Sentenza n. 239 del 2022

SENTENZA N. 239

ANNO 2022

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Silvana SCIARRA;

Giudici: Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1 della legge della Regione Toscana 28 dicembre 2021, n. 52 (Disposizioni in materia di tagli colturali. Modifiche alla l.r. 39/2000), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 25 febbraio 2022, depositato in cancelleria il 28 febbraio 2022, iscritto al n. 15 del registro ricorsi 2022 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 12, prima serie speciale, dell’anno 2022.

Visto l’atto di costituzione della Regione Toscana;

udita nell’udienza pubblica dell’8 novembre 2022 la Giudice relatrice Daria de Pretis;

uditi l’avvocato dello Stato Maria Letizia Guida per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Marcello Cecchetti per la Regione Toscana;

deliberato nella camera di consiglio del 9 novembre 2022.

Ritenuto in fatto

1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, impugna l’art. 1 della legge della Regione Toscana 28 dicembre 2021, n. 52 (Disposizioni in materia di tagli colturali. Modifiche alla l.r. 39/2000), con il ricorso iscritto al n. 15 reg. ricorsi 2022. Il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 9 e 117, primo e secondo comma, lettera s), della Costituzione, in relazione all’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU) e a diverse norme legislative statali (di seguito indicate).

La disposizione impugnata modifica l’art. 47-bis della legge della Regione Toscana 21 marzo 2000, n. 39 (Legge forestale della Toscana), in materia di taglio colturale. Il comma 4 di tale legge dispone che «[i] tagli colturali, comprese le opere connesse di cui all’articolo 49 per la cui esecuzione non sia necessario il rilascio di autorizzazione o concessione edilizia, si attuano nelle forme previste ed autorizzate dalla presente legge, costituiscono interventi inerenti esercizio di attività agro-silvo-pastorale e per essi non è richiesta, ai sensi dell’articolo 149 del D.Lgs. n. 42/2004, l’autorizzazione di cui all’articolo 146 del citato decreto legislativo».

L’art. 1 della legge reg. Toscana n. 52 del 2021 aggiunge, dopo il comma 4 appena citato, il seguente comma 4-bis: «Le disposizioni di cui al comma 4 si applicano anche agli interventi da eseguirsi nelle aree vincolate per il loro particolare valore paesaggistico ai sensi dell’articolo 136 del D.Lgs. 42/2004, con la sola eccezione di quelle in cui la dichiarazione di notevole interesse pubblico riguardi in modo esclusivo i boschi».

Il ricorrente osserva che il citato comma 4 dell’art. 47-bis già «si poneva in contrasto con l’articolo 149» del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137), che distingue gli interventi inerenti all’esercizio dell’attività agro-silvo-pastorale, esonerati dall’autorizzazione paesaggistica ai sensi della lettera b) dell’art. 149, comma 1, da altri interventi quali il «taglio colturale», escluso dalla medesima autorizzazione ai sensi della lettera c) dell’art. 149, comma 1, solo se eseguito nei boschi indicati dall’art. 142, comma 1, lettera g), cod. beni culturali (riguardante le «aree tutelate per legge»). Secondo il ricorrente, dunque, se il taglio colturale è effettuato in boschi ricompresi nelle aree dichiarate di notevole interesse pubblico ai sensi dell’art. 136 cod. beni culturali, l’obbligo di chiedere l’autorizzazione paesaggistica permane.

Per il Presidente del Consiglio dei ministri sarebbe «palese» che la legge regionale impugnata mira a superare il parere del Consiglio di Stato, sezione prima, 30 giugno 2020, n. 1233, che avrebbe escluso la possibilità di approvare i piani antincendio boschivo, concernenti aree dichiarate di notevole interesse pubblico ai sensi dell’art. 136 cod. beni culturali, senza il preventivo parere favorevole della Soprintendenza. Il Consiglio di Stato avrebbe escluso che ai boschi sottoposti a vincolo provvedimentale possa essere esteso il regime (meno severo) previsto per i boschi sottoposti a vincolo ex lege. Per la prima tipologia di boschi l’esclusione dell’autorizzazione paesaggistica sarebbe limitata agli interventi inerenti l’esercizio dell’attività agro-silvo-pastorale «minori», che non si traducono in taglio colturale, forestazione, riforestazione, opere di bonifica, antincendio e di conservazione. Inoltre, il Consiglio di Stato avrebbe escluso che le citate norme del codice siano state modificate dal decreto legislativo 3 aprile 2018, n. 34, recante «Testo unico in materia di foreste e filiere forestali» (di seguito: t.u. foreste), e in particolare dall’art. 7, comma 12, del testo unico.

2.– Nella parte in diritto del suo ricorso, il Presidente del Consiglio dei ministri argomenta specificamente l’illegittimità costituzionale della disposizione impugnata, invocando diversi parametri.

Essa introdurrebbe «un’ampia ipotesi di esenzione dall’autorizzazione paesaggistica di quasi tutti gli interventi di taglio boschivo in aree tutelate» da vincolo specifico ex art. 136 cod. beni culturali, sebbene la competenza legislativa in materia di autorizzazione paesaggistica spetti in via esclusiva allo Stato.

Gli artt. 136, 142, 146 e 149 cod. beni culturali rappresenterebbero norme interposte, la cui violazione integrerebbe il contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., che attribuisce competenza legislativa esclusiva allo Stato in materia di tutela del paesaggio. Questa Corte avrebbe in particolare affermato che il legislatore regionale non può disciplinare in modo difforme dalla legge statale i presupposti di rilascio dell’autorizzazione paesaggistica (vengono citate diverse pronunce di questa Corte).

La norma impugnata, introdotta unilateralmente dalla Regione, violerebbe anche l’art. 7, comma 12, del citato t.u. foreste. In base a tale disposizione, «[c]on i piani paesaggistici regionali, ovvero con specifici accordi di collaborazione stipulati tra le regioni e i competenti organi territoriali del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ai sensi dell’articolo 15 della legge 7 agosto 1990, n. 241, vengono concordati gli interventi previsti ed autorizzati dalla normativa in materia, riguardanti le pratiche selvicolturali, la forestazione, la riforestazione, le opere di bonifica, antincendio e di conservazione, da eseguirsi nei boschi tutelati ai sensi dell’articolo 136 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e ritenuti paesaggisticamente compatibili con i valori espressi nel provvedimento di vincolo […]». Il ricorrente riferisce che, nel 2020, allo scopo di giungere all’accordo previsto dal citato art. 7, comma 12, è stato istituito un tavolo tecnico tra rappresentanti ministeriali e regionali. Anche il Consiglio di Stato, nel citato parere n. 1233 del 2020, avrebbe ribadito l’esigenza di un accordo tra lo Stato e la Regione per l’individuazione di interventi forestali ritenuti compatibili con il vincolo.

Il ricorrente segnala poi che, in base all’art. 36, comma 3, del decreto-legge 31 maggio 2021, n. 77 (Governance del Piano nazionale di ripresa e resilienza e prime misure di rafforzamento delle strutture amministrative e di accelerazione e snellimento delle procedure), convertito, con modificazioni, nella legge 29 luglio 2021, n. 108, possono essere ricondotti al procedimento semplificato di autorizzazione paesaggistica, anche se interessano aree vincolate ai sensi dell’art. 136 cod. beni culturali, gli interventi specificamente indicati nello stesso art. 36, comma 3: «a) interventi selvicolturali di prevenzione dei rischi secondo un piano di tagli dettagliato; b) ricostituzione e restauro di aree forestali degradate o colpite da eventi climatici estremi attraverso interventi di riforestazione e sistemazione idraulica; c) interventi di miglioramento delle caratteristiche di resistenza e resilienza ai cambiamenti climatici dei boschi».

La disposizione impugnata, contrastando con l’art. 7, comma 12, t.u. foreste e con l’art. 36, comma 3, del d.l. n. 77 del 2021, come convertito, invaderebbe la competenza legislativa statale in materia di tutela del paesaggio e violerebbe il principio di leale collaborazione tra Stato e regioni, espressamente richiamato nell’art. 7, comma 12. Il contrasto con tali parametri interposti e con la disciplina della pianificazione paesaggistica (artt. 135, 143 e 145 cod. beni culturali) integrerebbe la violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.

La norma stessa violerebbe inoltre l’art. 9 Cost. perché, escludendo l’autorizzazione paesaggistica per i tagli colturali nelle aree vincolate ai sensi dell’art. 136 cod. beni culturali, abbasserebbe il livello di tutela dei beni paesaggistici.

Infine, la norma impugnata violerebbe l’art. 117, primo comma, Cost., perché paralizzerebbe l’esecuzione del giudicato, in contrasto con l’art. 6 CEDU. Il citato parere emesso dal Consiglio di Stato in sede di ricorso straordinario al Capo dello Stato produrrebbe l’effetto di giudicato e la sua esecuzione sarebbe coercibile con il giudizio di ottemperanza, ai sensi dell’art. 112, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell’articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo). A tale proposito il ricorrente richiama le sentenze del Consiglio di Stato, adunanza plenaria, 6 maggio 2013, n. 10 e n. 9. Il citato parere del Consiglio di Stato n. 1233 del 2020 avrebbe dovuto essere eseguito dalla Regione, secondo il ricorrente, acquisendo l’autorizzazione paesaggistica in relazione al piano antincendio boschivo. Invece, non solo la Regione non si sarebbe conformata al parere ma avrebbe adottato la norma impugnata per paralizzare l’esecuzione del giudicato. La disposizione violerebbe così l’art. 6 CEDU, che comprenderebbe anche «il diritto alla corretta esecuzione del giudicato» (a tale proposito, il ricorrente richiama Consiglio di Stato, sezione sesta, sentenza 11 settembre 2013, n. 4499): di qui il contrasto con l’art. 117, primo comma, Cost.

3.– La Regione Toscana si è costituita nel presente giudizio con memoria depositata il 4 aprile 2022.

In primo luogo, rileva che la norma impugnata avrebbe «una finalità di chiarificazione, senza incidenza sulla normativa nazionale vigente». Sia l’art. 7, comma 12, t.u. foreste (che regola gli interventi «da eseguirsi nei boschi tutelati ai sensi» dell’art. 136 cod. beni culturali), sia il parere del Consiglio di Stato n. 1233 del 2020 (secondo il quale il citato art. 136 riguarderebbe «boschi e foreste vincolati sulla base di un apposito provvedimento amministrativo») farebbero riferimento «letteralmente ai “boschi vincolati ex art. 136” del Codice», cioè al caso in cui il vincolo è apposto specificamente sul bosco. Solo in questo caso l’autorizzazione paesaggistica sarebbe necessaria e, secondo la Regione, «questo è ribadito dalla disposizione regionale», che esonera dall’autorizzazione i tagli colturali «con la sola eccezione di quelle [aree vincolate] in cui la dichiarazione di notevole interesse pubblico riguardi in modo esclusivo i boschi». Invece, quando il provvedimento di vincolo non riguarda specificamente il bosco ma un’area più ampia, in cui ricade il bosco, esso «è finalizzato alla tutela di elementi identificativi diversi dal bosco».

La norma impugnata sarebbe, dunque, una «semplice e corretta riproposizione della norma statale che prevede la necessità di autorizzazione paesaggistica nei soli boschi tutelati ex art. 136 e non nelle aree tutelate ex art. 136 esattamente come previsto» dall’art. 7, comma 12, t.u. foreste.

Inoltre, la Regione osserva che, in base all’art. 47-bis, comma 4, della legge reg. Toscana n. 39 del 2000, «[i] tagli colturali […] costituiscono interventi inerenti esercizio di attività agro-silvo-pastorale» e che tale disposizione non è mai stata contestata. In base all’art. 149 cod. beni culturali, per gli interventi inerenti all’attività agro-silvo-pastorale («che non comportino alterazione permanente dello stato dei luoghi con costruzioni edilizie ed altre opere civili, e sempre che si tratti di attività ed opere che non alterino l’assetto idrogeologico del territorio») non e` richiesta l’autorizzazione paesaggistica, né nelle aree vincolate ex lege, né in quelle vincolate per decreto. L’art. 47-bis, comma 4, rispetterebbe le condizioni dell’art. 149 cod. beni culturali, perché, in base al comma 1 dello stesso art. 47-bis, «[p]er taglio colturale s’intende il taglio che rientra nell’ordinaria attività silvana e che e` condotto con modalità tali da assicurare la rinnovazione e la perpetuazione del bosco, senza comprometterne le potenzialità evolutive, favorendo la biodiversità e tutelando l’assetto idrogeologico». Ciò dimostrerebbe anche che la norma impugnata non abbassa il livello di tutela ambientale.

Infine, sarebbe non fondato anche il motivo relativo alla violazione dell’art. 6 CEDU. La Regione riferisce infatti che, a seguito del citato parere del Consiglio di Stato n. 1233 del 2020 e della decisione del ricorso proposto dall’associazione Italia Nostra e altri contro la delibera della Giunta della Regione Toscana 18 marzo 2019, n. 355, di approvazione del piano antincendio boschivo per la pineta del cosiddetto Tombolo, l’autorizzazione paesaggistica relativa a tale piano è stata acquisita prima della realizzazione degli interventi previsti e che il piano stesso è stato riapprovato con la delibera della Giunta regionale 29 marzo 2021, n. 297.

4.– L’11 ottobre 2022 il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato una memoria integrativa, in cui replica alle difese svolte dalla Regione nella memoria di costituzione.

Considerato in diritto

1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna, con il ricorso indicato in epigrafe, l’art. 1 della legge reg. Toscana n. 52 del 2021.

Tale disposizione modifica l’art. 47-bis della legge reg. Toscana n. 39 del 2000 in materia di taglio colturale. Il comma 4 del citato art. 47-bis dispone che «[i] tagli colturali, comprese le opere connesse di cui all’articolo 49 per la cui esecuzione non sia necessario il rilascio di autorizzazione o concessione edilizia, si attuano nelle forme previste ed autorizzate dalla presente legge, costituiscono interventi inerenti esercizio di attività agro-silvo-pastorale e per essi non è richiesta, ai sensi dell’articolo 149 del D.Lgs. n. 42/2004, l’autorizzazione di cui all’articolo 146 del citato decreto legislativo». L’art. 1 della legge reg. Toscana n. 52 del 2021 aggiunge, dopo il comma 4 appena citato, il seguente comma 4-bis: «Le disposizioni di cui al comma 4 si applicano anche agli interventi da eseguirsi nelle aree vincolate per il loro particolare valore paesaggistico ai sensi dell’articolo 136 del D.Lgs. 42/2004, con la sola eccezione di quelle in cui la dichiarazione di notevole interesse pubblico riguardi in modo esclusivo i boschi».

Secondo il ricorrente, la disposizione impugnata violerebbe: a) l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., con riferimento agli artt. 136, 142, 146 e 149 cod. beni culturali, in quanto introdurrebbe «un’ampia ipotesi di esenzione dall’autorizzazione paesaggistica di quasi tutti gli interventi di taglio boschivo in aree tutelate» da vincolo specifico ex art. 136 del medesimo codice, sebbene la competenza in materia spetti in via esclusiva allo Stato; b) l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. e il principio di leale collaborazione, con riferimento all’art. 7, comma 12, del d.lgs. n. 34 del 2018, in quanto, in base a tale norma, gli interventi forestali ammessi all’interno dei boschi vincolati ex art. 136 cod. beni culturali «vanno individuati esclusivamente nell’ambito della pianificazione paesaggistica oppure attraverso accordi tra la Regione e il Ministero della cultura»; c) l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., con riferimento all’art. 36, comma 3, del d.l. n. 77 del 2021, come convertito, secondo il quale possono essere ricondotti al procedimento semplificato di autorizzazione paesaggistica, anche se interessano aree vincolate ai sensi dell’art. 136 cod. beni culturali, solo gli interventi specificamente indicati nello stesso art. 36, comma 3; d) l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., con riferimento agli artt. 135, 143 e 145 cod. beni culturali, per «contrasto […] con la disciplina della pianificazione paesaggistica»; e) l’art. 9 Cost., perché, escludendo l’autorizzazione paesaggistica per i tagli colturali nelle aree vincolate ai sensi dell’art. 136 cod. beni culturali, abbasserebbe il livello di tutela dei beni paesaggistici; f) l’art. 117, primo comma, Cost., con riferimento all’art. 6 CEDU, perché la Regione avrebbe adottato la norma impugnata per paralizzare l’esecuzione del giudicato formatosi sul parere del Consiglio di Stato n. 1233 del 2020.

2.– Il motivo di ricorso consistente nella violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., con riferimento agli artt. 135, 143 e 145 cod. beni culturali (indicato sub d), è inammissibile per carenza di motivazione.

Il ricorrente, infatti, si limita ad affermare in modo apodittico che esisterebbe un «contrasto […] con la disciplina della pianificazione paesaggistica», ma non spiega perché la norma impugnata contrasterebbe con i citati artt. 135, 143 e 145. La giurisprudenza di questa Corte «è costante nell’affermare “che, nella impugnazione in via principale, il ricorrente non solo deve, a pena di inammissibilità, individuare l’oggetto della questione proposta (con riferimento alla normativa che censura ed ai parametri che denuncia violati), ma ha anche l’onere (da considerare addirittura più pregnante rispetto a quello sussistente nei giudizi incidentali: ex plurimis, sentenza n. 115 del 2021) di esplicitare una motivazione chiara ed adeguata in ordine alle specifiche ragioni che determinerebbero la violazione dei parametri che assume incisi” (ex plurimis, da ultimo, sentenza n. 71 del 2022; nello stesso senso, sentenze n. 5 del 2022, n. 201, n. 52 e n. 29 del 2021)» (sentenza n. 135 del 2022).

3.– Nel merito, è innanzitutto non fondato il motivo di ricorso (indicato sopra sub f) con il quale si lamenta la violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., con riferimento all’art. 6 CEDU.

Secondo il ricorrente, l’art. 6 CEDU sarebbe violato perché la Regione avrebbe adottato la norma impugnata per «paralizzare l’esecuzione del giudicato» formatosi sul ricorso straordinario proposto dall’associazione Italia Nostra e altri contro la delibera della Giunta della Regione Toscana n. 355 del 2019 (approvazione del piano antincendio relativo alle pinete litoranee di Grosseto e Castiglione della Pescaia), ricorso accolto con il d.P.R. 1° ottobre 2020, sulla base del parere del Consiglio di Stato n. 1233 del 2020.

Il ricorrente afferma che «la Regione non solo non si è conformata a tale parere, venendo meno alla prescritta acquisizione dell’autorizzazione paesaggistica», ma avrebbe adottato la norma impugnata «allo scopo concreto di paralizzare l’esecuzione del giudicato».

Invece, come risulta dagli atti depositati dalla difesa della resistente, la Regione Toscana si è adeguata al d.P.R. 1° ottobre 2020 già diversi mesi prima dell’adozione della norma impugnata (promulgata il 28 dicembre 2021), allorché, a seguito del citato d.P.R., ha riapprovato il piano antincendio con la delibera della Giunta regionale 29 marzo 2021, n. 297, sulla base delle autorizzazioni paesaggistiche rilasciate dal Comune di Castiglione della Pescaia e dal Comune di Grosseto, previo parere della Soprintendenza.

Nella propria memoria integrativa il ricorrente ha osservato che l’adeguamento al giudicato «nel singolo caso specifico» non potrebbe sanare il vizio della legge regionale impugnata. Poiché, tuttavia, ciò che il ricorso denuncia è la violazione dell’art. 6 CEDU proprio per la presunta volontà del legislatore regionale di paralizzare l’esecuzione del più volte citato parere n. 1233 del 2020, l’avvenuta ottemperanza al giudicato formatosi sul ricorso straordinario rende evidente la non fondatezza della censura.

4.– Il primo motivo di ricorso è, invece, fondato.

Considerato il contenuto della censura, il thema decidendum va circoscritto, quanto alle norme interposte, agli artt. 146 e 149 cod. beni culturali, dato che gli artt. 136 e 142 dello stesso codice, pure invocati dal ricorrente, non attengono all’autorizzazione paesaggistica.

4.1.– È opportuna in via preliminare una breve sintesi del contesto normativo in cui si inserisce la disposizione impugnata.

L’art. 3, comma 2, lettera c), t.u. foreste fa rientrare nelle «pratiche selvicolturali» «i tagli, le cure e gli interventi volti all’impianto, alla coltivazione, alla prevenzione di incendi, al trattamento e all’utilizzazione dei boschi e alla produzione di quanto previsto alla lettera d» (che definisce i «prodotti forestali spontanei non legnosi»). Il taglio colturale rappresenta, dunque, un’«ordinaria attività di gestione e manutenzione del bosco», distinta dalla «trasformazione del bosco» (sentenza n. 201 del 2018). Le attività di gestione forestale e la trasformazione del bosco sono disciplinate, rispettivamente, dagli artt. 7 e 8 t.u. foreste. In base all’art. 7, comma 13, «[l]e pratiche selvicolturali, i trattamenti e i tagli selvicolturali di cui all’articolo 3, comma 2, lettera c), eseguiti in conformità alle disposizioni del presente decreto ed alle norme regionali, sono equiparati ai tagli colturali di cui all’articolo 149, comma 1, lettera c), del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42».

L’art. 149 cod. beni culturali stabilisce che, «[f]atta salva l’applicazione dell’articolo 143, comma 4, lettera a), non è comunque richiesta l’autorizzazione prescritta dall’articolo 146, dall’articolo 147 e dall’articolo 159: a) per gli interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria, di consolidamento statico e di restauro conservativo che non alterino lo stato dei luoghi e l’aspetto esteriore degli edifici; b) per gli interventi inerenti l’esercizio dell’attività agro-silvo-pastorale che non comportino alterazione permanente dello stato dei luoghi con costruzioni edilizie ed altre opere civili, e sempre che si tratti di attività ed opere che non alterino l’assetto idrogeologico del territorio; c) per il taglio colturale, la forestazione, la riforestazione, le opere di bonifica, antincendio e di conservazione da eseguirsi nei boschi e nelle foreste indicati dall’articolo 142, comma 1, lettera g), purché previsti ed autorizzati in base alla normativa in materia». Il richiamato art. 142, comma 1, lettera g), individua le «aree tutelate per legge» e dispone che «[s]ono comunque di interesse paesaggistico e sono sottoposti alle disposizioni di questo Titolo: […] g) i territori coperti da foreste e da boschi, ancorché percorsi o danneggiati dal fuoco, e quelli sottoposti a vincolo di rimboschimento […]».

Il citato art. 149 cod. beni culturali è integrato dai punti A.19 e A.20 dell’Allegato A del decreto del Presidente della Repubblica 13 febbraio 2017, n. 31 (Regolamento recante individuazione degli interventi esclusi dall’autorizzazione paesaggistica o sottoposti a procedura autorizzatoria semplificata), che elencano interventi rientranti nella definizione operata, rispettivamente, alle riportate lettere b) e c) del comma 1 dello stesso art. 149.

4.2.– Come visto, la disposizione regionale impugnata stabilisce che l’esonero dall’autorizzazione paesaggistica (previsto dal citato art. 47-bis, comma 4, della legge reg. Toscana n. 39 del 2000) si applica «anche agli interventi da eseguirsi nelle aree vincolate per il loro particolare valore paesaggistico ai sensi dell’articolo 136 del D.Lgs. 42/2004, con la sola eccezione di quelle in cui la dichiarazione di notevole interesse pubblico riguardi in modo esclusivo i boschi». Il richiamato art. 136 cod. beni culturali è dedicato ai beni individuati come di interesse paesaggistico con vincolo provvedimentale, ossia sulla base di un atto amministrativo che li dichiara appunto di «notevole interesse pubblico».

La legge regionale recante la disposizione impugnata è dotata di un preambolo in cui, oltre a definire il taglio colturale, si osserva che, «[a]nche in seguito ad alcune criticità emerse recentemente sul territorio regionale, si rende opportuno un intervento normativo finalizzato a chiarire il regime applicativo delle autorizzazioni necessarie allo svolgimento delle predette attività, con particolare riferimento agli interventi da eseguirsi nei boschi ricompresi nelle aree dichiarate di notevole interesse pubblico di cui all’articolo 136 del D.Lgs. 42/2004». Anche dalla memoria di costituzione della Regione Toscana risulta che la norma impugnata vorrebbe «rappresentare una semplice e corretta riproposizione» della disciplina statale, in quanto il citato art. 149 cod. beni culturali andrebbe inteso nel senso che, per il taglio colturale, l’autorizzazione paesaggistica è necessaria se sussiste un vincolo provvedimentale che riguarda specificamente ed esclusivamente il bosco, non quando la dichiarazione di notevole interesse pubblico (adottata ai sensi dell’art. 136 cod. beni culturali) ha ad oggetto un’area più ampia comprendente il bosco.

In sintesi, secondo la Regione la disposizione impugnata sarebbe legittima perché, pur essendo indiscusso che la disciplina dell’autorizzazione paesaggistica e delle sue eventuali esenzioni rientra nella competenza legislativa statale di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., essa si sarebbe limitata a chiarire il contenuto dell’art. 149 cod. beni culturali.

Tale impostazione non può essere condivisa. Proprio con riferimento all’autorizzazione paesaggistica di cui si discute, questa Corte ha già statuito che «la Regione non sarebbe competente, in una materia di esclusiva spettanza dello Stato, ad irrigidire nelle forme della legge casi di deroga al regime autorizzatorio, neppure quando essi fossero già desumibili dall’applicazione in concreto della disciplina statale» (sentenza n. 139 del 2013, confermata dalla sentenza n. 144 del 2021). In altra materia, ma sempre con riferimento a una previsione regionale che interveniva su un oggetto già disciplinato dallo Stato nell’esercizio della sua potestà legislativa esclusiva, questa Corte ha affermato che «[l]’argomento della difesa della Regione, secondo cui la norma regionale impugnata si limiterebbe ad esplicitare la disciplina previdenziale corrente, senza produrre effetti innovativi sull’ordinamento, quand’anche fondato, […] non varrebbe comunque a consentire l’esercizio da parte della Regione della funzione legislativa in materia, assegnata a titolo esclusivo al legislatore statale» (sentenza n. 82 del 2018; si vedano anche le sentenze n. 38 del 2018 e n. 233 del 2015).

Questi precedenti vanno qui confermati. Non vi è dubbio che la disciplina del provvedimento autorizzatorio, così come l’individuazione delle ipotesi di deroga, attiene al cuore della materia della tutela del paesaggio, di esclusiva competenza statale ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. (ex multis, sentenze n. 108, n. 106 e n. 21 del 2022, n. 141 e n. 138 del 2021). Per questa ragione, l’interpretazione di una disposizione come l’art. 149 cod. beni culturali, che indica puntualmente, offrendone una definizione, le opere non soggette ad autorizzazione paesaggistica, resta sottratta a qualsiasi possibilità di intervento ad opera della legge regionale: l’interpretazione non può che spettare agli organi chiamati ad applicare lo stesso art. 149 (pubblica amministrazione e giudici comuni) e, se del caso, al legislatore statale che intenda provvedervi in sede di interpretazione autentica.

Il necessario rispetto della competenza esclusiva dello Stato nella materia de qua corrisponde, del resto, all’esigenza sostanziale di non mettere a rischio quell’uniformità che l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. mira a garantire: uniformità che sarebbe pregiudicata qualora le regioni potessero vincolare con legge, nei loro territori, l’interpretazione dell’art. 149 cod. beni culturali. È in questa logica che la giurisprudenza costituzionale esclude la stessa possibilità della mera riproduzione di una disposizione legislativa statale, in materia di competenza esclusiva dello Stato, in quanto anche «la semplice novazione della fonte normativa costituisce comunque causa di illegittimità della disposizione regionale» (sentenza n. 178 del 2018, riguardante proprio la materia dell’autorizzazione paesaggistica).

4.3.– Precisato che, per le ragioni appena esposte, la norma impugnata si pone in contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera s), anche a prescindere dalla sua conformità o meno all’art. 149 cod. beni culturali, questa Corte deve osservare che la tesi della Regione Toscana (secondo la quale la norma impugnata rappresenterebbe «una semplice e corretta riproposizione» della disciplina statale) non risulta condivisibile.

L’intervento di taglio colturale è regolato, come visto, dall’art. 149, comma 1, lettera c), cod. beni culturali, che limita l’esonero dall’autorizzazione paesaggistica al caso in cui il taglio sia autorizzato «in base alla normativa in materia» e sia eseguito in un bosco vincolato ex lege. La giurisprudenza amministrativa conferma che l’assoggettamento del taglio colturale alla specifica disciplina di cui al citato art. 149, comma 1, lettera c), esclude che tale particolare tipo di intervento possa ricadere anche fra quelli genericamente inerenti all’esercizio dell’attività agro-silvo-pastorale, esonerati dall’autorizzazione paesaggistica ai sensi della lettera b) dello stesso art. 149, comma 1 (Consiglio di Stato, sezione prima, parere n. 1233 del 2020; sezione terza, sentenza 13 febbraio 2020, n. 1124; sezione sesta, sentenza 20 luglio 2018, n. 4416; sezione sesta, sentenza 10 febbraio 2015, n. 717; Tribunale amministrativo regionale per il Friuli-Venezia Giulia, sezione prima, sentenza 22 aprile 2014, n. 160). Soluzione, questa, che risulta coerente con il citato d.P.R. n. 31 del 2017, dal momento che il punto A.19 dell’Allegato A riconduce all’art. 149, comma 1, lettera b), solo attività minori relative ai boschi, mentre le «pratiche selvicolturali» in generale (comprendenti anche il taglio colturale) sono ricondotte dal punto A.20 all’art. 149, comma 1, lettera c). Similmente, come già visto, l’art. 7, comma 13, t.u. foreste dispone che «[l]e pratiche selvicolturali, i trattamenti e i tagli selvicolturali di cui all’articolo 3, comma 2, lettera c), eseguiti in conformità alle disposizioni del presente decreto ed alle norme regionali, sono equiparati ai tagli colturali di cui all’articolo 149, comma 1, lettera c), del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42».

Su questa base, il Consiglio di Stato, nel citato parere n. 1233 del 2020, ha affermato che l’esonero di cui all’art. 149, comma 1, lettera c), si applica solo se il taglio colturale dev’essere eseguito in un bosco vincolato ex lege (nel medesimo senso, TAR Lombardia, sezione staccata di Brescia, ordinanza 24 marzo 2017, n. 163; Ufficio legislativo del MIBACT, parere 8 settembre 2016, n. 25553). Anche le più recenti norme statali invocate nel ricorso come parametro interposto (e citate nel Ritenuto in fatto), cioè l’art. 7, comma 12, t.u. foreste e l’art. 36, comma 3, del d.l. n. 77 del 2021, come convertito, smentiscono la tesi secondo la quale l’esonero del taglio colturale dall’autorizzazione paesaggistica potrebbe operare anche nelle aree vincolate ai sensi dell’art. 136 cod. beni culturali.

Ne consegue che il comma 4-bis dell’art. 47-bis della legge reg. Toscana n. 39 del 2000 (aggiunto dalla disposizione impugnata), secondo il quale l’esonero del taglio colturale dall’autorizzazione paesaggistica si applica anche nelle aree vincolate ai sensi dell’art. 136 cod. beni culturali (eccetto «quelle in cui la dichiarazione di notevole interesse pubblico riguardi in modo esclusivo i boschi»), non presenta un valore meramente esplicativo del significato dell’art. 149 cod. beni culturali.

In conclusione, anche sotto questo ulteriore profilo, la disposizione impugnata viola l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in relazione agli artt. 146 e 149 cod. beni culturali.

5.– Le altre questioni promosse nel ricorso (per violazione degli artt. 9 e 117, secondo comma, lettera s, Cost. e del principio di leale collaborazione, in relazione all’art. 7, comma 12, t.u. foreste e all’art. 36, comma 3, del d.l. n. 77 del 2021, come convertito) restano assorbite.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1 della legge della Regione Toscana 28 dicembre 2021, n. 52 (Disposizioni in materia di tagli colturali. Modifiche alla l.r. 39/2000);

2) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1 della legge reg. Toscana n. 52 del 2021, promossa, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, in relazione agli artt. 135, 143 e 145 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137), dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe;

3) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1 della legge reg. Toscana n. 52 del 2021, promossa, in riferimento all’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 novembre 2022.

F.to:

Silvana SCIARRA, Presidente

Daria de PRETIS, Redattrice

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria il 29 novembre 2022.