Sentenza n. 259 del 2021

SENTENZA N. 259

ANNO 2021

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Giancarlo CORAGGIO;

Giudici : Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 625, secondo comma, del codice penale, promosso dal Tribunale ordinario di Firenze, nel procedimento penale a carico di M. C., con ordinanza dell’11 gennaio 2021, iscritta al n. 83 del registro ordinanze 2021 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 24, prima serie speciale, dell’anno 2021.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 1° dicembre 2021 il Giudice relatore Stefano Petitti;

deliberato nella camera di consiglio del 2 dicembre 2021.

Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza dell’11 gennaio 2021 (reg. ord. n. 83 del 2021), il Tribunale ordinario di Firenze ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 625, secondo comma, del codice penale, nella parte in cui stabilisce per il furto la pena della reclusione da tre a dieci anni e della multa da 206 euro a 1.549 euro, limitatamente alle parole «ovvero se una di tali circostanze concorre con altra fra quelle indicate nell’articolo 61» cod. pen., o, in subordine, nella parte in cui prevede che la pena della reclusione minima sia pari a tre anni anziché a due anni ed un giorno, per contrasto con gli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione.

1.1.– Il giudice a quo ha premesso che all’imputato era stato contestato il reato di furto pluriaggravato ai sensi dell’art. 625, primo comma, numeri 4) e 8-bis), cod. pen., e che si era proceduto nei suoi confronti con giudizio direttissimo e, a seguito di richiesta dell’imputato stesso, con giudizio abbreviato. Il pubblico ministero aveva concluso chiedendo la condanna dell’imputato a due anni di reclusione ed euro 200 di multa.

L’ordinanza di rimessione riferisce che l’imputato, stando agli atti di indagine svolti dalla polizia giudiziaria, era stato arrestato in prossimità di una fermata della tramvia, giacché identificato, a seguito di perquisizione personale, come autore del furto di un portafoglio ai danni di un anziano passeggero del tram, il quale aveva dichiarato di essere stato derubato dello stesso oggetto che teneva riposto nella tasca della giacca.

Il Tribunale di Firenze ravvisa la configurabilità dell’aggravante del fatto commesso con destrezza ex art. 625, primo comma, numero 4), cod. pen., per la rapidità del gesto e l’abilità della condotta, nonché dell’aggravante ex art. 61, numero 5), cod. pen., in ragione della minorata difesa della vittima del reato, persona anziana, che al momento della sottrazione era intento a scendere dal tram e dunque si trovava in condizioni di maggiore vulnerabilità. Nei confronti dell’imputato il giudice a quo specifica che ricorre altresì la contestata recidiva reiterata specifica infraquinquennale. Il rimettente esclude invece che siano ravvisabili tanto la circostanza aggravante dell’art. 625, primo comma, numero 8-bis), cod. pen., non essendo stato il fatto commesso all’interno del mezzo di trasporto pubblico, quanto la circostanza attenuante ex art. 62, numero 4), cod. pen., riferita al danno patrimoniale di speciale tenuità, come anche le circostanze attenuanti generiche, ex art. 62-bis cod. pen.

1.2.– Dovendo applicare la circostanza aggravante speciale di cui all’art. 625, primo comma, numero 4), cod. pen. e l’aggravante comune ex art. 61, numero 5), cod. pen., oltre alla recidiva qualificata, senza che operi alcuna circostanza attenuante, il Tribunale di Firenze ritiene sussistente la rilevanza delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 625, secondo comma, cod. pen. Riportati nell’ordinanza i diversi trattamenti sanzionatori disposti dall’art. 624 cod. pen. per il furto semplice (reclusione da sei mesi a tre anni e multa da 154 euro a 516 euro), nonché dal primo comma dell’art. 625 cod. pen. per l’ipotesi che ricorra una soltanto delle circostanze aggravanti ivi elencate (reclusione da due a sei anni e multa da 927 euro a 1.500 euro), e poi dal secondo comma del medesimo art. 625 per il caso in cui concorrano due o più delle circostanze prevedute dai numeri precedenti, ovvero se una di tali circostanze concorra con altra fra quelle indicate nell’art. 61 cod. pen. (reclusione da tre a dieci anni e multa da 206 euro a 1.549 euro), il rimettente osserva che la norma censurata dispone, in deroga al regime ordinario del concorso tra circostanze omogenee di cui all’art. 63 cod. pen., una disciplina decisamente più severa. L’art. 63, terzo comma, cod. pen., prescrive, infatti, che, quando la legge stabilisce una circostanza ad effetto speciale (tale, cioè, da importare un aumento o una diminuzione della pena superiore ad un terzo), l’aumento o la diminuzione per le altre circostanze non operano sulla pena ordinaria del reato, ma sulla pena stabilita per la circostanza anzidetta. Di conseguenza, ove non esistesse l’apposita previsione dell’art. 625, secondo comma, cod. pen., alla pena stabilita per il furto aggravato da una circostanza speciale (reclusione da due a sei anni, oltre la multa) andrebbe applicato, ricorrendo altresì una circostanza aggravante comune, l’aumento fino ad un terzo, che però condurrebbe alla reclusione da due anni ed un giorno ad otto anni, limiti ben inferiori a quelli da tre a dieci anni sanciti dalla disposizione censurata.

Nel caso in esame, il Tribunale di Firenze evidenzia che il fatto attribuito all’imputato risulta di gravità contenuta, essendo modesta la somma di denaro sottratta alla vittima, peraltro dalla stessa recuperata. A tale condotta si rivelerebbe perciò proporzionata, secondo il rimettente, la auspicata cornice edittale conseguente alla declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 625, secondo comma, cod. pen.

La deroga apportata dalla norma censurata rispetto al regime ordinario del concorso tra circostanza ad effetto speciale e circostanza comune, delineato dall’art. 63, terzo comma, cod. pen., comporta, secondo il Tribunale di Firenze, che, in forza di essa, «le circostanze aggravanti comuni di cui all’art. 61 c.p. diventano ad effetto speciale».

1.3.– Ad avviso del Tribunale, la norma censurata sarebbe lesiva dei precetti di cui agli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost., sia per ciò che attiene alla proporzionalità intrinseca del trattamento sanzionatorio, sia sotto il più generale profilo del principio di uguaglianza.

Innanzitutto, una pena compresa tra un minimo di tre anni ed un massimo di dieci anni di reclusione (oltre la multa) è intesa dal giudice a quo come eccessiva per un reato che offende soltanto il patrimonio, né può rivelarsi decisiva l’ampia cornice edittale, a fronte di una pena minima così elevata.

La sanzione stabilita dall’art. 625, secondo comma, cod. pen. si rivelerebbe ancora più eccessiva, a dire del rimettente, se rapportata alla cornice edittale decisamente più mite prevista per la fattispecie base (reclusione da sei mesi a tre anni), soprattutto ove si consideri che gli elementi che integrano le circostanze aggravanti speciali non consistono in fattori eccezionali tali da giustificare il livello completamente diverso della sanzione, ricollegandosi, piuttosto, a modalità o mezzi della condotta, condizioni soggettive dell’autore del fatto o della persona offesa, caratteristiche dell’oggetto o del contesto, statisticamente più frequenti della stessa ipotesi di furto non aggravato.

Per il giudice a quo, la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 625, secondo comma, cod. pen., limitatamente all’ipotesi del concorso tra circostanza ad effetto speciale e circostanza comune, ripristinerebbe la proporzionalità del regime sanzionatorio, riconoscendo all’aggravante ex art. 61 cod. pen. l’effetto comune anche quando concorra con una circostanza ex art. 625, primo comma, cod. pen., sicché la pena applicabile sarebbe quella della reclusione da due anni ed un giorno nel minimo ad otto anni nel massimo.

1.4.– In subordine, il Tribunale di Firenze invoca una declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 625, secondo comma, cod. pen. limitatamente alla previsione della pena della reclusione nel minimo pari a tre anni, anziché a due anni ed un giorno, evitando che il minimo stabilito per il furto monoaggravato (due anni) venga aumentato della metà per effetto del concorso altresì di una circostanza comune.

1.5.– Ulteriore aspetto della disparità di trattamento sanzionatorio, in violazione dell’art. 3 Cost., riferibile alla norma censurata, risiederebbe, ad avviso del rimettente, nella generalizzata efficacia speciale accordata a tutte le circostanze aggravanti ex art. 61 cod. pen. eventualmente concorrenti, e non solo a talune, come avviene, ad esempio, negli artt. 576 e 585 cod. pen., o nell’art. 640, secondo comma, numero 2-bis), cod. pen. La scelta, viceversa, operata per il furto (come anche dall’art. 624-bis cod. pen. per il furto in abitazione e per il furto con strappo) è quella di riconnettere efficacia speciale a tutte le circostanze ex art. 61 cod. pen. che concorrano con una circostanza ad effetto speciale, ciò sulla base di valutazione che il giudice a quo reputa del tutto slegata da una analisi specifica del fatto di reato, prevedendosi indiscriminatamente un aumento eccezionale del trattamento sanzionatorio per una lista del tutto eterogenea di fattispecie circostanziali.

In particolare, osserva il rimettente, le circostanze di cui all’art. 61 cod. pen. esplicano per il reato di furto un’efficacia speciale solo ove concorrano con una circostanza ex art. 625, primo comma, cod. pen., ciò denotando un altro profilo di arbitrarietà della scelta normativa: invero, ove il furto fosse aggravato da due circostanze ex art. 61 cod. pen., la pena, determinabile secondo i criteri ordinari, oscillerebbe da un minimo di sei mesi e due giorni di reclusione ad un massimo di cinque anni e quattro mesi.

Il concorso delle circostanze comuni elencate dall’art. 61 cod. pen. e di quelle ad effetto speciale dettate dall’art. 625, primo comma, cod. pen. darebbe luogo, poi, a più di centocinquanta possibili combinazioni, non oggetto di ponderata valutazione da parte del legislatore, il quale ha adottato una scelta di particolare rigore sanzionatorio, con un meccanismo di crescita esponenziale della pena, «a prescindere» dal principio di proporzionalità ed in deroga al regime ordinario indicato dall’art. 63, terzo comma, cod. pen. L’aumento di pena stabilito per l’eventualità del concorso tra aggravante ad effetto speciale ed aggravante comune sarebbe frutto, piuttosto, secondo il Tribunale di Firenze, di una opzione irragionevole, riconoscendosi arbitrariamente a quest’ultima una maggiore offensività rispetto alla somma del disvalore delle due circostanze, con un automatismo sanzionatorio incompatibile con gli artt. 3 e 27 Cost.

1.6.– Il giudice a quo segnala altresì l’irragionevolezza dell’applicazione di un regime sanzionatorio derogatorio per il concorso delle circostanze speciali ex art. 625, primo comma, cod. pen. con le sole aggravanti elencate dall’art. 61 cod. pen., e non anche con altre circostanze comuni, come, ad esempio, la recidiva e quelle previste dagli artt. 92, 94 e 112 cod. pen.

2.– Ha depositato atto di intervento il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili, o comunque non fondate.

2.1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri deduce pregiudizialmente l’inammissibilità delle questioni per difetto di rilevanza rispetto alla definizione del giudizio principale, in quanto l’ordinanza di rimessione muoverebbe da un presupposto interpretativo – quello secondo cui nella specie non sarebbe configurabile la circostanza di cui all’art. 625, primo comma, numero 8-bis), cod. pen. – erroneo, in quanto, secondo la giurisprudenza della Corte di cassazione, la detta circostanza può sussistere anche quando la persona offesa sia in procinto di salire o di scendere da un mezzo di pubblico trasporto.

Il Tribunale rimettente, quindi, avrebbe dovuto ravvisare un concorso fra due delle circostanze prevedute dall’art. 625, primo comma, cod. pen., trovando così applicazione la prima ipotesi e non la seconda ipotesi di tale disposizione.

2.2.– L’atto di intervento evidenzia, comunque, l’insostenibilità dell’assunto dell’irragionevolezza della norma denunciata, non sussistendo la sproporzione del trattamento sanzionatorio su cui si fonda la prospettazione delle questioni di legittimità costituzionale. Innanzitutto, a differenza di quanto prescrivono l’art. 624-bis, quarto comma, cod. pen. e l’art. 628, quinto comma, cod. pen., l’art. 625, secondo comma, cod. pen. non esclude il concorso con le circostanze attenuanti, che possono essere ritenute altresì equivalenti o prevalenti, e ciò attenua la denunciata eccessiva rigidità della forbice edittale. Si tratta, in ogni caso, di scelta rientrante nella discrezionalità del legislatore in materia di politica sanzionatoria, sottratta al sindacato di legittimità costituzionale giacché non irragionevole o arbitraria, e anzi coerente con il complessivo sistema di contrasto delle offese al patrimonio.

Il Presidente del Consiglio dei ministri nega anche che emerga la irragionevolezza della disposizione censurata quanto alla equiparazione del peso delle circostanze ad effetto comune e di quelle speciali nelle varie combinazioni del concorso sanzionato.

2.3.– In data 4 novembre 2021, l’interveniente ha depositato memoria, ribadendo l’eccezione di inammissibilità per difetto di rilevanza delle questioni, contestando in ogni caso l’assunto di sproporzionalità del trattamento sanzionatorio su cui si fonda la relativa prospettazione e deducendo che il Tribunale di Firenze invoca una declaratoria di illegittimità costituzionale a contenuto manipolativo.

Considerato in diritto

1.– Il Tribunale ordinario di Firenze, con ordinanza dell’11 gennaio 2021 (reg. ord. n. 83 del 2021), ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 625, secondo comma, del codice penale, nella parte in cui stabilisce per il reato di furto la pena della reclusione da tre a dieci anni e della multa da 206 euro a 1.549 euro, limitatamente alle parole «ovvero se una di tali circostanze concorre con altra fra quelle indicate nell’articolo 61» cod. pen., o, in subordine, nella parte in cui prevede che la pena della reclusione minima sia pari a tre anni anziché a due anni ed un giorno, per contrasto con gli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione.

1.1.– Il giudice a quo premette che all’imputato era stato contestato il reato di furto pluriaggravato ai sensi dell’art. 625, primo comma, numeri 4) e 8-bis), cod. pen. e che, in sede di giudizio abbreviato, il pubblico ministero aveva concluso chiedendone la condanna a due anni di reclusione ed euro 200 di multa. L’imputato era stato arrestato in prossimità di una fermata della tramvia, giacché identificato, a seguito di perquisizione personale, come autore del furto di un portafoglio ai danni di un anziano passeggero del tram, il quale aveva dichiarato di essere stato derubato dello stesso oggetto che teneva riposto nella tasca della giacca.

Il Tribunale di Firenze ravvisa la configurabilità dell’aggravante del fatto commesso con destrezza ex art. 625, primo comma, numero 4), cod. pen., nonché dell’aggravante ex art. 61, numero 5), cod. pen., mentre esclude che siano configurabili tanto la circostanza aggravante dell’art. 625, primo comma, numero 8-bis), cod. pen., non essendo stato il fatto commesso all’interno del mezzo di trasporto pubblico, quanto la circostanza attenuante ex art. 62, numero 4), cod. pen., riferita al danno patrimoniale di speciale tenuità, come anche le circostanze attenuanti generiche.

1.2.– Dovendo perciò applicare nei confronti dell’imputato la circostanza aggravante speciale di cui all’art. 625, primo comma, numero 4), cod. pen. e l’aggravante comune ex art. 61, numero 5), cod. pen., oltre alla recidiva qualificata, senza che operi alcuna circostanza attenuante, il giudice a quo evidenzia la rilevanza delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 625, secondo comma, cod. pen., il quale, appunto, stabilisce la pena della reclusione da tre a dieci anni e della multa da 206 euro a 1.549 euro, sia nel caso in cui concorrano due o più delle circostanze prevedute dal primo comma, sia nel caso in cui una di tali circostanze concorra con altra fra quelle indicate nell’art. 61 cod. pen. La pena comminata in tali ipotesi, infatti, sarebbe assai più severa di quella che deriverebbe dall’applicazione del regime ordinario del concorso tra circostanze omogenee di cui all’art. 63, terzo comma, cod. pen., in base al quale, quando la legge stabilisce una circostanza ad effetto speciale (tale, cioè, da importare un aumento o una diminuzione della pena superiore ad un terzo), l’aumento o la diminuzione per le altre circostanze non operano sulla pena ordinaria del reato, ma sulla pena stabilita per la circostanza anzidetta.

Ove non esistesse l’apposita previsione dell’art. 625, secondo comma, cod. pen., osserva il rimettente, alla pena stabilita per il furto aggravato da una circostanza speciale (reclusione da due a sei anni, oltre la multa) andrebbe applicato, concorrendo altresì una circostanza aggravante comune, l’aumento fino ad un terzo, che condurrebbe alla reclusione da due anni ed un giorno ad otto anni, limiti ben inferiori a quelli da tre a dieci anni sanciti dalla disposizione censurata.

La deroga apportata dalla norma censurata rispetto al regime ordinario del concorso tra circostanza ad effetto speciale e circostanza comune, delineato dall’art. 63, terzo comma, cod. pen., comporta, secondo il Tribunale di Firenze, che, in forza di essa, tutte «le circostanze aggravanti comuni di cui all’art. 61 c.p. diventano ad effetto speciale», e non solo talune, come avviene, ad esempio, negli artt. 576 e 585 cod. pen., o nell’art. 640, secondo comma, numero 2-bis), cod. pen.

1.3.– Ad avviso del rimettente, la norma censurata sarebbe lesiva dei precetti di cui agli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost.

Innanzitutto, una pena compresa tra un minimo di tre anni ed un massimo di dieci anni di reclusione (oltre la multa) è intesa dal giudice a quo come eccessiva per un reato che offende soltanto il patrimonio, né potrebbe rivelarsi decisiva l’ampia cornice edittale, a fronte di una pena minima così elevata.

La sanzione dell’art. 625, secondo comma, cod. pen. si rivelerebbe ancor più eccessiva, a dire del rimettente, se rapportata alla cornice edittale decisamente più mite prevista per la fattispecie base (reclusione da sei mesi a tre anni).

Per il giudice a quo, la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 625, secondo comma, cod. pen., limitatamente all’ipotesi del concorso tra circostanza ad effetto speciale e circostanza comune, ripristinerebbe la proporzionalità del regime sanzionatorio, riconoscendo all’aggravante ex art. 61 cod. pen. l’effetto comune anche quando concorre con una delle circostanze di cui all’art. 625, primo comma, cod. pen.

Del resto, osserva il rimettente, il concorso delle circostanze comuni elencate dall’art. 61 cod. pen. e di quelle ad effetto speciale dettate dall’art. 625, primo comma, cod. pen. dà luogo a più di centocinquanta possibili combinazioni, non oggetto di ponderata valutazione da parte del legislatore, il quale ha adottato una scelta di particolare rigore sanzionatorio, con un meccanismo di crescita esponenziale della pena, «a prescindere» dal principio di proporzionalità e in deroga al regime ordinario indicato dall’art. 63, terzo comma, cod. pen.

L’aumento di pena stabilito per l’eventualità del concorso tra aggravante ad effetto speciale ed aggravante comune sarebbe frutto, piuttosto, secondo il Tribunale di Firenze, di una opzione irragionevole, riconoscendosi arbitrariamente a quest’ultima una maggiore offensività rispetto alla somma del disvalore delle due circostanze, con un automatismo sanzionatorio incompatibile con gli artt. 3 e 27 Cost.

1.4.– In subordine, il Tribunale di Firenze invoca una declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 625, secondo comma, cod. pen. limitatamente alla previsione della pena della reclusione pari a tre anni nel minimo, anziché a due anni ed un giorno, evitando che il minimo stabilito per il furto monoaggravato (due anni) venga aumentato della metà per effetto del concorso altresì di una circostanza comune.

2.– Intervenuto in giudizio tramite l’Avvocatura generale dello Stato, il Presidente del Consiglio dei ministri ha eccepito l’inammissibilità delle questioni per difetto di rilevanza rispetto alla definizione del giudizio principale, in quanto l’ordinanza di rimessione muoverebbe da un presupposto interpretativo erroneo, per avere escluso la configurabilità della circostanza di cui all’art. 625, primo comma, numero 8-bis), cod. pen.; si dovrebbe perciò ravvisare un concorso fra due delle circostanze prevedute dall’art. 625, primo comma, cod. pen., con conseguente applicazione della prima ipotesi dell’art. 625, secondo comma, cod. pen.

2.1.– Tale eccezione va disattesa.

Il rimettente ha escluso che fosse ravvisabile la circostanza aggravante dell’art. 625, primo comma, numero 8-bis), cod. pen., non risultando accertato che la commissione del furto fosse avvenuta all’interno del mezzo di trasporto pubblico, e non già sulla banchina della fermata, e dovendo, pertanto, escludersi l’applicabilità dell’aggravante nel caso concreto.

In tal senso, la descrizione della fattispecie oggetto del giudizio a quo da parte dell’ordinanza di rimessione consente comunque il controllo “esterno” sulla rilevanza della questione di legittimità costituzionale, risultando non implausibile la motivazione relativa al preliminare percorso logico compiuto e alle ragioni per le quali il giudice rimettente afferma di dover applicare la disposizione censurata nel giudizio principale (ex plurimis, sentenze n. 236, n. 207, n. 181, n. 59 e n. 32 del 2021, n. 267, n. 224 e n. 32 del 2020).

3.– Le questioni sollevate dal Tribunale di Firenze sono, tuttavia, inammissibili sotto un diverso profilo.

4.– Va premesso che i limiti edittali di pena previsti per il reato di furto sono stati più volte oggetto di questioni di legittimità costituzionale in riferimento agli artt. 3 e 27 Cost.

4.1.– Già nella sentenza n. 22 del 1971, questa Corte, investita di questione avente ad oggetto i massimi edittali degli artt. 624 e 625 cod. pen. in rapporto agli artt. 3 e 27 Cost., si diceva consapevole «che la severità delle pene previste dal codice vigente per il furto – specie con aggravanti speciali: articolo 625 – è vivacemente criticata in dottrina», ma replicava che «la questione esula da un qualsivoglia riscontro di costituzionalità, poiché attiene a scelte di politica legislativa, sottratte al sindacato di questa Corte», pur riconoscendo che tali scelte erano state operate in un altro clima storico e sociale e apparivano non più attuali rispetto alle conseguenze sanzionatorie delle violazioni di altri beni.

4.2.– Tale impostazione si trova ribadita nella sentenza n. 18 del 1973, a proposito dell’obbligo di applicare congiuntamente la pena detentiva e quella pecuniaria in base all’art. 624 cod. pen.: «rientra nel potere discrezionale del legislatore la determinazione della entità della pena edittale (sia essa soltanto detentiva, soltanto pecuniaria o, congiuntamente, detentiva e pecuniaria); né il relativo apprezzamento di politica legislativa può formare oggetto di censura da parte di questa Corte, “all’infuori dell’eventualità (...) che la sperequazione assuma dimensioni tali da non riuscire sorretta da ogni, benché minima, giustificazione” (così la motivazione della sentenza n. 109 del 1968)».

4.3.– La questione è stata poi riesaminata nella sentenza n. 268 del 1986, concernente l’attribuzione al pretore della competenza per il reato di furto aggravato consumato e tentato. Secondo tale pronuncia, «[c]he il delitto di furto aggravato, specie se qualificato dal concorso di due aggravanti, fosse considerato dal codice Rocco di rilevante gravità, non può essere messo in dubbio. Non solo, esso era – com’è – punito con la reclusione da tre a dieci anni, ma per di più, in forza del disposto originario di cui [all’ultima parte] dell’art. 69 cod. pen., nella commisurazione della pena il giudice era privato della possibilità di bilanciare le aggravanti con il concorso di eventuali attenuanti, in quanto per quelle circostanze la legge determina la misura della pena in modo indipendente da quella ordinaria del reato».

Si osservava tuttavia in quella sentenza: «[t]utto questo, però, come la dottrina ha da tempo messo in luce, corrispondeva all’ideologia dell’epoca che aveva posto l’“avere” al centro dell’ordinamento. […] Ma l’avvento della Costituzione della Repubblica ha radicalmente mutato la considerazione che l’ordinamento attribuisce rispettivamente ai valori dell’“essere” e dell’“avere”. La persona umana, infatti, è venuta incondizionatamente in primo piano in tutte le sue manifestazioni di libertà, mentre la tutela della proprietà privata è subordinata alla funzione sociale».

Non di meno, la sentenza evidenziava come il legislatore, in ritardo nell’affrontare una riforma integrale del codice penale che potesse adeguarsi alla diversa considerazione del Costituente, si fosse affidato prevalentemente al potere discrezionale del giudice, essenzialmente con la modificazione del quarto e del quinto comma dell’art. 69 cod. pen., nel senso di eliminare le limitazioni poste al giudizio di bilanciamento delle circostanze. Infatti, «con la nuova formulazione dell’art. 69 cod. pen., le aggravanti del furto possono essere neutralizzate anche dalle sole attenuanti generiche che, se del caso, il giudice può persino dichiarare prevalenti. La gravità di questo delitto è attualmente, perciò, soltanto nell’astratta comminazione della pena, ma non lo è più nella realtà dell’esperienza giuridica, come ben dimostra la casistica giudiziaria, ispirata ai nuovi principi costituzionali».

4.4.– Più di recente, le questioni sul trattamento sanzionatorio delle fattispecie incriminatrici del furto sono state affrontate da questa Corte non soltanto nell’ottica dei giudizi di valore che cadono sui beni tutelati dall’ordinamento, ma altresì nel più ampio contesto del sindacato di legittimità costituzionale circa la complessiva proporzionalità delle scelte legislative in ordine al quantum di pena. Il controllo di legittimità è stato, invero, sollecitato pure prescindendo dalla ricerca di una giusta simmetria tra le sanzioni del furto e le sanzioni di distinti reati, e prestando piuttosto attenzione al rapporto tra la misura della pena censurata ed il disvalore in sé del fatto.

4.4.1.– In particolare, le cornici edittali delle pene stabilite per il reato di furto aggravato sono state di nuovo esaminate nella sentenza n. 136 del 2020, a seguito delle modifiche introdotte dalla legge 23 giugno 2017, n. 103 (Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all’ordinamento penitenziario).

Invero, per effetto di tali modificazioni, entrambe le fattispecie (furto monoaggravato e furto pluriaggravato) continuano ad essere punite con la pena congiunta della reclusione e della multa, ma mentre la reclusione è prevista per il delitto pluriaggravato in misura più elevata, sia nel minimo che nel massimo, ciò non è per la pena pecuniaria perché, a fronte del minimo di euro 206 tuttora stabilito dall’art. 625, secondo comma, cod. pen. per il furto pluriaggravato, il minimo della multa è previsto, all’opposto, nella misura di euro 927 per la fattispecie meno grave.

Questa Corte ha tuttavia ritenuto inammissibili le questioni allora sollevate nei confronti dell’art. 625, primo comma, cod. pen., per violazione degli artt. 3 e 27 Cost., e la richiesta di correzione dell’asimmetria riscontrata con una pronuncia additiva sostitutiva della pena pecuniaria del delitto di furto monoaggravato.

Ciò sulla base in particolare del rilievo che il giudice rimettente aveva «argomentato le sue censure considerando soltanto la pena della multa e omettendo di tener conto anche del divario del minimo della pena detentiva prevista per le ipotesi del furto monoaggravato e di quello pluriaggravato (rispettivamente dal primo e secondo comma dell’art. 625 cod. pen.); divario, pari a un anno di reclusione in più per il furto pluriaggravato, certamente coerente per la maggiore gravità di quest’ultimo rispetto al furto monoaggravato».

4.4.2.– Da ultimo, la sentenza n. 117 del 2021, nel dichiarare, fra l’altro, inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 624-bis cod. pen., sollevate riguardo all’eccessività del minimo edittale di pena detentiva e all’omessa previsione di una fattispecie attenuata di reato, sempre in riferimento agli artt. 3 e 27 Cost., ha riaffermato che le valutazioni discrezionali di dosimetria penale competono in via esclusiva al legislatore, chiamato dalla riserva di legge ex art. 25 Cost. a stabilire il grado di reazione dell’ordinamento al cospetto della lesione di un determinato bene giuridico, limitandosi il sindacato di legittimità costituzionale ad incidere su scelte sanzionatorie arbitrarie o manifestamente sproporzionate. Non di meno, come già fatto con la sentenza n. 190 del 2020, anche in tale occasione questa Corte ha inteso rimarcare che il rapido e significativo incremento dei valori edittali dei reati contro il patrimonio segnala una pressione punitiva ormai estremamente rilevante e «richiede perciò attenta considerazione da parte del legislatore, alla luce di una valutazione, complessiva e comparativa, dei beni giuridici tutelati dal diritto penale e del livello di protezione loro assicurato».

5.– La frequenza degli interventi sollecitati a questa Corte con riguardo al regime sanzionatorio del reato di furto, ed in particolare a quello previsto nel primo e nel secondo comma dell’art. 625 cod. pen. rispettivamente per il furto “monoaggravato” e “pluriaggravato”, fa eco al risalente dibattito dottrinale che segnala tale disciplina come ipotesi emblematica del rigore eccessivo della tutela apprestata dal codice Rocco al patrimonio, così tradendo pure le esigenze di sussidiarietà dello strumento penale.

L’art. 625 cod. pen. viene sovente criticato anche per la imperfetta formulazione, che propende verso criteri descrittivi di tipo esasperatamente casistico, tali da rendere, in rapporto alla normalità empirica del delitto di furto, tutt’altro che eccezionale nella pratica la commissione di un furto pluriaggravato, stanti le innumerevoli possibili combinazioni tra i gruppi di aggravanti speciali e le tante aggravanti comuni che si desumono dall’art. 61 cod. pen., con correlati dubbi di reciproca compatibilità.

La disposizione in esame porta, inoltre, a complesse controversie interpretative sul calcolo della pena nei casi di concorso fra più circostanze aggravanti previste sotto lo stesso numero dell’art. 625, primo comma, cod. pen., o di concorso di una sola circostanza ad effetto speciale e di due, o più, circostanze comuni.

Se è indubbio che un miglioramento dello stato delle cose sia derivato dall’estensione del giudizio di comparazione alle circostanze speciali, in forza del decreto-legge 11 aprile 1974, n. 99 (Provvedimenti urgenti sulla giustizia penale), convertito, con modificazioni, nella legge 7 giugno 1974, n. 220, non può peraltro dirsi che tale meccanismo di carattere generale abbia del tutto posto rimedio alla incongruità del trattamento punitivo del reato di furto posto a confronto con fattispecie che tutelano altri beni, come l’integrità fisica, di maggior rilievo rispetto al patrimonio nella scala dei valori desumibile dalla Costituzione.

6.– Le censure sollevate dal Tribunale di Firenze, come premesso, denunciano sia l’irragionevolezza intrinseca della cornice edittale dell’art. 625, secondo comma, cod. pen., reputata eccessiva per un reato che offende il patrimonio, sia l’irragionevolezza estrinseca della deroga che la seconda ipotesi della disposizione censurata apporta rispetto al regime ordinario del concorso tra circostanze comuni e speciali di cui all’art. 63, terzo comma, cod. pen. L’irragionevolezza attribuita all’art. 625, secondo comma, cod. pen. dal rimettente si sintetizza nella frase secondo cui, in forza della norma denunciata, tutte «le circostanze aggravanti comuni di cui all’art. 61 c.p. diventano ad effetto speciale».

6.1.– In realtà, la pena della reclusione da tre a dieci anni e della multa da 206 euro a 1.549 euro è fissata nel secondo comma dell’art. 625 cod. pen. in base al modello delle cosiddette “circostanze indipendenti”, ovvero delle circostanze per le quali la legge determina la misura della pena in modo indipendente da quella ordinaria del reato, modello che, seppur scomparso dal testo dell’art. 63 cod. pen. dopo le modifiche apportate dalla legge 31 luglio 1984, n. 400 (Nuove norme sulla competenza penale e sull’appello contro le sentenze del pretore), è tuttora riconosciuto dall’art. 69, quarto comma, cod. pen. in tema di concorso eterogeneo.

La diposizione censurata determina, dunque, la misura della pena del furto pluriaggravato imponendo limiti edittali autonomi da quelli stabiliti per il furto semplice e per il furto monoaggravato. In tal senso, l’identico trattamento sanzionatorio che il secondo comma dell’art. 625 cod. pen. riserva alle fattispecie di concorso di due o più circostanze speciali del furto o di una circostanza speciale con una circostanza comune è frutto di una scelta legislativa propensa ad una considerazione unitaria della condotta di volta in volta incriminata, nella quale la circostanza aggravante comune diviene elemento essenziale di un distinto reato aggravato tipico.

6.2.– Né è senza rilievo il fatto che identica tecnica normativa è stata utilizzata dal legislatore sia allorquando, con la legge 26 marzo 2001, n. 128 (Interventi legislativi in materia di tutela della sicurezza dei cittadini), è intervenuto per configurare quali reati autonomi il furto in abitazione e il furto con strappo (art. 624-bis, terzo comma, cod. pen.), sia ancora quando, con la già citata legge n. 103 del 2017, ha inteso rendere più severa la pena per il reato di rapina (art. 628, quarto comma, cod. pen.). Appare, dunque, evidente come la regola oggetto del dubbio di legittimità costituzionale – già inserita nella formulazione originaria dell’art. 625 cod. pen. – rappresenti una reiterata opzione di politica criminale volta ad individuare, per i menzionati delitti contro il patrimonio, una disciplina unitaria del concorso delle aggravanti, siano esse ad effetto speciale o comuni, opzione di per sé non manifestamente irragionevole ed alla quale il sollecitato intervento di questa Corte finirebbe inammissibilmente per sovrapporsi.

6.3.– Nella prospettiva da ultimo delineata, la declaratoria di illegittimità costituzionale auspicata dal rimettente darebbe, invero, luogo in via interinale ad un parziale nuovo quadro sanzionatorio del furto pluriaggravato nel suo rapporto con il furto monoaggravato (con le evidenziate ricadute su altre ipotesi delittuose), facendo venire meno la considerazione unitaria della specifica fattispecie delittuosa del furto pluriaggravato, di cui sia elemento essenziale una circostanza aggravante comune; intervento, questo, che si surrogherebbe in maniera comunque assai limitata alla ben più ampia riforma di sistema della disciplina sanzionatoria che l’art. 625 cod. pen., e in generale i reati contro il patrimonio, attendono, come ricordato, ormai da decenni.

7.– Per quanto esposto, le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Tribunale di Firenze nei confronti dell’art. 625, secondo comma, cod. pen. devono essere dichiarate inammissibili.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 625, secondo comma, del codice penale, sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Firenze con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 2 dicembre 2021.

F.to:

Giancarlo CORAGGIO, Presidente

Stefano PETITTI, Redattore

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria il 24 dicembre 2021.