Sentenza n. 40 del 2022

SENTENZA N. 40

ANNO 2022

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Giuliano AMATO;

Giudici: Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 3, comma 2; 6-bis, comma 16; 19-septies, comma 4, e 19-octies, comma 2, del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137 (Ulteriori misure urgenti in materia di tutela della salute, sostegno ai lavoratori e alle imprese, giustizia e sicurezza, connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 18 dicembre 2020, n. 176, promosso dalla Regione Campania con ricorso notificato il 22 febbraio 2021, depositato in cancelleria il 4 marzo 2021, iscritto al n. 11 del registro ricorsi 2021 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 11, prima serie speciale, dell’anno 2021.

Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica dell’11 gennaio 2022 il Giudice relatore Luca Antonini;

uditi l’avvocato Almerina Bove per la Regione Campania e, per il Presidente del Consiglio dei ministri, l’avvocato dello Stato Ruggero Di Martino, entrambi in collegamento da remoto ai sensi del punto 1) del decreto del Presidente della Corte del 18 maggio 2021;

deliberato nella camera di consiglio dell’11 gennaio 2022.

Ritenuto in fatto

1.– Con ricorso depositato il 4 marzo 2021 (reg. ric. n. 11 del 2021), la Regione Campania, in persona del Presidente pro tempore, ha impugnato gli artt. 3, comma 2; 6-bis, comma 16; 19-septies, comma 4, e 19-octies, comma 2, del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137 (Ulteriori misure urgenti in materia di tutela della salute, sostegno ai lavoratori e alle imprese, giustizia e sicurezza, connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito, con modificazioni, in legge 18 dicembre 2020, n. 176, in riferimento, complessivamente, agli artt. 3, 117, terzo e quarto comma, 118, 119 e 120 della Costituzione.

2.– L’art. 3, comma 1, del citato decreto-legge istituisce nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze il «Fondo unico per il sostegno delle associazioni e società sportive dilettantistiche», al fine di far fronte alla crisi economica di tali enti «determinatasi in ragione delle misure in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19» e prevede che le relative risorse, quantificate in 142 milioni di euro per l’anno 2020, siano «trasferite al bilancio autonomo della Presidenza del Consiglio dei ministri, per essere assegnate al Dipartimento per lo sport». Il comma 2 dello stesso art. 3 dispone che: «[i]l Fondo di cui al comma 1 è destinato all’adozione di misure di sostegno e ripresa delle associazioni e società sportive dilettantistiche che hanno cessato o ridotto la propria attività istituzionale a seguito dei provvedimenti statali di sospensione delle attività sportive. I criteri di ripartizione delle risorse del Fondo sono stabiliti con il provvedimento del Capo del Dipartimento per lo sport della Presidenza del Consiglio dei ministri che dispone la loro erogazione».

Quest’ultimo comma è impugnato con due distinti motivi.

2.1.– Anzitutto, la norma violerebbe i principi di ragionevolezza e di uguaglianza sostanziale, sanciti dall’art. 3 Cost., subordinando l’erogazione del contributo da essa previsto alla circostanza che la cessazione o la riduzione dell’attività dei soggetti indicati sia determinata da provvedimenti statali di sospensione delle attività sportive e non anche da provvedimenti «adottati in sede regionale (o comunale), a tutela della salute nell’ambito del medesimo contesto di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19».

In proposito la ricorrente segnala che, in attuazione della normativa introdotta dallo Stato – in particolare, dell’art. 3, comma 2, del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6 (Misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito, con modificazioni, in legge 5 marzo 2020, n. 13 –, il Presidente della Regione Campania ha adottato l’ordinanza 8 marzo 2020, n. 8, disponendo, con decorrenza immediata e fino al 15 aprile 2020, la sospensione delle attività delle palestre, delle piscine e dei centri benessere nel proprio territorio. In considerazione della situazione epidemiologica, tale misura è stata poi mantenuta dalla Regione, per effetto dell’ordinanza 17 maggio 2020, n. 48, fino al 25 maggio 2020, «anche dopo la cessazione del periodo di sospensione disposto» dalle norme statali.

Pertanto, avendo lo Stato stesso affidato alle Regioni l’adozione di misure più restrittive di quelle vigenti sull’intero territorio nazionale, risulterebbe «irragionevolmente sperequata» la previsione del ristoro che considera «la sospensione di attività conseguenziale soltanto a disposizioni statali e non anche a quelle regionali».

2.2.– La medesima norma statale impugnata violerebbe anche il principio di leale collaborazione di cui all’art. 120 Cost. e si porrebbe in contrasto con gli artt. 117, terzo comma, 118 e 119 Cost., nella parte in cui non prevede alcuna forma di coinvolgimento del sistema delle autonomie territoriali – quale ad esempio l’intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano (cosiddetta Conferenza Stato-Regioni) – nella determinazione dei criteri di ripartizione delle risorse del Fondo.

A sostegno della impugnativa, la ricorrente evidenzia che l’art. 3 del d.l. n. 137 del 2020, come convertito, afferirebbe alla materia dell’ordinamento sportivo, assegnata alla competenza legislativa concorrente dall’art. 117, terzo comma, Cost. A tale riguardo richiama la sentenza n. 254 del 2013 di questa Corte che, nel riconoscere alle Regioni la «competenza in relazione all’organizzazione delle attività sportive non agonistiche», ha ritenuto in contrasto con l’art. 119 Cost. la previsione in questa materia di «nuovi finanziamenti a destinazione vincolata, anche a favore di soggetti privati», potendo tali misure divenire strumenti indiretti, ma pervasivi, di ingerenza dello Stato nell’esercizio delle funzioni delle Regioni e di sovrapposizione delle politiche e degli indirizzi governati centralmente a quelli legittimamente decisi dalle Regioni medesime.

Inoltre, aggiunge la Regione, l’esercizio unitario che consentirebbe di attrarre insieme alla funzione amministrativa anche quella legislativa potrebbe essere legittimo solo se la relativa disciplina «prefiguri un iter in cui assumano il dovuto risalto le attività concertative e di coordinamento orizzontale», ossia le intese, da condurre secondo il principio di lealtà.

3.– È impugnato poi il comma 16 dell’art. 6-bis del d.l. n. 137 del 2020, come convertito, che prevede: «[c]on decreto del Ministero dell’università e della ricerca sono stabilite le modalità di attuazione del comma 15».

Tale articolo, al precedente comma 15, riconosce un contributo di 3 milioni di euro per l’anno 2021 ai collegi universitari di merito accreditati ai sensi del decreto legislativo 29 marzo 2012, n. 68 (Revisione della normativa di principio in materia di diritto allo studio e valorizzazione dei collegi universitari legalmente riconosciuti, in attuazione della delega prevista dall’articolo 5, comma 1, lettere a, secondo periodo, e d, della legge 30 dicembre 2010, n. 240, e secondo i principi e i criteri direttivi stabiliti al comma 3, lettera f, e al comma 6).

La norma è diretta a sostenere, nel limite di tale stanziamento, «le strutture destinate all’ospitalità degli studenti universitari fuori sede».

3.1.– La ricorrente rimarca che la previsione statale interverrebbe nella materia di competenza legislativa regionale residuale del diritto allo studio universitario, nonché nei connessi ambiti amministrativi e finanziari regionali, senza tuttavia garantire il rispetto del principio di leale collaborazione con la «doverosa previsione di forme di coinvolgimento delle Regioni nella determinazione delle modalità di attuazione del finanziamento previsto, quali l’intesa, ai fini dell’adozione del decreto ministeriale».

Risulterebbe perciò «evidente» il contrasto con gli artt. 117, quarto comma, 118, 119 e 120 Cost., in quanto la norma impugnata non coinvolgerebbe le Regioni nel processo decisionale relativo alla definizione delle modalità di attuazione del finanziamento previsto.

3.2.– La stessa disposizione risulterebbe costituzionalmente illegittima anche ove, in via subordinata, la si ritenesse attinente alla materia «istruzione», in quanto, in violazione degli artt. 117, terzo comma, 118, 119 e 120 Cost., inciderebbe in un ambito di competenza legislativa regionale concorrente, nonché nei connessi ambiti amministrativi e finanziari regionali, senza tuttavia garantire il rispetto del principio di leale collaborazione ai fini dell’adozione del previsto decreto ministeriale.

4.– Un’ulteriore doglianza è rivolta al comma 4 dell’art. 19-septies del d.l. n. 137 del 2020, come convertito.

Tale articolo, al comma 1, reca disposizioni per «favorire l’accesso a prestazioni di telemedicina da parte dei cittadini dei piccoli centri urbani», ossia Comuni o centri abitati con meno di 3.000 abitanti, riconoscendo alle farmacie che vi operano «un contributo sotto forma di credito d’imposta nella misura del 50 per cento, fino a un importo massimo di 3.000 euro per ciascun soggetto beneficiario […] delle spese per l’acquisto e il noleggio, nell’anno 2021, di apparecchiature necessarie per l’effettuazione di prestazioni di telemedicina di cui all’articolo 3 del decreto del Ministro della salute 16 dicembre 2010 […]». Le suddette prestazioni di telemedicina possono essere erogate «previo accordo con l’azienda sanitaria di riferimento che definisce il tetto massimo di prestazioni annuali e, nei limiti dello stesso, sulla base di prescrizione del medico di medicina generale o del pediatra di libera scelta, applicando le tariffe stabilite dal nomenclatore tariffario regionale ovvero l’eventuale regime di esenzione previsto, nei limiti delle risorse disponibili a legislazione vigente per il finanziamento del Servizio sanitario regionale» (comma 2). La disciplina tributaria del suddetto credito d’imposta è specificata dal comma 3, mentre nel successivo comma 4, che è l’unico impugnato, si prevede che «[c]on decreto del Ministro della salute, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sono stabiliti i criteri e le modalità di attuazione delle disposizioni di cui al presente articolo, con particolare riguardo agli investimenti che danno accesso al beneficio, alle procedure di concessione e di utilizzo del contributo, alla documentazione richiesta, alle condizioni di revoca e all’effettuazione dei controlli».

Secondo la ricorrente, quest’ultima previsione violerebbe gli artt. 117, terzo comma, 118, 119 e 120 Cost. Infatti, oltre che alla materia «sistema tributario», di competenza legislativa esclusiva statale, la misura di promozione dell’utilizzo della telemedicina presso le farmacie dei piccoli centri afferirebbe «all’evidenza» anche alla competenza concorrente delle Regioni in materia di «tutela della salute». Il legislatore statale, alla luce delle possibili incidenze in questa materia e nel rispetto del principio di leale collaborazione, avrebbe dovuto quindi garantire la partecipazione delle Regioni nella determinazione dei criteri e delle modalità di attuazione delle disposizioni, invece stabiliti unilateralmente con decreto ministeriale.

Al riguardo, la difesa regionale richiama la giurisprudenza di questa Corte per cui, qualora non risulti possibile comporre il concorso di competenze statali e regionali mediante un criterio di prevalenza, in ambiti caratterizzati da una pluralità di competenze il legislatore statale potrebbe intervenire purché agisca nel rispetto del principio di leale collaborazione, congruamente attuato solo mediante la previsione dell’intesa.

5.– Infine, il ricorso impugna il comma 2 dell’art. 19-octies del d.l. n. 137 del 2020, come convertito.

Il comma 1 del suddetto articolo prevede che «[p]er consentire il miglioramento dell’efficacia degli interventi di cura e delle relative procedure, anche alla luce degli sviluppi e dei progressi della ricerca scientifica applicata con specifico riguardo alla prevenzione e alla terapia delle alterazioni molecolari che originano i tumori, per l’anno 2021 è autorizzata la spesa di 5 milioni di euro da destinare per il potenziamento dei test di Next-Generation Sequencing di profilazione genomica dei tumori dei quali sono riconosciute evidenza e appropriatezza, nel limite di spesa autorizzato ai sensi del presente articolo».

La disposizione impugnata stabilisce poi: «[c]on decreto del Ministero della salute, da adottare, di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sono stabilite le modalità di attuazione del presente articolo anche con riguardo alla destinazione e distribuzione delle risorse allocate ai sensi del presente articolo. […]».

Quest’ultima previsione viene ritenuta in contrasto con gli artt. 117, terzo comma, 118, 119 e 120 Cost. perché non avrebbe garantito la partecipazione delle Regioni nella individuazione delle modalità con le quali dare attuazione all’autorizzazione di spesa, omettendo di prevedere qualsiasi coinvolgimento regionale. La misura introdotta dall’art. 19-octies inciderebbe quindi in modo costituzionalmente illegittimo sulle competenze regionali nella materia concorrente della «tutela della salute».

6.– Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo di dichiarare inammissibile o comunque di rigettare il ricorso.

6.1.– Quanto all’impugnativa dell’art. 3, comma 2, del d.l. n. 137 del 2020, come convertito, questa sarebbe inammissibile «per difetto di motivazione, stante la genericità dei presunti effetti lesivi delle competenze della ricorrente e sull’asserita disparità di trattamento» (sono richiamate le sentenze n. 74 del 2019, n. 192 del 2017 e n. 69 del 2016).

In particolare il motivo che lamenta la violazione dell’art. 3 Cost. sarebbe inammissibile anche per difetto di ridondanza, attesa la estraneità di tale parametro a quelli che sovrintendono al riparto di attribuzioni tra Stato e Regioni e la mancanza di illustrazione del vizio nei termini richiesti dalla giurisprudenza di questa Corte.

La stessa questione sarebbe inammissibile, «anche sotto l’ulteriore profilo della coincidenza temporale delle misure statali e regionali relative alle attività interessate dalla sospensione», «nella parte in cui vi è piena coincidenza tra misure statali e regionali».

6.1.1.– Nel merito, la difesa statale premette che con il d.l. n. 137 del 2020, come convertito, il Governo avrebbe inteso, agendo in forza di plurimi titoli di competenza statale, dare sostegno ai settori più direttamente interessati dalle misure restrittive dell’esercizio di talune attività economiche.

In questa prospettiva, la specifica disposizione impugnata si giustificherebbe in nome della competenza statale esclusiva «in materia di perequazione finanziaria» che, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., consentirebbe allo Stato di istituire anche fondi a tutela di finalità di coesione economica e sociale, «recanti risorse aggiuntive» rispetto a quelle necessarie per l’esercizio delle ordinarie funzioni regionali, alla luce di valutazioni di interesse nazionale.

Ciò escluderebbe la pertinenza delle doglianze, basate sull’asserita violazione della competenza regionale concorrente in materia di «ordinamento sportivo», poiché la disposizione impugnata non disciplinerebbe neppure indirettamente tale ordinamento.

Trattandosi di «mere misure di ristoro economico alle attività interessate dalle chiusure», parimenti inconferente risulterebbe anche la giurisprudenza richiamata dalla ricorrente a sostegno della violazione del principio di leale collaborazione.

6.2.– Anche il motivo d’impugnativa rivolto al comma 16 dell’art. 6-bis del d.l. n. 137 del 2020, come convertito – relativo al contributo ai collegi universitari di merito accreditati –, sarebbe ad avviso dell’Avvocatura inammissibile per difetto di motivazione e di ridondanza.

Nel merito, le censure di violazione del principio di leale collaborazione sarebbero comunque prive di fondamento «in quanto relative, anche in questo caso, a mere misure di ristoro economico», estranee alle materie del diritto allo studio universitario e della istruzione richiamate dalla ricorrente.

6.3.– Infine, la difesa statale argomenta la non fondatezza del terzo motivo di ricorso, rivolto al contributo sotto forma di credito d’imposta alle farmacie dei piccoli centri, affermando che l’art. 19-septies del d.l. n. 137 del 2020, come convertito, riguarderebbe la competenza legislativa esclusiva statale in materia di sistema tributario e contabile dello Stato, da cui conseguirebbe l’attribuzione della regolamentazione attuativa ai Ministeri della salute e dell’economia e delle finanze. In ogni caso, secondo l’Avvocatura, con tale disposizione il legislatore statale avrebbe anche stabilito principi fondamentali in materia di tutela della salute a garanzia, in tutto il territorio nazionale, di un elevato e uniforme livello di qualità dei servizi resi dalle farmacie.

Anche l’ultimo motivo di ricorso, concernente le modalità di attuazione dell’autorizzazione di spesa disposta dall’art. 19-octies, sarebbe riconducibile a una competenza legislativa esclusiva statale, e precisamente alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni sanitarie di cui all’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost. Potenziando la diagnostica molecolare, la previsione statale migliorerebbe la ricerca scientifica applicata alla prevenzione e alla terapia delle alterazioni molecolari che originano i tumori, prestazioni «attualmente non uniformemente disponibili nel territorio nazionale, anche per i costi elevati».

Da ultimo, la difesa statale rimarca che per tutte le disposizioni impugnate, inserite in un complesso intervento normativo volto a introdurre misure urgenti connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19, verrebbe in rilievo anche la competenza legislativa esclusiva statale nella materia della profilassi internazionale, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera q), Cost., che «è comprensiva di ogni misura atta a contrastare una pandemia sanitaria in corso, ovvero a prevenirla» (sentenza n. 37 del 2021).

Considerato in diritto

1.– Con il ricorso indicato in epigrafe (reg. ric. n. 11 del 2021), la Regione Campania, in persona del Presidente pro tempore, ha impugnato gli artt. 3, comma 2; 6-bis, comma 16; 19-septies, comma 4, e 19-octies, comma 2, del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137 (Ulteriori misure urgenti in materia di tutela della salute, sostegno ai lavoratori e alle imprese, giustizia e sicurezza, connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito, con modificazioni, in legge 18 dicembre 2020, n. 176, in riferimento, complessivamente, agli artt. 3, 117, terzo e quarto comma, 118, 119 e 120 della Costituzione.

2.– La prima disposizione impugnata è l’art. 3, comma 2, del d.l. n. 137 del 2020, come convertito, che, disciplinando il «Fondo unico per il sostegno delle associazioni e società sportive dilettantistiche», istituito dal comma 1 del medesimo articolo, lo destina «all’adozione di misure di sostegno e ripresa delle associazioni e società sportive dilettantistiche che hanno cessato o ridotto la propria attività istituzionale a seguito dei provvedimenti statali di sospensione delle attività sportive» e prevede che «[i] criteri di ripartizione delle risorse del Fondo sono stabiliti con il provvedimento del Capo del Dipartimento per lo sport della Presidenza del Consiglio dei ministri che dispone la loro erogazione».

2.1.– La Regione Campania, con un primo motivo di ricorso, lamenta anzitutto che la norma darebbe rilievo alla cessazione o alla riduzione dell’attività degli enti determinata da provvedimenti statali di sospensione delle attività sportive e non anche da quelli adottati dalle Regioni. Sarebbero dunque violati i principi di ragionevolezza e di uguaglianza sostanziale, sanciti dall’art. 3 Cost., in quanto anche i provvedimenti regionali si porrebbero «a tutela della salute nell’ambito del medesimo contesto di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19».

2.2.– Con un secondo motivo la ricorrente ravvisa la violazione del principio di leale collaborazione di cui all’art. 120 Cost., in connessione con gli artt. 117, terzo comma, 118 e 119 Cost., in quanto l’ultimo periodo del richiamato comma 2 non prevede alcuna forma di coinvolgimento delle Regioni nella determinazione dei criteri di ripartizione delle risorse del fondo.

Infatti, l’art. 3 del d.l. n. 137 del 2020, come convertito, afferirebbe alla materia dell’ordinamento sportivo, assegnata alla competenza legislativa concorrente dall’art. 117, terzo comma, Cost., in relazione alla quale questa Corte avrebbe già affermato (nella sentenza n. 254 del 2013) che l’art. 119 Cost. vieta al legislatore statale di prevedere «nuovi finanziamenti a destinazione vincolata, anche a favore di soggetti privati».

Pertanto, solo con la previsione di un’intesa si verificherebbe la legittima attrazione in sussidiarietà, in funzione di un «esercizio unitario», da parte dello Stato.

2.3.– Ad avviso dell’Avvocatura generale dello Stato le questioni sarebbero nel loro complesso inammissibili per un «difetto di motivazione, stante la genericità dei presunti effetti lesivi delle competenze della ricorrente e sull’asserita disparità di trattamento».

Tale eccezione, che non distingue puntualmente le due questioni promosse, va rigettata, in quanto nella prima questione, salvo quanto si dirà al punto successivo, si motiva adeguatamente la disparità di trattamento che avrebbero subito gli enti sportivi campani, mentre nella seconda si fa chiaramente valere l’omesso coinvolgimento del sistema delle autonomie nella determinazione dei criteri di ripartizione del fondo.

2.4.– Fondata, invece, è la specifica eccezione d’inammissibilità relativa alla prima censura, ovvero la doglianza di irragionevolezza, che l’Avvocatura sviluppa sul difetto di ridondanza.

La questione, infatti, è incentrata unicamente sulla violazione dell’art. 3 Cost. e non soddisfa nessuna delle due condizioni costantemente richieste da questa Corte al fine dell’ammissibilità di censure regionali fondate su un parametro estraneo al riparto di competenze: in primo luogo, la chiara individuazione degli ambiti di competenza regionale indirettamente incisi dalla disciplina statale e, in secondo luogo, una illustrazione adeguata del vizio di ridondanza (da ultimo, sentenza n. 187 del 2021 e precedenti ivi indicati).

Va pertanto dichiarata l’inammissibilità, per difetto di ridondanza, della questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 2, del d.l. n. 137 del 2020, come convertito, promossa in riferimento all’art. 3 Cost.

3.– La questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 2, del d.l. n. 137 del 2020, come convertito, promossa in riferimento agli artt. 117, terzo comma, 118, 119 e 120 Cost., è fondata.

Occorre precisare che la Regione ricorrente non ha impugnato la previsione, contenuta nel comma 1 del citato art. 3, con la quale è stato istituito il «Fondo unico per il sostegno delle associazioni e società sportive dilettantistiche», bensì unicamente il successivo comma 2 nella parte in cui, escludendo ogni «forma di coinvolgimento del sistema delle autonomie territoriali», dispone che i criteri di ripartizione e l’erogazione delle risorse del fondo sono stabiliti con provvedimento del Capo del Dipartimento per lo sport della Presidenza del Consiglio dei ministri.

In questi termini la ricorrente non ha chiesto la caducazione del fondo, effetto che sarebbe andato a detrimento anche degli stessi enti campani destinatari del ristoro; ha bensì invocato una sentenza additiva che imponga l’intesa, in modo che il riparto del fondo avvenga in forma concertata.

3.1.– La valutazione della questione richiede, innanzitutto, di considerare che il suddetto art. 3 afferisce alla materia «ordinamento sportivo», rientrante nelle competenze legislative concorrenti di cui all’art.117, terzo comma, Cost.

Il fondo, infatti, è chiaramente destinato alle associazioni e alle società sportive dilettantistiche, ossia a soggetti giuridici di tale ordinamento, in relazione alle ripercussioni sulla «propria attività istituzionale» conseguenti ai «provvedimenti statali di sospensione delle attività sportive».

L’individuazione dei suddetti enti quali beneficiari delle risorse evidenzia, da un lato, che l’attività sportiva è presa in considerazione in base a un criterio di capillarità e di prossimità al territorio, e dall’altro, che il fondo mira a raggiungere i soggetti che gestiscono l’attività sportiva a livello dilettantistico.

Ciò precisato, occorre ricordare che questa Corte ha già ascritto alla competenza regionale in materia di ordinamento sportivo sia un fondo statale «finalizzato alla realizzazione di nuovi impianti sportivi o alla ristrutturazione di quelli già esistenti» (sentenza n. 254 del 2013), sia un finanziamento statale agli enti di promozione sportiva per «consentire lo svolgimento dei propri compiti istituzionali, nonché per il finanziamento e il potenziamento dei programmi relativi allo sport sociale» (sentenza n. 424 del 2004).

Inoltre, va evidenziato che non vengono in rilievo, nel caso di specie, altre competenze statali, nemmeno trasversali, che potrebbero eventualmente intrecciarsi con quella ravvisabile in capo alle Regioni.

3.2.– Tali conclusioni portano a ribadire la costante affermazione di questa Corte per cui, dopo la riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione, il riconoscimento di una più ampia autonomia finanziaria di spesa alle Regioni nel novellato art. 119 Cost. preclude allo Stato la possibilità di istituire fondi a destinazione vincolata nelle materie residuali regionali o concorrenti, anche se a favore di soggetti privati (sentenze n. 71 del 2018, n. 168 e n. 50 del 2008 e n. 423 del 2004), salvo che nella specifica ipotesi del quinto comma del medesimo art. 119 Cost. o al verificarsi di esigenze di gestione unitaria che giustificano un’attrazione in sussidiarietà (sentenze n. 74 del 2019, n. 79 del 2011 e n. 168 del 2008).

In base all’art. 119 Cost., secondo e terzo comma, infatti, il sistema di finanziamento degli enti territoriali deve fondarsi su «tributi ed entrate propri», «compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibile al loro territorio», quote di «un fondo perequativo, senza vincoli di destinazione, per i territori con minore capacità fiscale». Le risorse derivanti dalle suddette fonti devono essere sufficienti, in base al successivo quarto comma, a consentire a tali enti «di finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite», senza che residuino spazi per forme di finanziamento statale con minor grado di autonomia, quali, appunto, i fondi vincolati.

Sebbene tale modello costituzionale sia stato solo parzialmente attuato, con il permanere di un sistema a finanza ancora largamente derivata, resta fermo che in via ordinaria e salva l’esistenza di un diverso fondamento costituzionale, i trasferimenti statali a carattere vincolato che intervengono in materie concorrenti o residuali regionali determinano un’illegittima «sovrapposizione di politiche e di indirizzi governati centralmente» (sentenza n. 16 del 2004) all’autonomia di spesa degli enti territoriali.

3.3.– A confutare tale esito non vale il richiamo, da parte dell’Avvocatura generale dello Stato, alla «competenza statale in materia di perequazione finanziaria», evocata in implicito raccordo con l’ipotesi di cui all’art. 119, quinto comma, Cost.

Un finanziamento statale è, infatti, riconducibile a quest’ultima previsione soltanto al concorrere congiunto di specifiche condizioni: deve trattarsi, innanzitutto, di «risorse aggiuntive» rispetto a quelle previste per «finanziare integralmente» (ai sensi dell’art. 119, quarto comma, Cost.) le funzioni pubbliche attribuite agli enti territoriali; in secondo luogo, tali interventi devono essere rivolti a «promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale», oppure a «rimuovere gli squilibri economici e sociali», o a «favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona», o in ogni caso a «provvedere a scopi diversi dal normale esercizio» delle funzioni degli enti territoriali (art. 119, quinto comma, Cost.).

Infine, «è richiesto che le risorse in questione siano indirizzate “non già alla generalità degli enti territoriali, bensì a determinati enti territoriali o categorie di enti territoriali”» (da ultimo, sentenza n. 187 del 2021).

Nella specie, invece, il fondo non risponde, sotto un profilo sostanziale, a quest’ultimo criterio, perché ha carattere di universalità, riguardando l’intero territorio nazionale e non frazioni dello stesso dove si manifestino speciali esigenze perequative: ciò che esclude la possibilità di ascrivere l’intervento in esame all’art. 119, quinto comma, Cost.

Priva di pregio è infine l’evocazione, ribadita dalla difesa statale anche in chiusura sul complesso dei motivi di ricorso, della competenza legislativa esclusiva statale in materia di «profilassi internazionale» (art. 117, secondo comma, lettera q, Cost.), atteso che nel caso di specie, a differenza della fattispecie giudicata con la sentenza n. 37 del 2021 di questa Corte, non vengono direttamente in rilievo misure atte a contrastare, ovvero a prevenire, la diffusione del contagio nell’emergenza pandemica; non ricorrono quindi le condizioni per ascrivere l’intervento statale al suddetto ambito di competenza, che altrimenti assumerebbe un carattere impropriamente “onnivoro” delle attribuzioni regionali.

3.4.– In difetto della riconducibilità a una materia di competenza esclusiva statale o al quinto comma dell’art. 119 Cost., il solo titolo che permette l’istituzione di un fondo statale con vincolo di destinazione si rinviene, come già detto, nella «“chiamata in sussidiarietà” da parte dello Stato, ai sensi dell’art. 118, primo comma, Cost.» (sentenza n. 168 del 2008); il che si verifica quando, con legge, le funzioni amministrative sono attribuite, previa intesa, a livello centrale per esigenze di carattere unitario.

Tale esigenza era plausibilmente riscontrabile nell’ipotesi qui in esame, ma la disposizione impugnata avrebbe, allora, dovuto «preved[ere] contestualmente il coinvolgimento degli enti territoriali nell’adozione dell’atto che regola l’utilizzo del fondo» (sentenza n. 74 del 2018).

Mediante lo strumento dell’intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano (cosiddetta Conferenza Stato-Regioni) si sarebbero infatti contemperate le ragioni dell’esercizio unitario con la garanzia dell’autonomia di spesa costituzionalmente riconosciuta alle Regioni; la mancata previsione di tale concertazione determina invece la violazione del principio di leale collaborazione di cui all’evocato art. 120 Cost.

In conclusione, va dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 2, del d.l. n. 137 del 2020, come convertito, nella parte in cui non prevede che il provvedimento del Capo del Dipartimento per lo sport della Presidenza del Consiglio dei ministri sia adottato d’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano.

4.– È poi impugnato il comma 16 dell’art. 6-bis del d.l. n. 137 del 2020, come convertito, secondo cui «[c]on decreto del Ministero dell’università e della ricerca sono stabilite le modalità di attuazione del comma 15», in base al quale «[a]l fine di sostenere, nel limite dello stanziamento di cui al presente comma, le strutture destinate all’ospitalità degli studenti universitari fuori sede, ai collegi universitari di merito accreditati di cui al decreto legislativo 29 marzo 2012, n. 68, è riconosciuto un contributo di 3 milioni di euro per l’anno 2021».

Nella specie, la violazione sarebbe integrata dal fatto che la misura prevista dalla norma statale interverrebbe nella materia del diritto allo studio universitario, appartenente all’ambito di competenza legislativa regionale residuale o comunque a quella concorrente dell’istruzione.

Come per il motivo di ricorso dianzi esaminato, la Regione Campania non si duole della norma che dispone il contributo, ma soltanto di quella che ne disciplina l’attuazione, nella parte in cui non prevede una forma di coinvolgimento del sistema delle autonomie regionali, in contrasto con gli artt. 117, terzo e quarto comma, 118, 119 e 120 Cost.

4.1.– Preliminarmente, non sono fondate le eccezioni di inammissibilità argomentate dall’Avvocatura con mero richiamo dei profili, evidenziati anche per la precedente disposizione impugnata, «relativi alla genericità delle doglianze e al difetto di ridondanza».

Le eccezioni risultano del tutto oscure, trattandosi di rilievi privi di un concreto aggancio allo specifico motivo di ricorso, che è invece ampiamente strutturato e motivato.

4.2.– Nel merito, le questioni non sono fondate.

È pur vero che l’impugnato comma 16 dell’art. 6-bis del citato d.l. n. 137 del 2020, come convertito, attiene, di per sé, all’ambito materiale del «diritto allo studio», di competenza legislativa residuale (sentenza n. 87 del 2018).

Tali previsioni riguardano, tuttavia, una particolare categoria di collegi universitari inserita all’interno del sistema integrato di strumenti e servizi di cui al decreto legislativo 29 marzo 2012, n. 68, recante «Revisione della normativa di principio in materia di diritto allo studio e valorizzazione dei collegi universitari legalmente riconosciuti, in attuazione della delega prevista dall’articolo 5, comma 1, lettere a), secondo periodo, e d), della legge 30 dicembre 2010, n. 240, e secondo i principi e i criteri direttivi stabiliti al comma 3, lettera f), e al comma 6», e disciplinata direttamente dallo Stato.

La qualifica di collegio universitario di merito accreditato può infatti essere ottenuta solo da istituzioni altamente qualificate, gestite da soggetti che non perseguono fini di lucro, e all’esito di un complesso percorso che dimostri, fra l’altro: «a) l’esclusiva finalità di gestione di collegi universitari; b) il prestigio acquisito dal collegio in ambito culturale; c) la qualificazione posseduta dal collegio in ambito formativo; d) la rilevanza internazionale dell’istituzione, non solo in termini di ospitalità ma anche nelle attività che favoriscono la mobilità internazionale degli studenti iscritti» (art. 17, comma 3).

Il procedimento di accreditamento è poi declinato da un decreto ministeriale e tali collegi sono inoltre destinatari di finanziamenti statali, anch’essi stabiliti con decreto ministeriale (art. 17, comma 6).

4.2.1.– In questi termini con il d.lgs. n. 68 del 2012 lo Stato ha realizzato, al fine di garantirne un esercizio unitario, una attrazione in sussidiarietà delle funzioni relative non solo al riconoscimento e all’accreditamento, ma anche al finanziamento dei collegi universitari accreditati. Ciò che è legittimamente avvenuto poiché, anche su questi peculiari contenuti del d.lgs. n. 68 del 2012, è a suo tempo (in data 15 marzo 2012) intervenuta l’intesa in sede di Conferenza Stato-Regioni.

Pertanto, poiché lo specifico contributo speciale riconosciuto per l’esercizio 2021 dall’art. 6-bis, comma 15, del citato d.l. n. 137 del 2020, come convertito, ben può essere qualificato come una mera attuazione di quanto già di competenza statale ai sensi del d.lgs. n. 68 del 2012, nella specie non risulta leso il principio di leale collaborazione.

Al riguardo è significativo che con il decreto del Ministro dell’università e della ricerca 24 maggio 2021, n. 621 è stato ripartito tra i collegi universitari di merito accreditati sia lo stanziamento ordinario nel bilancio dello Stato per il 2021, sia – secondo i medesimi criteri – il contributo speciale di 3 milioni di euro di cui al suddetto art. 6-bis, comma 15.

5.– Il successivo motivo di ricorso ha ad oggetto il comma 4 dell’art. 19-septies del d.l. n. 137 del 2020, come convertito.

Tale articolo, al comma 1, al fine di «favorire l’accesso a prestazioni di telemedicina da parte dei cittadini dei piccoli centri urbani» (ossia «comuni o centri abitati con meno di 3.000 abitanti»), riconosce alle farmacie che vi operano «un contributo sotto forma di credito d’imposta nella misura del 50 per cento, fino a un importo massimo di 3.000 euro per ciascun soggetto beneficiario […] delle spese per l’acquisto e il noleggio, nell’anno 2021, di apparecchiature necessarie per l’effettuazione di prestazioni di telemedicina di cui all’articolo 3 del decreto del Ministro della salute 16 dicembre 2010 […]».

Il comma 2 prevede, tra l’altro, che le suddette prestazioni di telemedicina «possono essere erogate presso le farmacie», previo «accordo con l’azienda sanitaria di riferimento che definisce il tetto massimo di prestazioni annuali» e, al comma successivo, specifica la disciplina tributaria del suddetto credito d’imposta.

Il comma 4 dispone poi che «[c]on decreto del Ministro della salute, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sono stabiliti i criteri e le modalità di attuazione delle disposizioni di cui al presente articolo, con particolare riguardo agli investimenti che danno accesso al beneficio, alle procedure di concessione e di utilizzo del contributo, alla documentazione richiesta, alle condizioni di revoca e all’effettuazione dei controlli».

Secondo la Regione ricorrente, quest’ultima norma violerebbe gli artt. 117, terzo comma, 118, 119 e 120 Cost., in quanto la misura di promozione dell’utilizzo della telemedicina presso le farmacie dei piccoli centri inciderebbe sulla competenza concorrente delle Regioni in materia di «tutela della salute», senza che possa ritenersi prevalente quella di competenza esclusiva statale nella materia del «sistema tributario». Da qui, la necessità di garantire, in ossequio al principio di leale collaborazione, la partecipazione delle Regioni nella determinazione dei criteri e delle modalità di attuazione delle disposizioni, invece stabiliti unilateralmente con decreto ministeriale.

5.1.– La questione non è fondata.

Sebbene la disciplina in esame sia caratterizzata da un indubbio intreccio fra diversi ambiti materiali, non si versa nell’ipotesi in cui la concorrenza di competenze determina «un nodo inestricabile» (sentenza n. 21 del 2016): il nucleo essenziale della normativa considerata, infatti, è chiaramente riconducibile in via prevalente alla competenza statale in materia di sistema tributario.

Infatti, il comma 1 del richiamato art. 19-septies riconosce il contributo «sotto forma di credito d’imposta» e il successivo comma 3 ne disciplina coerentemente l’utilizzo. In particolare è previsto che esso sia fruibile esclusivamente in compensazione, ai sensi dell’art. 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241 (Norme di semplificazione degli adempimenti dei contribuenti in sede di dichiarazione dei redditi e dell’imposta sul valore aggiunto, nonché di modernizzazione del sistema di gestione delle dichiarazioni), aggiungendo poi che lo stesso non concorre alla formazione del reddito ai fini delle imposte sui redditi e del valore della produzione ai fini dell’imposta regionale sulle attività produttive.

Allo scopo di favorire l’acquisizione di alcuni dispositivi (come quelli rivolti a consentire l’effettuazione di elettrocardiogrammi con modalità di telecardiologia), idonei a rendere accessibile la telemedicina per prestazioni di prima istanza in territori spesso sprovvisti di presidi medici più attrezzati, il legislatore statale ha quindi fatto ricorso, con riguardo alle farmacie dei piccoli centri urbani, a una agevolazione tributaria, propriamente tale e dettata da motivi extrafiscali (sentenza n. 120 del 2020), e non alla distribuzione, in forma di incentivo, di trasferimenti monetari.

In questi termini, appoggiandosi alla specifica legislazione statale di riferimento, ha utilizzato uno strumento funzionale ad agevolare l’acquisto e il noleggio delle suddette apparecchiature attraverso risorse proprie – che rimangono fin dall’inizio nella disponibilità del contribuente grazie alla riduzione del debito fiscale o contributivo (tale è l’effetto del meccanismo statale di compensazione del credito di imposta) –, piuttosto che con quelle trasferite.

Ma così muovendosi il legislatore ha fatto ruotare la struttura dell’intervento sul piano afferente alla competenza esclusiva statale sul sistema tributario e non a quello più normalmente utilizzato dalle Regioni quando intendono riconoscere incentivi economici nelle materie di loro competenza, cioè quello della «erogazione di contributi finanziari a soggetti privati» (sentenza n. 423 del 2004); la possibilità di agire sul piano fiscale è infatti ad esse riconosciuta, con riguardo ai tributi regionali propri derivati, solo nei limiti consentiti dall’ordinamento statale.

5.2.– Per quanto la norma in esame si inserisca nell’ambito del più generale e attuale tema dei servizi di telemedicina erogabili, anche tramite le farmacie, da parte del Servizio sanitario nazionale, nella fattispecie in esame è quindi ravvisabile la prevalenza dell’ambito materiale della competenza legislativa esclusiva statale relativa al sistema tributario, l’unica che in questo caso ha consentito di riconoscere un’ampia possibilità di compensazione (che include persino i contributi previdenziali) di entrate già spettanti a soggetti impositori pubblici e di regolarne i relativi criteri.

Ciò del resto risulta confermato anche dal contenuto del decreto, adottato il 30 ottobre 2021, emanato in base all’impugnato comma 4 dell’art. 19-septies, che è incentrato pressoché unicamente sulla natura tributaria del contributo.

D’altro canto, al fine di ottenere il credito di imposta non è condizione necessaria il previo accordo con l’azienda sanitaria di riferimento, che invece rileva al fine dell’erogazione delle prestazioni di telemedicina, poiché l’azienda sanitaria «definisce il tetto massimo di prestazioni annuali», che sono fornite «nei limiti dello stesso, sulla base di prescrizione del medico di medicina generale o del pediatra di libera scelta, applicando le tariffe stabilite dal nomenclatore tariffario regionale ovvero l’eventuale regime di esenzione previsto, nei limiti delle risorse disponibili a legislazione vigente per il finanziamento del Servizio sanitario regionale» (come dispone il comma 2 del richiamato art. 19-septies).

Si tratta quindi di una modalità di coinvolgimento delle Regioni non invasiva e sostanzialmente analoga a quella già concordata in data 17 ottobre 2019 in Conferenza Stato-Regioni ai fini della sperimentazione dei servizi di telemedicina erogabili dalle farmacie, ai sensi dell’art. 1, commi 403 e 406, della legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020).

5.3.– Da tutto ciò consegue che non è costituzionalmente necessario il coinvolgimento delle Regioni nella determinazione delle modalità di attuazione del contributo in esame e che non risulta pertanto violato il principio di leale collaborazione.

6.– L’ultimo motivo d’impugnazione ha ad oggetto il comma 2 dell’art. 19-octies del citato d.l. n. 137 del 2020, come convertito.

Il comma 1 del suddetto articolo prevede che, «[p]er consentire il miglioramento dell’efficacia degli interventi di cura e delle relative procedure, anche alla luce degli sviluppi e dei progressi della ricerca scientifica applicata con specifico riguardo alla prevenzione e alla terapia delle alterazioni molecolari che originano i tumori, per l’anno 2021 è autorizzata la spesa di 5 milioni di euro da destinare per il potenziamento dei test di Next-Generation Sequencing di profilazione genomica dei tumori dei quali sono riconosciute evidenza e appropriatezza, nel limite di spesa autorizzato ai sensi del presente articolo».

La disposizione impugnata stabilisce poi: «[c]on decreto del Ministero della salute, da adottare, di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sono stabilite le modalità di attuazione del presente articolo anche con riguardo alla destinazione e distribuzione delle risorse allocate ai sensi del presente articolo. […]».

Le doglianze anche in questo caso sono unicamente rivolte a ottenere una sentenza additiva che imponga l’intesa, in quanto si appuntano solo sul meccanismo di riparto, ritenuto in contrasto con gli artt. 117, terzo comma, 118, 119 e 120 Cost. perché non avrebbe garantito, in violazione del principio di leale collaborazione, la necessaria partecipazione delle Regioni nell’individuazione delle modalità con le quali dare attuazione all’autorizzazione di spesa.

6.1.– La questione è fondata.

Le previsioni dell’art. 19-octies del d.l. n. 137 del 2020, come convertito, afferiscono, infatti, alla materia di competenza legislativa concorrente «tutela della salute». Come dichiara il comma 1 della citata disposizione, l’obiettivo dell’intervento statale è di «consentire il miglioramento dell’efficacia degli interventi di cura e delle relative procedure», mediante il potenziamento di strumenti operativi, i test di Next-Generation Sequencing.

6.2.– Va precisato che questi ultimi sono già impiegati, specialmente in ambito oncologico, nell’organizzazione del Servizio sanitario nazionale e non è condivisibile la tesi della difesa statale, volta a negare la necessità del coinvolgimento regionale sull’assunto della piena riconducibilità della suddetta autorizzazione di spesa alla competenza esclusiva statale, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., in materia dei livelli essenziali di assistenza (LEA).

Per un verso, infatti, la disposizione censurata non pare rivolta propriamente a definire un nuovo livello essenziale, quanto piuttosto a rafforzare una modalità diagnostica (che però non è l’unica) di realizzazione di quei test genetici mediante sequenziamento molecolare garantiti, ma in via generale, come LEA erogabili in relazione a determinate patologie.

Per altro verso, e dirimente, la prospettazione dell’Avvocatura non considera che la determinazione dei LEA rientra sì nell’ambito della competenza esclusiva statale, ma «la sua proiezione in termini di fabbisogno regionale coinvolge necessariamente le Regioni, per cui la fisiologica dialettica tra questi soggetti deve essere improntata alla leale collaborazione che, nel caso di specie, si colora della doverosa cooperazione per assicurare il migliore servizio alla collettività» (sentenza n. 169 del 2017).

In altre parole, il riparto delle disponibilità finanziarie necessarie per assicurare la garanzia dei LEA non può prescindere dal coinvolgimento delle Regioni, alle quali compete la programmazione e l’organizzazione dei servizi sanitari sul territorio, fino alla concreta erogazione delle prestazioni: è solo attraverso una leale collaborazione orientata al bene comune che il modello pluralistico riconosciuto dalla Costituzione può dunque svilupparsi, «in una prospettiva generativa» (sentenza n. 168 del 2021), verso la migliore tutela del diritto alla salute.

6.3.– La spesa autorizzata dal comma 1 dell’art. 19-octies è quindi inquadrabile come un incremento delle risorse destinate al finanziamento del Servizio sanitario nazionale; ne consegue che la norma impugnata, rimettendone esclusivamente al decreto ministeriale le modalità di attuazione, ha violato il principio di leale collaborazione di cui all’art. 120 Cost., nonché gli altri parametri evocati dalla ricorrente, che tutelano le competenze regionali nella materia in esame.

Per le considerazioni svolte, va dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 19-octies, comma 2, del d.l. n. 137 del 2020, come convertito, nella parte in cui non prevede che il decreto del Ministero della salute, di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze, sia adottato d’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 2, del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137 (Ulteriori misure urgenti in materia di tutela della salute, sostegno ai lavoratori e alle imprese, giustizia e sicurezza, connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito, con modificazioni, in legge 18 dicembre 2020, n. 176, nella parte in cui non prevede che il provvedimento del Capo del Dipartimento per lo sport della Presidenza del Consiglio dei ministri sia adottato d’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano;

2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 19-octies, comma 2, del d.l. n. 137 del 2020, come convertito, nella parte in cui non prevede che il decreto del Ministero della salute, di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze, sia adottato d’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano;

3) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 2, del d.l. n. 137 del 2020, come convertito, promossa, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dalla Regione Campania con il ricorso indicato in epigrafe;

4) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 6-bis, comma 16, del d.l. n. 137 del 2020, come convertito, promosse, in riferimento agli artt. 117, terzo e quarto comma, 118, 119, nonché al principio di leale collaborazione di cui all’art. 120 Cost., dalla Regione Campania con il ricorso indicato in epigrafe;

5) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 19-septies, comma 4, del d.l. n. 137 del 2020, come convertito, promossa, in riferimento agli artt. 117, terzo comma, 118, 119, nonché al principio di leale collaborazione di cui all’art. 120 Cost., dalla Regione Campania con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l’11 gennaio 2022.

F.to:

Giuliano AMATO, Presidente

Luca ANTONINI, Redattore

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria