioni compatibili e di quelle vietate, nonché le condizioni delle eventuali trasformazioni.

L’art. 6 impugnato sarebbe, pertanto, costituzionalmente illegittimo perché si porrebbe in contrasto con la normativa statale che rimette al piano paesaggistico la cosiddetta “vestizione” dei vincoli, vale a dire la disciplina d’uso dei beni paesaggistici.

La difesa erariale richiama la normativa statale e la giurisprudenza di questa Corte che sanciscono l’inderogabilità delle previsioni del già menzionato strumento da parte di piani, programmi e progetti nazionali o regionali di sviluppo economico, la loro cogenza rispetto agli strumenti urbanistici e l’immediata prevalenza del piano paesaggistico su ogni altro atto di pianificazione territoriale e urbanistica.

Il ricorrente sottolinea, altresì, l’esistenza di un vero e proprio obbligo di elaborazione congiunta del piano paesaggistico, cui la Regione Lombardia si sarebbe sottratta «ingiustificatamente», con la norma impugnata.

Né si potrebbe ritenere che la denunciata illegittimità costituzionale sia esclusa dal fatto che la norma in esame non prevede la possibilità di realizzare gli incrementi volumetrici in contrasto con la pianificazione paesaggistica, né dal fatto che tali interventi sono comunque subordinati al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica.

Quanto all’irrilevanza della mancata previsione della possibilità di derogare alla pianificazione paesaggistica, la difesa statale sottolinea come tale possibilità sia esclusa dal fatto che la Regione Lombardia non si è ancora munita di un piano paesaggistico adottato in esito al procedimento di co-pianificazione e con i contenuti di cui agli artt. 135 e 143 cod. beni culturali.

Quanto, invece, alla subordinazione di qualsiasi intervento all’autorizzazione paesaggistica, il Presidente del Consiglio dei ministri richiama l’evoluzione normativa in materia, ricordando come, sin dalla legge 29 giugno 1939, n. 1497 (Protezione delle bellezze naturali) (cosiddetta “legge Bottai”), siano previsti tre diversi strumenti a tutela del paesaggio: il vincolo, l’autorizzazione paesaggistica e il piano paesaggistico. Il ruolo sempre più pregnante assegnato a quest’ultimo deriverebbe dalla consapevolezza che il provvedimento singolare non è sufficiente a presidiare adeguatamente i valori paesaggistici. L’autorizzazione consentirebbe, infatti, di valutare solo il singolo intervento in sé considerato e non permetterebbe di considerare «l’effetto derivante dal cumulo delle trasformazioni».

Da quanto detto deriverebbe la violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in relazione agli artt. 135, 143 e 145 cod. beni culturali.

1.1.2.– Il ricorrente aggiunge che il 21 luglio 2017 la Regione Lombardia ha sottoscritto con il Ministero per i beni e le attività culturali (oggi, Ministero della cultura) un protocollo di intesa per la redazione congiunta del piano paesaggistico, e riferisce di interlocuzioni in corso, al momento dell’impugnazione, finalizzate al suo rinnovo.

Il carattere unilaterale dell’iniziativa assunta dalla Regione configurerebbe pertanto una violazione del principio di leale collaborazione.

1.1.3.– Sarebbe altresì violato l’art. 9 Cost., a causa dell’abbassamento del livello di tutela determinato dalla norma impugnata.

1.1.4.– L’art. 6, comma 1, lettera a), si porrebbe in contrasto, altresì, con «il principio di necessaria considerazione dei valori paesaggistici del territorio, anche non vincolato, e della sua apposita pianificazione».

Il ricorrente sottolinea come tutto il paesaggio, incluso il territorio non assoggettato al regime dei vincoli paesaggistici, costituisca comunque oggetto di tutela ai sensi della Convenzione europea del paesaggio, dalla cui sottoscrizione discenderebbe l’impegno alla necessaria pianificazione dell’intero territorio e alla specifica considerazione dei relativi valori paesaggistici, anche per le parti che non sono oggetto di tutela quali beni paesaggistici.

A seguito del recepimento della Convenzione europea del paesaggio, il decreto legislativo 26 marzo 2008, n. 63 (Ulteriori disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, in relazione al paesaggio) avrebbe fatto rifluire i suoi contenuti nell’art. 135 cod. beni culturali. Pertanto, la previsione di interventi di impatto assai rilevante sul territorio, quali quelli introdotti dalla norma impugnata, sarebbe dovuta avvenire con il piano paesaggistico.

Di conseguenza, la previsione impugnata violerebbe l’art. 117, commi primo e secondo, lettera s), Cost., rispetto ai quali costituirebbero norme interposte la legge n. 14 del 2006, di recepimento della Convenzione europea del paesaggio, nonché gli artt. 135, 143 e 145 cod. beni culturali.

1.1.5.– L’art. 6, comma 1, lettera a), violerebbe, inoltre, l’art. 3 Cost. per manifesta arbitrarietà e irragionevolezza, in quanto recherebbe una disciplina, di carattere strutturale, destinata a incidere in modo indiscriminato sui diversi contesti, a prescindere dai profili di pregio agricolo, ecologico e paesaggistico dei singoli ambiti, dalla attuale destinazione degli edifici ad attività agrituristiche, dalle dimensioni di partenza del fabbricato, nonché dall’eventuale sussistenza di altri fattori che abbiano compromesso il contesto agricolo.

1.1.6.– Secondo il ricorrente i descritti profili di illegittimità costituzionale troverebbero conferma nella giurisprudenza costituzionale in tema di reiterazione delle discipline derogatorie alla pianificazione urbanistica comunale, operata, in particolare, per il tramite dei cosiddetti piani casa regionali (sono richiamate le sentenze n. 24 del 2022 e n. 219 del 2021 di questa Corte). Con le pronunce citate, infatti, sarebbero state dichiarate costituzionalmente illegittime alcune norme regionali per aver compromesso la pianificazione paesaggistica.

1.2.– L’art. 6, comma 1, lettera a), è impugnato anche in riferimento agli artt. 5, 117, secondo comma, lettera p), e 118, commi primo e secondo, Cost., in relazione all’art. 14, comma 27, lettera d), del d.l. n. 78 del 2010, come convertito.

In particolare, la norma impugnata realizzerebbe un’indebita compressione della potestà dei comuni di pianificare il proprio territorio, in violazione della competenza legislativa esclusiva statale in tema di funzioni fondamentali dei comuni e del principio di sussidiarietà verticale, di cui agli anzidetti parametri costituzionali.

La difesa erariale sottolinea come il legislatore statale, nell’esercizio della competenza di cui all’art. 117, secondo comma, lettera p), Cost., abbia individuato, quali funzioni fondamentali dei comuni, «la pianificazione urbanistica ed edilizia di ambito comunale nonché la partecipazione alla pianificazione territoriale di livello sovracomunale» (art. 14, comma 27, lettera d, del d.l. n. 78 del 2010, come convertito). Tali funzioni fondamentali dei comuni sarebbero state compresse oltre misura dal legislatore regionale (è citata al riguardo la sentenza di questa Corte n. 202 del 2021), perché le modalità e l’entità delle premialità volumetriche previste dalla norma impugnata condizionerebbero l’esercizio della funzione comunale di pianificazione urbanistica «oltre la soglia dell’adeguatezza e della necessità» (è richiamata la sentenza n. 119 del 2020).

In particolare – precisa l’Avvocatura generale dello Stato – la previsione censurata si combinerebbe con le altre recate dall’art. 154 della legge reg. Lombardia n. 31 del 2008, il quale consente l’utilizzazione «per attività agrituristiche [di] tutti gli edifici in possesso del requisito di ruralità rilevante ai fini fiscali, già esistenti da almeno tre anni, a condizione che la loro destinazione all’attività agrituristica non comprometta l’esercizio dell’attività agricola» (comma 1) e stabilisce che tali edifici rurali «sono compatibili con ogni destinazione d’uso prevista dagli strumenti urbanistici comunali e sovracomunali» (comma 2).

Il ricorrente ne deduce che le premialità volumetriche previste dalla norma impugnata, «in quanto riferite agli edifici destinati o da destinare ad attività agrituristiche», sono consentite in modo indiscriminato in tutte le zone agricole, a prescindere quindi dall’esistenza di profili di pregio paesaggistico e dagli standard di densità edilizia particolarmente restrittivi cui soggiacciono. Sicché la loro previsione e l’impossibilità di modularle ridurrebbero in modo indebito i poteri dei comuni di pianificare il proprio territorio, impedendo loro fra l’altro di assicurare prevalenza, in determinati contesti, a interessi costituzionali anche primari, come, ad esempio, la tutela del paesaggio agrario, rispetto all’interesse economico privato.

1.3.– Da ultimo, il Presidente del Consiglio dei ministri precisa, «[a]l fine di prevenire infondate eccezioni», che non sarebbe risolutiva dell’odierno giudizio la mancata impugnazione dell’art. 1, comma 1, lettera d), della legge della Regione Lombardia 18 giugno 2019, n. 11, recante «Modifiche alla legge regionale 5 dicembre 2008, n. 31 (Testo unico delle leggi regionali in materia di agricoltura, foreste, pesca e sviluppo rurale)», che ha, tra l’altro, sostituito l’art. 154 della legge reg. Lombardia n. 31 del 2008, prevedendo l’ampliamento del dieci per cento, di cui si è detto. A tale fine la difesa statale richiama la giurisprudenza di questa Corte sulla non applicazione, nei giudizi promossi in via principale, dell’istituto dell’acquiescenza.

2.– La Regione Lombardia si è costituita in giudizio chiedendo che le questioni promosse siano dichiarate inammissibili e non fondate.

Preliminarmente, sottolinea come la novità introdotta dalla norma impugnata risieda, fermo restando il concetto di superficie lorda, nell’inciso «da destinare», che, a suo dire, lascerebbe la facoltà dell’ampliamento anche in caso di primo rilascio del certificato di connessione, non essendo richiesto il già avvenuto avvio dell’attività. In proposito, la resistente precisa che il certificato de quo attesta il rapporto di connessione fra l’attività agricola e quella agrituristica ai sensi dell’art. 152 della legge reg. Lombardia n. 31 del 2008.

La medesima difesa chiede pertanto che questa Corte, ove ritenga ammissibili le questioni promosse, consideri l’impugnazione limitata alla parte in cui l’art. 6, comma 1, lettera a), della legge reg. Lombardia n. 23 del 2021 ha aggiunto le parole «o da destinare» nel testo previgente dell’art. 154, comma 3, della legge reg. Lombardia n. 31 del 2008.

2.1.– Quanto al primo motivo di ricorso (supra, punto 1.1.), la resistente sostiene che il Presidente del Consiglio dei ministri ha attribuito alla norma regionale «effetti ed ambiti di materia che non ha». A tale fine, la difesa regionale ricostruisce le disposizioni in materia di edilizia agrituristica, a partire dall’art. 3 della legge 20 febbraio 2006, n. 96 (Disciplina dell’agriturismo), che impegna in questo ambito le regioni a rispettare, non solo le specifiche caratteristiche tipologiche e architettoniche del patrimonio edilizio esistente, ma anche le «caratteristiche paesaggistico-ambientali dei luoghi». Disposizione, questa, ritenuta recante un principio fondamentale della materia «governo del territorio» (è richiamata la sentenza n. 339 del 2007 di questa Corte).

La norma regionale impugnata detterebbe prescrizioni non contrastanti con tale principio e anzi dirette al medesimo fine, giacché essa non sottrarrebbe in alcun modo l’ampliamento della superficie dei fabbricati rurali alla pianificazione paesaggistica.

La resistente ritiene, inoltre, che il riferimento, contenuto nel ricorso, al protocollo di intesa siglato dalla Regione Lombardia e dal Ministero della cultura non sia «significativo», anche perché avente durata triennale e dunque scaduto nel luglio 2020. Al riguardo, la Regione precisa di averne richiesto più volte al Ministero il rinnovo per procedere all’attività di co-pianificazione. Riferisce inoltre che il Ministero avrebbe risposto alle sue istanze il 17 gennaio 2022, dichiarando di ritenere opportuno il rinvio della definizione del processo di co-pianificazione a un momento successivo alla conclusione dell’iter di approvazione, in corso al momento dell’impugnazione, da parte della Regione del progetto di valorizzazione del paesaggio.

La resistente precisa altresì che, nelle more dell’approvazione del piano paesaggistico regionale (PPR) co-pianificato con il Ministero della cultura, la medesima Regione si è dotata di diversi strumenti di natura paesaggistica e, tra questi, del piano territoriale regionale (PTR). Questo piano, approvato con delibera del Consiglio della Regione Lombardia 19 gennaio 2010, n. 951, «ha natura ed effetti di piano territoriale paesaggistico ai sensi della vigente legislazione» (in base a quanto previsto dall’art. 19, comma 1, della legge della Regione Lombardia 11 marzo 2005, n. 12 «Legge per il governo del territorio»). Di conseguenza, in attesa che sia definito il processo di co-pianificazione, una sezione specifica del PTR è costituita dal PPR (non co-pianificato), che per questa parte ha recepito e aggiornato il piano territoriale paesistico regionale (PTPR) vigente in Lombardia dal 2001.

In particolare, l’art. 35 del PPR (incluso attualmente nel PTR) prevederebbe l’esame paesistico anche in aree non soggette a vincolo; inoltre, le aree agricole sarebbero, comunque, sottoposte a specifica disciplina ai sensi dell’art. 59 della legge reg. Lombardia n. 12 del 2005.

In ogni caso – ribadisce la difesa regionale – quanto appena detto non avrebbe alcuna connessione con la norma impugnata, la quale, nel prevedere la possibilità di aumento di superficie per i fabbricati da destinare ad attività agrituristiche, non interferirebbe in alcun modo con gli obblighi fissati dal codice dei beni culturali e del paesaggio, restando impregiudicato il rispetto dei vincoli culturali e paesaggistici e della relativa disciplina.

La norma impugnata avrebbe «uno stretto carattere urbanistico» e, in quanto tale, sarebbe espressione della competenza legislativa regionale concorrente in materia di governo del territorio ex art. 117, terzo comma, Cost. e di quella esclusiva in materia di agricoltura, senza porsi in contrasto con i principi generali di tutela del paesaggio di cui al suddetto codice.

La Regione ritiene pertanto che la doglianza del ricorrente, legata alla mancanza di un piano paesaggistico predisposto in attuazione del principio di leale collaborazione (dovuta, peraltro, alla complessità dell’intervento), non può tradursi in una censura avverso una norma che disciplina altro. Muovendo da tale prospettiva non sarebbe pertinente il richiamo alla sentenza n. 24 del 2022 di questa Corte, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale delle norme dettate dalla Regione autonoma Sardegna in materia di piano casa, in quanto recanti un’ulteriore proroga di disposizioni in deroga alla pianificazione urbanistica.

2.2.– Quanto al secondo motivo di ricorso (supra, punto 1.2.), la resistente ritiene che la norma impugnata si limiti a confermare la possibilità di un ampliamento nella misura massima del dieci per cento, senza che ciò determini alcuna compressione della potestà pianificatoria del comune, che ben potrebbe stabilire un limite diverso, pur sempre entro il detto limite massimo.

3.– In prossimità dell’udienza la Regione Lombardia ha depositato una memoria nella quale, oltre a ribadire gli argomenti già illustrati nell’atto di costituzione, sottolinea che una disposizione regionale non può ritenersi derogatoria delle norme del codice dei beni culturali e del paesaggio solo perché omette di richiamare, totalmente o parzialmente, le previsioni del piano paesaggistico e del codice, in difetto di esplicite indicazioni di segno contrario (sono citate le sentenze n. 187 del 2022 e n. 189 del 2016 di questa Corte).

Quanto all’assenza di un piano paesaggistico co-deciso, la difesa regionale precisa che il primo piano paesistico della Lombardia è stato approvato nel 2001, prima ancora dunque che esso fosse richiesto dal codice di settore, e che lo stesso piano è stato poi aggiornato nel 2010, con la delibera consiliare n. 951 che lo ha consolidato e aggiornato, integrandone e adeguandone i contenuti descrittivi e normativi e confermandone l’impianto generale e le finalità di tutela.

Peraltro, aggiunge la resistente, il PPR (incluso nel PTR) non è mai stato contestato dal Ministero competente, né quest’ultimo ha inteso esercitare il potere sostitutivo di cui all’art. 143, comma 2, cod. beni culturali.

Infine, in relazione al secondo motivo di ricorso, la Regione ribadisce che la possibilità di ampliare i fabbricati rurali nella misura massima del dieci per cento non è stata introdotta dalla legge regionale impugnata ma era già prevista nella normativa pregressa.

4.– Anche il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato una memoria nella quale, in via preliminare, rileva come, a fronte della richiesta da parte della Regione di una pronuncia di inammissibilità, nessun argomento a sostegno sia addotto ex adverso.

La difesa erariale ribadisce gli argomenti già illustrati nel ricorso a favore dell’illegittimità costituzionale della norma impugnata, precisando che essa non si limita a stabilire l’utilizzazione per fini agrituristici di fabbricati già esistenti per lo svolgimento di attività connesse, ma ammette la indiscriminata possibilità di ampliamento di immobili esistenti che saranno destinati ad attività agrituristica. Tale previsione, che consente quindi interventi non meramente conservativi senza che sussista «alcuna connessione attuale che giustifichi l’espansione volumetrica», inciderebbe in maniera manifesta sul contesto paesaggistico circostante, con conseguente invasione della competenza legislativa statale in materia.

Il ricorrente insiste, poi, nel ritenere rilevante la mancata adozione di un PPR co-pianificato tra Stato e Regione; il valore programmatico di tale strumento sarebbe, infatti, strumentale a un’organica gestione, sull’intero territorio nazionale, delle trasformazioni inerenti ai beni immobili in zona di pregio paesaggistico. Non avrebbe, dunque, alcun valore la presenza di piani territoriali adottati in via autonoma dalla Regione stessa, senza la necessaria co-pianificazione.

Quanto al protocollo di intesa siglato nel 2017, la difesa statale precisa che la Regione Lombardia ha omesso, nei tre anni della sua vigenza, di adottare il PPR di concerto con il Ministero e che, al termine del periodo di validità di questo accordo, le parti erano in procinto di rinnovarlo ma non si è giunti alla sua sottoscrizione. In questo quadro si inserirebbe la norma impugnata, che, pertanto, contrasterebbe in maniera palese con il dovere di leale collaborazione che grava sullo Stato e sulle regioni.

In relazione al secondo motivo di ricorso, il Presidente del Consiglio dei ministri contesta l’esistenza di un rapporto di continuità tra le varie disposizioni che si sono susseguite nella disciplina del previsto incremento volumetrico. In particolare, ritiene che vi sia una «manifesta e sostanziale differenza» tra la disposizione previgente e quella oggetto di impugnativa, in quanto nella prima l’ampliamento del dieci per cento era ammesso solo per i beni destinati a uso agrituristico, mentre nella seconda questa possibilità è riconosciuta «in virtù di una non meglio specificata futura, eventuale, destinazione ad attività connesse all’agricoltura» degli immobili in questione.

Infine, richiamando la giurisprudenza amministrativa in materia, la difesa statale rileva che il legislatore regionale non può comprimere o annullare i poteri urbanistici dei comuni, ma può soltanto garantire forme adeguate di partecipazione dei comuni stessi ai procedimenti che ne condizionano l’autonomia. Ipotesi, questa, che non ricorrerebbe nel caso di specie, in cui si è in presenza di una previsione generalizzata e incidente su zone di indiscusso pregio paesaggistico, tale da comportare una rilevante compressione delle prerogative comunali in materia di pianificazione urbanistica.

5.– All’udienza, le parti hanno insistito per l’accoglimento delle conclusioni rassegnate nei rispettivi atti.

Considerato in diritto

1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 1, lettera a), della legge reg. Lombardia n. 23 del 2021, in riferimento agli artt. 3, 5, 9, 117, commi primo e secondo, lettere p) e s), e 118, commi primo e secondo, Cost. e al principio di leale collaborazione, in relazione: agli artt. 135, 143 e 145 cod. beni culturali, alla Convenzione europea sul paesaggio e all’art. 14, comma 27, lettera d), del d.l. n. 78 del 2010, come convertito.

2.– Prima di esaminare le censure mosse dalla difesa statale, occorre ricostruire il contesto normativo nel quale si colloca la disposizione impugnata.

2.1.– Essa ha inciso sul comma 3 dell’art. 154 della legge reg. Lombardia n. 31 del 2008, che, nel testo vigente prima della modifica, recitava: «Il riuso degli immobili rurali destinati ad agriturismo, anche distaccati, può avvenire attraverso interventi di ristrutturazione edilizia, di restauro e risanamento conservativo e attraverso ampliamenti necessari all’adeguamento igienico-sanitario e tecnologico. È, altresì, consentito, per una sola volta, l’ampliamento nella misura massima del dieci per cento della superficie lorda di pavimento destinata a uso agrituristico sulla base della potenzialità agrituristica risultante dal certificato di connessione».

L’impugnato art. 6, comma 1, lettera a), ha dunque sostituito solo il secondo periodo del comma 3 del citato art. 154, che ora è del seguente tenore: «È, altresì, consentito, per una sola volta, l’ampliamento nella misura massima del dieci per cento della superficie lorda dei fabbricati, individuati nel certificato di connessione, già destinati o da destinare all’attività agrituristica».

L’art. 154 della legge reg. Lombardia n. 31 del 2008 è stato oggetto di numerose modifiche, anche successive alla proposizione dell’odierno ricorso; modifiche che hanno interessato il suo contenuto, la sua numerazione e la sua rubrica.

La disposizione originaria era infatti rubricata «Locali da utilizzare nell’attività agrituristica» ed era riportata sub art. 155 della legge reg. Lombardia n. 31 del 2008, per poi divenire – a seguito dell’art. 1, comma 1, della legge reg. Lombardia n. 11 del 2019 – «Locali da destinare ad attività agrituristiche», assumendo l’odierna numerazione di art. 154.

Da ultimo, dopo l’impugnativa oggetto dell’odierno giudizio, il testo dell’art. 154 è stato modificato dall’art. 5, comma 2, della legge della Regione Lombardia 20 maggio 2022, n. 8 (Prima legge di revisione normativa ordinamentale 2022), il quale ha anche riscritto la rubrica, che oggi recita: «Fabbricati da destinare ad attività agrituristiche». Peraltro, le modifiche successive alla proposizione dell’odierno ricorso non hanno interessato il secondo periodo del comma 3 dell’art. 154, sostituito dalla norma impugnata.

2.2.– Quest’ultima ha, però, mantenuto sostanzialmente inalterata la struttura del testo previgente.

Dal confronto tra i due testi si deduce che le modifiche sono consistite nella sostituzione della superficie di riferimento (da quella lorda di pavimento a quella lorda dei fabbricati) e nella estensione della possibilità di ampliamento anche ai fabbricati «da destinare» all’attività agrituristica, ma «individuati nel certificato di connessione».

Inoltre, il testo previgente faceva riferimento alla «superficie lorda di pavimento destinata a uso agrituristico sulla base della potenzialità agrituristica risultante dal certificato di connessione».

2.3.– Stando alle scarne indicazioni desumibili dai lavori preparatori, la modifica operata con la disposizione impugnata sarebbe diretta «ad una migliore formulazione della disposizione di cui al secondo periodo del comma 3 dell’art. 154 della l.r. 31/2008 nel senso di: a) eliminare il riferimento al pavimento in quanto, a seguito del regolamento edilizio-tipo (R.E.T.), recepito con D.G.R. 24 ottobre 2018 - n. XI/695, il parametro SLP non si usa più, dovendosi usare il parametro SL (superficie lorda), così definito: “Somma delle superfici di tutti i piani comprese nel profilo perimetrale esterno dell’edificio escluse le superfici accessorie”; b) precisare che l’ampliamento è consentito anche in sede di primo rilascio del certificato di connessione, non essendo richiesto l’avvio dell’attività» (così la relazione approvata il 24 novembre 2021 dalla Commissione consiliare II «Affari istituzionali»).

3.– Ricostruiti la portata e il significato della disposizione impugnata, deve essere innanzitutto superato il dubbio sull’ammissibilità dell’impugnazione sollevato dalla resistente. La stessa difesa regionale, infatti, non fa seguire, alla richiesta di una declaratoria di inammissibilità delle questioni promosse, l’indicazione e l’illustrazione di specifiche ragioni a suo sostegno, cosicché si deve financo escludere che sia stata formulata una vera e propria eccezione di inammissibilità.

4.– Sempre in via preliminare, è necessario definire il thema decidendum.

Al riguardo, deve essere respinta la richiesta della difesa regionale di «considerare l’impugnazione, ove ritenuta ammissibile, rivolta […] alla parte in cui sono state aggiunte al testo previgente dell’art. 154, comma 3, secondo periodo della LR n. 31/2008 le parole “o da destinare”», giacché il gravame ha invece ad oggetto l’intero secondo periodo del comma 3 del citato art. 154, come appunto sostituito dall’art. 6, comma 1, lettera a), impugnato.

Questa Corte non può che constatare, del resto, come le due ragioni di censura sviluppate nel ricorso investano, sia da un punto di vista strettamente letterale, sia da uno sostanziale, l’intera disposizione impugnata e non solo le parole «o da destinare».

Deve, pertanto, ritenersi che oggetto delle odierne questioni sia l’intero art. 6, comma 1, lettera a), della legge reg. Lombardia n. 23 del 2021.

5.– Restando sempre ai profili preliminari, correttamente la difesa statale esclude che la mancata impugnazione del testo previgente dell’art. 154 della legge reg. Lombardia n. 31 del 2008 – che già consentiva l’ampliamento, nella misura massima del dieci per cento, della superficie di pavimento degli immobili rurali destinati ad agriturismo – possa determinare una sorta di tacita accettazione della previsione regionale, con conseguente inammissibilità delle odierne questioni.

Questa Corte ha ripetutamente affermato che «l’ammissibilità del ricorso in via principale non è preclusa dal carattere confermativo o riproduttivo di una disposizione rispetto ad altra norma non impugnata, in quanto “ogni provvedimento legislativo esiste a sé e può formare oggetto di autonomo esame ai fini dell’accertamento della sua legittimità: l’istituto dell’acquiescenza non si applica ai giudizi in via principale, atteso che la norma impugnata ha comunque l’effetto di reiterare la lesione da cui deriva l’interesse a ricorrere dello Stato (ex plurimis, sentenze n. 237, n. 98 e n. 60 del 2017, n. 39 del 2016, n. 215 e n. 124 del 2015)” (sentenza n. 25 del 2021). Di conseguenza, una disposizione ripetitiva di una precedente norma è comunque impugnabile e oggetto di censura anche rispetto al contenuto riproduttivo o di rinvio» (sentenza n. 23 del 2022; tra le più recenti, anche sentenze n. 24, n. 21 e n. 5 del 2022).

6.– Si può quindi procedere ad esaminare il primo gruppo di censure prospettate dal Presidente del Consiglio dei ministri.

L’art. 6, comma 1, lettera a), della legge reg. Lombardia n. 23 del 2021 è impugnato, innanzitutto, in riferimento al principio di leale collaborazione e agli artt. 9 e 117, secondo comma, lettera s), Cost., in relazione agli artt. 135, 143 e 145 cod. beni culturali.

Il ricorrente muove dalla specifica situazione della Regione Lombardia, nella quale manca una pianificazione paesaggistica frutto dell’elaborazione congiunta di Stato e Regione, per sottolineare che solo al piano paesaggistico frutto della copianificazione spetterebbe individuare la tipologia delle trasformazioni compatibili e di quelle vietate, nonché le condizioni delle eventuali trasformazioni. Ciò determinerebbe la violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in relazione agli artt. 135, 143 e 145 cod. beni culturali.

Del pari sarebbe violato il principio di leale collaborazione, poiché il carattere unilaterale dell’iniziativa assunta dalla Regione si porrebbe in contrasto con il protocollo d’intesa sottoscritto il 21 luglio 2017 dalla Regione Lombardia e dal Ministero per i beni e le attività culturali (oggi, Ministero della cultura), avente ad oggetto la redazione congiunta del piano paesaggistico.

Infine, sarebbe violato l’art. 9 Cost., a causa dell’abbassamento del livello di tutela paesaggistica determinato dalla norma impugnata.

Questa Corte ritiene che le censure appena illustrate debbano essere trattate congiuntamente perché tutte riconducibili a un’unica ragione di impugnativa.

6.1.– Le questioni sono fondate.

6.2.– Consentendo l’ampliamento, nella misura massima del dieci per cento, della superficie lorda (e non di pavimento) dei fabbricati da destinare ad attività agrituristica, la disposizione regionale impugnata introduce la possibilità di aumentare la volumetria degli edifici esistenti in zona agricola, e ciò stabilisce senza prevedere al contempo una espressa e adeguata clausola di salvaguardia dei beni sottoposti a tutela paesaggistica.

Non sono infatti idonei ad assolvere a questa specifica funzione di salvaguardia, né il generico riferimento alla tutela del paesaggio (indicato tra le finalità perseguite dalla Regione) contenuto nell’art. 150, comma 1, lettera b), della stessa legge reg. Lombardia n. 31 del 2008, né l’altrettanto generica previsione recata dall’art. 3, comma 2, della legge statale n. 96 del 2006 di disciplina dell’agriturismo, che attribuisce alle regioni il compito di disciplinare «gli interventi per il recupero del patrimonio edilizio esistente ad uso dell’imprenditore agricolo ai fini dell’esercizio di attività agrituristiche, nel rispetto delle specifiche caratteristiche tipologiche e architettoniche, nonché delle caratteristiche paesaggistico-ambientali dei luoghi».

Si tratta, in entrambi i casi, di disposizioni che indicano in via generale le finalità e gli obiettivi che devono essere perseguiti dalla normativa regionale in materia di agriturismo, senza che da esse possano desumersi vincoli puntuali a tutela dei valori paesaggistici di volta in volta rilevanti nei singoli interventi di trasformazione del territorio.

6.3.– Nel caso di specie, d’altro canto, l’omessa indicazione, da parte della norma regionale impugnata, della espressa necessità di rispettare il piano paesaggistico o il codice di settore non può ritenersi compensata dalla possibilità di un’interpretazione rispettosa dei vincoli suddetti.

Come questa Corte ha ripetutamente affermato, invero, una tale omissione non determina di per sé l’illegittimità costituzionale della disposizione solo ove nella stessa regione sia operante un piano paesaggistico approvato secondo quanto previsto dagli artt. 135, 143 e 145 cod. beni culturali (sentenze n. 187 e n. 24 del 2022, n. 124 e n. 54 del 2021). Laddove invece un piano paesaggistico codeciso tra lo Stato e la regione non sia stato ancora approvato, «occorre maggiore cautela nel valutare la portata precettiva delle norme che intersechino profili attinenti con tale pianificazione», e ciò «[n]on perché la Regione non possa in nessun caso attivare le proprie competenze legislative, ma perché va evitato il rischio che esse […] permettano il consolidamento di situazioni tali da ostacolare il compiuto sviluppo della pianificazione paesaggistica» (sentenza n. 187 del 2022).

Pertanto, «[i] ritardi nella elaborazione del piano paesaggistico […], sebbene contrari agli obblighi gravanti sulla Regione e tali da produrre gravi disfunzioni (con conseguenti eventuali responsabilità)» devono essere compensati con l’esplicitazione del necessario rispetto della normativa posta a tutela del paesaggio (sempre sentenza n. 187 del 2022).

Dirimente è, quindi, la circostanza che la pianificazione paesaggistica nella Regione Lombardia è attualmente rimessa non a un piano codeciso fra Stato e Regione, ma al piano territoriale regionale (PTR), approvato dal Consiglio regionale con deliberazione 19 gennaio 2010, n. 951, e successivamente modificato e integrato. In particolare, la sezione 3 del PTR contiene il piano paesaggistico regionale (PPR), che ha recepito, consolidato e aggiornato il piano territoriale paesistico regionale (PTPR) vigente in Lombardia dal 2001 (artt. 19 e 102 della legge reg. Lombardia n. 12 del 2005).

Per quanto, dunque, non si possa negare che la Regione Lombardia risulti dotata – e lo sia in effetti già da prima dell’entrata in vigore del codice dei beni culturali e del paesaggio – di uno strumento di pianificazione specificamente orientato alla tutela del paesaggio, tuttora operante come parte del PTR, è altrettanto evidente che tale pianificazione esprime scelte imputabili in via esclusiva alla Regione stessa, alle quali lo Stato è rimasto estraneo, e che resta ancora inattuato, nella Regione, il modello di pianificazione paesaggistica prescritto dal medesimo codice, il cui tratto caratterizzante è costituito appunto dall’elaborazione congiunta dello Stato e della Regione.

L’indiscussa prevalenza del piano paesaggistico così elaborato, ripetutamente ribadita da questa Corte (tra le più recenti, sentenze n. 240, n. 229, n. 221, n. 192, n. 187, n. 45 e n. 24 del 2022; n. 261, n. 257, n. 251, n. 201, n. 164, n. 141, n. 74, n. 54 e n. 29 del 2021; n. 276 e n. 240 del 2020), non costituisce una mera petizione di principio, ma sottende quel «dovere di assicurare “che tutto il territorio sia adeguatamente conosciuto, salvaguardato, pianificato e gestito in ragione dei differenti valori espressi dai diversi contesti” (art. 135, comma 1, cod. beni culturali)». Dovere che «rinviene il suo imprescindibile presupposto nella visione d’insieme delle aree da tutelare e dei contesti in cui le medesime sono inserite» (sentenza n. 187 del 2022).

I principi di elaborazione congiunta, inderogabilità e prevalenza del piano paesaggistico si impongono, quindi, al legislatore regionale, il quale non può né esplicitamente derogare ai vincoli della pianificazione paesaggistica, né aggirarli introducendo, in assenza del piano codeciso, previsioni atte a pregiudicare le scelte condivise di tutela che nel piano stesso troveranno necessaria espressione.

In definitiva, la mancanza di un piano paesaggistico frutto del pieno coinvolgimento dello Stato e della Regione e l’impossibilità di trarre dalla normativa regionale un’interpretazione tale da far ritenere comunque operanti i vincoli paesaggistici determinano l’illegittimità costituzionale della norma impugnata per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. in relazione al principio della necessaria copianificazione paesaggistica e, in connessione con esso, al principio di leale collaborazione.

6.4.– È violato, infine, anche l’art. 9 Cost. in ragione dell’evidente abbassamento del livello di tutela paesaggistica derivante da una previsione che estende la possibilità di ampliamento dei fabbricati rurali, senza considerare gli effetti sul paesaggio.

6.5.– Per tutte queste ragioni, deve essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 6, comma 1, lettera a), della legge reg. Lombardia n. 23 del 2021.

7.– Restano assorbite le ulteriori censure promosse nei confronti della medesima norma.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 6, comma 1, lettera a), della legge della Regione Lombardia 16 dicembre 2021, n. 23 (Seconda legge di revisione normativa ordinamentale 2021).

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 novembre 2022.

F.to:

Daria de PRETIS, Presidente

Daria de PRETIS, Redattrice

Igor DI BERNARDINI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 19 dicembre 2022.