Sentenza n. 109 del 2022

SENTENZA N. 109

ANNO 2022

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Giuliano AMATO; Giudici : Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 95 del codice di procedura civile, promosso dal Giudice dell’esecuzione presso il Tribunale ordinario di Pavia, nel procedimento vertente tra L. T. e P.F. P. e altro, con ordinanza del 17 novembre 2020, iscritta al n. 95 del registro ordinanze 2021, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 27, prima serie speciale, dell’anno 2021.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 23 marzo 2022 il Giudice relatore Maria Rosaria San Giorgio;

deliberato nella camera di consiglio del 24 marzo 2022.

Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza del 17 novembre 2020, iscritta al n. 95 del registro ordinanze 2021, il Giudice dell’esecuzione presso il Tribunale ordinario di Pavia ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 95 del codice di procedura civile, «nella parte in cui non prevede che la sua applicazione sia esclusa in caso di liquidazione delle spese a carico dell’Erario ai sensi del D.P.R. 30/05/2002 n. 115», denunziandone il contrasto con gli artt. 3, secondo comma, 24, terzo comma, 36 e 111, primo comma, della Costituzione.

1.1.– Il rimettente riferisce che nel corso di un procedimento per espropriazione presso terzi – nel quale, a fronte di un credito precisato come da precetto nell’importo di euro 31.242,70, «oltre interessi legali sul capitale dal dovuto al saldo», il terzo pignorato ha reso la dichiarazione di esistenza di un credito per euro 153,60 – il difensore della creditrice procedente, ammessa al patrocinio a spese dello Stato, ha domandato la liquidazione dei compensi per la somma, già ridotta del cinquanta per cento rispetto ai valori tariffari medi, di euro 1.057,50, oltre alle spese generali al quindici per cento, al contributo per la cassa di previdenza degli avvocati e all’imposta per il valore aggiunto (IVA).

Si legge nell’ordinanza di rimessione che l’istante ha richiesto al giudice dell’esecuzione di non limitare l’onorario alla esigua somma realizzata con l’esecuzione, sul presupposto che la regola dettata dall’art. 95 cod. proc. civ., secondo la quale la soddisfazione del credito per le spese del processo esecutivo è condizionata all’utile collocazione sul ricavato, non riguardi l’ipotesi in cui il creditore pignorante sia ammesso al patrocinio a spese dello Stato.

Ciò in quanto, ad avviso del difensore istante, l’antinomia tra la suddetta disposizione, recante la disciplina generale in materia di spese nel processo esecutivo, e la norma, dettata dall’art. 82 del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia (Testo A)», per la liquidazione delle spese in favore della parte ammessa al beneficio, dovrebbe essere risolta, in base al criterio di specialità, accordando preferenza a quest’ultima.

Lo stesso difensore, aggiunge il giudice a quo, per il caso in cui si ritenesse di applicare l’art. 95 cod. proc. civ., ha chiesto sollevarsi questione di legittimità costituzionale di tale disposizione, nella parte in cui non prevede che la sua operatività sia esclusa in caso di liquidazione delle spese a carico dell’erario, per contrasto con gli artt. 3, secondo comma, 24, 36 e 111, primo comma, Cost.

1.2.– In punto di rilevanza, il giudice rimettente assume di dover provvedere sulla richiesta di liquidazione delle spese e dei compensi per il difensore e di non poter «decidere la presente causa, senza la soluzione della questione di legittimità costituzionale sollevata ed invocata».

Argomenta, al riguardo, il giudice a quo che la decisione sulle spese è imprescindibile anche nel processo esecutivo, essendo funzionale alla compiuta realizzazione della tutela giurisdizionale costituzionalmente garantita (art. 24 Cost.), soprattutto nei casi, come quello di specie, in cui l’azione esecutiva è volta a conseguire la soddisfazione di un credito relativo ad oneri di mantenimento in favore di un soggetto minore.

Ancora, il rimettente evidenzia che perdurano le condizioni reddituali considerate nel provvedimento di ammissione, in via anticipata e provvisoria, della parte al beneficio, e che, pertanto, non risultano circostanze che ne giustifichino la revoca ai sensi dell’art. 136 del d.P.R. n. 115 del 2002.

1.3.– Con riferimento alla non manifesta infondatezza, il Giudice dell’esecuzione del Tribunale di Pavia, riproducendo le censure formulate dalla difesa della creditrice procedente, dubita, anzitutto, della compatibilità dell’art. 95 cod. proc. civ., come interpretato dalla giurisprudenza di legittimità, con il principio di uguaglianza sostanziale espresso dall’art. 3, secondo comma, Cost.

Nei procedimenti esecutivi in cui il creditore procedente sia stato ammesso al patrocinio per i non abbienti, l’applicazione della regola per la quale il credito per le spese dell’esecuzione può essere soddisfatto nei soli limiti del ricavato comporterebbe «una irragionevole ed ingiustificata parità di trattamento di situazioni geneticamente e concretamente differenti».

Argomenta, al riguardo, il rimettente che il difensore del creditore non ammesso al patrocinio a spese dello Stato, nel caso in cui le spese della procedura esecutiva non ottengano utile collocazione per incapienza totale o parziale del ricavato, può comunque richiedere il pagamento del compenso alla parte assistita, sulla base dei parametri indicati nell’art. 4 del decreto del Ministro della giustizia 10 marzo 2014, n. 55 (Regolamento recante la determinazione dei parametri per la liquidazione dei compensi per la professione forense, ai sensi dell’articolo 13, comma 6, della legge 31 dicembre 2012, n. 247).

Al contrario, ove il creditore sia ammesso al patrocinio a spese dello Stato, il difensore, in base al divieto stabilito dall’art. 85 del d.P.R. n. 115 del 2002, non può chiedere e percepire compensi o rimborsi, a qualunque titolo, dal proprio assistito, incorrendo altrimenti in un grave illecito disciplinare.

Ne conseguirebbe che, proprio in una situazione in cui il soggetto che richiede la tutela giudiziaria, essendo sprovvisto dei mezzi economici necessari per accedervi, versa in condizioni di particolare debolezza, sarebbe offerta una protezione inferiore, dal momento che gli avvocati potrebbero mostrarsi restii ad accettare l’incarico difensivo senza la certezza di vedersi riconosciuto un compenso, ancorché dimezzato, per essere lo stesso subordinato alla capienza dell’esecuzione.

Nella prospettiva della persona ammessa al patrocinio a spese dello Stato l’incertezza sulla liquidazione dei compensi «si trasformerebbe in una maggiore difficoltà o nel caso limite in una impossibilità di ottenere la soddisfazione dei diritti riconosciuti dall’ordinamento e da una decisione giurisdizionale».

1.3.1.– Richiamando, ancora, le allegazioni del difensore istante, il giudice a quo deduce il contrasto della norma censurata con l’art. 24, terzo comma, Cost.

La prospettiva di non vedere riconosciuto il diritto alla rifusione delle spese processuali costituirebbe, per la parte ammessa al beneficio, una remora ad agire in giudizio.

Né, secondo il rimettente, tale violazione potrebbe ritenersi giustificata dalla finalità generale di limitazione delle spese giudiziali, poiché «nel caso di specie non siamo di fronte a ipotesi di illecito o spregiudicato utilizzo dello strumento processuale, ma di tentativo di ottenere il soddisfacimento di un diritto di credito in favore di una minore».

1.3.2.– Ritiene, ancora, il giudice a quo che la norma censurata rechi vulnus all’art. 36 Cost., in quanto, in caso di infruttuosità del pignoramento, al difensore della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato non sarebbe assicurato un compenso ragionevolmente proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto e, in ogni caso, sufficiente a garantire un’esistenza libera e dignitosa.

1.3.3.– Infine, riprendendo, ancora una volta, le argomentazioni del difensore della parte creditrice, il rimettente sospetta che la norma denunciata si ponga in contrasto con l’art. 111, primo comma, Cost.

Non sarebbe «giusto» il processo nel quale un soggetto che abbia un diritto riconosciuto da un provvedimento giurisdizionale divenuto definitivo, che sia indigente e che, al fine di recuperare il proprio credito, debba necessariamente avvalersi di un difensore, non solo non consegua il soddisfacimento delle proprie pretese, ma non ottenga neanche una pronuncia satisfattiva sulle spese del procedimento esecutivo «solo perché il debitore ha occultato i suoi beni».

Secondo il giudice a quo, tale condizione sarebbe, peraltro, oltremodo punitiva e ingiusta, considerato che, per un verso, a mente dell’art. 133 del d.P.R. n. 115 del 2002, il provvedimento che pone a carico della parte soccombente non ammessa al patrocinio la rifusione delle spese processuali a favore della parte ammessa dispone che il pagamento sia eseguito a favore dello Stato; e che, per l’altro, ai sensi dell’art. 135, comma 2, del d.P.R. n. 115 del 2002, le spese relative ai processi esecutivi, mobiliari e immobiliari, hanno diritto di prelazione, ai sensi degli artt. 2755 e 2770 del codice civile, sul prezzo ricavato dalla vendita o sul prezzo dell’assegnazione o sulle rendite riscosse dall’amministratore giudiziario.

2.– È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per la dichiarazione di inammissibilità o di manifesta infondatezza delle questioni.

2.1.‒ La difesa statale eccepisce, anzitutto, l’inammissibilità delle questioni per carente motivazione sulla rilevanza e sulla non manifesta infondatezza.

Il giudice rimettente, con singolare tecnica redazionale, si sarebbe limitato a riferire le prospettazioni formulate dal difensore della creditrice procedente nell’istanza di liquidazione del compenso, omettendo di effettuare una propria ragionata valutazione al riguardo.

Sostiene, ancora, l’Avvocatura generale dello Stato che il giudice a quo avrebbe ricostruito in modo incompleto la normativa applicabile nel caso di specie, non avendo considerato la specifica disciplina prevista nel testo unico sulle spese di giustizia per l’ipotesi di ammissione al patrocinio a spese dello Stato nel processo esecutivo e, in particolare, l’art. 135, comma 2, del d.P.R. n. 115 del 2002, secondo cui le spese relative ai processi esecutivi, mobiliari e immobiliari, hanno diritto di prelazione, ai sensi degli artt. 2755 e 2770 cod. civ., sul prezzo ricavato dalla vendita o sul prezzo dell’assegnazione o sulle rendite riscosse dall’amministratore giudiziario.

Il rimettente avrebbe, inoltre, erroneamente ritenuto che, in caso di incapienza delle somme ricavate dalla procedura esecutiva, il difensore della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato non possa ottenere integralmente l’importo liquidato dal giudice. Invece, secondo la difesa erariale, nel processo esecutivo avviato dal soggetto ammesso al beneficio la liquidazione del compenso e delle spese spettanti al difensore andrebbe effettuata ai sensi dell’art. 82 del d.P.R. n. 115 del 2002, per un importo non superiore ai valori medi delle tariffe professionali vigenti.

All’incompleta ricostruzione della normativa applicabile conseguirebbe quindi l’inammissibilità delle censure.

2.2.– In via gradata, l’Avvocatura conclude per la manifesta infondatezza delle questioni sollevate, poiché le violazioni dei parametri indicati si baserebbero sull’erroneo presupposto per il quale, in caso di incapienza del pignoramento, il difensore della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato non possa ottenere integralmente l’importo liquidato dal giudice.

Considerato in diritto

1.– Il Giudice dell’esecuzione presso il Tribunale ordinario di Pavia ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 95 del codice di procedura civile «nella parte in cui non prevede che la sua applicazione sia esclusa in caso di liquidazione delle spese a carico dell’Erario ai sensi del D.P.R. 30/05/2002 n. 115», denunziandone il contrasto con gli artt. 3, secondo comma, 24, terzo comma, 36 e 111, primo comma, della Costituzione.

1.1.– Il giudice a quo premette che, all’esito di un procedimento per espropriazione presso terzi, nel quale è stata resa dichiarazione di esistenza di un credito per una somma significativamente inferiore all’ammontare di quello azionato, è chiamato a provvedere sulla richiesta di liquidazione dei compensi avanzata dal difensore della creditrice procedente ammessa al patrocinio a spese dello Stato.

1.2.– Il rimettente ritiene di non poter decidere su tale istanza senza «la soluzione della questione di legittimità costituzionale sollevata ed invocata» – e dunque senza fare applicazione dell’art. 95 cod. proc. civ. che ne è oggetto –, dal momento che anche nel processo esecutivo la statuizione sulle spese è imprescindibile, perché funzionale alla compiuta realizzazione della tutela giurisdizionale garantita dall’art. 24 Cost.

1.3.‒ Riguardo alla non manifesta infondatezza, il giudice a quo sospetta che la disposizione censurata realizzi, anzitutto, un trattamento omogeneo di situazioni differenti, in contrasto con l’art. 3, secondo comma, Cost., posto che il difensore del creditore non ammesso al patrocinio per i non abbienti, in caso di infruttuosità dell’esecuzione, può comunque pretendere il pagamento del compenso dalla parte patrocinata, mentre al difensore del creditore ammesso al beneficio è vietato, in forza dell’art. 85 del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia (Testo A)», richiedere somme, a qualunque titolo, al proprio assistito.

Verrebbe così riservato un trattamento deteriore proprio ai soggetti che, essendo sprovvisti dei mezzi economici per accedere alla tutela giurisdizionale, versano in condizioni di maggiore debolezza, dal momento che gli avvocati potrebbero mostrarsi restii ad accettare incarichi difensivi non avendo la certezza di percepire un compenso, ancorché dimezzato, per essere lo stesso subordinato alla fruttuosità dell’esecuzione.

1.3.1.– La norma censurata contrasterebbe, altresì, con l’art. 24, terzo comma, Cost., in quanto la prospettiva di vedere non riconosciuto il diritto alla rifusione delle spese processuali costituirebbe, per la parte ammessa al beneficio, una remora ad agire in giudizio.

1.3.2.– Sarebbe anche violato l’art. 36 Cost., in quanto, in caso di incapienza del pignoramento, al difensore della parte ammessa al patrocinio non sarebbe assicurato un compenso ragionevolmente proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto e in ogni caso sufficiente a garantire un’esistenza libera e dignitosa.

1.3.3.– Infine, la norma denunciata recherebbe vulnus all’art. 111, primo comma, Cost., dal momento che non sarebbe «giusto» il processo nel quale un soggetto che abbia un diritto accertato mediante un provvedimento giurisdizionale divenuto definitivo, che versi in condizioni di indigenza e che, al fine di recuperare il proprio credito, debba necessariamente avvalersi di un difensore, non solo non consegua il soddisfacimento delle proprie pretese, ma non ottenga neanche una pronuncia satisfattiva sulle spese del processo esecutivo «solo perché il debitore ha occultato i suoi beni».

2.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, intervenuto in giudizio con il patrocinio dell’Avvocatura generale dello Stato, ha eccepito anzitutto l’inammissibilità delle questioni sollevate per difetto di motivazione sulla rilevanza e sulle ragioni fondanti le censure, osservando che il giudice a quo si sarebbe limitato a riprodurre le allegazioni del difensore istante, senza formulare una propria valutazione.

2.1.– Inoltre, il rimettente avrebbe ricostruito in modo incompleto la normativa applicabile nel caso di specie. Egli, infatti, da un lato, avrebbe omesso di considerare la specifica disciplina prevista dall’art. 135, comma 2, del d.P.R. n. 115 del 2002, secondo cui le spese relative ai processi esecutivi, mobiliari e immobiliari, hanno diritto di prelazione, ai sensi degli artt. 2755 e 2770 del codice civile, sul prezzo ricavato dalla vendita o sul prezzo dell’assegnazione o sulle rendite riscosse dall’amministratore giudiziario; dall’altro, avrebbe erroneamente ritenuto che, in caso di incapienza delle somme ricavate dalla procedura esecutiva, il difensore della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato non possa ottenere integralmente l’importo liquidato dal giudice.

2.2.– In via gradata, la difesa statale ha concluso per la manifesta infondatezza delle questioni sollevate, per la non condivisibilità dell’assunto secondo il quale il difensore della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato non potrebbe conseguire il compenso allo stesso spettante secondo i criteri indicati dall’art. 82 del d.P.R. n. 115 del 2002.

3.– L’eccezione di inammissibilità con la quale il Presidente del Consiglio dei ministri contesta che il rimettente si sarebbe limitato a riportare le allegazioni del difensore istante nel giudizio principale, omettendo ogni valutazione al riguardo, non è fondata.

La tecnica redazionale impiegata nell’ordinanza di rimessione, consistente nella riproduzione analitica delle censure di legittimità costituzionale formulate dal difensore nel giudizio principale, denota, infatti, la consapevole intenzione del giudice a quo di mutuarne l’apparato argomentativo.

Risulta dunque adempiuto l’obbligo del rimettente di rendere esplicite, facendole proprie, le argomentazioni di parte sulla non manifesta infondatezza (sentenze n. 10 del 2015 e n. 350 del 2007).

4.– È, invece, fondata l’eccezione di inammissibilità per incompleta ricostruzione del quadro normativo.

4.1.– Il rimettente ha dato atto che il difensore della creditrice procedente nel giudizio a quo aveva chiesto determinarsi il compenso a carico dell’erario senza limitarne l’ammontare alla esigua somma dichiarata dal terzo pignorato. Ciò, sul presupposto che, ai fini della liquidazione dell’onorario per il difensore della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato, l’antinomia tra la regola generale di cui all’art. 95 cod. proc. civ. – che condiziona la realizzazione del credito per le spese del processo esecutivo alla fruttuosità dell’espropriazione – e la disciplina dettata dall’art. 82 del d.P.R. n. 115 del 2002 – il quale prevede che l’onorario e le spese spettanti al difensore sono liquidati dall’autorità giudiziaria con decreto di pagamento osservando la tariffa professionale – debba essere risolta accordando prevalenza a quest’ultima regola, in ossequio al criterio di specialità.

In subordine, per il caso in cui il giudice dell’esecuzione avesse ritenuto di liquidare le spettanze nei limiti della capienza del credito assegnato, il difensore aveva sollecitato l’odierno incidente di legittimità costituzionale.

4.1.1.– Ciò posto, alla stregua del costante orientamento di questa Corte – secondo il quale la motivazione sulla rilevanza è da intendersi correttamente formulata quando illustra le ragioni che giustificano l’applicazione della norma censurata e determinano la pregiudizialità della questione sollevata rispetto alla definizione del processo principale (ex plurimis, sentenze n. 52 del 2022 e n. 105 del 2018) – il giudice a quo era tenuto ad esplicitare i motivi della ritenuta applicabilità, nella specie, dell’art. 95 cod. proc. civ. Avrebbe dovuto, cioè, argomentare in ordine alle ragioni della ritenuta operatività della regola dettata da tale disposizione, che, secondo la lettura fornita dal diritto vivente, limita la liquidazione dei compensi a favore del difensore alla capienza del ricavato della espropriazione forzata anche nella ipotesi in cui al pagamento di tali compensi sia tenuto a provvedere l’erario. Il rimettente si è, al contrario, limitato, nonostante il difensore nel giudizio principale gli avesse esplicitamente chiesto di liquidare i compensi in misura superiore alla somma oggetto di distribuzione nel processo esecutivo, ad asserire in modo tautologico di non poter «decidere la presente causa, senza la soluzione della questione di legittimità costituzionale sollevata ed invocata».

4.2.– Un’attenta ricostruzione del quadro normativo e giurisprudenziale avrebbe, invece, evidenziato ragioni di ordine testuale e sistematico idonee ad escludere l’operatività, nella specie, della norma censurata.

4.2.1.– Nella liquidazione delle spettanze dell’avvocato del creditore ammesso al patrocinio a spese dello Stato, la regola espressa dall’art. 95 cod. proc. civ., secondo la quale il credito per le spese della procedura esecutiva può ottenere soddisfazione nei soli limiti della capienza del ricavato, non può invero trovare applicazione. Ciò in quanto la disciplina del patrocinio per i non abbienti e le norme sul governo delle spese del processo si rivolgono a rapporti distinti e autonomi (Corte di cassazione, sezione seconda civile, sentenza 9 settembre 2019, n. 22448; ordinanza 2 settembre 2020, n. 18223).

Il rapporto che origina dal provvedimento di ammissione al beneficio si instaura direttamente tra il difensore e lo Stato, e ad esso le parti del giudizio rimangono totalmente estranee (Corte di cassazione, sezione sesta civile, ordinanze 18 giugno 2020, n. 11769; 27 gennaio 2015, n. 1539); quello che scaturisce dalla statuizione sulle spese di lite intercorre, invece, tra dette parti ed è disciplinato, nel processo di cognizione, dal principio della soccombenza e, nel processo esecutivo, dalla regola della soggezione del debitore all’esecuzione (Corte di cassazione, sezione terza civile, sentenza 5 ottobre 2018, n. 24571).

4.2.2.– L’autonomia dei due rapporti trae significativa conferma dal disposto dell’art. 83, comma 2, del d.P.R. n. 115 del 2002, nella parte in cui statuisce che «[p]er il giudizio di cassazione, alla liquidazione procede il giudice di rinvio, ovvero quello che ha pronunciato la sentenza passata in giudicato». Tale norma, «pur tenuto conto della peculiarità del giudizio di cassazione e della chiara volontà del legislatore di escludere che il giudice di legittimità possa essere chiamato anche all’attività di liquidazione, che involge chiaramente valutazioni di merito e fattuali, denota come in alcuni casi la liquidazione non possa che avvenire quando la causa principale sia stata già decisa, non potendosi quindi ricollegare indefettibilmente alla decisione della causa anche il venir meno della potestas iudicandi sulla istanza di liquidazione. In tal senso depone anche la previsione sempre contenuta nel secondo comma dell’art. 83 che prevede che il giudice competente possa provvedere anche alla liquidazione dei compensi dovuti per le fasi o i gradi anteriori del processo, se il provvedimento di ammissione [al patrocinio] è avvenuto dopo la loro definizione» (Cass., n. 22448 del 2019).

4.2.2.1.– Né, in senso contrario, può valorizzarsi il comma 3-bis dell’art. 83 del d.P.R. n. 115 del 2002, introdotto dall’art. 1, comma 783, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)», a mente del quale «[i]l decreto di pagamento è emesso dal giudice contestualmente alla pronuncia del provvedimento che chiude la fase cui si riferisce la relativa richiesta».

Come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, il referente temporale introdotto dalla disposizione anzidetta è, infatti, meramente indicativo del termine preferibile per provvedere sulla liquidazione, senza, tuttavia, che al giudice sia precluso di pronunciarsi su di essa dopo aver deciso definitivamente sul merito, avendo tale norma la finalità acceleratoria di raccomandare che la pronuncia del decreto di pagamento avvenga contestualmente al provvedimento che definisce il giudizio (ancora Cass., n. 22448 del 2019).

4.3.– Nell’ambito del processo esecutivo, l’autonomia del provvedimento di liquidazione dei compensi a carico dell’erario trova ulteriore riscontro nella disciplina del recupero delle spese anticipate dallo Stato dettata dall’art. 135, comma 2, del d.P.R. n. 115 del 2002, secondo il quale «[l]e spese relative ai processi esecutivi, mobiliari e immobiliari, hanno diritto di prelazione, ai sensi degli articoli 2755 e 2770 del codice civile, sul prezzo ricavato dalla vendita o sul prezzo dell’assegnazione o sulle rendite riscosse dall’amministratore giudiziario».

Tale previsione implica che, una volta che il difensore del creditore ammesso al beneficio abbia ottenuto dal giudice dell’esecuzione la liquidazione delle proprie spettanze secondo i criteri indicati dall’art. 82 del d.P.R. n. 115 del 2002 – e dunque in base ai valori medi dei parametri di cui all’art. 4 del decreto del Ministro della Giustizia 10 marzo 2014, n. 55 (Regolamento recante la determinazione dei parametri per la liquidazione dei compensi per la professione forense, ai sensi dell’articolo 13, comma 6, della legge 31 dicembre 2012, n. 247) e con il dimezzamento imposto dall’art. 130 del citato testo unico – è lo Stato che, per rivalersi delle somme anticipate, partecipa, in via privilegiata, alla distribuzione della somma ricavata o assegnata.

5.– La rilevata lacuna della ordinanza di rimessione determina l’inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 95 cod. proc. civ.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 95 del codice di procedura civile, sollevate, in riferimento agli artt. 3, secondo comma, 24, terzo comma, 36 e 111, primo comma, della Costituzione, dal Giudice dell’esecuzione presso il Tribunale ordinario di Pavia con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 marzo 2022.

F.to:

Giuliano AMATO, Presidente

Maria Rosaria SAN GIORGIO, Redattore

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria il 5 maggio 2022.