Sentenza n. 234 del 2022

SENTENZA N. 234

ANNO 2022

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Silvana SCIARRA

Giudici: Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 3, del decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4 (Disposizioni urgenti in materia di reddito di cittadinanza e di pensioni), convertito, con modificazioni, nella legge 28 marzo 2019, n. 26, promosso dal Tribunale ordinario di Trento, in funzione di giudice del lavoro, nel procedimento vertente tra M. B. e l’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), con ordinanza del 25 agosto 2021, iscritta al n. 211 del registro ordinanze 2021 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 1, prima serie speciale, dell’anno 2022.

Visti l’atto di costituzione dell’INPS, nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 4 ottobre 2022 il Giudice relatore Silvana Sciarra;

uditi gli avvocati Mirella Mogavero e Antonella Patteri per l’INPS e l’avvocato dello Stato Fabrizio Urbani Neri per il Presidente del Consiglio dei ministri;

deliberato nella camera di consiglio del 4 ottobre 2022.

Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza del 25 agosto 2021, iscritta al n. 211 del registro ordinanze 2021, il Tribunale ordinario di Trento, in funzione di giudice del lavoro, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 3, del decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4 (Disposizioni urgenti in materia di reddito di cittadinanza e di pensioni), convertito, con modificazioni, nella legge 28 marzo 2019, n. 26, in riferimento all’art. 3, primo comma, della Costituzione, nella parte in cui prevede la non cumulabilità della pensione anticipata maturata per aver raggiunto la cosiddetta “quota 100” – a far tempo dal primo giorno di decorrenza della pensione e fino alla data di maturazione dei requisiti per l’accesso alla pensione di vecchiaia – con i redditi da lavoro dipendente, qualunque sia il relativo ammontare, mentre consente il cumulo con i redditi da lavoro autonomo occasionale entro il limite di 5.000 euro lordi annui.

2.– Dinanzi al giudice a quo pende il procedimento introdotto da M. B. nei confronti dell’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), con le domande di accertamento negativo del diritto dell’INPS alla restituzione dei ratei di pensione versati nel periodo maggio 2019-agosto 2020, e di condanna del medesimo Istituto a corrispondere i ratei di pensione relativi al periodo settembre-dicembre 2020, compresa la tredicesima.

2.1.– Il rimettente riferisce che M. B. ha maturato la pensione anticipata ai sensi dell’art. 14, comma 1, del d.l. n. 4 del 2019, come convertito, nella categoria VO/COM a far data dal 1° maggio 2019 e che, successivamente, ha svolto prestazioni di lavoro di tipo intermittente senza obbligo di disponibilità, percependo redditi per complessivi 1.472,47 euro lordi.

L’INPS ha quindi chiesto la ripetizione dei ratei versati e non ha corrisposto i ratei relativi al periodo settembre-dicembre 2020, facendo applicazione dell’art. 14, comma 3, del d.l. n. 4 del 2019, come convertito, che dispone il divieto di cumulo della pensione anticipata con i redditi da lavoro dipendente.

2.2.– Riferisce ancora il giudice a quo che, secondo il ricorrente, la violazione del divieto di cumulo non potrebbe comportare la sospensione del trattamento pensionistico per l’intero anno solare in cui siano stati percepiti i redditi da lavoro, come ritenuto invece dall’INPS. Un’interpretazione costituzionalmente orientata della previsione sul divieto di cumulo imporrebbe all’Istituto di procedere soltanto alla decurtazione della pensione, in misura corrispondente ai redditi da lavoro dipendente percepiti.

2.3.– In via subordinata, per l’ipotesi di non percorribilità della prospettata interpretazione conforme, il ricorrente ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 3, del d.l. n. 4 del 2019, come convertito, in riferimento agli artt. 3, 4, 36, primo comma, e 38, secondo comma, Cost.

La disposizione in oggetto avrebbe introdotto una ingiustificata e irragionevole disparità di trattamento tra il pensionato che svolga attività di lavoro autonomo occasionale, percependo compensi fino a 5.000 euro lordi annui, e il pensionato che svolga attività di lavoro dipendente, con retribuzioni contenute entro il medesimo limite, giacché soltanto il primo conserva il diritto alla pensione nell’anno solare in cui ha conseguito il reddito da lavoro.

Sarebbe violato, inoltre, l’art. 38, secondo comma, Cost., poiché, anche a fronte della percezione di redditi da lavoro di entità esigua, la decurtazione del trattamento pensionistico interverrebbe per l’intero anno solare.

Vi sarebbe anche contrasto con gli artt. 4 e 36, primo comma, Cost. poiché il sacrificio non proporzionato e irragionevole imposto al pensionato limiterebbe il diritto al lavoro.

2.4.– Il giudice a quo riferisce il contenuto della difesa svolta dall’INPS, parte resistente nel giudizio principale.

L’Istituto reputa non praticabile l’interpretazione dell’art. 14, comma 3, del d.l. n. 4 del 2019, come convertito, suggerita dal ricorrente, ritenendola in aperto contrasto con la ratio della pensione anticipata a “quota 100”, che consiste nel garantire flessibilità in uscita a coloro che intendono usufruire del trattamento pensionistico in data anteriore a quella prevista dalla disciplina ordinaria, e di favorire il ricambio generazionale, a fronte di un costo significativo per l’intero sistema previdenziale.

Priva di consistenza sarebbe anche l’eccezione di illegittimità costituzionale riguardante la mancata fissazione di un importo minimo entro il quale i redditi da lavoro dipendente dovrebbero risultare cumulabili con il trattamento pensionistico, in analogia con quanto previsto per i redditi da lavoro autonomo occasionale. L’Istituto sottolinea in proposito che il limite previsto dall’art. 14, comma 3, del d.l. n. 4 del 2019, come convertito, non è di natura quantitativa ma qualitativa, essendo ancorato alla tipologia di lavoro svolto dal pensionato.

2.5.– Così ricostruita la fattispecie controversa, il rimettente esclude in primo luogo la praticabilità dell’interpretazione prospettata in via principale dal ricorrente.

Nella disciplina della pensione anticipata a “quota 100”, infatti, la percezione di redditi da lavoro rileverebbe non già come fattore che determina la decurtazione del trattamento pensionistico, bensì quale evento impeditivo della corresponsione della pensione anticipata nell’anno solare in cui siano stati percepiti i redditi da lavoro. Inoltre, sul piano sistematico, se «il titolare di pensione anticipata subisse solamente una decurtazione del quantum corrispondente all’ammontare dei redditi da lavoro percepiti, verrebbe notevolmente frustrata la possibilità di realizzare gli obiettivi sottesi all’introduzione della pensione, vale a dire la flessibilità in uscita solamente per chi intende abbandonare pressoché del tutto l’attività lavorativa e il favore per un ricambio generazionale nelle attività produttive».

2.6.– Il rimettente procede, quindi, all’esame delle eccezioni di illegittimità costituzionale dell’art. 14, comma 3, del d.l. n. 4 del 2019, come convertito, ritenendo che il giudizio principale non possa essere definito senza fare applicazione di tale norma, e che da ciò discenderebbe il rigetto delle domande proposte dal ricorrente.

2.7.– In punto di non manifesta infondatezza, il rimettente sottolinea l’evidente sproporzione tra i redditi da lavoro conseguiti dal ricorrente negli anni 2019 e 2020, pari a complessivi euro 1.472,47, e i ratei di pensione anticipata, pari a complessivi euro 34.508,69, che, per effetto del divieto di cumulo, non gli spetterebbero.

Muovendo da tale rilievo il rimettente procede a una ricognizione della giurisprudenza costituzionale che si è formata sul tema del cumulo tra pensione e redditi da lavoro, pure a fronte di un contesto normativo ripetutamente mutato nel tempo (è richiamata la sentenza n. 241 del 2016).

2.7.1.– Con riferimento alla pensione di vecchiaia, osserva il giudice a quo, questa Corte ha più volte affermato che non è di per sé illegittima la riduzione del trattamento pensionistico in caso di concorso con altra prestazione retribuita (sentenza n. 275 del 1976). Una disposizione che prevedesse la sospensione dell’erogazione della pensione in conseguenza della percezione di redditi da lavoro, senza dare rilievo all’ammontare di questi, sarebbe priva di giustificazione e dunque costituzionalmente illegittima (sono richiamate le sentenze n. 197 del 2010, n. 232 e n. 204 del 1992, n. 566 del 1989).

Siffatto ragionamento non sarebbe proponibile per i trattamenti pensionistici di anzianità o anticipati, come quello in esame. Essi, infatti, prescindendo dall’età pensionabile, costituiscono un beneficio discrezionalmente concesso dal legislatore che ben può essere limitato al solo caso di cessazione effettiva dell’attività lavorativa, con la conseguenza che sono state ritenute costituzionalmente legittime le normative che prevedono il divieto assoluto di cumulo delle pensioni di anzianità con il reddito da lavoro dipendente (sentenze n. 416 del 1999, n. 433 del 1994, n. 576 del 1989, n. 155 del 1969; ordinanza n. 47 del 1994).

Il rimettente richiama, in particolare, la sentenza n. 416 del 1999, secondo cui il divieto di cumulo è espressione di esercizio non irragionevole della discrezionalità legislativa, che trova giustificazione sia nella tendenza a disincentivare l’accesso al trattamento pensionistico in anticipo rispetto all’età pensionabile, sia nelle esigenze di bilancio, il cui carattere contingente spiega anche la mutevolezza della disciplina in tema di cumulo tra pensione e redditi da lavoro.

Nell’ambito dei trattamenti pensionistici anticipati, osserva quindi il giudice a quo, non sarebbe invocabile la garanzia sancita dall’art. 38, secondo comma, Cost., che è legata allo stato di bisogno ed è, come tale, riservata alle pensioni che trovano causa nella cessazione dell’attività lavorativa per ragioni di età anagrafica.

Analogamente, non potrebbe dubitarsi della compatibilità del divieto assoluto di cumulo previsto nella disciplina della pensione anticipata a “quota 100” con gli artt. 4 e 36 Cost., posto che, come in casi analoghi già affermato da questa Corte, è comunque rimessa al pensionato la scelta tra la sospensione del trattamento pensionistico e la rinuncia ad avviare un nuovo rapporto di lavoro dipendente (sono richiamate le sentenze n. 433 del 1994, n. 576 del 1989 e n. 531 del 1988).

Il rimettente reputa, invece, non manifestamente infondato il dubbio di compatibilità dell’art. 14, comma 3, del d.l. n. 4 del 2019, come convertito, con il principio di eguaglianza formale, sancito dall’art. 3, primo comma, Cost., nella parte in cui la norma indicata stabilisce il divieto di cumulo della pensione anticipata a “quota 100” con redditi da lavoro dipendente di qualsiasi ammontare, mentre consente il cumulo con redditi da lavoro autonomo occasionale fino all’importo di 5.000 euro lordi annui.

2.8.– Per argomentare la non manifesta infondatezza, il giudice a quo muove dall’esame della sentenza n. 433 del 1994 di questa Corte, che ha dichiarato non fondata la questione, analoga a quella odierna, avente a oggetto l’art. 10 del decreto-legge 29 gennaio 1983, n. 17 (Misure per il contenimento del costo del lavoro e per favorire l’occupazione), convertito, con modificazioni, nella legge 25 marzo 1983, n. 79, nonché l’art. 22 della legge 30 aprile 1969, n. 153 (Revisione degli ordinamenti pensionistici e norme in materia di sicurezza sociale), nella parte in cui dette norme disponevano il divieto di cumulo di trattamento pensionistico anticipato con redditi da lavoro dipendente.

In quel caso questa Corte aveva escluso la disparità di trattamento rispetto ai redditi da lavoro autonomo richiamando la conclamata diversità dei rapporti di lavoro dipendente rispetto a quelli di lavoro autonomo, anche sotto il profilo dei sistemi contributivi, per poi evidenziare che la scelta legislativa di disincentivare il lavoro dipendente nella fase successiva al collocamento a riposo risultava funzionale a rimuovere gli ostacoli per l’accesso dei giovani al lavoro.

Il precedente citato non sarebbe però dirimente ai fini della questione odierna. Non sarebbe in discussione, infatti, il sistema contributivo cui assoggettare la prestazione lavorativa svolta dal pensionato, quanto piuttosto le conseguenze che tale attività produce sulla spettanza del trattamento pensionistico nell’anno di percezione dei redditi da lavoro.

Inoltre, nel contesto normativo attuale la distinzione tra lavoro dipendente e lavoro autonomo risulterebbe meno nitida, come dimostrerebbe in modo paradigmatico la fattispecie oggetto del giudizio principale. Il pensionato ricorrente ha svolto prestazioni nell’ambito di un rapporto di lavoro intermittente senza obbligo di disponibilità a rispondere alle chiamate, rapporto di lavoro che sarebbe di dubbia assimilazione con il lavoro subordinato.

In ogni caso, lo svolgimento di attività produttiva di redditi da lavoro dipendente fino a 5.000 euro lordi annui non pone in dubbio la volontà dell’interessato di conservare la qualità di pensionato, né sarebbe tale da incidere sul ricambio generazionale nell’occupazione stabile, obiettivo quest’ultimo indicato dal legislatore del 2019.

3.– Con atto depositato il 24 gennaio 2022, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, è intervenuto nel giudizio incidentale per chiedere che la questione sollevata sia dichiarata inammissibile o, comunque, priva di fondamento.

3.1.– La questione sarebbe inammissibile per la perplessità che la connoterebbe, giacché nell’ordinanza di rimessione il giudice a quo avrebbe mostrato di dubitare della riconducibilità del lavoro intermittente, svolto dal ricorrente, all’ambito del lavoro subordinato, là dove solo a fronte di tale configurazione la questione sarebbe rilevante.

3.2.– Nel merito la questione sarebbe manifestamente infondata.

La difesa dello Stato sottolinea la complessità della manovra economica all’interno della quale si colloca la normativa in esame, come si desumerebbe già dal preambolo del d.l. n. 4 del 2019, come convertito.

A fronte di emergenze finanziarie, l’obiettivo primario di una misura pensionistica temporanea era quello di favorire un ricambio generazionale nelle attività produttive, consentendo la flessibilità in uscita soltanto a quanti intendessero abbandonare pressoché integralmente l’attività lavorativa.

Il divieto di cumulo non costituirebbe dunque misura sproporzionata e irragionevole, fermo restando che il godimento anticipato dei trattamenti pensionistici rappresenta un beneficio discrezionalmente concesso dal legislatore (è richiamata la sentenza di questa Corte n. 155 del 1969).

3.3.– Quanto alla denunciata disparità di trattamento, la difesa statale richiama anch’essa la sentenza n. 433 del 1994, in cui questa Corte ha sottolineato che il disfavore per l’attività lavorativa prestata in posizione subordinata dopo il collocamento a riposo «potrebbe costituire l’espressione di un indirizzo di politica legislativa, inteso a rimuovere ostacoli all’accesso dei giovani ad occasioni lavorative», ostacoli che di regola non sono costituiti dall’espletamento di un’attività libero-professionale.

4.– Con atto depositato in data 25 gennaio 2022, l’INPS si è costituito nel giudizio incidentale per chiedere che la questione sia dichiarata non fondata.

4.1.– Dopo avere richiamato in sintesi il contenuto dell’ordinanza di rimessione, l’Istituto osserva che la netta differenziazione tra lavoro subordinato e lavoro autonomo, ripetutamente affermata da questa Corte quanto ai sistemi contributivi e ai requisiti utili per accedere alla pensione, costituisce il presupposto per valutare la razionalità della norma censurata.

La diversità strutturale tra le due tipologie di lavoro rileverebbe anche sul piano del trattamento retributivo, che per il lavoro dipendente comporta il versamento obbligatorio dei contributi nel Fondo pensioni lavoratori dipendenti. Il reddito da lavoro autonomo occasionale è, invece, esente dall’obbligo contributivo fino all’importo di euro 5.000 lordi annui.

L’art. 44, comma 2, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, nella legge 24 novembre 2003, n. 326, ha previsto, infatti, che, a decorrere dal 1° gennaio 2004, i lavoratori autonomi occasionali debbano iscriversi alla gestione separata INPS solo qualora il reddito annuo derivante dall’attività sia superiore all’importo sopra indicato.

In questa diversa disciplina contributiva, del tutto trascurata dal giudice a quo, risiederebbe la giustificazione dell’esenzione dal divieto di cumulo prevista dal legislatore del 2019 per i soli redditi da lavoro autonomo occasionale entro il limite di 5.000 euro lordi annui.

4.2.– L’Istituto osserva, inoltre, che il censurato art. 14, comma 3, del d.l. n. 4 del 2019, come convertito, consente per un periodo limitato (2019-2021) l’accesso alla pensione anticipata, se si raggiunge un’età anagrafica di almeno 62 anni e un’anzianità contributiva minima di 38 anni.

L’impianto redistributivo dell’intervento legislativo sperimentale, che incide sulle dinamiche previdenziali, intende favorire l’accesso all’impiego di giovani e non occupati, come anche rilevato da questa Corte nella sentenza n. 234 del 2020.

In ogni caso, poiché l’accesso alla pensione anticipata a ‘‘quota 100’’ costituisce un’eccezione al regime generale, che prevede il pensionamento a 67 anni, età anagrafica sensibilmente più alta di quella richiesta dalla disposizione censurata, non sarebbe irragionevole il divieto di svolgere attività lavorativa.

4.3.– Il punto critico individuato dal rimettente risiede nella eccezione prevista per il lavoro autonomo occasionale che non superi i 5.000 euro lordi annui. Si tratta, sostiene l’INPS di eccezione sorretta da giustificazione, poiché riguarda un’attività esente da obbligo contributivo, laddove il pensionato che svolgesse attività da lavoro dipendente continuerebbe ad incrementare la contribuzione presso il Fondo pensioni lavoratori dipendenti.

Le situazioni poste a raffronto dal rimettente non sarebbero comparabili e ciò escluderebbe la lesione del principio di eguaglianza.

4.4.– L’Istituto segnala infine che, nella prospettiva di favorire l’occupazione e il ricambio generazionale, il divieto assoluto di svolgere attività di lavoro subordinato, anche di breve durata, troverebbe giustificazione nel ruolo crescente che talune tipologie di contratti assumono per l’accesso al mercato del lavoro, in funzione della copertura di periodi di assenza di contribuzione.

5.– Ai sensi dell’art. 4-ter delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, il Sindacato cronisti romani presso l’Associazione stampa romana ha depositato opinione scritta a titolo di amicus curiae, che è stata ammessa con decreto presidenziale dell’8 luglio 2022. L’opinione si diffonde sulla situazione previdenziale dei giornalisti e pubblicisti, segnalando le possibili ricadute del divieto di cumulo nel settore di riferimento.

6.– Nel corso dell’udienza pubblica le parti hanno ribadito le considerazioni svolte nei rispettivi atti di intervento e di costituzione, in punto di inammissibilità o, comunque di non fondatezza della questione.

Considerato in diritto

1.– Con l’ordinanza indicata in epigrafe (r.o. n. 211 del 2021), il Tribunale ordinario di Trento, in funzione di giudice del lavoro, solleva questione di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 3, del d.l. n. 4 del 2019, n. 4, come convertito, in riferimento all’art. 3, primo comma, Cost.

1.1.– La disposizione censurata, collocata all’interno della disciplina della pensione anticipata, cosiddetta “quota 100”, prevede che essa «non è cumulabile, a far data dal primo giorno di decorrenza della pensione e fino alla maturazione dei requisiti per l’accesso alla pensione di vecchiaia, con i redditi da lavoro dipendente o autonomo, ad eccezione di quelli derivanti da lavoro autonomo occasionale, nel limite di 5.000 euro lordi annui».

2.– L’ordinanza di rimessione è stata pronunciata nell’ambito di un giudizio introdotto da M. B., titolare di pensione anticipata a “quota 100” a far data dal 1° maggio 2019, nei confronti dell’INPS.

Il ricorrente, che ha svolto lavoro di tipo intermittente nel periodo successivo al pensionamento, contesta la pretesa dell’INPS di ripetere i ratei di pensione già corrispostigli e chiede, inoltre, la condanna dell’Istituto a versargli i ratei di pensione relativi al periodo settembre-dicembre 2020.

3.– Il giudice a quo argomenta la rilevanza della questione evidenziando che il giudizio principale non può essere definito prescindendo dall’applicazione dell’art. 14, comma 3, del d.l. n. 4 del 2019, come convertito.

4.– Quanto alla non manifesta infondatezza, il rimettente ritiene privo di giustificazione il trattamento differenziato del divieto di cumulo a seconda che i redditi percepiti dal pensionato derivino da attività di lavoro dipendente o di lavoro autonomo; anche l’obiettivo di favorire l’occupazione giovanile, esplicitamente perseguito dal legislatore con la pensione anticipata a quota “100”, non sembrerebbe compromesso dallo svolgimento, da parte del pensionato, di attività di lavoro dipendente produttiva di redditi fino a 5.000 euro lordi annui, o comunque non lo sarebbe in misura maggiore rispetto all’attività di lavoro autonomo occasionale.

5.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, intervenuto in giudizio per mezzo dell’Avvocatura generale dello Stato, ritiene la questione inammissibile per difetto di motivazione sulla rilevanza.

Il giudice a quo non avrebbe sciolto il dubbio circa la natura del rapporto di lavoro intermittente, svolto nella fattispecie oggetto del giudizio principale. Soltanto se tale prestazione lavorativa fosse riconducibile all’ampia nozione di lavoro subordinato, sussisterebbe il nesso di pregiudizialità fra risoluzione della questione di legittimità costituzionale e la decisione del caso concreto.

6.– L’eccezione non è fondata.

Il rimettente dubita che il lavoro intermittente senza obbligo di rispondere alla chiamata possa essere ricondotto nell’alveo del lavoro subordinato, in ragione della natura flessibile della prestazione richiesta. Si tratta, a ben vedere, di un argomento strumentale, adoperato a sostegno della tesi di fondo secondo cui la distinzione tra lavoro dipendente e lavoro autonomo, oggi sempre meno nitida, non potrebbe giustificare il diverso trattamento riguardo al divieto di cumulo con la pensione anticipata.

Ciò non rende incerta o perplessa la motivazione sulla rilevanza (ex plurimis, sentenze n. 39 del 2021, n. 254 del 2020 e n. 102 del 2016; ordinanza n. 147 del 2013), posto che il rimettente afferma chiaramente la necessità di applicare la norma censurata nel giudizio principale, prefigurandone l’esito sfavorevole al ricorrente a disposizione invariata, e coerentemente chiede a questa Corte un intervento additivo, che valga a estendere l’esenzione dal divieto di cumulo prevista per i soli redditi da lavoro autonomo occasionale entro il limite di 5.000 euro lordi annui, ai redditi di pari entità frutto di un’attività di lavoro “saltuaria”, quale è il lavoro intermittente.

7.– Nel merito, la questione non è fondata.

7.1.– Il divieto di cumulo previsto dalla norma censurata risponde a più ampie esigenze di razionalità del sistema pensionistico, all’interno del quale il regime derogatorio introdotto dal legislatore del 2019 con una misura sperimentale e temporalmente limitata, risulta particolarmente vantaggioso per chi scelga di farvi ricorso.

Il legislatore ha preteso, non irragionevolmente, che il soggetto che sceglie di usufruire di tale trattamento esca dal mercato del lavoro, sia per la sostenibilità del sistema previdenziale, sia per favorire il ricambio generazionale.

Di ciò è consapevole il giudice rimettente, il quale, pur adombrando che possa ritenersi sproporzionata la sospensione del trattamento pensionistico per l’intero anno solare in cui siano stati percepiti redditi da lavoro, specialmente se si tratta di importi modesti, incentra il dubbio di legittimità costituzionale sul regime differenziato del divieto di cumulo. Mentre il lavoro occasionale, prestato senza vincolo di subordinazione, remunerato entro la soglia massima di 5.000 euro lordi annui è cumulabile con il trattamento pensionistico, non lo è il lavoro intermittente, foss’anche quello – come accaduto nella vicenda oggetto del giudizio principale – che non prevede alcun obbligo di disponibilità nel rispondere alla chiamata del datore di lavoro.

A sostegno di tale prospettazione il rimettente richiama ripetutamente la sentenza n. 416 del 1999. Questa Corte ha affermato in tale occasione che, quanto al divieto di cumulo tra pensione anticipata e redditi da lavoro, le differenze tra lavoro autonomo e lavoro subordinato non erano, nella prospettiva del legislatore dell’epoca, tali da imporre una disciplina diversificata del cumulo.

7.2.– Il riferimento alla decisione citata non è dirimente nell’impostazione dell’odierna questione. La comparazione, ora proposta dal rimettente, fra redditi da lavoro autonomo occasionale entro la soglia di 5.000 euro lordi annui e redditi da lavoro intermittente non ha fondamento, poiché non sono omogenee le situazioni poste a raffronto.

Il lavoro intermittente deve essere ricondotto all’ampia categoria del lavoro flessibile, che il legislatore ha progressivamente circondato di regole (da ultimo, con gli articoli da 13 a 18 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, recante «Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a norma dell’articolo 1, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183»).

In assenza di una disciplina tradizionale dell’orario di lavoro, specialmente nei settori produttivi in cui l’offerta di occupazione non è costante e non ha cadenze regolari, l’intento è quello di non ostacolare le scelte organizzative del datore di lavoro, garantendo al contempo la tutela della dignità del lavoratore, che si sostanzia, tra l’altro, nella compatibilità fra tempi di lavoro e vita privata.

La disposizione che consente al lavoratore di non obbligarsi a rispondere alla chiamata del datore di lavoro (art. 13 del d.lgs. n. 81 del 2015), come nella fattispecie oggetto del giudizio principale, si differenzia da quella in cui è prevista la corresponsione di un’indennità, commisurata alla retribuzione, che compensa i tempi di attesa di quanti optano per una disponibilità costante (art. 16 del d.lgs. n. 81 del 2015). Entrambe le prestazioni di lavoro flessibile, sia pure nella loro peculiare frammentarietà, rispondono pur sempre a esigenze organizzative del datore di lavoro.

L’eterodirezione è, al contrario, del tutto assente nel lavoro autonomo occasionale. Quest’ultimo costituisce, infatti, un’area residuale del lavoro autonomo, riconducibile alla definizione contenuta nell’art. 2222 del codice civile. L’occasionalità caratterizza una prestazione non abituale, sottratta a qualunque vincolo di subordinazione.

7.3.– La differenza tra le tipologie di attività in esame si riflette coerentemente sulla diversa disciplina del divieto di cumulo. Mentre al lavoro intermittente, proprio perché subordinato, si accompagna l’obbligo di contribuzione, così non accade per il lavoro autonomo occasionale produttivo di redditi entro la soglia massima dei 5.000 euro lordi annui (art. 44, comma 2, del d.l. n. 269 del 2003, come convertito).

Come chiarito anche di recente da questa Corte, sia pure in una fattispecie diversa da quella ora in esame (sentenza n. 104 del 2022), il lavoratore autonomo occasionale percettore di redditi entro la soglia indicata non è tenuto a iscriversi alla Gestione separata di cui all’art. 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335 (Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare), e quei redditi, ai sensi dell’art. 44, comma 2, del d.l. n. 269 del 2003, come convertito, non sono soggetti a prelievo previdenziale.

7.4.– In ragione della diversità delle situazioni lavorative poste a raffronto, si deve dunque escludere che sia costituzionalmente illegittimo il difforme trattamento riservato, ai fini del divieto di cumulo con la pensione anticipata a “quota 100”, ai redditi da esse derivanti. L’assenza di omogeneità fra le prestazioni di lavoro qui esaminate porta alla conclusione che non è violato il principio di eguaglianza (ex plurimis, sentenze n. 127 del 2020, n. 32 del 2018 e n. 241 del 2016; ordinanza n. 346 del 2004).

7.5.– La scelta del legislatore, vòlta a diversificare il trattamento previsto per il divieto di cumulo, non risulta costituzionalmente illegittima neppure considerando la sproporzione che può in concreto determinarsi – come nella fattispecie oggetto del giudizio principale – fra l’entità dei redditi da lavoro percepiti dal pensionato che ha usufruito della cosiddetta “quota 100” e i ratei di pensione la cui erogazione è sospesa.

Non si può non considerare l’eccezionalità della misura pensionistica in esame, che ha consentito, per il triennio 2019-2021, il ritiro dal lavoro all’età di 62 anni, con un’anzianità contributiva di almeno 38 anni, senza penalizzazioni nel calcolo della rendita. Nell’adottare una disciplina sperimentale, il legislatore ha configurato un regime di quiescenza disciplinato da regole molto più favorevoli rispetto al sistema ordinario. La prevista sospensione del trattamento di quiescenza in caso di violazione del divieto di cumulo è, per l’appunto, rivolta a garantire un’effettiva uscita del pensionato che ha raggiunto la cosiddetta “quota 100” dal mercato del lavoro, anche al fine di creare nuova occupazione e favorire il ricambio generazionale, all’interno di un sistema previdenziale sostenibile.

Nel regime ora descritto, la percezione da parte del pensionato di redditi da lavoro, qualunque ne sia l’entità, costituisce elemento fattuale che contraddice il presupposto richiesto dal legislatore per usufruire di tale favorevole trattamento pensionistico anticipato (come rilevato peraltro da questa Corte con riferimento al diritto all’erogazione della Nuova assicurazione sociale per l’impiego – NASpI –, nella sentenza n. 194 del 2021), e mette a rischio l’obiettivo occupazionale.

Anche in questa prospettiva, l’assenza di omogeneità fra le situazioni lavorative poste a raffronto dal rimettente risulta decisiva per escludere la fondatezza della questione.

Il lavoro autonomo occasionale, per la sua natura residuale, non incide in modo diretto e significativo sulle dinamiche occupazionali, né su quelle previdenziali e si differenzia per questo dal lavoro subordinato, sia pure nella modalità flessibile del lavoro intermittente.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 3, del decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4 (Disposizioni urgenti in materia di reddito di cittadinanza e di pensioni), convertito, con modificazioni, nella legge 28 marzo 2019, n. 26, sollevata, in riferimento all’art. 3, primo comma, della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Trento, in funzione di giudice del lavoro, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 ottobre 2022.

F.to:

Silvana SCIARRA, Presidente e Redattore

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria il 24 novembre 2022.