Sentenza n. 181 del 2022

SENTENZA N. 181

ANNO 2022

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Giuliano AMATO;

Giudici: Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 10, comma 2-bis, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90 (Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari), convertito, con modificazioni, in legge 11 agosto 2014, n. 114, anche in combinato disposto con il comma 1 dello stesso art. 10, promosso dal Tribunale ordinario di Lucca, sezione lavoro, nel procedimento vertente tra P.M. L.F. e il Comune di Massarosa, con ordinanza del 15 luglio 2021, iscritta al n. 174 del registro ordinanze 2021 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 46, prima serie speciale, dell’anno 2021.

Visti l’atto di costituzione di P.M. L.F., nonché gli atti di intervento di V. S. e del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 7 giugno 2022 il Giudice relatore Maria Rosaria San Giorgio;

uditi gli avvocati Giovanni Pellegrino per V. S., in collegamento da remoto, ai sensi del punto 1) del decreto del Presidente della Corte del 18 maggio 2021, Andrea Pertici per P.M. L.F. e l’avvocato dello Stato Ruggero di Martino per il Presidente del Consiglio dei ministri;

deliberato nella camera di consiglio dell’8 giugno 2022.

Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza iscritta al n. 174 del registro ordinanze del 2021, il Tribunale ordinario di Lucca, sezione lavoro, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 36, 77 e 97 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 10, comma 2-bis, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90 (Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari), convertito, con modificazioni, in legge 11 agosto 2014, n. 114, anche in combinato disposto con il comma 1 dello stesso art. 10, nella parte in cui «limita l’attribuzione di una quota dei diritti di rogito spettanti all’Ente locale ai segretari comunali che non abbiano qualifica dirigenziale o che prestino servizio in Enti locali privi di personale con qualifica dirigenziale, anziché prevederla per tutti i segretari comunali e provinciali».

Il rimettente riferisce che, nel procedimento pendente dinnanzi a sé, instaurato con ricorso ai sensi dell’art. 414 del codice di procedura civile, P.M. L.F. ha domandato, nei confronti del Comune di Massarosa, il riconoscimento dei diritti di rogito per l’attività prestata in qualità di segretario comunale, per il periodo di tempo compreso tra il 2 gennaio 2016 e il 3 novembre 2019. Il Comune le avrebbe negato la corresponsione di tali diritti proprio in forza della previsione di cui all’art. 10, comma 2-bis, del d.l. n. 90 del 2014, aggiunto dalla legge di conversione, che così recita: «Negli enti locali privi di dipendenti con qualifica dirigenziale, e comunque a tutti i segretari comunali che non hanno qualifica dirigenziale, una quota del provento annuale spettante al comune ai sensi dell’articolo 30, secondo comma, della legge 15 novembre 1973, n. 734, come sostituito dal comma 2 del presente articolo, per gli atti di cui ai numeri 1, 2, 3, 4 e 5 della tabella D allegata alla legge 8 giugno 1962, n. 604, e successive modificazioni, è attribuita al segretario comunale rogante, in misura non superiore a un quinto dello stipendio in godimento».

Le questioni sarebbero rilevanti in quanto, ad avviso del rimettente, la norma censurata «impedisce, così come formulata, di accogliere le pretese avanzate dalla ricorrente».

Quanto al requisito della non manifesta infondatezza, il giudice a quo rinviene anzitutto un vulnus all’art. 3 della Costituzione, sotto il profilo della disparità di trattamento all’interno della categoria dei segretari comunali e provinciali, segnatamente tra coloro che sono inquadrati nella «prima fascia» e coloro che sono invece inquadrati nella «fascia inferiore», nonché tra coloro che svolgono le funzioni in enti locali privi di personale con qualifica dirigenziale e coloro che prestano la propria attività presso un’amministrazione che annovera nel proprio organico dipendenti con tale qualifica. Il rimettente ricorda che la competenza dei segretari comunali e provinciali a rogare gli atti dell’ente locale risale al regio decreto 3 marzo 1934, n. 383 (Approvazione del testo unico della legge comunale e provinciale), il cui art. 89 delineava «il carattere autonomo dell’attività di rogito» rispetto alle altre competenze degli stessi segretari, con conseguente attribuzione «di un autonomo – e ragionevole – compenso». Quella di cui si discute costituirebbe una competenza «autonoma e del tutto peculiare rispetto alle altre funzioni che il segretario esercita alle dipendenze dell’ente locale», cui sono sottese «diverse e specifiche responsabilità, eccedenti l’ambito delle attribuzioni riconducibili al segretario in base al rapporto di Pubblico Impiego».

La norma censurata, sotto altro aspetto, confliggerebbe con l’art. 36 Cost., per la violazione del diritto dei segretari di ricevere una retribuzione per le proprie prestazioni commisurata alla quantità e alla qualità del lavoro. Costoro vedrebbero, di fatto, «neutralizzata» l’attività di rogito, attraverso il mancato riconoscimento del relativo compenso.

L’eliminazione dei diritti di rogito violerebbe, altresì, i principi di certezza del diritto e di legittimo affidamento, posto che la categoria in questione, ai sensi dell’art. 37 del contratto collettivo nazionale di lavoro dei segretari comunali e provinciali, sottoscritto il 16 maggio 2001, «fa affidamento su tale voce stipendiale».

Emergerebbe, poi, ancora, il contrasto delle disposizioni censurate con l’art. 3 Cost., tanto sotto il profilo dell’eguaglianza, quanto sotto quello della ragionevolezza, poiché si determinerebbero trattamenti differenziati all’interno della categoria dei segretari comunali e provinciali, ancorché svolgenti la medesima funzione. Né sarebbe dato comprendere il motivo per cui i diritti di segreteria vengano riconosciuti solo se il segretario sia inserito in una fascia inferiore o svolga la propria attività in un ente privo di dirigenti. A giudizio del rimettente non potrebbe invocarsi, in proposito, una presunta funzione «perequativa» di differenti trattamenti retributivi, non essendo peraltro questa la ratio della corresponsione dei diritti di segreteria (posto che, come rimarca il rimettente, si tratta di voce variabile della retribuzione, e comunque potenzialmente assente).

L’asserita funzione perequativa non potrebbe giustificarsi alla luce dell’istituto del cosiddetto “galleggiamento”, il quale «non opera automaticamente» e, anche nei casi in cui opera, non sarebbe tale da escludere che al segretario «galleggiato» possano ugualmente spettare i diritti di segreteria (condizione che – precisa il rimettente – ben può verificarsi nei casi in cui un segretario comunale presti la propria opera presso Comuni diversi, dei quali almeno uno sia dotato di posizioni dirigenziali).

In definitiva, sarebbe da escludere che la norma censurata persegua una finalità perequativa, essendo invece «tale da determinare un’irragionevole disparità di trattamento fra i consiglieri [recte: segretari] comunali e provinciali, quindi un’irragionevole difformità in grado di inficiare la progressione in carriera dei lavoratori pubblici, così violando i principi di cui all’articolo 97 della Costituzione».

Infine, a giudizio del rimettente, la norma censurata – introdotta in sede di conversione in legge – sarebbe disomogenea rispetto al contenuto del decreto-legge n. 90 del 2014 e non giustificata da una situazione di necessità e di urgenza tale da legittimare l’utilizzo, da parte del legislatore, della decretazione d’urgenza: donde il vulnus all’art. 77 Cost.

2.– È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l’inammissibilità e, comunque, per la non fondatezza delle questioni di legittimità costituzionale.

Richiamato «l’obiettivo di contenimento della spesa pubblica», perseguito dal legislatore del 2014, la difesa erariale osserva che la disposizione censurata troverebbe giustificazione nelle «peculiarità del sistema retributivo dei segretari» e, in particolare, nel «meccanismo di allineamento retributivo». Essa assolverebbe «ad una ratio perequativa e recuperatoria» e sarebbe, pertanto, conforme ai principi di ragionevolezza, proporzionalità e sufficienza della retribuzione, oltre che al principio di buon andamento della pubblica amministrazione. Né sarebbe violato il legittimo affidamento dei segretari in servizio, sia perché la disciplina dei diritti di rogito si porrebbe al di fuori del perimetro della contrattazione collettiva (non rivestendo, dunque, alcun rilievo la previsione di cui all’art. 37 del CCNL 16 maggio 2001, invocato dal rimettente), sia perché la legge ha comunque escluso l’efficacia retroattiva della disposizione in esame (come previsto dal comma 2-ter dell’art. 10 del d.l. n. 90 del 2014, anch’esso introdotto in sede di conversione).

Quanto alla dedotta violazione dei requisiti per la decretazione d’urgenza, la difesa statale osserva che la finalità perseguita dalla norma censurata (consistente nell’incremento delle risorse di bilancio disponibili per le amministrazioni locali) è coerente con l’obiettivo di efficienza della pubblica amministrazione, richiamato dalla rubrica del Titolo I del d.l. n. 90 del 2014 (all’interno del quale è collocato l’art. 10). Sarebbe pertanto da escludere l’ipotesi della «evidente carenza» del requisito della necessità ed urgenza di provvedere (è citata la sentenza di questa Corte n. 133 del 2016). Inoltre, quelle introdotte in sede di conversione non sarebbero affatto norme estranee rispetto all’oggetto o alla finalità del decreto-legge suddetto.

3.– Si è costituita nel presente giudizio P.M. L.F., parte ricorrente nel procedimento a quo, concludendo per l’illegittimità costituzionale delle disposizioni censurate dal rimettente. A giudizio della parte la funzione di rogito, «autonoma e del tutto specifica rispetto alle altre funzioni che il segretario esercita alle dipendenze dell’ente locale», eccederebbe l’ambito delle attribuzioni normalmente riconducibili al pubblico impiego, e tanto giustificherebbe la previsione di un «autonomo compenso».

Nell’aderire alle censure svolte dal giudice rimettente, la parte osserva che sarebbe, anzitutto, violato il diritto a ricevere un compenso per le proprie prestazioni, ai sensi dell’art. 36 Cost., in quanto verrebbe eliminata «la remunerazione di una “attività effettivamente svolta”», anche «avuto riguardo al contratto collettivo che, nel caso, prevede la corresponsione dei diritti di segreteria». La fattispecie in questione, peraltro, sarebbe differente rispetto a quella concernente la riduzione delle cosiddette “propine” per gli avvocati e procuratori dello Stato, oggetto della sentenza n. 236 del 2017 di questa Corte: ciò, in quanto non sarebbe praticabile un confronto tra detta categoria e quella dei segretari comunali e provinciali, sia «in virtù delle differenze di status giuridico ed economico», sia perché – nel caso oggi all’esame di questa Corte – non verrebbe in considerazione una «riduzione» di «voci premiali» ma, piuttosto, l’eliminazione dello specifico corrispettivo per un’attività svolta.

La circostanza, poi, che simile eliminazione colpisca solo alcuni segretari e non altri, in assenza di «alcun criterio ragionevole», potrebbe innescare un «disincentivo» a svolgere l’attività di rogito (che, per sua natura, sarebbe una funzione «a richiesta»), con ripercussioni negative sulle stesse risorse dell’ente (il quale si vedrebbe, a sua volta, privato dei diritti di segreteria, versati dai contraenti) e sull’efficienza della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.).

Quanto al parametro di cui all’art. 3 Cost., la parte ricorda che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, le differenze di trattamento previste dalla legge, per risultare legittime, dovrebbero essere giustificabili in vista della tutela di diversi valori o diritti costituzionalmente rilevanti (è citata la sentenza n. 163 del 1993). Nel caso di specie, idonea giustificazione non potrebbe essere rinvenuta nel supposto intento della norma di svolgere una «funzione perequativa» in favore di quei segretari che godono di retribuzioni inferiori. Al contrario, proprio la norma censurata finirebbe con il determinare «gravi e irragionevoli sperequazioni», in considerazione degli effetti prodotti dall’istituto del cosiddetto “galleggiamento” che trova applicazione per i segretari comunali e provinciali ai quali, a determinate condizioni, è riconosciuto un trattamento retributivo equiparato a quello dei dirigenti dell’ente locale.

Sotto altro aspetto, non potrebbe sostenersi la prevalenza dell’interesse pubblico al mantenimento, in favore degli enti locali, di maggiori risorse. I diritti di rogito sarebbero infatti estranei alla questione della riduzione della spesa pubblica, «trattandosi di compensi che si autoalimentano», e la loro eliminazione potrebbe addirittura cagionare un costo all’amministrazione laddove quest’ultima, a fronte del rifiuto del proprio segretario di rogare gli atti (in quanto disincentivato dalle norme sospettate di illegittimità costituzionale), dovesse rivolgersi all’esterno.

Riguardo, infine, alla dedotta violazione dei principi sulla decretazione d’urgenza, di cui all’art. 77 Cost., la parte osserva che la norma di cui al comma 2-bis dell’art. 10 del d.l. n. 90 del 2014, introdotta in sede di conversione, sarebbe «disomogenea rispetto al contenuto del decreto-legge», non essendo volta né a un più razionale impiego dei dipendenti pubblici né a una semplificazione dell’azione amministrativa, che costituivano le esplicite finalità del decreto. Sotto altro profilo, essa poi sconterebbe una «evidente mancanza» dei presupposti straordinari di necessità e di urgenza, come richiesto dalla costante giurisprudenza costituzionale.

4.– Nel giudizio dinnanzi a questa Corte è intervenuto ad adiuvandum V. S., sostenendo di essere a ciò legittimato in quanto segretario comunale, con idoneità alla titolarità delle funzioni presso Comuni «di classe 1^A», ed avendo svolto le relative funzioni presso il Comune di Lecce.

L’interveniente riferisce che l’amministrazione comunale ha rigettato la sua istanza di liquidazione della quota dei diritti di rogito, afferente agli atti da lui rogati dopo l’entrata in vigore del d.l. n. 90 del 2014. Avverso tale diniego lo stesso ha proposto ricorso, attualmente pendente in grado di appello dinnanzi alla Corte d’appello di Lecce.

5.– Sono pervenute in giudizio alcune opinioni scritte, in qualità di amici curiae, ai sensi dell’art. 4-ter delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, vigente ratione temporis. Tali opinioni sono state ammesse con decreti del Presidente di questa Corte del 19 e del 28 aprile 2022.

5.1.− In particolare, è pervenuta un’opinione scritta da parte dell’Associazione nazionale professionale segretari comunali e provinciali “G.B. Vighenzi”. L’associazione lamenta la «grave lesione della professionalità, delle aspettative e dell’immagine dei segretari comunali e provinciali» come conseguenza dell’introduzione delle norme censurate, e si sofferma, in particolare, sulla censura relativa alla violazione dell’art. 3 Cost., anche con riguardo alle conseguenze che derivano dall’applicazione dell’istituto del cosiddetto “galleggiamento”, oltreché sugli altri parametri evocati nell’ordinanza di rimessione.

5.2.– L’associazione FEDIR- Federazione dirigenti e direttivi pubblici ha depositato un’opinione scritta dall’analogo tenore, insistendo per la declaratoria di illegittimità costituzionale per violazione di tutti i parametri evocati dal rimettente.

5.3.– Anche l’associazione UNADIS- Unione nazionale dei dirigenti dello Stato ha depositato un’opinione scritta in qualità di amicus curiae, argomentando la fondatezza della questione in particolare in riferimento all’art. 36 Cost. L’associazione evidenzia la necessità di una specifica remunerazione per l’esercizio della funzione di rogito, qualificata come attività autonoma e peculiare rispetto ai compiti ordinariamente svolti dai segretari comunali e provinciali: donde la lamentata violazione anche dell’art. 3 Cost.

5.4.– Altra opinione scritta, a sostegno delle censure di illegittimità costituzionale, è pervenuta dall’amicus curiae UNSCP − Unione nazionale segretari comunali e provinciali, che si sofferma sulla natura dei diritti di rogito (definiti quale distinta voce retributiva) e approfondisce gli aspetti afferenti alla dedotta violazione degli artt. 36 e 3 Cost., alla luce del principio di onnicomprensività e di quelli di uguaglianza e di parità di trattamento, oltre ad esaminare gli ulteriori profili di illegittimità costituzionale sollevati dal rimettente, evidenziando la «conseguenza paradossale che la retribuzione dei segretari diminuisce col progredire della carriera».

5.5.– Infine, anche l’associazione DIREL- Federazione nazionale dirigenti degli enti pubblici locali ha presentato un’opinione scritta con cui ha aderito alle censure di illegittimità costituzionale formulate dal giudice rimettente.

L’associazione esamina, in particolare, il tema della responsabilità del segretario comunale e provinciale che si correla alla natura dell’attività di rogito. Il predetto amicus curiae compie uno specifico approfondimento sulla questione concernente le cosiddette “propine” degli avvocati dipendenti da amministrazioni pubbliche non statali.

6.– Con memorie depositate nell’imminenza dell’udienza, il Presidente del Consiglio dei ministri e la parte hanno svolto difese, per lo più ribadendo le argomentazioni già spese nei rispettivi atti di costituzione in giudizio.

La parte, in particolare, ha ribadito la non consistenza delle giustificazioni, esposte dall’Avvocatura dello Stato, che sorreggerebbero le norme censurate. Queste ultime, invero, non sarebbero in grado di realizzare l’obiettivo del contenimento della spesa pubblica (ovvero, dell’aumento delle entrate degli enti locali) che, piuttosto, il legislatore avrebbe potuto perseguire con modalità alternative e ben più soddisfacenti, tali – soprattutto – da non discriminare irragionevolmente le diverse categorie di segretari.

6.1.– Anche l’interveniente V. S. ha depositato una memoria illustrativa.

Considerato in diritto

1.– Il Tribunale ordinario di Lucca, sezione lavoro, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 36, 77 e 97 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 10, comma 2-bis, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90 (Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari), convertito, con modificazioni, in legge 11 agosto 2014, n. 114, anche in combinato disposto con il comma 1 dello stesso art. 10, nella parte in cui «limita l’attribuzione di una quota dei diritti di rogito spettanti all’Ente locale ai segretari comunali che non abbiano qualifica dirigenziale o che prestino servizio in Enti locali privi di personale con qualifica dirigenziale, anziché prevederla per tutti i segretari comunali e provinciali».

L’art. 10 del d.l. n. 90 del 2014, come convertito, rubricato «Abrogazione dei diritti di rogito del segretario comunale e provinciale e abrogazione della ripartizione del provento annuale dei diritti di segreteria», dispone, al comma 1, l’abrogazione dell’art. 41, quarto comma, della legge 11 luglio 1980, n. 312 (Nuovo assetto retributivo-funzionale del personale civile e militare dello Stato), che, da ultimo, aveva attribuito ai segretari comunali e provinciali una quota dei diritti di segreteria spettanti al Comune o alla Provincia ai sensi dell’art. 30, secondo comma, della legge 15 novembre 1973, n. 734 (Concessione di un assegno perequativo ai dipendenti civili dello Stato e soppressione di indennità particolari). Il comma 2-bis dello stesso art. 10, inserito in sede di conversione, stabilisce quanto segue: «Negli enti locali privi di dipendenti con qualifica dirigenziale, e comunque a tutti i segretari comunali che non hanno qualifica dirigenziale, una quota del provento annuale spettante al comune ai sensi dell’articolo 30, secondo comma, della legge 15 novembre 1973, n. 734, come sostituito dal comma 2 del presente articolo, per gli atti di cui ai numeri 1, 2, 3, 4 e 5 della tabella D allegata alla legge 8 giugno 1962, n. 604, e successive modificazioni, è attribuita al segretario comunale rogante, in misura non superiore a un quinto dello stipendio in godimento».

Il rimettente deduce anzitutto la violazione dell’art. 3 Cost., sotto il profilo della disparità di trattamento, all’interno della categoria dei segretari comunali e provinciali, segnatamente tra coloro che sono inquadrati nella «prima fascia» e coloro che sono invece inquadrati nella «fascia inferiore», nonché tra coloro che svolgono le funzioni in enti locali privi di personale con qualifica dirigenziale e coloro che prestano la propria attività presso un’amministrazione che annovera nel proprio organico dipendenti con tale qualifica.

Lamenta, poi, il giudice a quo ancora il contrasto con l’art. 3 Cost., tanto sotto il profilo dell’eguaglianza, quanto sotto quello della ragionevolezza, poiché si determinerebbero trattamenti differenziati all’interno della categoria dei segretari comunali e provinciali, ancorché svolgenti la medesima funzione. A giudizio del rimettente, non potrebbe invocarsi, in proposito, una presunta funzione «perequativa» di differenti trattamenti retributivi, che nemmeno potrebbe giustificarsi alla luce dell’istituto del cosiddetto “galleggiamento”. Questo, infatti, «non opera automaticamente» e, anche nei casi in cui opera, non sarebbe tale da escludere che al segretario «galleggiato» possano ugualmente spettare i diritti di segreteria.

In definitiva, sarebbe da escludere che la norma censurata persegua una finalità perequativa, essendo invece «tale da determinare un’irragionevole disparità di trattamento fra i segretari comunali e provinciali, quindi un’irragionevole difformità in grado di inficiare la progressione in carriera dei lavoratori pubblici, così violando i principi di cui all’articolo 97 della Costituzione».

La norma censurata si porrebbe ancora in contrasto con l’art. 36 Cost., per la violazione del diritto dei segretari di ricevere una retribuzione per le proprie prestazioni commisurata alla quantità e alla qualità del lavoro svolto. Costoro vedrebbero, di fatto, «neutralizzata» l’attività di rogito, attraverso il mancato riconoscimento del relativo compenso.

L’eliminazione dei diritti di rogito violerebbe, altresì, i principi di certezza del diritto e di legittimo affidamento, posto che la categoria in questione, ai sensi dell’art. 37 del contratto collettivo nazionale di lavoro dei segretari comunali e provinciali per il quadriennio normativo 1998-2001 e per il biennio economico 1998-1999, sottoscritto il 16 maggio 2001, «fa affidamento su tale voce stipendiale».

Infine, il rimettente lamenta il vulnus all’art. 77 Cost. per la insussistenza dei presupposti di straordinaria necessità ed urgenza, e per la disomogeneità della norma censurata, inserita in sede di conversione, rispetto al restante contenuto del decreto-legge.

2.– Preliminarmente, deve essere richiamata la dichiarazione d’inammissibilità dell’intervento ad adiuvandum spiegato da V. S., per le ragioni esposte nell’ordinanza letta nel corso dell’udienza pubblica e allegata alla presente sentenza.

3.– Le questioni sono inammissibili – a prescindere dalla conclusione in tal senso dell’Avvocatura generale dello Stato, intervenuta in giudizio in rappresentanza e a difesa del Presidente del Consiglio dei ministri, costituente mera clausola di stile, non sostenuta da qualsivoglia argomentazione – per carente motivazione sul requisito della rilevanza.

Il giudice a quo, pur riferendo che la ricorrente «ha svolto le funzioni di segretario comunale di prima fascia (con qualifica dirigenziale e abilitazione a prestare servizio presso gli enti territoriali di classe 1^A e 1^B) presso il Comune di Massarosa», non ha chiarito se tale Comune avesse, o meno, dirigenti nel proprio organico. Di conseguenza, non si è dato conto del presupposto fondamentale per ritenere applicabile, nel giudizio a quo, la normativa sospettata di illegittimità costituzionale.

Quest’ultima, invero, individua le situazioni che consentono il mantenimento dei diritti di rogito, pur a fronte della generale soppressione degli stessi per intervenuta abrogazione della norma che, da ultimo, li aveva introdotti (l’art. 41, quarto comma, della legge n. 312 del 1980, per l’appunto abrogato dal comma 1 dell’art. 10 in esame). Tali situazioni, in base al testo del comma 2-bis del richiamato art. 10, concernono, da un lato, «tutti i segretari comunali che non hanno qualifica dirigenziale» e, dall’altro, quelli che prestano servizio presso gli «enti locali privi di dipendenti con qualifica dirigenziale». Come da ultimo precisato dalla giurisprudenza della Corte dei conti, alla stregua della disposizione in esame i diritti di rogito, nei limiti stabiliti dalla legge, competono sia ai segretari comunali di fascia «C», non aventi cioè qualifica dirigenziale, sia a quelli appartenenti alle fasce professionali «A» e «B», aventi cioè qualifica dirigenziale, purché esercitino le loro funzioni presso enti nei quali siano assenti figure dirigenziali (Corte dei conti, sezione per le autonomie, delibera 30 luglio 2018, n. 18).

Il rimettente avrebbe dovuto, pertanto, chiarire se la ricorrente non rientrasse in alcuna delle due categorie indicate dalla norma e se, pertanto, non le potessero più essere attribuiti i diritti di rogito, in applicazione della medesima norma censurata. Da quanto riferisce l’ordinanza di rimessione risulta unicamente che la ricorrente non appartiene alla prima delle due categorie (in quanto, come viene precisato, «ha svolto le funzioni di segretario di prima fascia», con conseguente possesso della «qualifica dirigenziale»). Non si hanno, invece, elementi certi – in base ai dati forniti dal giudice a quo – tali da escludere che la stessa rientri nella seconda delle due categorie: non viene, cioè, precisato dal rimettente se il Comune ove ella ha prestato servizio abbia, nel proprio ruolo, dipendenti con qualifica dirigenziale. In mancanza di tale precisazione, non può darsi per accertata l’unica altra situazione che, in base alla normativa censurata, giustificherebbe il diniego dei diritti di rogito nella fattispecie de qua.

3.1.– Peraltro, anche a volere ammettere, pur nel silenzio dell’ordinanza di rimessione, che la parte ricorrente abbia prestato servizio presso un Comune avente, nel proprio organico, personale con qualifica dirigenziale, il giudice rimettente tace del tutto su un ulteriore aspetto decisivo ai fini dell’apprezzamento del requisito della rilevanza. Egli, infatti, omette di precisare se la ricorrente abbia, o meno, beneficiato dell’istituto dell’allineamento stipendiale (noto anche, nel linguaggio comune, con il termine “galleggiamento”), in base al quale la retribuzione di posizione del segretario è innalzata fino a quella stabilita dalla contrattazione collettiva per la funzione dirigenziale più elevata nell’ente. L’istituto è stato previsto, per i segretari comunali e provinciali, dall’art. 41, comma 5, del contratto collettivo nazionale di lavoro dei segretari comunali e provinciali per il quadriennio normativo 1998-2001 e per il biennio economico 1998-1999 (come, oggi, richiamato dall’art. 107, comma 2, del contratto collettivo nazionale di lavoro relativo al personale dell’area delle funzioni locali, per il triennio 2016-2018, sottoscritto il 17 dicembre 2020).

Nonostante il giudice rimettente abbia effettuato un esplicito riferimento all’istituto dell’allineamento stipendiale – che la norma certamente presuppone – , esaminando la possibilità che esso sia stato considerato dal legislatore del 2014 in chiave “perequativa” della disciplina concernente il riconoscimento dei diritti di rogito, la motivazione che sul punto viene spesa dall’ordinanza di rimessione risulta comunque carente. Ed infatti, pur correttamente sottolineando che l’istituto dell’allineamento stipendiale – del quale, per altro, non vengono neanche richiamate le fonti normative – per come è attualmente disciplinato dalla fonte collettiva, «non opera automaticamente» nei Comuni aventi personale con qualifica dirigenziale, il giudice a quo non si sofferma sulla situazione che si è verificata nel caso di specie, omettendo di precisare se, nella vicenda sottesa al giudizio a quo, la parte ricorrente abbia o meno beneficiato, per tale via, di un aumento del proprio trattamento economico. La ricorrenza di simili condizioni, nel caso di specie, non è stata oggetto di disamina da parte del giudice a quo.

Deve pertanto concludersi che le indicate lacune descrittive dell’ordinanza rendono inammissibili le questioni sollevate, non consentendo di verificarne l’effettiva rilevanza nel giudizio a quo (ex plurimis, ordinanze n. 76 del 2022, n. 210 e n. 92 del 2020).

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 10, comma 2-bis, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90 (Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari), convertito, con modificazioni, in legge 11 agosto 2014, n. 114, sollevate, anche in combinato disposto con il comma 1 dello stesso art. 10, in riferimento agli artt. 3, 36, 77 e 97 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Lucca, sezione lavoro, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l’8 giugno 2022.

F.to:

Giuliano AMATO, Presidente

Maria Rosaria SAN GIORGIO, Redattore

Filomena PERRONE, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 19 luglio 2022.

 

Allegata l'ordinanza dibattimentale dell'8 giugno 2022