Sentenza n. 52 del 2022

SENTENZA N. 52

ANNO 2022

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Giuliano AMATO

Giudici: Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 29, comma 2, della legge della Regione Lazio 9 luglio 1998, n. 27 (Disciplina regionale della gestione dei rifiuti), promossi dal Consiglio di Stato con ordinanza del 24 giugno 2020 e dal Tribunale ordinario civile di Cassino con ordinanza del 25 febbraio 2021, iscritte, rispettivamente, al n. 154 del registro ordinanze 2020 e al n. 159 del registro ordinanze 2021 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 46, prima serie speciale, dell’anno 2020 e n. 37, prima serie speciale, dell’anno 2021.

Visti gli atti di costituzione del Centro servizi ambientali srl, della RIDA ambiente srl, della Regione Lazio, del Comune di Aprilia, del Comune di San Vittore nel Lazio, nonché quello, fuori termine, del Comune di Castelforte;

udito nell’udienza pubblica dell’11 gennaio 2022 e nella camera di consiglio del 12 gennaio 2022 il Giudice relatore Luca Antonini;

uditi gli avvocati Francesco Fidanza per Centro servizi ambientali srl, Francesco Fonderico e Michele Proverbio per RIDA ambiente srl, Teresa Chieppa per la Regione Lazio, tutti in collegamento da remoto, ai sensi del punto 1) del decreto del Presidente della Corte del 18 maggio 2021, Giuseppe Naccarato e Massimo Sesselego per il Comune di Aprilia e Antonio Fraioli per il Comune di San Vittore del Lazio;

deliberato nella camera di consiglio del 12 gennaio 2022.

Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza del 24 giugno 2020 (reg. ord. n. 154 del 2020), il Consiglio di Stato ha sollevato, in riferimento agli artt. 119, secondo comma, e 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 29, comma 2, della legge della Regione Lazio 9 luglio 1998, n. 27 (Disciplina regionale della gestione dei rifiuti), nella parte in cui prevede che una «quota percentuale della tariffa» per l’esercizio degli impianti di smaltimento e recupero dei rifiuti urbani (cosiddetto benefit ambientale) è «dovuta dagli eventuali comuni utenti al soggetto gestore dell’impianto o della discarica a favore del comune sede dell’impianto o della discarica stessi» e «che deve essere compresa tra il dieci ed il venti per cento della tariffa».

1.1.– Il rimettente riferisce che le questioni sono sorte nel corso del giudizio di appello avverso la sentenza del Tribunale amministrativo per il Lazio, sezione prima quater, del 17 novembre 2017, n. 11362, proposto dalla Centro servizi ambientali srl (CSA) contro la Regione Lazio e il Comune di Castelforte, nonché nei confronti dei Comuni di San Vittore del Lazio, Roccasecca, Formia, Gaeta e della Provincia di Latina (non costituitisi in tale giudizio), con l’intervento ad opponendum della RIDA ambiente srl (RIDA) e del Comune di Aprilia.

Il Consiglio di Stato adito chiarisce preliminarmente che il censurato art. 29, comma 2, della legge reg. Lazio n. 27 del 1998 è stato attuato con decreto del Commissario delegato per l’emergenza ambientale nel territorio della Regione Lazio 11 marzo 2005, n. 15 (Approvazione metodologia di calcolo delle tariffe di accesso agli impianti di trattamento e smaltimento dei rifiuti urbani della Regione Lazio), poi recepito nella deliberazione della Giunta regionale della Regione Lazio 18 luglio 2008, n. 516 (Recepimento dei decreti commissariali nn. 15 del 11/3/2005, 39 del 30/6/2005, 49 del 7/6/2007, 67 del 2/7/2007). Per effetto di questa disciplina: a) tutti i titolari di impianti di trattamento e smaltimento dei rifiuti urbani debbono attivare la procedura di determinazione della relativa tariffa di accesso; b) il menzionato benefit ambientale – secondo determinate percentuali della tariffa – spetterebbe ai soli «comuni sede di discarica, di impianti di preselezione, di impianti di termovalorizzazione e di stazioni di trasferenza […] da parte dei comuni conferenti», tenuti a corrisponderlo «al gestore dell’impianto di preselezione che provvederà a restituirlo ai comuni, con cadenza quadrimestrale».

Ciò premesso, il rimettente precisa che il giudizio di prime cure aveva ad oggetto l’annullamento: a) del provvedimento regionale che riconosceva l’assoggettamento al menzionato benefit ambientale dell’impianto polifunzionale di trattamento e stoccaggio rifiuti della CSA, situato nel Comune di Castelforte, in quanto «impianto di preselezione di […] rifiuti indifferenziati»; b) della nota del Comune di Castelforte, recante la richiesta alla CSA dei dati relativi ai Comuni conferenti e alla quantità di rifiuti conferiti, «intesa a recuperare l’importo dei benefit ritenuti dovuti e non corrisposti».

L’ordinanza di rimessione dà atto che il TAR, disattesa l’eccezione di illegittimità costituzionale dell’art. 29, comma 2, della legge reg. Lazio n. 27 del 1998, sollevata dalla CSA, aveva respinto il ricorso e aveva ritenuto dovuto il suddetto benefit ambientale, in quanto relativo a un impianto di preselezione, poiché «il rifiuto da esso ricevuto sarebbe un rifiuto che necessita di un pretrattamento».

Riguardo poi al giudizio di impugnazione, il giudice a quo, pur precisando che l’appello si compone di sette motivi, afferma che «[q]ui rileva in particolare il settimo di essi», con il quale si deduce l’illegittimità costituzionale dell’art. 29, comma 2, della legge reg. Lazio n. 27 del 1998, per violazione dell’art. 119 Cost.

Quanto al resto si limita ad affermare che: a) tra le parti è in contestazione la natura del benefit ambientale nell’alternativa tra tributo o corrispettivo per l’uso del territorio comunale; b) nel corso del giudizio di appello è stata disposta «verificazione per accertare come in concreto funzioni l’impianto per cui è causa».

1.2.– Secondo il rimettente le questioni sarebbero rilevanti perché la norma censurata «è certamente applicabile alla fattispecie oggetto del giudizio».

Pertanto, premesso che entrambi i provvedimenti impugnati si fondano sulla disciplina attuativa e questa, a sua volta, sulla legge regionale censurata, ad avviso del Consiglio di Stato «è evidente che se la norma di legge che il benefit prevede fosse dichiarata incostituzionale, il motivo di appello corrispondente dovrebbe essere accolto». Secondo il giudice a quo a tale motivo andrebbe riconosciuto «carattere assorbente», perché gli altri «presuppongono invece la costituzionalità della legge: dal suo accoglimento conseguirebbe l’accoglimento dell’impugnazione per intero, e l’accoglimento del ricorso di I grado».

1.3.– Quanto alle ragioni della non manifesta infondatezza si premette che esse sarebbero rinvenibili nelle argomentazioni esposte da questa Corte nelle sentenze n. 280 del 2011 e n. 58 del 2015, «pronunciate su casi analoghi».

1.3.1.– Prioritariamente e nel presupposto interpretativo che il benefit ambientale abbia natura di tributo, la norma regionale censurata violerebbe il testo vigente dell’art. 119, secondo comma, Cost., in quanto istituirebbe un tributo regionale in modo non conforme ai «principi di coordinamento della finanza pubblica», secondo l’interpretazione datane da questa Corte con la sentenza n. 37 del 2004, ovverosia «senza che la legge dello Stato lo abbia consentito».

In particolare, in merito alla natura di tributo del benefit ambientale, il giudice a quo argomenta sulla base dei criteri fissati dalla giurisprudenza di questa Corte per cui dovrebbe trattarsi: a) di una prestazione doverosa (non dipendente da qualche rapporto sinallagmatico tra le parti); e b) collegata alla spesa pubblica (in relazione a un presupposto economicamente rilevante).

Riguardo al primo profilo, il rimettente precisa che il benefit ambientale sarebbe dovuto esclusivamente in base alla legge regionale censurata, non trovando la sua fonte in un rapporto sinallagmatico tra le parti e ciò «in modo del tutto analogo a quanto prevedeva la norma dichiarata incostituzionale dalla sentenza 280/2011». Infatti, già in quella occasione questa Corte avrebbe chiarito che quanto dovuto «non costituisce remunerazione né dell’uso in generale di beni collettivi comunali, come il territorio e l’ambiente, né di servizi necessari per la gestione o la funzionalità dell’impianto forniti dal Comune».

Relativamente al secondo profilo, il giudice a quo ritiene che il benefit ambientale sarebbe collegato alla spesa pubblica in ragione di un presupposto economicamente rilevante rappresentato dalla capacità economica del gestore dell’impianto.

Il soggetto passivo del benefit ambientale – secondo quanto afferma il rimettente – sarebbe il gestore dell’impianto che incassa la tariffa e dovrebbe «riversare la percentuale corrispondente al benefit» e non già, come obiettato dalle parti resistenti, il Comune conferente. Peraltro, da un lato, tale percentuale, commisurata alla tariffa, sarebbe dovuta anche qualora il conferimento dei rifiuti sia effettuato da privati; dall’altro, la traslazione di imposta sul soggetto che utilizza l’impianto avrebbe una valenza solo interna o economica, che non farebbe venire meno l’obbligazione in capo al gestore di corrispondere quanto dovuto anche in tutti quei casi in cui – come quello oggetto del giudizio a quo – la traslazione non abbia avuto luogo, perché il gestore abbia omesso di esigerlo.

Tutto quanto sopra, ad avviso del Consiglio di Stato, confermerebbe che la norma regionale censurata istitutiva del benefit ambientale violerebbe l’art. 119, secondo comma, Cost. In particolare, la citata sentenza n. 37 del 2004, «dopo la riforma del Titolo V della parte II della Costituzione, di cui alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3», avrebbe confermato che le Regioni non sarebbero libere di istituire in via autonoma nuovi tributi e ciò – asseritamente senza soluzione di continuità – consentirebbe di replicare pianamente nel caso di specie le conclusioni della indicata sentenza n. 280 del 2011 – sebbene rese in riferimento al previgente art. 119 Cost. – in quanto «la legislazione ordinaria di coordinamento, in particolare il d.lgs. 6 maggio 2011 n. 68, non prevede[rebbe] la possibilità di istituire alcun tributo ambientale del tipo in esame».

1.3.2.– Ancora, nel presupposto interpretativo della natura di tributo del benefit ambientale, il giudice a quo motiva la non manifesta infondatezza della questione avente ad oggetto l’art. 29, comma 2, della legge reg. Lazio n. 27 del 1998 anche in ordine all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.

Questo parametro costituzionale risulterebbe violato in quanto la norma denunciata atterrebbe all’ambito dei rifiuti che, secondo la giurisprudenza di questa Corte (è citata la sentenza n. 58 del 2015), rientrerebbero nella materia «tutela dell’ambiente», la cui disciplina sarebbe riservata alla legge dello Stato.

Tale riserva sarebbe confermata anche nel caso di interferenza con altri interessi e competenze, «di modo che rest[erebbe] riservato allo Stato stesso il potere di fissare livelli uniformi di tutela su tutto il territorio nazionale». Ciò in ragione della prevalente esigenza di garantire livelli adeguati e non riducibili su tutto il territorio nazionale, mentre dall’istituzione di tributi propri ambientali deriverebbero incentivi o disincentivi imposti in modo differenziato in ciascuna Regione, con effetti distorsivi sulle decisioni di investimento delle imprese del settore e quindi sugli stessi equilibri ambientali.

1.3.3.– In subordine, anche se il benefit non venisse «qualificato come tributo, ma semplicemente come corrispettivo aggiuntivo, che si paga nel Lazio e non altrove», il giudice a quo ritiene la norma censurata comunque in contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in quanto interverrebbe in una materia riservata alla legge dello Stato.

2.– In data 27 novembre 2020 si è costituita la CSA per dedurre, in piena adesione all’ordinanza di rimessione, la fondatezza delle questioni «sia laddove [il benefit ambientale] venga qualificato come tributo che nell’ipotesi in cui venga assegnata una diversa qualificazione».

2.1.– La CSA precisa che l’istituzione del benefit ambientale, a opera del censurato art. 29, comma 2, della legge reg. Lazio n. 27 del 1998, è in realtà avvenuta nella vigenza dell’art. 119 Cost. nella formulazione anteriore alla citata riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione, il quale precluderebbe comunque alle Regioni di imporre tributi in assenza di una disposizione legislativa statale. In accordo a quanto affermato dal giudice a quo ritiene quindi che «in ogni caso» la riforma costituzionale non avrebbe mutato i termini della questione.

3.– In data 30 novembre 2020 si è costituita in giudizio la Regione Lazio, chiedendo che venga dichiarata l’inammissibilità o, comunque, la non fondatezza delle questioni.

3.1.– Concentrandosi sul merito, secondo la difesa regionale dalla ricostruzione del complesso quadro normativo si desumerebbe che il benefit ambientale non sia un tributo, ma «una forma di ristoro, di indennizzo, determinato dalle difficoltà e disagi che subisce la comunità che ospita discariche o impianti di smaltimento dei rifiuti», con conseguente insussistenza del lamentato vulnus all’art. 119 Cost.

Tale benefit ambientale sarebbe, infatti, stabilito dalla disciplina di dettaglio in misura non fissa, ma graduata a seconda del tipo di impianto e della quantità di rifiuti conferiti e, dunque, «direttamente collegato al grado di maggiore o minore impatto sui territori interessati». Ciò confermerebbe la sua funzione indennitaria, in applicazione del principio di matrice comunitaria «chi inquina paga» (direttiva 21 aprile 2004 n. 2004/35/CE, del Parlamento europeo e del Consiglio sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale).

3.1.1.– Pur insistendo per la natura non tributaria del benefit, «per completezza di esposizione», la difesa regionale precisa che il richiamo alla sentenza n. 280 del 2011 «non p[otrebbe] attagliarsi alla questione dell’odierna controversia». Tale precedente dovrebbe infatti restare circoscritto alla questione specificamente decisa, in quanto sollevata in riferimento, tra gli altri, all’art. 119 Cost. nella formulazione anteriore alla citata riforma del 2001, posto che, in tale occasione, questa Corte avrebbe motivato il rilevato vulnus proprio ratione temporis.

3.2.– Quanto al lamentato contrasto tra l’art. 29, comma 2, della legge reg. Lazio n. 27 del 1998 e l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., la Regione, facendo leva su diversi passaggi della giurisprudenza di questa Corte sugli intrecci inestricabili tra la «tutela dell’ambiente» e altre materie, contesta che la relativa competenza possa essere affidata «aprioristicamente» allo Stato, affermando che andrebbe attribuita «al livello di governo che, nel singolo caso, [risultasse] più adatto alla cura dell’interesse ambientale».

4.– In data 30 novembre 2020 si è costituito in giudizio il Comune di San Vittore del Lazio chiedendo che le questioni vengano dichiarate non fondate.

4.1.– Il Comune contesta prioritariamente la tesi del rimettente per cui l’art. 29, comma 2, della legge reg. Lazio n. 27 del 1998, intervenendo in una materia di competenza esclusiva statale quale «la tutela dell’ambiente e degli ecosistemi», violerebbe l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.

Ciò in quanto il rilascio delle autorizzazioni agli impianti, la determinazione della tariffa, nonché del corrispondente benefit ambientale, atterrebbero alle prerogative di governo del territorio della Regione di cui all’art. 117, terzo comma, Cost. e rispetterebbero i principi di prossimità e autosufficienza fissati nel decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale).

4.2.– Il Comune di San Vittore del Lazio non condivide poi il presupposto interpretativo della natura tributaria del benefit ambientale, posto dal giudice a quo a sostegno del contrasto della norma censurata con l’art. 119, secondo comma, Cost., e ritiene che le fattispecie considerate nei due precedenti di questa Corte, indicati dall’ordinanza di rimessione (sentenze n. 280 del 2011 e n. 58 del 2015), differirebbero «significativamente» da quella in esame.

4.3.– Ciò premesso, la difesa comunale precisa tuttavia che, qualora venisse accolta la prospettazione del rimettente circa la natura di tributo del benefit ambientale, la relativa disciplina rientrerebbe nelle facoltà attribuite alle Regioni dal vigente art. 119 Cost. di stabilire e applicare «tributi ed entrate propri, in armonia con la Costituzione e secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario».

Segnatamente, secondo il Comune di San Vittore del Lazio, il benefit ambientale – istituito nell’ambito della materia concorrente relativa al «governo del territorio» – rientrerebbe tra le ipotesi di cui al comma 1, lettera b), numero 3, dell’art. 7 della legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione), che annovera fra i tributi propri delle Regioni quelli «istituiti […] con proprie leggi in relazione ai presupposti non già assoggettati ad imposizione erariale».

5.– In data 30 novembre 2020 si è costituita altresì la RIDA, titolare di impianto di trattamento biologico meccanico dei rifiuti solidi urbani, interveniente ad opponendum nel giudizio principale, chiedendo l’accoglimento delle questioni nell’interesse «alla corretta e omogenea interpretazione e applicazione del rigido quadro regolatorio» relativo al benefit ambientale.

5.1.– Nel merito la RIDA aderisce alla ricostruzione interpretativa del rimettente a fondamento di entrambe le questioni e aggiunge, tra l’altro, che lo Stato, con l’art. 3, comma 24, della legge 28 dicembre 1995, n. 549 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), istitutivo del tributo speciale per il deposito in discarica e in impianti di incenerimento senza recupero energetico dei rifiuti solidi, avrebbe «già esercitato la potestà tributaria in relazione al settore del benefit ambientale, peraltro in una materia di propria competenza esclusiva» (è citata la sentenza n. 85 del 2017). Il successivo comma 27 dell’art. 3 della citata legge n. 549 del 1995 disporrebbe, in particolare, che una quota parte del suddetto tributo è proprio destinata ai Comuni ove sono ubicate le discariche o gli impianti di incenerimento senza recupero energetico e ai Comuni limitrofi, effettivamente interessati dal disagio provocato dalla presenza della discarica o dell’impianto, per la realizzazione di interventi volti al miglioramento ambientale del territorio interessato, alla tutela igienico-sanitaria dei residenti, allo sviluppo di sistemi di controllo e di monitoraggio ambientale e alla gestione integrata dei rifiuti urbani.

5.2.– Infine, la RIDA precisa che le ragioni di contrasto tra la normativa regionale e i menzionati parametri costituzionali sussisterebbero anche rispetto alla versione dell’art. 119 Cost. antecedente le modifiche introdotte con la legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione). Nel previgente quadro normativo, infatti, le Regioni erano dotate di potestà tributaria nei soli limiti stabiliti da apposite leggi dello Stato e la sola legge dello Stato istitutiva di un tributo in materia di rifiuti sarebbe stata la citata legge n. 549 del 1995.

6.– In data 30 novembre 2020 si è costituito in giudizio il Comune di Aprilia, chiedendo di dichiarare inammissibili e comunque non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate e, in subordine, di valutare una «modulazione degli effetti in caso di eventuale dichiarazione di illegittimità».

6.1.– Ad avviso della difesa comunale – analogamente a quanto deciso da questa Corte con l’ordinanza n. 179 del 2014 in un caso similare disciplinato da una legge della Regione Puglia – la questione non sarebbe fondata per erroneità del presupposto interpretativo: i titolari passivi del rapporto giuridico oggetto di giudizio sarebbero, infatti, i Comuni conferenti e non già il gestore dell’impianto di smaltimento.

6.2.– Secondo il Comune di Aprilia la non fondatezza delle questioni discenderebbe comunque dalla negazione della natura di tributo del benefit ambientale.

Negazione che sarebbe, a suo avviso, desumibile da alcune decisioni di questa Corte che avrebbero assolto misure compensative e di ristoro ambientale (sono citate le sentenze n. 89 e n. 52 del 2018 e n. 298 del 2013 e l’ordinanza n. 387 del 1990).

7.– In data 17 dicembre 2020 si è costituito in giudizio, fuori termine, il Comune di Castelforte, sede di impianto di trattamento rifiuti.

8.– Con ordinanza del 25 febbraio 2021 (reg. ord. n. 159 del 2021), il Tribunale ordinario civile di Cassino ha sollevato, in riferimento agli artt. 119, secondo comma, e 117, secondo comma, lettera s), Cost., questioni di legittimità costituzionale dell’art. 29, comma 2, della legge reg. Lazio n. 27 del 1998, nella parte in cui prevede che la tariffa per conferire rifiuti agli impianti di smaltimento e recupero dei rifiuti urbani e alle discariche debba essere determinata stabilendo una «quota percentuale» (cosiddetto benefit ambientale) «dovuta dagli eventuali comuni utenti al soggetto gestore dell’impianto o della discarica a favore del comune sede dell’impianto o della discarica stessi, che deve essere compresa tra il dieci ed il venti per cento della tariffa».

Il rimettente espone di essere stato investito della domanda proposta nei confronti della Pontina ambiente srl e della Acea risorse e impianti per l’ambiente spa dal Comune di San Vittore del Lazio – sede di impianto di termovalorizzazione – per l’accertamento e per la dichiarazione del suo diritto di ricevere la somma di denaro corrispondente al benefit ambientale dall’anno 2011 «alla data di notifica dell’atto di citazione, nonché per tutto il suddetto materiale portato e termo valorizzato successivamente a tale data», e per la condanna al relativo pagamento.

Il giudice a quo riferisce altresì che nel corso del giudizio il Comune di Lanuvio, terzo chiamato nella qualità di Comune conferente i rifiuti urbani nel predetto impianto, tra l’altro, ha chiesto, in via pregiudiziale, di sollevare le menzionate questioni di legittimità costituzionale e che i Comuni di Rocca di Papa, Pomezia, Marino, Genzano di Roma, Roma Capitale, Ariccia, Ardea, Albano Laziale, Civitavecchia, Nemi, anch’essi terzi chiamati, hanno formulato «sostanzialmente» le stesse richieste.

Dato atto dell’acquisizione di documenti e di CTU contabile, il rimettente afferma che «il Comune di San Vittore del Lazio ha diritto ad avere il benefit, sul fondamento della normativa al momento vigente».

Ciò premesso, il Tribunale di Cassino solleva le questioni di legittimità costituzionale del citato art. 29, comma 2, della legge reg. Lazio n. 27 del 1998 sullo specifico presupposto interpretativo che il benefit ambientale abbia natura tributaria.

A sostegno della non manifesta infondatezza vengono spesi argomenti dello stesso tenore di quelli sopra illustrati (al punto 1.3.) in relazione all’ordinanza di rimessione del Consiglio di Stato, che il rimettente richiama esplicitamente, deducendo nei medesimi termini la violazione dei vigenti artt. 119, secondo comma, secondo periodo, e 117, secondo comma, lettera s), Cost.

Quanto poi alla rilevanza, ad avviso del giudice a quo, essa discenderebbe dall’applicabilità della norma censurata alla fattispecie oggetto del giudizio, sicché la dichiarazione di illegittimità costituzionale comporterebbe l’integrale rigetto delle domande proposte dal Comune di San Vittore del Lazio.

9.– Con atto depositato in data 5 ottobre 2021, nel giudizio iscritto al reg. ord. n. 159 del 2021, il Comune di Roccasecca ha proposto intervento ad opponendum, chiedendo di prendere visione e trarre copia degli atti processuali, ai sensi dell’art. 4-bis delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, vigenti ratione temporis.

9.1.– Con ordinanza n. 225 del 2021 questa Corte ha dichiarato inammissibile l’intervento del Comune di Roccasecca.

10.– In prossimità dell’udienza alcune delle parti costituite nel giudizio iscritto al reg. ord. n. 154 del 2020 hanno depositato memorie.

10.1.– In data 9 dicembre 2021 la Regione Lazio ha insistito per il rigetto delle questioni, riproducendo a conferma delle precedenti considerazioni alcuni passaggi dell’ordinanza della Corte di cassazione, sezioni unite civili, 26 febbraio 2021, n. 5418, che in sede di regolamento di giurisdizione in una controversia concernente l’obbligo di pagamento, su ingiunzione, del benefit ambientale previsto dal censurato art. 29, comma 2, della legge reg. Lazio n. 27 del 1998, ha statuito la giurisdizione del giudice ordinario, sul presupposto della natura indennitaria e non tributaria di tale misura.

10.2.– In data 16 dicembre 2021 anche il Comune di Castelforte, costituitosi in giudizio fuori termine, ha depositato memoria.

10.3.– Successivamente, nella memoria del 17 dicembre 2021, la difesa della CSA ha insistito per la declaratoria di illegittimità costituzionale della normativa regionale in esame, replicando alle argomentazioni della Regione Lazio e dei Comuni sede di impianti.

In particolare, la società ribadisce che il vulnus all’art. 119 Cost. sussisterebbe «sia nella formulazione ante riforma del 2001 (vigente all’atto dell’introduzione del benefit) che nella formulazione post riforma del 2001», la quale – a suo dire – non attribuirebbe alle Regioni una propria potestà impositiva in materia ambientale.

10.4.– In data 20 dicembre 2021 il Comune di Aprilia, in aggiunta alle considerazioni già svolte nell’atto di costituzione a sostegno della non fondatezza della questione sollevata in riferimento all’art. 119 Cost., ha richiamato la citata ordinanza della Corte di cassazione n. 5418 del 2021, che confermerebbe l’erroneità della ricostruzione giuridica del benefit ambientale operata dal rimettente, in particolare quanto all’individuazione dei connotati tipici del tributo.

10.5.– Infine, in data 21 dicembre 2021 anche la RIDA ha depositato memoria, ribadendo le ragioni a favore della fondatezza delle questioni già illustrate nell’atto di costituzione.

In particolare, in replica agli argomenti addotti, in sede di memorie, dalla Regione Lazio e dai Comuni a sostegno del rigetto in forza della già menzionata ordinanza della Corte di cassazione n. 5418 del 2021, la società tra l’altro afferma che, anche negando la natura tributaria del benefit, la questione sollevata in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. sarebbe parimenti fondata poiché, in ogni caso, la censurata norma regionale interverrebbe «in una materia costituzionalmente riservata alla legislazione esclusiva statale, ossia la tutela dell’ambiente».

Considerato in diritto

1.– Con ordinanza del 24 giugno 2020 (reg. ord. n. 154 del 2020), il Consiglio di Stato ha sollevato, in riferimento agli artt. 117, secondo comma, lettera s), e 119, secondo comma, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 29, comma 2, della legge della Regione Lazio 9 luglio 1998, n. 27 (Disciplina regionale della gestione dei rifiuti), nella parte in cui prevede che una «quota percentuale della tariffa» per l’esercizio degli impianti di smaltimento e recupero dei rifiuti urbani (cosiddetto benefit ambientale) è «dovuta dagli eventuali comuni utenti al soggetto gestore dell’impianto o della discarica a favore del comune sede dell’impianto o della discarica stessi» e «che deve essere compresa tra il dieci ed il venti per cento della tariffa».

1.1.– Il rimettente premette che le ragioni della non manifesta infondatezza sarebbero rinvenibili nelle argomentazioni esposte da questa Corte nelle sentenze n. 280 del 2011 e n. 58 del 2015, «pronunciate su casi analoghi».

Pertanto, affermando la natura di tributo del benefit ambientale – perché non troverebbe la sua fonte in un rapporto sinallagmatico tra le parti, «in modo del tutto analogo a quanto prevedeva la norma dichiarata incostituzionale dalla sentenza n. 280/2011» – il Consiglio di Stato ritiene la norma censurata contrastante con il testo vigente dell’art. 119, secondo comma, Cost.

Ciò in quanto istituirebbe un tributo regionale in modo non conforme ai «principi di coordinamento della finanza pubblica», secondo l’interpretazione datane da questa Corte con la sentenza n. 37 del 2004, che, «dopo la riforma del Titolo V della parte II della Costituzione, di cui alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3», avrebbe confermato il divieto per le Regioni di istituire in via autonoma nuovi tributi.

Nel caso di specie, a suo avviso, si potrebbero quindi replicare pianamente e senza soluzione di continuità le conclusioni della sentenza n. 280 del 2011, sebbene rese in riferimento al previgente art. 119 Cost., in quanto «la legislazione ordinaria di coordinamento, in particolare il d.lgs. 6 maggio 2011 n. 68, non prevede[rebbe] la possibilità di istituire alcun tributo ambientale del tipo in esame».

La norma censurata, inoltre, lederebbe anche l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. in quanto attinente all’ambito dei rifiuti, che, secondo la giurisprudenza di questa Corte (è citata la sentenza n. 58 del 2015), rientrerebbe nella «tutela dell’ambiente» riservata alla legge dello Stato; ciò, in subordine, anche se il benefit non venisse «qualificato come tributo, ma semplicemente come corrispettivo aggiuntivo, che si paga nel Lazio e non altrove», in quanto interverrebbe comunque nella richiamata materia di competenza esclusiva statale.

2.– Con ordinanza del 25 febbraio 2021 (reg. ord. n. 159 del 2021), il Tribunale ordinario civile di Cassino ha sollevato, in riferimento agli artt. 117, secondo comma, lettera s), e 119, secondo comma, Cost., questioni di legittimità costituzionale dello stesso art. 29, comma 2, della legge reg. Lazio n. 27 del 1998, nella parte in cui prevede che la tariffa per conferire rifiuti agli impianti di smaltimento e recupero dei rifiuti urbani e alle discariche debba essere determinata stabilendo una «quota percentuale» (cosiddetto benefit ambientale) «dovuta dagli eventuali comuni utenti al soggetto gestore dell’impianto o della discarica a favore del comune sede dell’impianto o della discarica stessi, che deve essere compresa tra il dieci ed il venti per cento della tariffa».

A sostegno della non manifesta infondatezza il rimettente, sullo specifico presupposto interpretativo che il benefit ambientale abbia natura tributaria, spende argomenti del medesimo tenore di quelli della illustrata ordinanza di rimessione del Consiglio di Stato, che richiama esplicitamente deducendo negli stessi termini la violazione dei vigenti artt. 119, secondo comma, secondo periodo, e 117, secondo comma, lettera s), Cost.

3.– Le ordinanze di rimessione sollevano questioni identiche, sicché i relativi giudizi vanno riuniti per essere definiti con un’unica decisione.

4.– Le questioni così come prospettate dai rimettenti sono inammissibili per plurime ragioni.

5.– Innanzitutto, le censure formulate dal Consiglio di Stato incorrono nel difetto di motivazione sulla rilevanza per un profilo logico-giuridico attinente (anche alla luce dei principi sanciti dall’adunanza plenaria del medesimo Consiglio di Stato, nella sentenza 27 aprile 2015, n. 5, punto 9.3.4.2.) all’esame dei motivi di appello, di cui il rimettente non ha adeguatamente dato conto.

Lo stesso giudice a quo riferisce che la pronuncia innanzi a sé impugnata ha ritenuto dovuto il benefit ambientale, in quanto quello della ricorrente poteva ritenersi un «impianto di preselezione», dove i rifiuti ricevuti necessitano di pretrattamento. Precisa poi che l’appello «contiene sette motivi» e che «[q]ui rileva in particolare il settimo di essi», con cui è dedotta l’illegittimità costituzionale della disposizione regionale, ma non illustra in alcun modo gli altri.

Ciò premesso, la pur scarna indicazione sul contenuto dell’appello lascia inferire la presenza di un motivo con il quale viene contestata l’applicabilità al caso di specie della norma censurata; ne è riprova che l’ordinanza di rimessione menziona una precedente ordinanza di «verificazione» emessa nello stesso giudizio proprio per accertare se l’impianto effettivamente rientri tra quelli per i quali è applicabile detta norma (atto istruttorio cui, peraltro, hanno fatto seguito controdeduzioni delle parti, repliche e quindi la richiesta della ricorrente appellante «che la causa passi in decisione»).

Tuttavia, il rimettente non si è pronunciato, neppure in via probabilistica, sulla fondatezza di tale motivo di impugnazione e non ha dato conto dell’esito della verificazione. Si è limitato ad affermare, peraltro del tutto genericamente, che «la norma citata è certamente applicabile alla fattispecie» e che la questione di costituzionalità «è assorbente», perché i «motivi di appello dedotti presuppongono […] la costituzionalità della legge».

Questa Corte in più occasioni ha ricordato che la motivazione sulla rilevanza è da intendersi correttamente formulata «quando illustra le ragioni che giustificano l’applicazione della disposizione censurata e determinano la pregiudizialità della questione sollevata rispetto alla definizione del processo principale» (ex plurimis, sentenza n. 105 del 2018). È pur vero che, da questo punto di vista, ha altresì ritenuto «sufficiente la non implausibilità delle ragioni addotte» (ex plurimis, sentenza 160 del 2019); tuttavia, l’argomentazione dell’odierno rimettente è così generica ed assertiva che, in relazione alla fattispecie in oggetto, non raggiunge neppure tale soglia minimale.

6.– Anche le censure sollevate dal Tribunale ordinario civile di Cassino sono viziate dal difetto di motivazione della rilevanza, ma sotto un differente profilo.

Infatti il rimettente – pur affermando espressamente che: a) la controversia sottoposta al suo esame verte tra il soggetto attivo (il Comune di San Vittore del Lazio in cui ha sede l’impianto di smaltimento dei rifiuti) e il soggetto passivo (il gestore dell’impianto) di un «tributo ambientale»; b) ha ad oggetto l’obbligo di pagamento di tale tributo – non indica in alcun modo le ragioni per le quali, a suo avviso, sulla base di tali presupposti sussista la propria giurisdizione in luogo di quella del giudice tributario, al quale, ai sensi dell’art. 2, comma 1, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), «[a]ppartengono […] tutte le controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni genere e specie comunque denominati».

In questo modo il rimettente, senza specifica e adeguata motivazione (che escludesse, in ipotesi, la contraddizione), da un lato afferma che l’oggetto del proprio giudizio è un tributo e dall’altro al contempo presuppone la propria giurisdizione di giudice ordinario.

L’intima contraddittorietà in cui incorre il giudice a quo rifluisce in una non adeguata motivazione sulla rilevanza delle questioni, con conseguente inammissibilità delle stesse.

Neppure può inficiare tale conclusione la constatazione che la Corte di cassazione, sezioni unite civili, con ordinanza 26 febbraio 2021, n. 5418, in sede di regolamento di giurisdizione, ha stabilito che le controversie concernenti l’impugnazione dell’ingiunzione di pagamento del benefit ambientale previsto dal censurato art. 29, comma 2, della legge reg. Lazio n. 27 del 1998 appartengono al giudice ordinario, in quanto il benefit avrebbe natura non tributaria.

Premesso che in questa sede si prescinde – ovviamente – da ogni valutazione circa la conformità della nozione di tributo utilizzata dalla indicata decisione di legittimità rispetto alla nozione costituzionale di tributo ambientale che questa Corte ha delineato (da ultimo sentenza n. 82 del 2021, punto 6 del Considerato in diritto) in termini compatibili con il principio di derivazione comunitaria “chi inquina paga”, ciò che viene qui in rilievo è solo che la suddetta pronuncia delle sezioni unite indica che il Tribunale rimettente avesse giurisdizione in ordine alla questione posta nel merito. Ma di certo ciò non lo legittima a sollevare una questione di legittimità costituzionale nei termini esposti, ovvero affermando, contemporaneamente e senza motivazione, la natura tributaria del benefit e la propria giurisdizione in materia.

7.– Sotto altro concorrente profilo sussistono ulteriori ragioni di inammissibilità, comuni a entrambi i giudizi di rimessione, quanto all’insufficiente motivazione della non manifesta infondatezza delle questioni.

7.1.– I rimettenti, infatti, assumono che il benefit ambientale sia un tributo e che questo vada censurato in riferimento ai vigenti artt. 119, secondo comma, e 117, secondo comma, lettera s), Cost.

Nel motivare su tali censure (peraltro formulate senza adeguata ricostruzione del quadro della legislazione statale di coordinamento sulla finanza pubblica e dell’evoluzione della giurisprudenza di questa Corte) ritengono di fare riferimento, in particolare, a quanto deciso con la sentenza n. 280 del 2011, pronunciata da questa Corte in riferimento però all’art. 119 Cost. nella formulazione precedente la riforma del 2001, in quanto riguardante una norma della Regione Piemonte risalente alla fine degli anni Ottanta.

7.2.– Tuttavia, nel loro iter argomentativo, incentrato sulla violazione dei parametri vigenti, i rimettenti non considerano che la norma regionale da loro censurata è anch’essa anteriore alla predetta riforma costituzionale e che a oggi non risulta avere mai subito modifiche.

Questa Corte ha più volte affermato la necessità che lo scrutinio sia riferito ai parametri in vigore al momento dell’emanazione della normativa regionale (ex plurimis sentenze n. 130 del 2015 e n. 62 del 2012) e ha ritenuto inammissibili questioni sollevate senza motivare «in ordine alle ragioni per le quali [si] ritiene di dover evocare parametri sopravvenuti all’adozione della legge regionale» (ex plurimis, ordinanza n. 247 del 2016).

Nessun argomento è stato sviluppato, al riguardo, dai rimettenti e tale omissione si ripercuote sull’ammissibilità delle questioni, pregiudicando la motivazione della non manifesta infondatezza.

8.‒ Nel complesso, le questioni di legittimità costituzionale sollevate dai remittenti sono, pertanto, inammissibili.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 29, comma 2, della legge della Regione Lazio 9 luglio 1998, n. 27 (Disciplina regionale della gestione dei rifiuti), sollevate, in riferimento agli artt. 117, secondo comma, lettera s), e 119, secondo comma, della Costituzione, dal Consiglio di Stato e dal Tribunale ordinario civile di Cassino con le ordinanze in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 gennaio 2022.

F.to:

Giuliano AMATO, Presidente

Luca ANTONINI, Redattore

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria il 3 marzo 2022.