Sentenza n. 240 del 2022

SENTENZA N. 240

ANNO 2022

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Silvana SCIARRA;

Giudici: Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 2, 3, 4 e 5 della legge della Regione Puglia 30 novembre 2021, n. 39, recante «Modifiche alla legge regionale 31 maggio 1980, n. 56 (Tutela ed uso del territorio), disposizioni in materia urbanistica, modifica alla legge regionale 27 luglio 2001, n. 20 (Norme generali di governo e uso del territorio), modifica alla legge regionale 6 agosto 2021, n. 25 (Modifiche alla legge regionale 11 febbraio 1999, n. 11 “Disciplina delle strutture ricettive ex artt. 5, 6 e 10 della legge 17 maggio 1983, n. 217 delle attività turistiche ad uso pubblico gestite in regime di concessione e delle associazioni senza scopo di lucro” e disposizioni varie) e disposizioni in materia derivazione acque sotterranee», promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 1° febbraio 2022, depositato in cancelleria il 3 febbraio 2022, iscritto al n. 9 del registro ricorsi 2022 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 9, prima serie speciale, dell’anno 2022.

Visto l’atto di costituzione della Regione Puglia;

udita nell’udienza pubblica del 18 ottobre 2022 la Giudice relatrice Daria de Pretis;

uditi l’avvocato dello Stato Maria Letizia Guida per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Anna Bucci per la Regione Puglia;

deliberato nella camera di consiglio del 19 ottobre 2022.

Ritenuto in fatto

1.– Con ricorso iscritto al n. 9 del registro ricorsi 2022 il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato alcune disposizioni, in materia di edilizia e urbanistica, della legge della Regione Puglia 30 novembre 2021, n. 39, recante «Modifiche alla legge regionale 31 maggio 1980, n. 56 (Tutela ed uso del territorio), disposizioni in materia urbanistica, modifica alla legge regionale 27 luglio 2001, n. 20 (Norme generali di governo e uso del territorio), modifica alla legge regionale 6 agosto 2021, n. 25 (Modifiche alla legge regionale 11 febbraio 1999, n. 11 “Disciplina delle strutture ricettive ex artt. 5, 6 e 10 della legge 17 maggio 1983, n. 217 delle attività turistiche ad uso pubblico gestite in regime di concessione e delle associazioni senza scopo di lucro” e disposizioni varie) e disposizioni in materia derivazione acque sotterranee».

2.– Con il primo motivo di ricorso, il Presidente del Consiglio dei ministri censura l’art. 2 della legge reg. Puglia n. 39 del 2021, che modifica l’art. 51, primo comma, della legge della stessa Regione 31 maggio 1980, n. 56 (Tutela ed uso del territorio), aggiungendovi le lettere g-bis.), g-ter.) e g-quater.).

Il testo della disposizione contestata è il seguente:

«1. Al primo comma dell’articolo 51 della legge regionale 31 maggio 1980, n. 56 (Tutela ed uso del territorio), dopo la lettera g) sono aggiunte le seguenti:

“g-bis.) Nel rispetto delle norme di tutela paesaggistica del Piano paesaggistico territoriale regionale (PPTR) e al fine di soddisfare le esigenze produttive delle aziende agricole, è ammessa la realizzazione, in zona agricola, di nuovi fabbricati qualora gli stessi siano necessari alla conduzione del fondo e all’esercizio dell’attività agricola, ivi comprese le attività connesse a quella agricola.

g-ter.) L’esigenza della costituzione di nuovi fabbricati è consentita solo nel caso in cui quelli esistenti non abbiano alternative rispetto al riuso e/o alla trasformazione e va dimostrata attraverso la presentazione di un piano di sviluppo aziendale e/o di riconversione e/o di ammodernamento dell’attività agricola, asseverato da tecnico abilitato nel rispetto della normativa di settore.

g-quater.) I nuovi fabbricati vanno realizzati all’interno o in adiacenza ai centri aziendali, onde evitare la realizzazione di insediamenti isolati, fatta salva l’osservanza di norme di carattere paesaggistico ed ambientale nonché di carattere igienico-sanitario previste per specifici insediamenti zootecnici.”».

In sintesi, le previsioni introdotte consentono, a determinate condizioni, di realizzare nuovi fabbricati in zona agricola, qualora necessari alla conduzione del fondo e all’esercizio dell’attività agricola.

2.1.– Il ricorrente osserva che le nuove lettere g-bis.), g-ter.) e g-quater.) sono state inserite in una disposizione – come detto, l’art. 51 della legge reg. Puglia n. 56 del 1980 – la cui efficacia è limitata «sino all’entrata in vigore dei Piani territoriali», come si legge nell’incipit del primo comma e come si desume anche dalla sua rubrica. Con essa il legislatore regionale avrebbe stabilito alcune limitazioni nelle more dell’entrata in vigore dei piani territoriali, con l’intento di salvaguardare il territorio da trasformazioni incontrollate.

L’approvazione definitiva nel 2000 del Piano urbanistico territoriale tematico per il paesaggio (PUTT/P), poi sostituito nel 2015 dal Piano paesaggistico territoriale della Regione (PPTR), avrebbe determinato la definitiva cessazione dell’efficacia del citato art. 51, sicché, aggiungendo al suo primo comma le lettere g-bis.), g-ter.) e g-quater.), il legislatore regionale avrebbe utilizzato una disposizione divenuta inefficace come mero “veicolo” per introdurre una nuova disciplina delle aree agricole, al fine di consentirne la trasformazione in deroga al PPTR.

Nonostante il richiamo al «rispetto delle norme di tutela paesaggistica del Piano paesaggistico territoriale regionale (PPTR)», tale disciplina si sovrapporrebbe in modo non coerente a quella contenuta nelle norme tecniche di attuazione (NTA) del medesimo PPTR, il cui art. 83, al comma 6, estende a «tutte le zone territoriali omogenee a destinazione rurale» le specifiche misure di salvaguardia e di utilizzazione previste dallo stesso art. 83 per «i paesaggi rurali».

L’art. 2 impugnato violerebbe così innanzitutto l’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, che riserva allo Stato la competenza esclusiva in materia di «tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali», contravvenendo all’obbligo di co-pianificazione paesaggistica di cui agli artt. 135, 143 e 145 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137), che investe anche eventuali modificazioni al piano approvato. Per le medesime ragioni sarebbe altresì violato il principio di leale collaborazione.

Intervenendo irragionevolmente su una norma la cui efficacia è limitata «sino all’entrata in vigore dei Piani territoriali», la disposizione si porrebbe anche in contrasto con gli artt. 3 e 97 Cost.

3.– Con il secondo motivo di ricorso è censurato l’art. 3 della legge reg. Puglia n. 39 del 2021, il cui testo è il seguente:

«Art. 3 - Interventi in aree individuate dal PPTR.

1. Ai sensi dell’articolo 3, comma 1, lettera d), del decreto del Presidente della Repubblica del 6 giugno 2001, n. 380 (Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamenti in materia edilizia), così come interpretato con circolare del 2 dicembre 2020 dei Ministeri delle Infrastrutture, Trasporti e Pubblica Amministrazione e con parere del Consiglio superiore dei Lavori pubblici dell’8 luglio 2021, sono consentiti, previa deliberazione del Consiglio comunale, gli interventi previsti dagli articoli 3 e 4 della legge regionale 30 luglio 2009, n. 14 (Misure straordinarie e urgenti a sostegno dell’attività edilizia e per il miglioramento della qualità del patrimonio edilizio residenziale) in aree individuate dal Piano paesaggistico territoriale regionale (PPTR), approvato con deliberazione della Giunta Regionale 16 febbraio 2015, n. 176 ed elaborato attraverso co-pianificazione Stato-Regione unilateralmente inderogabile, alle condizioni che l’intervento sia conforme alle prescrizioni, indirizzi, misure di salvaguardia e direttive dello stesso PPTR e che siano acquisiti nulla osta, comunque denominati, delle amministrazioni competenti alla tutela paesaggistica».

La norma disciplina la facoltà di realizzare in aree individuate dal PPTR gli interventi edilizi straordinari di ampliamento, demolizione e ricostruzione previsti dagli artt. 3 e 4 della legge reg. Puglia n. 14 del 2009, recante il cosiddetto “Piano casa”, adottato in attuazione dell’intesa tra Stato, regioni ed enti locali sottoscritta il 1° aprile 2009.

3.1.– Il ricorrente premette che l’art. 3, comma 1, lettera d), del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, recante «Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamenti in materia edilizia (Testo A)», come novellato dall’art. 10, comma 1, lettera b), numero 2), del decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76 (Misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitale), convertito, con modificazioni, nella legge 11 settembre 2020, n. 120, ha esteso la tipologia degli interventi di demolizione e ricostruzione riconducibili alla categoria della «ristrutturazione edilizia», comprendendovi anche interventi in precedenza qualificabili come «nuova costruzione» (ai sensi della successiva lettera e), tra cui «gli interventi di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti con diversi sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche, con le innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica, per l’applicazione della normativa sull’accessibilità, per l’istallazione di impianti tecnologici e per l’efficientamento energetico», nonché, «nei soli casi espressamente previsti dalla legislazione vigente o dagli strumenti urbanistici comunali, [con] incrementi di volumetria anche per promuovere interventi di rigenerazione urbana».

La novella del 2020 avrebbe peraltro escluso da tale regime i descritti interventi edilizi se realizzati «con riferimento a immobili sottoposti a tutela ai sensi del codice dei beni culturali e del paesaggio», prevedendo nella stessa lettera d) dell’art. 3, comma 1, t.u. edilizia una specifica clausola di salvaguardia. In base ad essa rimane fermo che, con riferimento a tali immobili, «gli interventi di demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia soltanto ove siano mantenuti sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche dell’edificio preesistente e non siano previsti incrementi di volumetria».

3.1.1.– Il ricorrente riferisce che sul significato da attribuire all’espressione «con riferimento agli immobili sottoposti a tutela ai sensi del codice dei beni culturali e del paesaggio», contenuta al citato art. 3, comma 1, lettera d), ultimo periodo, t.u. edilizia, è stato posto un quesito interpretativo al Ministero della cultura (MIC), anche a seguito di una serie di circolari e pareri «non del tutto allineati tra loro» espressi «da diversi organi del Consiglio superiore dei lavori pubblici». Tra essi segnala (oltre a note difformi delle Regioni Liguria e Emilia-Romagna) la circolare del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e del Ministro della pubblica amministrazione del 2 dicembre 2020 e il parere del Consiglio superiore dei lavori pubblici dell’8 luglio 2021, richiamati nell’impugnato art. 3 della legge reg. Puglia n. 39 del 2021.

Nel citato parere il Consiglio superiore dei lavori pubblici dell’8 luglio 2021 aveva ritenuto che su «immobili il cui vincolo risiede nell’essere inseriti in aree sottoposte a vincolo paesaggistico (Parte III del Codice) – sebbene privi di riconosciuto valore storico, artistico, o architettonico intrinseco – [è] consentito intervenire anche attraverso demolizione e ricostruzione classificabili nella “ristrutturazione edilizia”, che nella definizione del D.P.R. 380/2001 comprende anche modifiche alla sagoma, al sedime, ai prospetti ed al volume preesistente». Il ricorrente sottolinea come tale parere – contraddetto da quello, di poco successivo, espresso dal medesimo Consiglio superiore dei lavori pubblici il 15 luglio 2021 – è stato disatteso dal MIC, che con la nota interpretativa del 21 settembre 2021 ha concluso nel senso che «tutti gli immobili ricadenti nelle aree paesaggisticamente tutelate sono [...] immobili tutelati, e per essi è sempre necessaria l’autorizzazione paesaggistica nel caso di realizzazione di interventi anche di lieve entità», e che gli interventi di demolizione e ricostruzione su di essi «potranno, quindi, essere qualificati come mera “ristrutturazione edilizia” invece che come “nuova costruzione” soltanto ove siano mantenuti sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche dell’edificio preesistente e non siano previsti incrementi di volumetria».

Secondo tale interpretazione, sarebbe pertanto irrilevante, ai fini dell’applicazione della clausola di salvaguardia dell’art. 3, comma 1, lettera d), ultimo periodo, t.u. edilizia, che «il regime di tutela sia stato specificamente imposto con un provvedimento amministrativo o per legge e che il medesimo regime trovi applicazione esclusivamente in relazione ad edifici aventi caratteri intrinseci di pregio architettonico oppure ad edifici, ricadenti in ambiti tutelati, che potrebbero apparire privi di pregio».

3.1.1.1.– Alla luce del descritto quadro normativo, il Presidente del Consiglio dei ministri lamenta che il legislatore regionale – richiamando nella disposizione impugnata la soluzione interpretativa esposta nel citato parere del Consiglio dei lavori pubblici dell’8 luglio 2021, non coerente con gli ordinari canoni ermeneutici e comunque difforme rispetto alla norma statale – ha ampliato la categoria degli interventi di ristrutturazione edilizia prevista dall’art. 3, comma 1, lettera d), t.u. edilizia, includendovi quelli di demolizione e ricostruzione in aree vincolate con modifiche di sagoma, sedime, prospetti e aumenti di volume, che si dovrebbero invece considerare come interventi di «nuova costruzione», ai sensi della lettera e) dello stesso art. 3, comma 1.

Scopo della norma regionale sarebbe di attrarre tali interventi modificativi – diversamente da quanto stabilisce la legge statale – nelle ristrutturazioni edilizie, così da non incorrere nel divieto di nuove costruzioni previsto dagli artt. 45, 62, 63, 64, 65 e 66 delle NTA del PPTR in diverse aree vincolate, come i territori costieri e quelli contermini ai laghi, i boschi e le relative aree di rispetto, le aree umide, i prati e pascoli naturali nonché le formazioni arbustive.

L’art. 3 della legge reg. Puglia n. 39 del 2021 violerebbe così l’art. 117, commi secondo, lettera s), e terzo, Cost., per contrasto con l’art. 3, comma 1, lettera d), t.u. edilizia, espressione sia della competenza esclusiva dello Stato in materia di «tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali», in quanto diretta a tutelare il paesaggio, sia di un principio fondamentale in materia di «governo del territorio», quale è la definizione delle categorie di interventi edilizi.

Sarebbero inoltre violati gli artt. 3 e 97 Cost., per irragionevolezza del richiamo a un parere del Consiglio superiore dei lavori pubblici in seguito «smentito» dallo stesso organo con la (di poco successiva) nota del 15 luglio 2021.

3.1.2.– In secondo luogo, l’art. 3 impugnato riprodurrebbe, in sostanza, la norma contenuta nell’art. 6, comma 2, lettera c-bis, della legge reg. Puglia n. 14 del 2009, abrogato a opera dell’art. 1, comma 1, della legge della Regione Puglia 24 marzo 2021, n. 3, recante «Modifica all’articolo 6 della legge regionale 30 luglio 2009, n. 14 (Misure straordinarie e urgenti a sostegno dell’attività edilizia e per il miglioramento della qualità del patrimonio edilizio residenziale) e disposizioni in materia di prezzario regionale delle opere pubbliche», a seguito di un impegno assunto dalla Regione dopo un’interlocuzione con il Governo, risultando «pleonastica» la clausola della necessaria conformità degli interventi straordinari previsti dal “Piano casa” a prescrizioni, indirizzi, misure di salvaguardia e direttive del PPTR, a fronte dello scopo perseguito, di consentire nuove costruzioni nonostante i divieti dello stesso PPTR.

In conclusione, ne risulterebbero violati ancora l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., per contrasto con gli artt. 135, 143 e 145 cod. beni culturali, e il principio di leale collaborazione, nonché l’art. 9 Cost., in quanto la disposizione impugnata abbasserebbe i livelli di tutela del paesaggio, e di nuovo gli artt. 3 e 97 Cost., per l’irragionevolezza della scelta di consentire interventi in deroga alle previsioni del PPTR, imponendone al contempo il rispetto.

4.– Con il terzo motivo di ricorso, il Presidente del Consiglio dei ministri censura l’art. 4 della legge reg. Puglia n. 39 del 2021, il cui testo è il seguente:

«Art. 4 - Ampliamento delle attività produttive.

1. L’ampliamento delle attività produttive di cui all’articolo 8 del decreto del Presidente della Repubblica del 7 settembre 2010, n. 160 (Regolamento per la semplificazione e il riordino della disciplina sullo sportello unico per le attività produttive, ai sensi dell’articolo 38, comma 3, del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008) e alla deliberazione della Giunta regionale 11 dicembre 2018, n. 2332, non è soggetto a limitazioni di superficie coperta e di volume.

2. Gli ampliamenti fino al 20 per cento delle attività produttive di cui al comma 1, non costituiscono variante urbanistica e sono rilasciati secondo le disposizioni di cui all’articolo 3, lettera e) e all’articolo 20, del d.p.r. 380/2001».

4.1.– Il comma 1 della disposizione impugnata rinvia dunque all’art. 8 del d.P.R. 7 settembre 2010, n. 160 (Regolamento per la semplificazione e il riordino della disciplina sullo sportello unico per le attività produttive, ai sensi dell’articolo 38, comma 3, del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008. n. 133), che disciplina i «[r]accordi procedimentali» con gli strumenti urbanistici dei progetti di insediamento di attività produttive, subordinando all’esito di una conferenza di servizi, convocata dal responsabile dello Sportello unico per le attività produttive (SUAP), la variazione dello strumento urbanistico comunale, qualora esso «non individu[i] aree» o «individu[i] aree insufficienti» per l’insediamento di dette attività. L’attuazione nella Regione della citata normativa sullo sportello unico per le attività produttive è stata operata con la deliberazione della Giunta regionale dell’11 dicembre 2018, n. 2332 (Atto di indirizzo e coordinamento per l’applicazione dell’art. 8 del D.P.R. n. 160/2010 “Regolamento per la semplificazione ed il riordino della disciplina sullo sportello unico per le attività produttive”. Modifiche e integrazioni alla d.G.R. 22 novembre 2011, n. 2581), anch’essa richiamata nel comma 1 dell’art. 4 impugnato.

Consentendo l’ampliamento delle attività produttive senza limitazioni di superficie coperta e di volume, sulla base di una procedura semplificata per conferenza di servizi, la disposizione in esame si porrebbe innanzitutto in contrasto con l’art. 117, terzo comma, Cost. Essa violerebbe i principi fondamentali in materia di «governo del territorio» contenuti nel decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444 (Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell’art. 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765), che fissa non solo i rapporti massimi tra gli spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e gli spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggio (artt. 3 e 5), ma anche i limiti inderogabili di densità edilizia (art. 7), di altezza degli edifici (art. 8) e di distanza dei fabbricati (art. 9) da osservare per le diverse zone territoriali omogenee.

4.2.– Il comma 2 dello stesso art. 4 in esame prevede poi che «gli ampliamenti fino al 20 per cento delle attività produttive di cui al comma 1» non siano assoggettati al procedimento di approvazione delle varianti urbanistiche e siano «rilasciati» applicando le norme sul «[p]rocedimento per il rilascio del permesso di costruire», disciplinato dall’art. 20 t.u. edilizia, alla stregua degli «interventi di nuova costruzione», come definiti dall’art. 3, comma 1, lettera e), dello stesso testo unico.

Sarebbe violato l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in relazione all’art. 145, comma 5, cod. beni culturali, in quanto, prevedendo procedure semplificate per l’approvazione delle varianti, o escludendo determinate modificazioni dalla categoria delle varianti, sottrarrebbe gli ampliamenti delle attività produttive alla procedura disciplinata dall’art. 97 delle NTA del PPTR, di adeguamento degli strumenti urbanistici e delle loro varianti alla pianificazione paesaggistica, che richiede la partecipazione del MIC.

5.– Con il quarto motivo di ricorso è censurato l’art. 5 della legge reg. Puglia n. 39 del 2021, che integra l’art. 12 della legge della Regione Puglia 7 luglio 2001, n. 20 (Norme generali di governo e uso del territorio), aggiungendo al suo comma 3, dopo la lettera e-bis.), la lettera e-ter.), che prevede un «incremento dell’indice di fabbricabilità fondiaria fino a 0,1 mc/mq, per gli interventi di cui all’articolo 51 della L.R. n. 56/1980».

Il citato comma 3 dell’art. 12 disciplina le ipotesi in cui «[l]a deliberazione motivata del Consiglio comunale che apporta variazioni agli strumenti urbanistici generali vigenti non è soggetta ad approvazione regionale di cui alla legge regionale 31 maggio 1980, n. 56 (Tutela ed uso del territorio), o a verifica di compatibilità regionale, provinciale, metropolitana di cui alla presente legge».

La nuova lettera e-ter.) riguarda espressamente gli «interventi» previsti dall’art. 51 della legge reg. Puglia n. 56 del 1980, norma incisa dall’art. 2 della legge reg. Puglia n. 39 del 2021, impugnato con il primo motivo di ricorso.

5.1.– Secondo il ricorrente, la disposizione, per la sua genericità, si potrebbe riferire a interventi da realizzare, oltre che nelle zone agricole secondo quanto previsto alle nuove lettere g-bis.), g-ter.) e g-quater.) del primo comma dell’art. 51 (introdotte, come visto, per consentire nuovi fabbricati necessari all’esercizio dell’attività agricola), anche nelle aree boschive e nelle fasce di rispetto dalle acque, dove l’edificazione è stata dapprima vietata o consentita in modo limitato dallo stesso art. 51, e successivamente sottoposta dal PPTR a specifiche prescrizioni e condizioni.

L’incremento dell’indice di fabbricabilità fondiaria (fino a 0,1 mc/mq) comporterebbe, per un verso, una deroga unilaterale alla disciplina del PPTR, necessariamente da condividere con lo Stato, come prescritto dagli artt. 135, 143 e 145 cod. beni culturali, e violerebbe pertanto l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.

Per altro verso, lo stesso incremento «indiscriminato» dell’indice di fabbricabilità delle zone omogenee di tipo E (ovvero le zone agricole) contrasterebbe con i parametri di densità edilizia di cui al d.m. n. 1444 del 1968, e in particolare con l’indice massimo e inderogabile di 0,03 mc/mq fissato per tali zone, ove ne sia consentita l’edificazione. Sarebbe così violato il principio fondamentale di «governo del territorio» contenuto all’art. 41-quinquies, ottavo comma, della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (Legge urbanistica), e dunque dell’art. 117, terzo comma, Cost.

6.– Con atto depositato il 9 marzo 2022 si è costituita in giudizio la Regione Puglia, che ha concluso per l’inammissibilità e comunque per la non fondatezza delle questioni.

6.1.– Quanto all’art. 2 della legge reg. Puglia n. 39 del 2021, la Regione ha eccepito preliminarmente l’inammissibilità delle questioni per difetto di specifica motivazione e inconferenza dei parametri invocati. Non sarebbero indicati i termini concreti in cui la disposizione impugnata avrebbe violato i parametri costituzionali invocati né le norme richiamate a parametro interposto, né sarebbe chiarito in cosa consiste il vulnus arrecato alle aree a destinazione agricola e ai paesaggi rurali.

6.1.1.– Nel merito, le questioni sarebbero in ogni caso non fondate dal momento che il ricorrente partirebbe «da un equivoco e da un errore di prospettiva».

L’art. 2 conterrebbe disposizioni di esclusiva natura urbanistica, operanti su un piano diverso dalle NTA del PPTR, in quanto destinate a integrare solo la disciplina urbanistica degli strumenti comunali, «lì dove carente se non proprio assente con riferimento alle zone agricole». Molti comuni pugliesi sarebbero ancora dotati di strumenti urbanistici «di vecchia generazione (Piani Regolatori Generali o, addirittura, Programmi di Fabbricazione), non [...] adeguati alla nuova normativa urbanistica» succeduta alla legge reg. Puglia n. 56 del 1980 e recanti una disciplina delle zone agricole «assai scarsa e lacunosa». Per essi, l’art. 51 della legge reg. Puglia n. 56 del 1980 conserverebbe tuttora efficacia.

Lungi dal rappresentare un “veicolo” per inserire nell’ordinamento una disciplina non coerente con quella contenuta nelle NTA del PPTR, l’art. 2 impugnato introdurrebbe alcuni presupposti per l’edificazione di nuovi fabbricati in zona agricola, senza derogare alle norme di tutela paesaggistica del PPTR, il cui rispetto è espressamente richiamato per ben due volte nel testo della disposizione.

6.2.– Quanto all’art. 3 della legge reg. Puglia n. 39 del 2021, la Regione ripropone in via preliminare la medesima eccezione di inammissibilità per genericità delle censure.

6.2.1.– Nel merito, la disposizione impugnata non avrebbe di mira l’ampliamento della categoria delle demolizioni e ricostruzioni consentite in aree vincolate.

Nel rispetto della competenza statale in materia di qualificazione degli interventi edilizi, il legislatore regionale si sarebbe limitato a operare un rinvio di tipo “dinamico” all’art. 3, comma 1, lettera d), t.u. edilizia e alle circolari ministeriali interpretative, senza distinguere tra edifici oggetto di vincoli specifici e edifici situati in ambiti vincolati, dovendo entrambi essere considerati immobili vincolati e sottoposti a tutela.

L’espressa previsione dell’obbligo di rendere gli interventi del “Piano casa” conformi «alle prescrizioni, indirizzi, misure di salvaguardia e direttive dello stesso PPTR» e di acquisire i «nulla osta, comunque denominati, delle amministrazioni competenti alla tutela paesaggistica», manterrebbe l’ambito di applicazione dell’art. 3 entro i limiti del rispetto della normativa paesaggistica sovraordinata.

Sarebbe significativo in particolare il riferimento operato dal ricorrente all’art. 6, comma 2, lettera c-bis), della legge reg. Puglia n. 14 del 2009 e alla sua abrogazione, in quanto la differenza, nelle rispettive clausole di richiamo al PPTR, tra il citato art. 6, comma 2, lettera c-bis) e l’art. 3 impugnato escluderebbe che quest’ultimo abbia reintrodotto una norma analoga a quella contenuta nel primo.

Non sarebbero violate, pertanto, né «le normative di principio», né l’art. 9 Cost. e neppure gli artt. 3 e 97 Cost. Parametro, quest’ultimo, inconferente in un’ipotesi di esercizio della funzione legislativa e non di un’attività amministrativa.

6.3.– Anche sull’impugnazione dell’art. 4 della legge reg. Puglia n. 39 del 2021, la Regione reitera in via preliminare la già indicata eccezione di inammissibilità.

6.3.1.– Nel merito, la non fondatezza delle questioni deriverebbe ancora una volta «da un errore di prospettiva e da un equivoco di fondo». Il legislatore regionale non avrebbe inteso derogare alle prescrizioni del d.m. n. 1444 del 1968, giacché la disposizione regola un procedimento derogatorio e speciale, com’è quello previsto dall’art. 8 del d.P.R. n. 160 del 2010.

Nemmeno avrebbe inteso sottrarre gli insediamenti in esame a ogni valutazione urbanistica, ambientale e paesaggistica. La norma avrebbe il solo scopo di chiarire che per «ampliamento dell’attività produttiva» si deve intendere ogni incremento percentuale di volumi e di superfici coperte. Proprio al fine di scongiurare il rischio di letture equivoche, la Regione avrebbe adottato un nuovo testo della disposizione approvando l’art. 10, comma 1, della legge della Regione Puglia 4 marzo 2022, n. 3, recante «Modifiche alla legge regionale 6 agosto 2021, n. 29 (Disciplina dell’enoturismo), modifiche alla legge regionale 20 dicembre 2017, n. 59 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma, per la tutela e la programmazione delle risorse faunistico-ambientali e per il prelievo venatorio) e modifica alla legge regionale 30 novembre 2021, n. 39 (Modifiche alla legge regionale 31 maggio 1980, n. 56 (Tutela ed uso del territorio), disposizioni in materia urbanistica, modifica alla legge regionale 27 luglio 2001, n. 20 (Norme generali di governo e uso del territorio), modifica alla legge regionale 6 agosto 2021, n. 25 (Modifiche alla legge regionale 11 febbraio 1999, n. 11 - Disciplina delle strutture ricettive ex artt. 5, 6 e 10 della legge 17 maggio 1983, n. 217 delle attività turistiche ad uso pubblico gestite in regime di concessione e delle associazioni senza scopo di lucro” e disposizioni varie) e disposizioni in materia di derivazione acque sotterranee».

6.3.1.1.– Quanto al comma 2 dell’art. 4, per la difesa regionale gli ampliamenti sino al venti per cento, ove incidenti su aree sottoposte a vincolo, non sarebbero sottratti al vaglio degli organi ministeriali preposti alla tutela, da effettuare necessariamente nell’ambito del procedimento di rilascio del titolo edilizio abilitativo.

6.4.– Quanto all’art. 5 della legge reg. Puglia n. 39 del 2021, è nuovamente eccepita l’inammissibilità delle questioni, per motivi analoghi a quelli già dedotti.

6.4.1.– Nel merito, la Regione osserva preliminarmente che l’art. 54, comma 1, lettera s), della legge della Regione Puglia 30 dicembre 2021, n. 51 (Disposizioni per la formazione del bilancio di previsione 2022 e bilancio pluriennale 2022-2024 della Regione Puglia - Legge di stabilità regionale 2022) ha integralmente sostituito la lettera e-ter.) dell’art. 12, comma 3, della legge reg. Puglia n. 20 del 2001, inserita dalla disposizione impugnata, con la seguente: «e-ter) incremento dell’indice di fabbricabilità fondiaria fino 0,1 mc/mq per la realizzazione, in zona agricola, di nuovi fabbricati qualora gli stessi siano strumentali alla conduzione del fondo o all’esercizio dell’attività agricola e delle attività a questa connesse».

La nuova norma avrebbe delimitato l’ambito di applicazione della precedente, superando quindi i dubbi di equivocità e incertezza paventati dal ricorrente.

Con riguardo alla lamentata violazione dei limiti inderogabili di cui all’art. 41-quinquies, ottavo comma, della legge urbanistica e al d.m. n. 1444 del 1968, secondo la Regione il previsto incremento non sarebbe applicabile agli edifici residenziali in zona agricola, per i quali l’art. 7, numero 4), del citato decreto ministeriale prevede la massima densità fondiaria di mc 0,03 mc/mq, ma esclusivamente agli edifici strumentali alla conduzione del fondo e all’esercizio delle attività agricole e connesse.

Per altro verso, l’art. 5 in esame non introdurrebbe un generalizzato incremento dell’indice fondiario, ma una mera semplificazione procedimentale, diretta a ricondurre le relative varianti urbanistiche alla competenza comunale, esentandole dal controllo di compatibilità regionale e provinciale. Resterebbe nondimeno ferma l’applicazione della normativa di tutela paesaggistica.

7.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato il 6 settembre 2022 una memoria, in cui ha replicato alle difese della Regione e insistito per l’accoglimento delle questioni, respingendo innanzitutto le eccezioni di inammissibilità sollevate in riferimento a tutti i motivi di ricorso, sostenendo che sono stati compiutamente evidenziati i termini delle prospettate questioni di legittimità costituzionale.

7.1.– Nel merito dell’impugnazione dell’art. 2, le considerazioni sulla parziale attuazione degli strumenti comunali di pianificazione urbanistica sarebbero irrilevanti, non provate e comunque contraddette dall’evidente cessazione di efficacia dell’art. 51 della legge reg. Puglia n. 56 del 1980, come modificato dall’art. 2 in esame, a seguito dell’entrata in vigore del PUTT/P, nel 2000, sostituito dal PPTR nel 2015.

Sarebbe in ogni caso lesa la competenza legislativa dello Stato nella materia «governo del territorio», di cui all’art. 117, terzo comma, Cost. Il citato art. 2 contrasterebbe, infatti, con i principi fondamentali espressi dall’art. 9 t.u. edilizia, che disciplina la «[a]ttività edilizia in assenza di pianificazione urbanistica», individuando gli interventi consentiti nei comuni sprovvisti di strumenti edilizi (al comma 1) e nelle aree in cui non siano stati approvati gli strumenti urbanistici attuativi previsti da quelli generali come presupposto per l’edificazione (al comma 2).

7.2.– Quanto all’art. 3, la sua illegittimità costituzionale deriverebbe dall’avere fornito un’errata interpretazione riduttiva (superata da altri pareri e circolari ministeriali) della clausola di salvaguardia di cui all’art. 3, comma 1, lettera d), t.u. edilizia, in violazione della competenza legislativa statale in materia, peraltro pacificamente riconosciuta dalla stessa Regione.

7.3.– Quanto all’art. 4, l’affermazione secondo cui il legislatore regionale non avrebbe inteso derogare all’invocata disciplina statale sarebbe apodittica. Inoltre, la modifica normativa operata dall’art. 10, comma 1, della legge reg. Puglia n. 3 del 2022, non sarebbe idonea a superare il rilevato vulnus costituzionale e presenterebbe a sua volta ulteriori profili di illegittimità costituzionale, dedotti con il distinto ricorso iscritto al n. 30 reg. ric. 2022.

7.4.– Quanto all’art. 5, la difesa erariale ribadisce le ragioni di impugnazione già esposte.

8.– Nel giudizio è stata depositata il 22 marzo 2022 un’opinione scritta di Italia Nostra Onlus, quale amicus curiae, ammessa dal Presidente della Corte con decreto del 6 luglio 2022. L’opinione aderisce alla posizione del ricorrente, di cui ripropone in sostanza le ragioni, richiamando diffusamente la giurisprudenza costituzionale in materia.

9.– Anche la Regione Puglia ha depositato una memoria in prossimità dell’udienza, in cui ha insistito nelle rassegnate conclusioni.

9.1.– Sull’art. 2, la Regione osserva che l’incipit dell’art. 51 della legge reg. Puglia n. 56 del 1980, come modificato dalla disposizione impugnata, andrebbe interpretato semplicemente nel senso che le limitazioni insediative in esso previste non sarebbero più applicabili una volta entrate in vigore le norme regolatrici prevalenti contenute nei predetti piani. Le lettere g-bis.), g-ter.) e g-quater.), aggiunte dall’art. 2, non introdurrebbero norme di natura transitoria, «bensì duratura e indeterminata», e sarebbero «dotat[e] di autonoma rilevanza, validità ed efficacia», pur nel rispetto della disciplina paesaggistica.

La censura sostenuta dal Presidente del Consiglio dei ministri nella memoria illustrativa, in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost., sarebbe inammissibile, costituendo un tentativo di ampliare illegittimamente il thema decidendum, con il richiamo fra l’altro di una norma interposta (l’art. 9 t.u. edilizia) non indicata nella delibera di autorizzazione all’impugnazione.

9.2.– Sull’art. 3, la Regione cita la recente sentenza di questa Corte n. 192 del 2022, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 6, comma 2, lettera c-bis), della legge reg. Puglia n. 14 del 2009, nel testo in vigore anteriormente alla sua abrogazione, «nella parte in cui non prevede che gli interventi edilizi disciplinati dalla stessa legge regionale debbano essere realizzati anche nel rispetto delle specifiche prescrizioni del PPTR». Dalla pronuncia si desumerebbe che, se la legge regionale prevede invece il rispetto delle prescrizioni del PPTR, come è nel caso in esame, non vi sarebbe vulnus né ai principi costituzionali di co-pianificazione e di leale collaborazione, ne´ alle altre norme costituzionali invocate dal ricorrente.

9.3.– Sugli artt. 4 e 5 sono richiamate le difese svolte in precedenza.

9.4.– Quanto all’opinione scritta dell’amicus curiae, nella menzionata memoria illustrativa, la Regione Puglia osserva che il ricorrente avrebbe censurato le disposizioni della legge reg. Puglia n. 39 del 2021 non perché, come si sostiene nell’opinione scritta, esse consentono di realizzare in zona agricola fabbricati necessari alla conduzione del fondo e all’esercizio dell’attività agricola, bensì perché favorirebbero il proliferare degli insediamenti abitativi. Di conseguenza, le relative deduzioni dell’amicus curiae dovrebbero essere «stralciate dagli atti di causa» e comunque non utilizzate al fine del decidere.

Considerato in diritto

1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe, ha impugnato alcune disposizioni in materia di edilizia e urbanistica della legge reg. Puglia n. 39 del 2021.

1.1.– Con il primo motivo di ricorso è censurato l’art. 2 della legge regionale impugnata, che modifica l’art. 51, primo comma, della legge reg. Puglia n. 56 del 1980, aggiungendovi le lettere g-bis.), g-ter.) e g-quater.).

Le previsioni così introdotte consentono, a determinate condizioni, di realizzare nuovi fabbricati in zona agricola, qualora siano necessari alla conduzione del fondo e all’esercizio dell’attività agricola.

1.1.1.– Secondo il ricorrente, l’art. 51 della legge reg. Puglia n. 56 del 1980 avrebbe una funzione di salvaguardia del territorio «sino all’entrata in vigore dei Piani territoriali» (come si legge nell’incipit del primo comma), al fine di evitare trasformazioni incontrollate in attesa della pianificazione. L’approvazione nel 2000 del Piano urbanistico territoriale tematico per il paesaggio (PUTT/P), poi sostituito nel 2015 dal Piano paesaggistico territoriale (PPTR), avrebbe fatto cessare definitivamente l’efficacia dello stesso art. 51. Aggiungendo ora al suo primo comma le lettere g-bis.), g-ter.) e g-quater.), il legislatore regionale avrebbe utilizzato una disposizione divenuta inefficace come mero “veicolo” per introdurre una nuova disciplina delle aree agricole, al fine di consentirne la trasformazione in deroga al PPTR.

Nonostante il richiamo al «rispetto delle norme di tutela paesaggistica» del PPTR, tale disciplina si sovrapporrebbe in modo non coerente a quella contenuta nelle norme tecniche di attuazione (NTA) dello stesso PPTR – in particolare nell’art. 83, al comma 6 –, che estendono a «tutte le zone territoriali omogenee a destinazione rurale» le specifiche misure di salvaguardia e di utilizzazione previste dallo stesso art. 83 per «i paesaggi rurali».

L’art. 2 impugnato violerebbe così innanzitutto l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., che riserva allo Stato la competenza legislativa in materia di «tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali», contravvenendo all’obbligo di copianificazione paesaggistica di cui agli artt. 135, 143 e 145 cod. beni culturali, che investe anche eventuali modificazioni al piano approvato. Per le medesime ragioni sarebbe altresì violato il principio di leale collaborazione.

Intervenendo irragionevolmente su una norma la cui efficacia è limitata «sino all’entrata in vigore dei Piani territoriali», la disposizione si porrebbe anche in contrasto con gli artt. 3 e 97 Cost.

Nella memoria depositata in prossimità dell’udienza il ricorrente sostiene inoltre che sarebbe lesa anche la competenza concorrente dello Stato nella materia «governo del territorio», di cui all’art. 117, terzo comma, Cost. Il citato art. 2 contrasterebbe infatti con i principi fondamentali espressi dall’art. 9 t.u. edilizia, che disciplina la «[a]ttività edilizia in assenza di pianificazione urbanistica», individuando gli interventi consentiti nei comuni sprovvisti di strumenti edilizi (al comma 1) e nelle aree in cui non siano stati approvati gli strumenti urbanistici attuativi previsti da quelli generali come presupposto per l’edificazione (al comma 2).

1.2.– La Regione Puglia ha eccepito in via preliminare l’inammissibilità delle questioni per difetto di motivazione, in quanto non sarebbero indicati i termini concreti della lamentata violazione dei parametri costituzionali invocati né le norme richiamate a parametro interposto, né sarebbe chiarito in cosa consiste il vulnus arrecato alle aree a destinazione agricola e ai paesaggi rurali.

1.2.1.– L’eccezione non è fondata per quanto riguarda i parametri diversi dall’art. 97 Cost.

In linea con la costante giurisprudenza di questa Corte sull’onere di motivazione nei giudizi in via principale (ex plurimis, sentenze n. 135, n. 119 e n. 5 del 2022, n. 201, n. 52 e n. 29 del 2021), il ricorrente ha chiaramente e adeguatamente esposto le ragioni poste a fondamento della lamentata violazione dei parametri invocati, che individua nella deroga unilaterale introdotta dal legislatore regionale al piano paesaggistico (segnatamente all’art. 83 delle NTA del PPTR, che prevede le misure di salvaguardia e di utilizzazione dei paesaggi rurali). In ciò consisterebbero sia la lesione della competenza esclusiva statale in materia di tutela dell’ambiente (ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera s, Cost.), per contrasto con le norme del codice dei beni culturali e del paesaggio che disciplinano la pianificazione paesaggistica (artt. 135, 143 e 145), sia il vulnus al principio di leale collaborazione, in relazione all’obbligo di copianificazione.

Quanto all’effettiva sussistenza della lamentata deroga unilaterale (o, come deduce la difesa regionale, alla «inconferenza dei parametri interposti»), il relativo esame appartiene al merito e non all’ammissibilità delle questioni.

Anche la censura di irragionevolezza e conseguente violazione dell’art. 3 Cost. risulta sufficientemente motivata con la considerazione che la disposizione impugnata sarebbe introdotta in una disposizione ormai priva di efficacia.

1.2.2.– Non si può giungere alla stessa conclusione di non fondatezza dell’eccezione di difetto di motivazione per quanto riguarda la lamentata violazione dell’art. 97 Cost. Non solo, infatti, non si precisa quale sarebbe il principio violato, tra quelli contenuti nel citato art. 97, ma, anche ipotizzando che sia richiamato implicitamente il principio di buon andamento della pubblica amministrazione, di cui al secondo comma, manca del tutto nel ricorso l’esposizione di motivi del vulnus costituzionale che non si esauriscano nella già dedotta irragionevolezza.

Tale questione deve dunque essere dichiarata inammissibile.

1.2.3.– Ugualmente inammissibile, in quanto proposta per la prima volta nella memoria depositata in prossimità dell’udienza, oltre che riferita a un parametro non compreso nella delibera del Consiglio dei ministri di promovimento del ricorso, è la questione promossa in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost., in relazione all’art. 9 t.u. edilizia. Secondo la costante giurisprudenza costituzionale, nelle memorie difensive è possibile prospettare soltanto argomenti a sostegno delle questioni sollevate nel ricorso, non anche svolgere deduzioni dirette ad ampliare il thema decidendum (ex plurimis, sentenze n. 119 del 2022, n. 261 e n. 154 del 2017); inoltre, nei giudizi in via principale deve sussistere una piena e necessaria corrispondenza tra la deliberazione con cui l’organo legittimato si determina all’impugnazione ed il contenuto del ricorso, attesa la natura politica dell’atto d’impugnazione (ex plurimis, sentenze n. 166 e n. 129 del 2021, n. 83 del 2018).

1.3.– Nel merito, le questioni non sono fondate.

1.3.1.– Si esamina in primo luogo, per la sua pregiudizialità logico-giuridica, la censura di violazione della competenza esclusiva dello Stato in materia ambientale e paesaggistica (art. 117, secondo comma, lettera s, Cost.), cui si accompagna la lamentata violazione del principio di leale collaborazione.

La possibilità di realizzare, «in zona agricola, [...] nuovi fabbricati qualora gli stessi siano necessari alla conduzione del fondo e all’esercizio dell’attività agricola, ivi comprese le attività connesse a quella agricola», è consentita dalla lettera g-bis.) del primo comma dell’art. 51 della legge reg. Puglia n. 56 del 1980, aggiunta dall’art. 2 della legge reg. Puglia n. 39 del 2021, «[n]el rispetto delle norme di tutela paesaggistica del Piano paesaggistico territoriale regionale (PPTR)», oltre che delle ulteriori condizioni indicate nelle successive lettere g-ter.) e g-quater.).

Inoltre, la lettera g-quater.), nel prescrivere che i nuovi fabbricati debbano essere realizzati «all’interno o in adiacenza ai centri aziendali, onde evitare la realizzazione di insediamenti isolati», fa comunque «salva l’osservanza di norme di carattere paesaggistico ed ambientale».

La presenza delle clausole citate esclude che la disposizione impugnata deroghi unilateralmente alle previsioni di tutela delle aree agricole contenute nel PPTR.

È poi generico e indimostrato l’assunto del ricorrente secondo cui la nuova disciplina «si sovrappone in modo non coerente a quella contenuta nelle NTA del PPTR». L’art. 83 delle NTA del PPTR, invocato nel ricorso quale previsione di tutela paesaggistica derogata dalle disposizioni censurate, disciplina le «[m]isure di salvaguardia ed utilizzazione per i paesaggi rurali», ma non prevede un divieto assoluto e generalizzato di nuovi fabbricati nelle zone agricole. L’assenza di un divieto esplicito, del resto, si desume anche dal comma 2, lettera a2), dello stesso art. 83, alla cui stregua «si considerano non ammissibili [...] i piani, progetti e interventi [...] che comportano», tra l’altro, «ristrutturazione edilizia e nuova edificazione che non garantiscano il corretto inserimento paesaggistico, il rispetto delle tipologie edilizie e dei paesaggi agrari tradizionali, nonché gli equilibri ecosistemico-ambientali». Dalla previsione è consentito desumere, a contrario, che nuovi fabbricati possono essere realizzati, sulla base di piani, progetti o interventi che presentino i prescritti requisiti.

L’art. 2 della legge reg. Puglia n. 39 del 2021 non deroga dunque alle prescrizioni del PPTR a tutela dei paesaggi rurali, ma si limita a consentire nuove costruzioni destinate alla produzione agricola che siano compatibili con dette prescrizioni, cui espressamente lo stesso art. 2 rinvia. Né indicazioni di segno contrario possono essere desunte dal comma 6 dell’art. 83 delle NTA, che semplicemente estende l’applicabilità delle prescrizioni paesaggistiche contenute nei precedenti commi dello stesso art. 83 a «tutte le zone territoriali omogenee a destinazione rurale».

In definitiva, l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. non è violato, giacché la disciplina regionale impugnata non pregiudica l’unitarietà e la vincolatività della pianificazione paesaggistica né, tanto meno, mette a repentaglio l’obbligatorietà dell’elaborazione congiunta del piano paesaggistico e delle sue modifiche. Per le medesime ragioni, non è leso il principio di leale collaborazione.

1.3.2.– Non sussiste nemmeno il lamentato contrasto con l’art. 3 Cost. per la pretesa irragionevolezza dell’inserimento della novella in una disposizione ritenuta non più efficace.

Per quanto la tecnica legislativa utilizzata dalla Regione per introdurre la disposizione oggetto di censura – aggiungendo le lettere g-bis.), g-ter.) e g-quater.) all’elenco delle «previsioni insediative fino all’entrata in vigore dei Piani territoriali» – si presenti discutibile, essa non sembra trasmodare in irragionevolezza tale da inficiarne la legittimità costituzionale.

Ferma restando ogni valutazione nel merito della scelta sostanziale operata, la collocazione della nuova disciplina nel tessuto normativo preesistente rientra nella facoltà di scelta del legislatore regionale, il quale non incontra altri limiti, nell’individuazione del testo sul quale intervenire con modifiche innovative, che non sia quello della manifesta irragionevolezza, ciò che qui non ricorre.

Il contesto nel quale si innesta la nuova disciplina è infatti pur sempre pertinente, dal momento che, sia la norma preesistente, sia il frammento normativo inserito, riguardano il tema dei limiti all’edificazione in determinate aree del territorio regionale. Né, d’altro canto, si può sostenere, come fa l’Avvocatura, che l’art. 51 della legge reg. Puglia n. 56 del 1980, nel quale è inserita la novella, non operi più, essendosi verificata la condizione alla quale è subordinata l’applicabilità delle sue previsioni. La norma stessa infatti continua ad essere vigente e idonea a produrre, ove ricorrano le condizioni per la sua concreta applicazione, i suoi effetti (ciò che accadrebbe per esempio se la vigenza del piano territoriale venisse meno, per qualsiasi motivo), allo stesso modo con cui sono dunque destinate a produrli le modifiche apportate con la disposizione qui in esame, che non è evidentemente soggetta alla stessa condizione.

2.– Con il secondo motivo di ricorso è censurato l’art. 3 della legge reg. Puglia n. 39 del 2021.

La norma disciplina la facoltà di realizzare in aree individuate dal PPTR, previa deliberazione del Consiglio comunale, gli interventi edilizi straordinari di ampliamento, demolizione e ricostruzione previsti dagli artt. 3 e 4 della legge reg. Puglia n. 14 del 2009, recante il cosiddetto “Piano casa”, adottato in attuazione dell’intesa tra Stato, regioni ed enti locali sottoscritta il 1° aprile 2009 e finalizzata al rilancio dell’economia mediante il sostegno all’attività edilizia e al miglioramento della qualità architettonica, energetica e ambientale del patrimonio edilizio esistente.

Tali interventi, precisa la stessa disposizione, sono consentiti «[a]i sensi dell’articolo 3, comma 1, lettera d), del decreto del Presidente della Repubblica del 6 giugno 2001, n. 380 [...], così come interpretato con circolare del 2 dicembre 2020 dei Ministeri delle Infrastrutture, Trasporti e Pubblica Amministrazione e con parere del Consiglio superiore dei Lavori pubblici dell’8 luglio 2021», e «alle condizioni che l’intervento sia conforme alle prescrizioni, indirizzi, misure di salvaguardia e direttive dello stesso PPTR e che siano acquisiti nulla osta, comunque denominati, delle amministrazioni competenti alla tutela paesaggistica».

2.1.– Un primo profilo di censura si incentra sulla parte della norma impugnata che qualifica gli interventi del “Piano casa” realizzabili in aree comprese nel PPTR come ristrutturazioni edilizie ai sensi dell’art. 3, comma 1, lettera d), t.u. edilizia, nell’interpretazione che di quest’ultima disposizione ha proposto il Consiglio superiore dei lavori pubblici nel parere espressamente richiamato dal legislatore regionale.

Va premesso che l’art. 3, comma 1, lettera d), t.u. edilizia – come novellato dall’art. 10, comma 1, lettera b), numero 2), del d.l. n. 76 del 2020, come convertito – ha esteso la tipologia degli interventi di demolizione e ricostruzione riconducibili alla categoria della «ristrutturazione edilizia», ricomprendendovi anche interventi in precedenza qualificati come «nuova costruzione» ai sensi della successiva lettera e), quali la «demolizione e ricostruzione di edifici esistenti con diversi sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche».

La citata novella del 2020 riserva, tuttavia, un regime particolare ai descritti interventi qualora realizzati – per quello che qui rileva – «con riferimento a immobili sottoposti a tutela ai sensi del codice dei beni culturali e del paesaggio». Per questi ultimi, in base a una specifica clausola di salvaguardia contenuta nella stessa lettera d), ultimo periodo, «[r]imane fermo che [...] gli interventi di demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia soltanto ove siano mantenuti sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche dell’edificio preesistente e non siano previsti incrementi di volumetria».

Il Consiglio superiore dei lavori pubblici, in un parere espresso in relazione a una circolare ministeriale (entrambi richiamati nella disposizione impugnata), ha ritenuto che l’espressione «immobili sottoposti a tutela ai sensi del codice dei beni culturali e del paesaggio», contenuta nel citato art. 3, comma 1, lettera d), t.u. edilizia, si riferisca ai soli immobili specificamente vincolati e non a quelli inseriti in aree sottoposte a vincolo paesaggistico, ma privi di intrinseco valore storico, artistico o architettonico.

Il ricorrente lamenta che il legislatore regionale – richiamando nella disposizione impugnata la soluzione interpretativa che, in contrasto con i canoni ermeneutici, restringe il significato della norma statale – in tal modo abbia ampliato la categoria degli interventi di ristrutturazione edilizia, includendovi quelli di demolizione e ricostruzione in aree vincolate con modifiche di sagoma, sedime, prospetti e aumenti di volume, che si dovrebbero invece considerare come interventi di «nuova costruzione», ai sensi della lettera e) dello stesso art. 3, comma 1, t.u. edilizia.

Scopo della norma regionale sarebbe di attrarre tali interventi modificativi – diversamente da quanto stabilito dalla legge statale – nelle ristrutturazioni edilizie, così da eludere il divieto di nuove costruzioni previsto dalle NTA del PPTR (in particolare, agli artt. 45, 62, 63, 64, 65 e 66) in diverse aree vincolate, come i territori costieri e quelli contermini ai laghi, i boschi e le relative aree di rispetto, le aree umide, i prati e pascoli naturali nonché le formazioni arbustive.

L’art. 3 della legge reg. Puglia n. 39 del 2021 violerebbe così l’art. 117, commi secondo, lettera s), e terzo, Cost., per contrasto con l’art. 3, comma 1, lettera d), t.u. edilizia, espressione sia della competenza esclusiva dello Stato in materia di «tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali», in quanto diretta a tutelare il paesaggio, sia di un principio fondamentale della materia «governo del territorio», quale è la definizione delle categorie di interventi edilizi.

Inoltre, sarebbero violati gli artt. 3 e 97 Cost. per l’irragionevolezza del richiamo di un parere del Consiglio superiore dei lavori pubblici successivamente «smentito» dallo stesso organo con la (di poco successiva) nota del 15 luglio 2021.

2.2.– In secondo luogo, l’art. 3 impugnato riprodurrebbe, in sostanza, la norma contenuta nell’art. 6, comma 2, lettera c-bis), della legge reg. Puglia n. 14 del 2009, abrogato dall’art. 1, comma 1, della legge reg. Puglia n. 3 del 2021, mentre la clausola della necessaria conformità degli interventi straordinari previsti dal “Piano casa” a prescrizioni, indirizzi, misure di salvaguardia e direttive del PPTR sarebbe «pleonastica» a fronte dello scopo perseguito, di consentire nuove costruzioni nonostante i divieti dello stesso PPTR.

Sarebbero così violati: l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., per contrasto con gli artt. 135, 143 e 145 cod. beni culturali; il principio di leale collaborazione; l’art. 9 Cost., in quanto la disposizione impugnata abbasserebbe i livelli di tutela del paesaggio; gli artt. 3 e 97 Cost., per l’irragionevolezza della scelta di consentire interventi in deroga alle previsioni del PPTR, imponendone al contempo il rispetto.

2.3.– La Regione ha reiterato l’eccezione di inammissibilità delle questioni per difetto di specifica motivazione e inconferenza dei parametri, già sollevata in riferimento all’art. 2 della stessa legge regionale.

L’eccezione non è fondata – tranne che per la censura di violazione dell’art. 97 Cost., per i motivi esposti in precedenza –, essendo anche in questo caso adeguata l’esposizione delle ragioni poste a base delle censure e appartenendo al merito il giudizio sulla lamentata inconferenza dei parametri invocati.

2.4.– Nel merito, va esaminata in primo luogo la questione promossa in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost.

Essa è fondata, nei limiti di seguito esposti.

Non vi è dubbio che l’art. 3, comma 1, lettera d), t.u. edilizia, comprensivo della descritta clausola di salvaguardia, esprima un principio fondamentale della materia «governo del territorio», alla luce del costante orientamento di questa Corte secondo cui la definizione delle diverse categorie di interventi edilizi e il regime dei relativi titoli abilitativi spettano allo Stato (ex plurimis, sentenze n. 282 e 231 del 2016, n. 259 del 2014 e n. 309 del 2011).

Facendo proprio un possibile significato della norma statale di principio, elaborata in atti interni della pubblica amministrazione di per sé non vincolanti, la disposizione regionale impugnata interpreta il citato art. 3, comma 1, lettera d), nel senso che il regime più rigoroso degli «interventi di ristrutturazione edilizia» si applica solo a una categoria di immobili tutelati (quelli sottoposti a un vincolo puntuale), mentre per gli altri (immobili ubicati in aree vincolate, ma senza pregio) opera la regola meno restrittiva che fa rientrare nella «ristrutturazione edilizia» la demolizione e ricostruzione di edifici esistenti con diversi sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche.

La scelta regionale di rendere l’opzione interpretativa prescelta vincolante ai fini dell’applicazione del “Piano casa”, incidendo sulla qualificazione degli interventi edilizi e sul loro regime, opera in uno spazio di disciplina riservato allo Stato. In tale ambito non è consentito alla Regione di irrigidire nelle forme della legge la definizione di categorie di interventi che il legislatore ha già regolato; e ciò nemmeno nel caso in cui la soluzione da essa adottata sia già desumibile dall’applicazione in concreto della disciplina statale, essendo assorbente il rilievo per cui dette scelte non possono che essere rimesse al legislatore statale, per evidenti esigenze di uniforme trattamento sull’intero territorio nazionale (sentenza n. 233 del 2015).

La Regione nega per vero che la norma incida sulla definizione degli interventi edilizi, in quanto il rinvio che opera al testo unico dell’edilizia e alle circolari ministeriali, contenuto nell’art. 3 della legge reg. Puglia n. 39 del 2021, sarebbe «di tipo “dinamico”, nel senso di riferirsi a tutte le eventuali modifiche alle norme statali o ai relativi atti di natura interpretativa-esplicativa, quali le circolari e i pareri, che dovessero intervenire». Sennonché, proprio il richiamo a determinati pareri e circolari, tra i diversi (e contrastanti) già elaborati all’epoca di approvazione della indicata legge regionale n. 39 del 2021, rivela l’intendimento dello stesso legislatore regionale di “fissare” il rinvio all’art. 3, comma 1, lettera d), t.u. edilizia nel testo vigente all’epoca, onde qualificare come ristrutturazioni edilizie, e non come nuove costruzioni, gli interventi straordinari del “Piano casa” consentiti in aree individuate dal PPTR.

Sussiste dunque la violazione del principio fondamentale della materia fissato dalla legge statale e dunque dell’art. 117, comma terzo, Cost. Per eliminare il vulnus è peraltro sufficiente un intervento ablativo parziale, limitato alle parole «così come interpretato con circolare del 2 dicembre 2020 dei Ministeri delle Infrastrutture, Trasporti e Pubblica Amministrazione e con parere del Consiglio superiore dei Lavori pubblici dell’8 luglio 2021,».

In questo modo, l’incipit della disposizione regionale assume effettivamente la natura di rinvio mobile, consentendo fra l’altro l’applicazione della citata clausola di salvaguardia anche nella formulazione attuale, risultante dalle modifiche medio tempore introdotte dall’art. 28, comma 5-bis, lettera a), del decreto-legge 1° marzo 2022, n. 17 (Misure urgenti per il contenimento dei costi dell’energia elettrica e del gas naturale, per lo sviluppo delle energie rinnovabili e per il rilancio delle politiche industriali), convertito, con modificazioni, nella legge 27 aprile 2022, n. 34, e dall’art. 14, comma 1-ter, lettera a), del decreto-legge 17 maggio 2022, n. 50 (Misure urgenti in materia di politiche energetiche nazionali, produttività delle imprese e attrazione degli investimenti, nonché in materia di politiche sociali e di crisi ucraina), convertito, con modificazioni, nella legge 15 luglio 2022, n. 91.

Le altre questioni riguardanti lo stesso vincolo interpretativo, promosse in riferimento agli artt. 3 e 117, secondo comma, lettera s), Cost., sono assorbite.

2.4.1.– Restano da esaminare le ulteriori questioni riguardanti il medesimo art. 3 della legge reg. Puglia n. 39 del 2021. Esse si fondano sull’asserita reintroduzione in esso dell’abrogato art. 6, comma 2, lettera c-bis), della legge reg. Puglia n. 14 del 2009, che – pur non vincolando a una determinata interpretazione della disciplina statale in tema di ristrutturazioni edilizie – avrebbe già consentito la realizzazione di interventi straordinari in deroga al PPTR. Si tratta dunque di questioni autonome, che non possono essere considerate assorbite, giacché con esse il ricorrente lamenta che gli interventi straordinari consentiti dall’art. 3 in esame possono derogare alla disciplina contenuta nel PPTR, anche oltre gli specifici divieti di nuove costruzioni in determinate aree tutelate.

Tali questioni non sono fondate.

A escludere l’illegittimità costituzionale della disposizione impugnata –relativamente alle questioni sopra indicate – è sufficiente, anche in questo caso, la circostanza che essa imponga espressamente il rispetto delle prescrizioni del PPTR. In proposito si può richiamare quanto già esposto sopra con riguardo all’art. 2 della stessa legge regionale.

Sul punto si deve sottolineare, inoltre, come con la recente sentenza n. 192 del 2022 questa Corte – investita dal Consiglio di Stato di un’analoga questione relativa all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. – abbia dichiarato costituzionalmente illegittimo il citato art. 6, comma 2, lettera c-bis), della legge reg. Puglia n. 14 del 2009, nel testo in vigore anteriormente all’abrogazione, «nella parte in cui non prevede che gli interventi edilizi disciplinati dalla [...] legge regionale [n. 14 del 2009] debbano essere realizzati anche nel rispetto delle specifiche prescrizioni del PPTR».

Nella pronuncia si osserva che, «[p]osto il carattere confliggente della normativa censurata con la disciplina paesaggistica, l’omesso richiamo al generale rispetto delle prescrizioni specifiche del PPTR non può essere inteso alla stregua di un mero silenzio della legge, colmabile [...] in via interpretativa, nel senso che la relativa disciplina sia implicitamente applicabile, bensì come una deroga, o meglio come la facoltà per i Comuni e i privati, rispettivamente, di consentire e porre in essere tali interventi non osservando il contenuto precettivo del PPTR»; ed ancora che «[l]a conclusione e` avvalorata, a contrario, dalla circostanza che la norma censurata si limita a richiedere il rispetto dei soli “indirizzi” e “direttive” del PPTR: previsione che non vale a escludere il rilevato contrasto con il principio di prevalenza del Piano paesaggistico, proprio perché il rinvio e` circoscritto alla parte programmatica del Piano, a traverso la quale quest’ultimo non detta specifiche regole sull’utilizzo e sulla trasformazione dei beni paesaggistici, ma pone gli obiettivi di qualità della pianificazione».

La diversa clausola contenuta ora all’art. 3 della legge reg. Puglia n. 39 del 2021, che si riferisce a «prescrizioni, indirizzi, misure di salvaguardia e direttive dello stesso PPTR», soddisfa le condizioni richieste dalla citata pronuncia e non può dunque essere considerata pleonastica, come sostiene il ricorrente.

Non sono pertanto violati né l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in relazione agli artt. 135, 143 e 145 cod. beni culturali, né il principio di leale collaborazione, giacché la norma impugnata non ha reintrodotto quella abrogata, derogatoria del PPTR.

L’effettività della clausola del necessario rispetto del PPTR elimina inoltre il rischio di un abbassamento dei livelli di tutela del paesaggio, in violazione dell’art. 9 Cost., ed esclude altresì la lamentata lesione del principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost.

3.– Con il terzo motivo di ricorso è censurato l’art. 4 della legge reg. Puglia n. 39 del 2021.

3.1.– Il comma 1 di tale disposizione prevede che «[l]’ampliamento delle attività produttive» di cui all’art. 8 del d.P.R. n. 160 del 2010 (attuato nella Regione Puglia con la deliberazione della Giunta regionale 11 dicembre 2018, n. 2332) «non è soggetto a limitazioni di superficie coperta e di volume».

La norma rinvia dunque all’art. 8 del d.P.R. n. 160 del 2010 (oltre che alla richiamata deliberazione della Giunta regionale pugliese), che disciplina i «[r]accordi procedimentali» con gli strumenti urbanistici dei progetti di insediamento di attività produttive e subordina all’esito di una conferenza di servizi, convocata dal responsabile dello Sportello unico per le attività produttive, la variazione dello strumento urbanistico comunale, qualora esso «non individu[i] aree o individu[i] aree insufficienti» per l’insediamento di dette attività.

Consentendo l’ampliamento delle attività produttive senza limitazioni di superficie coperta e di volume, sulla base di una procedura semplificata affidata alla conferenza di servizi, la disposizione in esame si porrebbe innanzitutto in contrasto con l’art. 117, terzo comma, Cost., per violazione dei principi fondamentali in materia di «governo del territorio» contenuti nel d.m. n. 1444 del 1968, che fissa non solo i rapporti massimi tra gli spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e gli spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggio (artt. 3 e 5), ma anche i limiti inderogabili di densità edilizia (art. 7), di altezza degli edifici (art. 8) e di distanza dei fabbricati (art. 9) da osservare per le diverse zone territoriali omogenee.

3.2.– Il comma 2 dello stesso art. 4 prevede che «gli ampliamenti fino al 20 per cento delle attività produttive di cui al comma 1» non sono assoggettati al procedimento di approvazione delle varianti urbanistiche e sono «rilasciati» applicando le norme sul «[p]rocedimento per il rilascio del permesso di costruire», disciplinato dall’art. 20 del t.u. edilizia, alla stregua degli «interventi di nuova costruzione», come definiti dall’art. 3, comma 1, lettera e), dello stesso testo unico.

Sarebbe violato l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., per contrasto con l’art. 145, comma 5, cod. beni culturali, in quanto, prevedendo procedure semplificate per l’approvazione delle varianti, o escludendo determinate modificazioni dalla categoria delle varianti, sottrarrebbe gli ampliamenti delle attività produttive alla procedura, disciplinata dall’art. 97 delle NTA del PPTR, di adeguamento degli strumenti urbanistici e delle loro varianti alla pianificazione paesaggistica, che richiede la partecipazione del MIC.

3.3.– La Regione Puglia ha reiterato la già indicata eccezione preliminare di inammissibilità per difetto di motivazione, di cui va riaffermata la non fondatezza per le ragioni già esposte.

3.4.– Sempre in via preliminare, si osserva che il comma 1 dell’art. 4 della legge reg. Puglia n. 39 del 2021 è stato nel frattempo integralmente sostituito dall’art. 10, comma 1, della legge reg. Puglia n. 3 del 2022. Il testo risultante dalla sostituzione è il seguente: «1. Nell’ambito dei procedimenti di cui all’articolo 8 del decreto del Presidente della Repubblica 7 settembre 2010, n. 160 (Regolamento per la semplificazione ed il riordino della disciplina sullo sportello unico per le attività produttive, ai sensi dell’articolo 38, comma 3, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133) e della deliberazione della Giunta regionale 11 dicembre 2018, n. 2332, per ampliamento delle attività produttive si intende l’aumento, di qualsivoglia percentuale, della dimensione dell’attività già esistente, in termini di superficie coperta o di volume». La novella del 2022 è stata impugnata dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso iscritto al n. 30 reg. ric. 2022, ciò che esclude la necessità di estendere lo scrutinio di questa Corte alla nuova formulazione del comma 1 dell’art. 4, in essa contenuta (ex plurimis, sentenze n. 36 del 2021 e n. 286 del 2019).

Va comunque escluso che lo ius superveniens abbia determinato, in riferimento al comma 1 della disposizione impugnata, la cessazione della materia del contendere.

Secondo il costante orientamento di questa Corte, la modifica normativa, intervenuta nel corso del giudizio, della disposizione oggetto della questione di legittimità costituzionale promossa in via principale determina la cessazione della materia del contendere quando si verificano, nel contempo, due condizioni: il carattere satisfattivo delle pretese avanzate con il ricorso e il fatto che la disposizione impugnata non abbia avuto medio tempore applicazione (ex plurimis, sentenze n. 187, n. 24 e n. 23 del 2022, n. 7 del 2021).

Nel caso in esame la norma impugnata, di immediata attuazione, è rimasta in vigore per oltre tre mesi, e non vi è certezza della sua mancata applicazione medio tempore, sicché, anche senza necessità di verificare se la modifica intervenuta sia effettivamente satisfattiva, si deve concludere che non sussistono i presupposti per la cessazione della materia del contendere.

3.5.– Nel merito, le questioni sono fondate.

3.5.1.– Il dato letterale del comma 1 depone nel senso che gli ampliamenti in esso previsti sono consentiti senza limiti di superficie coperta e di volume, quando si versi nello speciale regime procedimentale disciplinato al citato art. 8 del d.P.R. n. 160 del 2010. La stessa successiva integrale sostituzione della norma, come visto, con un’altra asseritamente diretta, secondo la difesa regionale, a fugare «equivoche letture», conferma tale conclusione.

Questa Corte ha già affermato che «i limiti fissati dal d.m. n. 1444 del 1968, che trova il proprio fondamento nell’art. 41-quinquies, commi 8 e 9, della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (Legge urbanistica), hanno efficacia vincolante anche verso il legislatore regionale [...], costituendo […] principi fondamentali della materia, in particolare come limiti massimi di densità edilizia a tutela del “primario interesse generale all’ordinato sviluppo urbano”» (sentenza n. 217 del 2020).

Sussiste, pertanto, la violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., in riferimento ai principi fondamentali della materia «governo del territorio» espressi dal d.m. n. 1444 del 1968.

Si deve dunque dichiarare l’illegittimità costituzionale del comma 1 dell’art. 4 della legge reg. Puglia n. 39 del 2021, nel testo in vigore anteriormente alla sua sostituzione a opera dell’art. 10, comma 1, della legge reg. Puglia n. 3 del 2022.

Resta assorbita l’ulteriore questione riferita all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., avente per oggetto lo stesso comma 1 nella parte in cui prevede una procedura semplificata per l’approvazione delle varianti.

3.5.2.– Il comma 2 stabilisce che gli ampliamenti fino al 20 per cento delle attività produttive «non costituiscono variante urbanistica», con la conseguenza che le relative modifiche sono sottratte al procedimento previsto dall’art. 97 delle NTA per l’adeguamento al PPTR «dei piani urbanistici generali e territoriali comunali e loro varianti», procedimento nel quale è assicurata la necessaria partecipazione degli organi ministeriali, in attuazione dell’art. 145, comma 5, cod. beni culturali. Né si può ritenere che tale mancanza sia compensata, come sostiene la Regione, dalla partecipazione degli organi ministeriali preposti alla tutela paesaggistica ai procedimenti per il rilascio del titolo abilitativo edilizio, giacché tali procedimenti non hanno la finalità di conformare e adeguare gli strumenti urbanistici alle previsioni della pianificazione paesaggistica.

D’altro canto, il silenzio della disposizione impugnata sul necessario rispetto della disciplina in tema di copianificazione non può nemmeno essere colmato in via interpretativa, proprio per l’espressa qualificazione degli ampliamenti come modifiche dell’assetto urbanistico che «non costituiscono variante», in quanto tali non assoggettate al procedimento previsto all’art. 97 delle NTA.

In conclusione, sussiste la lamentata violazione del principio di copianificazione e quindi dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in relazione alla norma interposta dell’art. 145, comma 5, cod. beni culturali.

Si deve dunque dichiarare l’illegittimità costituzionale anche del comma 2 dell’art. 4 della legge reg. Puglia n. 39 del 2021.

4.– Con il quarto motivo di ricorso è impugnato l’art. 5 della legge reg. Puglia n. 39 del 2021, che integra l’art. 12 della legge reg. Puglia n. 20 del 2001, aggiungendo al suo comma 3, dopo la lettera e-bis.), la lettera e-ter.), che prevede un «incremento dell’indice di fabbricabilità fondiaria fino a 0,1 mc/mq, per gli interventi di cui all’articolo 51 della L.R. n. 56/1980».

Il citato comma 3 dell’art. 12 disciplina le ipotesi in cui «[l]a deliberazione motivata del Consiglio comunale che apporta variazioni agli strumenti urbanistici generali vigenti non è soggetta ad approvazione regionale di cui alla legge regionale 31 maggio 1980, n. 56 (Tutela ed uso del territorio), o a verifica di compatibilità regionale, provinciale, metropolitana di cui alla presente legge».

La nuova lettera e-ter.) riguarda espressamente gli «interventi» previsti dall’art. 51 della legge reg. Puglia n. 56 del 1980, norma incisa dall’art. 2 della legge reg. Puglia n. 39 del 2021, impugnato con il primo motivo di ricorso.

Secondo il ricorrente, la disposizione, per la sua genericità, si potrebbe riferire a interventi da realizzare, oltre che nelle zone agricole, secondo quanto previsto alle nuove lettere g-bis.), g-ter.) e g-quater.) del primo comma dell’art. 51 (introdotte, come visto, dall’art. 2 della legge reg. Puglia n. 39 del 2021, dianzi esaminato, per consentire nuovi fabbricati necessari all’esercizio dell’attività agricola), anche nelle aree boschive e nelle fasce di rispetto dalle acque, nelle quali l’edificazione è stata dapprima vietata o consentita in modo limitato dallo stesso art. 51, e successivamente sottoposta dal PPTR a specifiche prescrizioni e condizioni.

Il previsto incremento dell’indice di fabbricabilità fondiaria (fino a 0,1 mc/mq) di tali aree comporterebbe, per un verso, una deroga unilaterale alla disciplina del PPTR, che deve invece essere necessariamente condivisa con lo Stato, come prescritto dagli artt. 135, 143 e 145 cod. beni culturali, e violerebbe pertanto l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.

Per altro verso, lo stesso incremento «indiscriminato» dell’indice di fabbricabilità delle zone omogenee di tipo E (ovvero le zone agricole) contrasterebbe con i parametri di densità edilizia del d.m. n. 1444 del 1968 e in particolare con l’indice massimo e inderogabile di 0,03 mc/mq fissato per tali zone, ove ne sia consentita l’edificazione. Ne conseguirebbe la violazione del principio fondamentale in materia di «governo del territorio» contenuto all’art. 41-quinquies, ottavo comma, della legge urbanistica, e dunque dell’art. 117, terzo comma, Cost.

4.1.– L’eccezione preliminare di inammissibilità riproposta dalla Regione Puglia anche con riferimento alle questioni relative all’art. 5 non è fondata, per le ragioni esposte in precedenza.

4.2.– Sempre in via preliminare, si osserva che la lettera e-ter.) dell’art. 12, comma 3, della legge reg. Puglia n. 20 del 2001, inserita dalla disposizione impugnata, è stata sostituita dall’art. 54, comma 1, lettera s), della legge reg. Puglia n. 51 del 2021 con la seguente: «e-ter) incremento dell’indice di fabbricabilità fondiaria fino 0,1 mc/mq per la realizzazione, in zona agricola, di nuovi fabbricati qualora gli stessi siano strumentali alla conduzione del fondo o all’esercizio dell’attività agricola e delle attività a questa connesse».

La disposizione – che è stata impugnata dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso iscritto al n. 25 reg. ric. 2022 – fa ora specifico ed esclusivo riferimento alla realizzazione di nuovi fabbricati in zona agricola, utilizzando la stessa formula contenuta nell’art. 51, primo comma, lettera g-bis.), della legge reg. Puglia n. 56 del 1980, come modificato dall’art. 2 della legge regionale qui in esame.

Lo ius superveniens non incide peraltro sui termini della controversia.

Per un verso, esso non ha carattere satisfattivo, poiché la limitazione della portata della norma ai nuovi fabbricati in zona agricola lascia comunque inalterate (quantomeno) le pretese avanzate dal ricorrente con la questione riferita all’art. 117, terzo comma, Cost. Non ricorrono dunque i presupposti della cessazione della materia del contendere, anche a prescindere dal profilo della mancata applicazione della norma, rimasta in vigore solo ventotto giorni.

Per altro verso, si deve escludere l’estensione del presente giudizio alla nuova disposizione, dal momento che essa è, come visto, oggetto di un distinto ricorso.

4.3.– Nel merito, le questioni non sono fondate.

Quanto alla violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., questa Corte ha costantemente affermato che, in forza del principio di prevalenza della tutela paesaggistica, espresso all’art. 145, comma 3, cod. beni culturali, una norma regionale incidente sull’assetto del territorio non si può ritenere derogatoria delle previsioni di tutela paesaggistica solo perché omette di disporne il necessario rispetto, in assenza di deroghe espresse e specifiche, sempre che una pianificazione paesaggistica esista (come accade nella Regione Puglia) e che sia possibile colmare in via interpretativa il mero silenzio della legge (ex plurimis, sentenze n. 187 e n. 24 del 2022, n. 124 e n. 54 del 2021).

Anche a voler ritenere che la norma impugnata, per la sua generica formulazione, si applichi a tutti gli interventi previsti all’art. 51 della legge reg. Puglia n. 56 del 1980, compresi quelli da realizzare in aree ora disciplinate dal PPTR, essa non prevede un’esplicita e specifica deroga alle prescrizioni contenute nel piano, e può ben essere interpretata nel senso che le variazioni derivanti dall’incremento dell’indice edificatorio – e soggette alla procedura disciplinata dal comma 3 dell’art. 12 della legge reg. Puglia n. 20 del 2001 – debbano rispettare comunque le specifiche prescrizioni del PPTR.

Non sussiste dunque lesione dei principi di prevalenza e di co-pianificazione di cui agli artt. 136, 143 e 145 cod. beni culturali, invocati quali norme interposte.

Quanto alla violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., secondo il ricorrente il contrasto con l’art. 41-quinquies, ottavo comma, della legge urbanistica deriverebbe, per il tramite del d.m. n. 1444 del 1968, dal superamento dell’indice massimo e inderogabile di 0,03 mc/mq ivi stabilito per gli insediamenti residenziali nelle zone agricole. La norma impugnata favorirebbe in tal modo la trasformazione di insediamenti rurali in insediamenti abitativi, «con conseguente grave rischio di fenomeni di c.d. dispersione urbana».

Dal contesto della motivazione si desume che il ricorrente intende riferirsi all’incremento delle edificazioni nelle zone omogenee di tipo E previste alle nuove lettere g-bis.), g-ter.) e g-quater.) dell’art. 51, comma primo, della legge reg. Puglia n. 56 del 1980.

Gli interventi consentiti da tali disposizioni, tuttavia, non riguardano gli insediamenti residenziali in zona agricola. La formula usata dal legislatore (lettera g-bis: «al fine di soddisfare le esigenze produttive delle aziende agricole, è ammessa la realizzazione, in zona agricola, di nuovi fabbricati qualora gli stessi siano necessari alla conduzione del fondo e all’esercizio dell’attività agricola, ivi comprese le attività connesse a quella agricola») fa chiaramente riferimento a fabbricati che devono avere destinazione produttiva, e non dunque residenziale.

Considerato che il limite inderogabile di «densità fondiaria di mc. 0,03 per mq» nelle zone omogenee di tipo E è prescritto dal d.m. n. 1444 del 1968 (all’art. 7, numero 4) solo «per le abitazioni», si deve ritenere che la disposizione impugnata non deroghi ai limiti di densità edilizia stabiliti dalle norme interposte e non contrasti quindi con i principi fondamentali della materia «governo del territorio».

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 3 della legge della Regione Puglia 30 novembre 2021, n. 39, recante «Modifiche alla legge regionale 31 maggio 1980, n. 56 (Tutela ed uso del territorio), disposizioni in materia urbanistica, modifica alla legge regionale 27 luglio 2001, n. 20 (Norme generali di governo e uso del territorio), modifica alla legge regionale 6 agosto 2021, n. 25 (Modifiche alla legge regionale 11 febbraio 1999, n. 11 “Disciplina delle strutture ricettive ex artt. 5, 6 e 10 della legge 17 maggio 1983, n. 217 delle attività turistiche ad uso pubblico gestite in regime di concessione e delle associazioni senza scopo di lucro” e disposizioni varie) e disposizioni in materia derivazione acque sotterranee», limitatamente alle parole «così come interpretato con circolare del 2 dicembre 2020 dei Ministeri delle Infrastrutture, Trasporti e Pubblica Amministrazione e con parere del Consiglio superiore dei Lavori pubblici dell’8 luglio 2021,»;

2) dichiara l’illegittimità costituzionale del comma 1 dell’art. 4 della legge reg. Puglia n. 39 del 2021, nel testo in vigore anteriormente alla sua sostituzione a opera dell’art. 10, comma 1, della legge della Regione Puglia 4 marzo 2022, n. 3, recante «Modifiche alla legge regionale 6 agosto 2021, n. 29 (Disciplina dell’enoturismo), modifiche alla legge regionale 20 dicembre 2017, n. 59 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma, per la tutela e la programmazione delle risorse faunistico-ambientali e per il prelievo venatorio) e modifica alla legge regionale 30 novembre 2021, n. 39 (Modifiche alla legge regionale 31 maggio 1980, n. 56 (Tutela ed uso del territorio), disposizioni in materia urbanistica, modifica alla legge regionale 27 luglio 2001, n. 20 (Norme generali di governo e uso del territorio), modifica alla legge regionale 6 agosto 2021, n. 25 (Modifiche alla legge regionale 11 febbraio 1999, n. 11 - Disciplina delle strutture ricettive ex artt. 5, 6 e 10 della legge 17 maggio 1983, n. 217 delle attività turistiche ad uso pubblico gestite in regime di concessione e delle associazioni senza scopo di lucro” e disposizioni varie) e disposizioni in materia di derivazione acque sotterranee»;

3) dichiara l’illegittimità costituzionale del comma 2 dell’art. 4 della legge reg. Puglia n. 39 del 2021;

4) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 2 e 3 della legge reg. Puglia n. 39 del 2021, promosse, in riferimento all’art. 97 della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe;

5) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2 della legge reg. Puglia n. 39 del 2021, promosse, in riferimento agli artt. 3 e 117, secondo comma, lettera s), Cost. nonché al principio di leale collaborazione, dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe;

6) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 3 della legge reg. Puglia n. 39 del 2021, promosse, in riferimento agli artt. 3, 9 e 117, secondo comma, lettera s), Cost. nonché al principio di leale collaborazione, dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe;

7) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 5 della legge reg. Puglia n. 39 del 2021, promosse, in riferimento all’art. 117, commi secondo, lettera s), e terzo, Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 ottobre 2022.

F.to:

Silvana SCIARRA, Presidente

Daria de PRETIS, Redattrice

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria l'1 dicembre 2022.