Sentenza n. 252 del 2021

SENTENZA N. 252

ANNO 2021

Commento alla decisione di 

Luana Leo

“Omnia vincit amor”: adozione monogenitoriale e interesse del minore

(Nota a Corte cost. n. 252 del 2021)


per g.c. di Dirittifondamentali.it

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Giancarlo CORAGGIO;

Giudici: Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 29-bis, comma 1, della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Diritto del minore ad una famiglia), promosso dal Tribunale per i minorenni di Firenze, nel procedimento instaurato da R. B., con ordinanza del 26 novembre 2020, iscritta al n. 1 del registro ordinanze 2021 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 5, prima serie speciale, dell’anno 2021.

Visti l’atto di costituzione di R. B., nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 23 novembre 2021 il Giudice relatore Giuliano Amato;

uditi l’avvocato dello Stato Gianna Maria De Socio per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Romano Vaccarella per R. B.;

deliberato nella camera di consiglio del 23 novembre 2021.

Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza del 26 novembre 2020 (reg. ord. n. 1 del 2021), il Tribunale per i minorenni di Firenze ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 29-bis, comma 1, della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Diritto del minore ad una famiglia), nella parte in cui non prevede che anche la persona non coniugata e residente in Italia possa presentare dichiarazione di disponibilità ad adottare un minore straniero e chiedere di essere dichiarata idonea all’adozione legittimante.

Ad avviso del giudice a quo, la disposizione censurata violerebbe l’art. 117, primo comma, della Costituzione, in relazione all’art. 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848 (CEDU), poiché – non fornendo un quadro normativo chiaro in ordine ai diritti riservati alla persona non coniugata e residente in Italia – non consentirebbe alla stessa di orientare le proprie scelte in funzione di effetti giuridici prevedibili, determinando così un’interferenza indebita nella sua vita privata.

2.– Il Tribunale per i minorenni di Firenze è chiamato a decidere in ordine al ricorso con cui una cittadina italiana non coniugata chiede di essere dichiarata idonea all’adozione internazionale di un minore straniero. Il giudice a quo riferisce che la ricorrente ha un lavoro a tempo indeterminato, non ha pendenze penali e ha sostenuto la visita medico-legale che ne ha accertato la sana e robusta costituzione psico­fisica. A seguito di apposita indagine psicologica e socio-familiare è emerso un quadro rassicurante anche sotto il profilo della consapevolezza del progetto adottivo, delle caratteristiche psicologiche e dell’attitudine ad adottare.

Il Tribunale rimettente precisa che il dubbio di legittimità costituzionale attiene alla sola adozione “piena”, non essendo opponibile alla ricorrente, quale persona non coniugata, alcuna preclusione all’adozione in casi particolari.

2.1.– Il giudice a quo ritiene, in primo luogo, che l’art. 29-bis, comma 1, della legge n. 184 del 1983 non contrasti con l’art. 3 Cost., sotto il profilo della disparità di trattamento rispetto alla fattispecie di cui all’art. 36, quarto comma, della stessa legge, che consente ai cittadini italiani, anche non coniugati, che risiedono all’estero da almeno due anni, di ottenere il riconoscimento della piena efficacia dell’adozione avvenuta nello Stato estero, in conformità ai princìpi della Convenzione per la tutela dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale, fatta a L’Aja il 29 maggio 1993, ratificata e resa esecutiva con legge 31 dicembre 1998, n. 476 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione per la tutela dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale, fatta a L’Aja il 29 maggio 1993. Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, in tema di adozione di minori stranieri).

2.2.– Il giudice a quo ritiene parimenti non fondata – in riferimento agli artt. 24 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 6 CEDU – la questione di legittimità costituzionale dello stesso art. 29-bis, comma 1, della legge n. 184 del 1983, laddove preclude alla persona non coniugata, residente in Italia, di chiedere l’accertamento giudiziale dell’idoneità all’adozione e, quindi, di far valere i propri diritti in un giusto processo, in cui questi possano essere adeguatamente esaminati.

2.3.– Il rimettente ritiene viceversa rilevante e non manifestamente infondata – in riferimento all’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 8 CEDU – la questione di legittimità costituzionale dell’art. 29-bis, comma 1, della legge n. 184 del 1983, nella parte in cui impedisce alle persone non coniugate di essere valutate ai fini dell’idoneità all’adozione piena di minori stranieri, al di fuori dei casi particolari di cui all’art. 44 della stessa legge.

Osserva il giudice a quo che la Corte europea dei diritti dell’uomo ha chiarito che la nozione di vita privata ai sensi dell’art. 8 CEDU è un concetto ampio che comprende, tra l’altro, il diritto all’autonomia personale e allo sviluppo individuale. La ratio primaria dell’art. 8 CEDU è quella di proteggere l’individuo da interferenze arbitrarie da parte delle autorità pubbliche. Il rimettente ritiene che la domanda di idoneità all’adozione, in quanto ancorata al diritto di autodeterminarsi in ordine alla propria vita privata, rientri pienamente nell’alveo dell’art. 8 CEDU.

In questo contesto, il legislatore italiano si sarebbe determinato ad ammettere la possibilità dell’adozione monoparentale, nelle forme di cui all’art. 44 della legge n. 184 del 1983, sia nei casi di adozione nazionale, sia nel caso di adozione internazionale.

Negli ultimi anni, l’intera materia avrebbe subìto, sia a livello normativo sia a livello giurisprudenziale, una trasformazione per effetto del nuovo assetto del diritto di famiglia e della nuova formulazione dell’art. 74 del codice civile, come modificato dall’art. 1, comma 1, della legge 10 dicembre 2012, n. 219 (Disposizioni in materia di riconoscimento dei figli naturali), che consacra l’unicità dello stato di figlio, ampliando il concetto di parentela, in cui sono ricompresi anche i figli adottivi, con l’unica espressa eccezione degli adottati maggiorenni. Pertanto, il vincolo di filiazione non è più esclusiva emanazione dell’istituto matrimoniale.

Ad avviso del giudice a quo, il quadro normativo in tema di adozioni monoparentali presenta un elevato grado di incertezza, dovuto a una normativa interna altamente frammentata, capace di incidere negativamente sulla capacità dei singoli di operare scelte legate alla propria vita e di poterne prevedere e programmare le conseguenze giuridiche. In alcuni casi sarebbe ammessa l’adozione da parte di persone non coniugate e, al contempo, sarebbero previste limitazioni che richiederebbero chiarezza e omogeneità, anche in ordine alla rispettiva ratio. Quest’ultima è spesso rinvenuta nel diritto alla bigenitorialità eterosessuale perfetta, ma ciò potrebbe porsi in contrasto con la tutela dell’interesse preminente del minore.

La mancanza di un quadro univoco in materia di accesso al diritto di autodeterminarsi in ordine all’adozione renderebbe estremamente gravosa e incerta la posizione delle persone non coniugate. Ciò determinerebbe un’indebita interferenza nella vita privata, in violazione dell’art. 8 CEDU. Al riguardo, è richiamata la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, sezione seconda, 14 maggio 2013, Gross contro Svizzera.

Tale situazione renderebbe necessaria una chiara presa di posizione politica e legislativa che permetta alle persone non coniugate di autodeterminarsi in ordine alla propria aspirazione alla genitorialità. La materia dell’adozione monoparentale richiederebbe dunque un’armonizzazione, che rimetta in gioco e verifichi la validità, alla luce del mutato contesto sociale, della ratio sottesa alla scelta legislativa di limitare il diritto delle persone non coniugate ad aspirare all’adozione, consentendo loro di operare scelte orientate e coerenti, all’interno di una cornice normativa chiara e prevedibile.

Il giudice a quo ravvisa, pertanto, un contrasto tra l’art. 29-bis, comma 1, della legge n. 184 del 1983 e l’art. 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 8 CEDU, nella parte in cui, non fornendo un quadro normativo chiaro dei diritti riservati alla persona non coniugata residente in Italia, ivi compresa la possibilità di chiedere di essere dichiarata idonea all’adozione piena di un minore straniero, non consentirebbe di orientare le proprie scelte in funzione di effetti giuridici prevedibili, determinando così un’indebita interferenza nella sua vita privata.

3.− Nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o comunque non fondata.

3.1.– Ad avviso dell’Avvocatura generale dello Stato, non vi sarebbe alcuna incertezza in ordine alle possibilità adottive consentite alle persone non coniugate residenti in Italia. La normativa, indubbiamente complessa, sarebbe comunque chiara nel consentire l’accesso all’adozione piena alle sole coppie unite in matrimonio, salvo alcune eccezioni in favore di persone non coniugate, in casi particolari ben delineati e circostanziati. 

3.1.1.– L’interveniente osserva che, con riferimento all’adozione piena, l’art. 6 della legge n. 184 del 1983 richiede che gli adottanti siano «uniti in matrimonio da almeno tre anni» e che «tra i coniugi non deve sussistere e non deve avere avuto luogo negli ultimi tre anni separazione personale neppure di fatto». 

D’altra parte, nei casi di cui all’art. 44 della stessa legge, è stata prevista la possibilità di accedere all’adozione anche da parte di persone non coniugate. Questa disciplina è stata introdotta per tutelare il diritto del minore alla famiglia in situazioni che non avrebbero consentito di giungere all’adozione piena, ma nelle quali la soluzione dell’adozione rappresenti una soluzione opportuna ed auspicabile. Essa costituisce, dunque, uno strumento di chiusura, volto a realizzare il preminente interesse del minore ad essere accolto in una famiglia.

In definitiva, l’idoneità adottiva deve essere valutata effettuando un bilanciamento tra l’aspettativa degli aspiranti genitori adottivi di formare una famiglia tramite l’adozione di un minore ed il diritto di quest’ultimo di trovare una famiglia accudente. Ciò porta a concludere che i minori adottabili abbiano diritto non ad una famiglia qualsiasi, ma alla “migliore delle famiglie possibili”, che il legislatore ha individuato nella famiglia bigenitoriale, che offra garanzie di stabilità tramite il legame del matrimonio e sia formata da un uomo e da una donna, secondo il principio dell’imitatio naturae, sotteso all’art. 6 della legge n. 184 del 1983.

In questa prospettiva, l’interveniente fa rilevare che l’art. 4 della legge 19 ottobre 2015, n. 173 (Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, sul diritto alla continuità affettiva dei bambini e delle bambine in affido familiare) ha integrato la lettera a) dell’art. 44 della legge n. 184 del 1983, prevedendo che il minore può essere adottato da persone a lui legate da preesistente rapporto stabile e duraturo, «anche maturato nell’ambito di un prolungato periodo di affidamento». Non è precluso, quindi, al genitore affidatario non coniugato di adottare il minore che ha in affido ove, esclusa la possibilità del suo reingresso nella famiglia biologica, detta soluzione sia ritenuta quella che in concreto ne realizza meglio l’interesse.

L’Avvocatura generale dello Stato fa rilevare che la stessa giurisprudenza di legittimità ha riconosciuto che l’accesso a questa forma di adozione è consentito anche alle persone singole ed alle coppie di fatto, nei limiti di età indicati e sempre che l’esame delle condizioni e dei requisiti imposti dalla legge, sia in astratto (l’impossibilità dell’affidamento preadottivo), sia in concreto (l’indagine sull’interesse del minore), facciano ritenere sussistenti i presupposti per l’adozione speciale (è richiamata l’ordinanza della Corte di cassazione, sezione prima civile, 26 giugno 2019, n. 17100).

3.1.2.– Con riferimento alle adozioni internazionali, l’art. 29-bis della legge n. 184 del 1983 si riferisce a «persone […] che si trovano nelle condizioni prescritte dall’articolo 6», ossia coniugi «uniti in matrimonio da almeno tre anni», in assenza di precedenti separazioni, anche di fatto. Dunque, l’adozione legittimante si fonda sui medesimi presupposti, sia che si tratti di adozione nazionale, sia che si tratti di adozione internazionale.

L’art. 36, quarto comma, della legge n. 184 del 1983 appresta poi uno strumento ulteriore, consentendo il riconoscimento dell’adozione al cittadino italiano che abbia perfezionato il relativo iter all’estero, in conformità alla legge straniera, e che dimostri di aver soggiornato continuativamente nel Paese straniero e di avervi avuto la residenza da almeno due anni.

3.1.3.– Alla luce di queste considerazioni, osserva l’Avvocatura generale dello Stato, l’adozione da parte di persona non coniugata è ammissibile (qualora conforme all’interesse del minore) laddove la stessa sia in grado di dimostrare l’esistenza di un legame, di fatto o di diritto, con l’adottando. Ciascuna delle fattispecie considerate dal legislatore comporta, infatti, la valutazione di una relazione già esistente. Anche quando è chiamato a riconoscere in Italia il provvedimento straniero di adozione, ai sensi del citato art. 36, quarto comma, il giudice non si limita a delibare la sentenza straniera, ma deve altresì valutare che sussista l’interesse del minore all’adozione. Tale valutazione è possibile in quanto il minore è già entrato nello status familiare dell’adottante, al momento della pronuncia dell’adozione straniera, o addirittura prima. È, dunque, in virtù di questo preesistente legame che l’ordinamento interno consente alla persona non coniugata di acquisire lo status di genitore adottivo.

In conclusione, osserva la difesa statale, nell’ordinamento italiano l’adozione da parte del singolo è strettamente correlata all’interesse di ciascun minore, individuato in epoca antecedente alla valutazione dell’idoneità adottiva del richiedente.

Alla luce di questo quadro normativo e della ratio sopra descritta, non vi sarebbe alcuna incertezza nella disciplina, essendo possibile distinguere con chiarezza i casi in cui la domanda di adozione monoparentale potrebbe essere accolta e non sarebbe, dunque, ravvisabile la violazione dell’art. 8 CEDU.

D’altra parte, osserva l’Avvocatura generale, non ogni soggettiva incertezza su una disposizione legislativa si traduce in una violazione dell’art. 8 CEDU, poiché rilevano solo quelle incertezze che facciano venire meno il requisito della prevedibilità della regola giuridica. Nel caso in esame, una simile situazione non sarebbe configurabile, in quanto il contesto normativo consente a chiunque di stimare come “prevedibile” che una persona non coniugata non avrebbe accesso all’adozione legittimante, ma solo, ricorrendone le condizioni, all’adozione di cui all’art. 44 della legge n. 184 del 1983.

3.2.– La difesa statale osserva, d’altra parte, che la CEDU non riconosce un generico diritto ad adottare e che l’art. 8 non impone agli Stati l’obbligo positivo di garantire l’accesso all’adozione, sia nel caso in cui i richiedenti siano coppie, coniugate o meno, sia nel caso in cui siano singoli. Né un obbligo di questo genere sarebbe collegabile alla ratifica, da parte dello Stato italiano, della Convenzione europea sull’adozione di minori, firmata a Strasburgo il 24 aprile 1967, che riconosce il diritto del singolo di adottare un minore. Del resto, la prova dell’inesistenza di tale obbligo sarebbe data anche dall’omessa ratifica da parte dell’Italia della nuova Convenzione europea sull’adozione dei minori, firmata a Strasburgo il 27 novembre 2008, che, agli artt. 2 e 7, lettera b), prevede la possibilità di adozione per le persone non coniugate.

Sul punto, osserva l’Avvocatura generale dello Stato, la giurisprudenza della Corte EDU riconosce agli Stati un ampio margine di apprezzamento, direttamente connesso alla necessità di assicurare la tutela dell’interesse superiore del minore. Anche questa Corte di recente ha escluso la violazione dei parametri convenzionali in materia di famiglia e di adozione, rilevando che «la giurisprudenza della Corte EDU ha affermato in più occasioni che, nelle materie che sottendono delicate questioni di ordine etico e morale, gli Stati conservano – segnatamente quanto ai temi sui quali non si registri un generale consenso – un ampio margine di apprezzamento» (sentenza n. 230 del 2020) e che, sempre secondo questa pronuncia, è riservata al legislatore, quale «interprete della volontà della collettività», la scelta di quelle soluzioni che assicurino «il bilanciamento tra valori fondamentali in conflitto tenendo conto degli orientamenti e delle istanze che apprezzi come maggiormente radicati».

L’Avvocatura generale osserva, quindi, che – se è vero che le fonti internazionali e pattizie non creano effetti vincolanti per lo Stato nella materia in esame – non può essere invocata la violazione dell’art. 8 CEDU e dell’art. 117, primo comma, Cost. Né, d’altra parte, il giudizio di legittimità costituzionale sarebbe la sede istituzionale per apprezzare la denunciata distonia tra il mutato contesto sociale e il tessuto normativo vigente o per elaborare un bilanciamento degli interessi coinvolti in senso diverso da quello operato dal legislatore. Le prospettate esigenze di riforma possono, infatti, essere valutate dai soggetti abilitati ad esprimere in sede politica, grazie al meccanismo rappresentativo e democratico, le reali istanze della collettività. 

3.3.– Sotto altro profilo, la difesa dello Stato osserva che, sebbene il Tribunale rimettente abbia censurato l’art. 29-bis della legge n. 184 del 1983, tuttavia la disciplina oggetto di censura non si ritrova in questa disposizione, bensì negli artt. 6 e 44 della medesima legge, che disciplinano, rispettivamente, le condizioni di accesso all’adozione legittimante e all’adozione nei casi particolari.

La mancata censura di tali disposizioni pregiudicherebbe il vaglio di legittimità costituzionale e ne renderebbe frammentario l’esito. Infatti, l’auspicato intervento sarebbe circoscritto al solo art. 29-bis, comma 1, della legge n. 184 del 1983, relativo alle adozioni internazionali, e l’ipotetico accoglimento della questione finirebbe per creare un’indebita disparità di trattamento rispetto alla disciplina dell’adozione nazionale.

3.4.– Nel merito, le questioni di legittimità costituzionale non sarebbero fondate.

La legge n. 184 del 1983 è ispirata all’intento di assicurare al minore la “migliore famiglia possibile”, da intendere come la famiglia bigenitoriale che offra garanzie di stabilità tramite il legame del matrimonio. A tale obiettivo si accompagna, nei casi particolari di cui all’art. 44 della stessa legge, la tutela della continuità di rapporti già consolidati.

Ad avviso dell’Avvocatura generale, la censura del rimettente concernente la ratio sottesa a questa disciplina – rinvenuta nel diritto alla bigenitorialità eterosessuale perfetta – porterebbe ad indirizzare il sindacato di questa Corte sul merito della scelta legislativa. Il dubbio di legittimità costituzionale tocca temi eticamente sensibili, in relazione ai quali l’individuazione di un ragionevole punto di equilibrio delle contrapposte esigenze spetta al legislatore. Le relative scelte, non costituzionalmente obbligate, sono sindacabili al solo fine di verificare se sia stato realizzato un bilanciamento non irragionevole di quelle esigenze e dei valori ai quali si ispirano.

D’altra parte, osserva l’interveniente, in passato il contenuto della filiazione veniva principalmente identificato nella patria potestà. L’attenzione si è successivamente spostata sul legame personale e sul ruolo del figlio che, con le sue esigenze e le sue aspirazioni, condiziona lo svolgimento del rapporto, per la preminenza del suo diritto afferente all’identità personale. Pertanto, il diritto alla genitorialità sussiste se esso corrisponde al migliore interesse per il minore, secondo la formula rinvenibile nella Convenzione sui diritti del fanciullo, firmata a New York il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva con legge 27 maggio 1991, n. 176 (a questo riguardo, sono richiamate le sentenze di questa Corte n. 197 del 1986 e n. 11 del 1981). Alla luce di questi principi, la questione sollevata dal Tribunale per i minorenni di Firenze sarebbe manifestamente infondata.

4.– Nel giudizio dinnanzi a questa Corte si è costituita R. B., quale parte ricorrente nel giudizio a quo, chiedendo che sia dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 29-bis, comma 1, della legge n. 184 del 1983.

Nella memoria depositata in prossimità dell’udienza, la parte osserva che per la Convenzione de L’Aja la qualità di persona coniugata è del tutto irrilevante e tutti i Paesi membri dell’Unione europea consentono l’adozione da parte di persona non coniugata. 

Nel caso in esame, la questione di legittimità costituzionale non riguarderebbe la previsione, in sé, dell’art. 6 della legge n. 184 del 1983, ossia la scelta di riservare ai coniugi l’adozione interna, ma solo la ragionevolezza dell’estensione di questa disciplina all’adozione internazionale.

Ciò posto, la previsione del requisito del coniugio ai fini dell’idoneità all’adozione internazionale si risolverebbe in un’ingerenza nella vita privata del tutto sproporzionata rispetto al ruolo che l’Italia, quale Stato di accoglienza del minore, è chiamato a svolgere: la Convenzione de L’Aja richiederebbe, infatti, un’attenta ed accurata valutazione dell’idoneità della persona che aspira a svolgere la funzione genitoriale, ma ciò non implicherebbe necessariamente la qualità di persona coniugata.

Ad avviso della parte, il rispetto del principio di proporzionalità richiederebbe non solo che tra il mezzo (qualità di coniugato) ed il fine (un’adozione che soddisfi il superiore interesse del minore) vi sia una connessione razionale, ma anche che il mezzo consenta di conseguire benefici adeguatamente superiori ai sacrifici imposti agli altri diritti. Del resto, la stessa Convenzione de L’Aja escluderebbe che la previsione della qualità di coniuge consenta di conseguire benefici tali da compensare i sacrifici imposti alle scelte di vita privata dell’adottante. Ciò renderebbe ingiustificata l’ingerenza nella vita privata dell’adottante, e la violazione dell’art. 8, secondo paragrafo, CEDU.

Ad avviso della parte, anche nell’ordinamento italiano le numerose ipotesi di adozione riconosciute a persone non coniugate dimostrerebbero il carattere sproporzionato della pretesa che chi risiede stabilmente in Italia, per aspirare all’adozione internazionale, modifichi le proprie scelte di vita.

La parte fa rilevare che la qualità di coniugato non può ragionevolmente influire, in termini di benefici, su alcuno degli elementi che la stessa Convenzione de L’Aja, all’art. 15, impone di considerare al fine di tutelare il superiore interesse del minore (identità; capacità legale ed idoneità all’adozione; situazione personale, familiare e sanitaria; ambiente sociale; motivazioni per l’adozione; attitudine a farsi carico dell’adozione; caratteristiche dei minori). 

Pertanto, l’imposizione di una scelta di vita privata del tutto incongrua rispetto alle attitudini genitoriali oggetto della valutazione di cui all’art. 29-bis, comma 1, della legge n. 184 del 1983 si risolverebbe in un artificioso e arbitrario collegamento tra uno status personale e l’idoneità all’adozione, che sarebbe viceversa radicalmente negato, sia dalla Convenzione de L’Aja, sia dall’ordinamento italiano.

Considerato in diritto

1.– Il Tribunale per i minorenni di Firenze, con ordinanza del 26 novembre 2020 (reg. ord. n. 1 del 2021), ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 29-bis, comma 1, della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Diritto del minore ad una famiglia), nella parte in cui non prevede che anche la persona non coniugata e residente in Italia possa presentare dichiarazione di disponibilità ad adottare un minore straniero e chiedere di essere dichiarata idonea all’adozione legittimante.

Ad avviso del giudice a quo, la disposizione censurata violerebbe l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, poiché – non fornendo un quadro normativo chiaro in ordine ai diritti riservati alla persona non coniugata e residente in Italia – non consentirebbe alla stessa di orientare le proprie scelte in funzione di effetti giuridici prevedibili, determinando così un’interferenza indebita nella sua vita privata.

2.– In via preliminare, è necessario esaminare le eccezioni sollevate dal Presidente del Consiglio dei ministri, intervenuto in giudizio per mezzo dell’Avvocatura generale dello Stato.

2.1.– L’Avvocatura generale eccepisce, in primo luogo, l’inammissibilità della questione di legittimità costituzionale del censurato art. 29-bis, comma 1, in ragione dell’incompletezza del quadro normativo considerato dal giudice a quo. Infatti, laddove esso fosse stato considerato nella sua pienezza e complessità, sarebbe emersa con chiarezza la ratio che lo sostiene, così da escludere ogni incertezza, essendo possibile distinguere i casi in cui una domanda di adozione monoparentale potrebbe in astratto essere accolta da quelli in cui non lo sarebbe.

2.1.1.– L’eccezione non è fondata.

Nel caso in esame, sulla premessa che non sarebbe opponibile alla ricorrente, quale persona non coniugata, alcuna preclusione all’adozione in casi particolari, ai sensi dell’art. 44 della legge n. 184 del 1983, il rimettente appunta le proprie censure sulla norma che non consente alle persone non coniugate di accedere all’adozione piena. Il fondamento normativo di questa preclusione è quindi correttamente individuato negli artt. 6 e 29-bis, comma 1, della stessa legge, che prevedono il requisito del coniugio ai fini dell’idoneità all’adozione piena.

Così delimitata la questione di legittimità costituzionale sollevata dal giudice a quo, l’incompleta illustrazione delle possibilità di adozione monoparentale già riconosciute dall’ordinamento, nonché della loro evoluzione normativa e giurisprudenziale – puntualmente richiamate dall’interveniente – non ne inficia l’ammissibilità. Si tratta, infatti, di elementi di valutazione che attengono al merito della questione, come emerge anche dalla stessa prospettazione dell’Avvocatura, secondo la quale una completa ricostruzione del quadro normativo avrebbe consentito di escludere ogni incertezza e di superare le censure formulate dal rimettente.

2.2.– Deve essere altresì respinta l’eccezione di inammissibilità per l’erronea o incompleta individuazione della norma censurata.

2.2.1.– Ad avviso della difesa statale, la mancata censura degli artt. 6 e 44 della legge n. 184 del 1983 pregiudicherebbe il vaglio di legittimità costituzionale, rendendone frammentario l’esito, essendo la denunciata illegittimità circoscritta al solo art. 29-bis, comma 1, che regola le adozioni internazionali. Secondo la difesa statale, l’ipotetico accoglimento della questione finirebbe per creare un’indebita disparità di trattamento di tale disciplina rispetto a quella delle adozioni nazionali.

2.2.2.– Il requisito del coniugio ai fini dell’idoneità all’adozione nazionale è previsto espressamente dall’art. 6 della legge n. 184 del 1983, cui la disposizione censurata fa integrale richiamo. Il giudice a quo – pur consapevole della simmetrica preclusione derivante dal richiamato art. 6 per l’adozione nazionale – ha limitato le proprie censure al solo art. 29-bis, comma 1, della legge n. 184 del 1983, ritenendo, con motivazione non implausibile, di essere chiamato a fare applicazione di questa disposizione nel giudizio a quo, instaurato proprio al fine di ottenere l’idoneità all’adozione internazionale.

D’altra parte, la considerazione delle ricadute sistematiche di un eventuale accoglimento della questione – in quanto propriamente destinata alla valutazione del merito della stessa – non influisce sulla sua ammissibilità.

3.– Deve essere, inoltre, dichiarata l’inammissibilità delle ulteriori censure formulate dalla parte costituita.

Nella memoria depositata in prossimità dell’udienza, la parte ricorrente nel giudizio a quo, deduce il carattere sproporzionato della previsione del requisito del coniugio, sia rispetto al ruolo che l’Italia, quale Stato di accoglienza dell’adottando, è chiamata a svolgere, sia rispetto al fine di realizzare il superiore interesse del minore. Ad avviso della parte interveniente, dalla qualità di coniugato di chi richieda l’adozione non conseguirebbero benefici tali da compensare i sacrifici imposti alle scelte di vita privata dell’adottante e ciò renderebbe ingiustificata l’ingerenza.

Tuttavia, questi argomenti si pongono al di fuori del perimetro tracciato dall’ordinanza di rimessione. In essa, la violazione dell’art. 8 CEDU non deriva dal carattere sproporzionato e per ciò stesso irragionevole della previsione, come prospettato, ma dalla mancanza di chiarezza del quadro normativo, tale da incidere negativamente sulla capacità dei singoli di autodeterminarsi in ordine alla propria vita privata.

Mentre il giudice a quo non contesta alcun difetto di proporzionalità nella previsione del requisito del coniugio e propone incidente di legittimità costituzionale, lamentando la mancanza di chiarezza della disciplina delle adozioni, la parte, invece, dubita della conformità a Costituzione della sproporzione e irragionevolezza del medesimo requisito e chiede a questa Corte di accertarne, sotto tale profilo, il contrasto con l’art. 8 CEDU. Ancorché la disposizione censurata ed il parametro evocato siano formalmente gli stessi, la questione illustrata dalla parte privata introduce un profilo di illegittimità costituzionale diverso e ulteriore rispetto a quello fatto proprio dal giudice a quo.

Le differenti prospettive da cui sono scaturiti i dubbi di legittimità costituzionale rispettivamente avanzati risultano indicative della novità delle censure formulate dalla parte. In quanto volte ad ampliare il thema decidendum delineato dall’ordinanza di rimessione, esse non possono essere prese in considerazione da questa Corte (ex plurimis, sentenze n. 150 e n. 26 del 2020, n. 222 del 2018, e ordinanza n. 37 del 2017).

4.– La questione di legittimità costituzionale dell’art. 29-bis, comma 1, della legge n. 184 del 1983, per violazione dell’art. 117, primo comma, Cost. in relazione all’art. 8 CEDU, è inammissibile per la carente illustrazione delle ragioni di contrasto tra la disposizione censurata e il parametro interposto sovranazionale.

Per costante giurisprudenza di questa Corte, è inammissibile la questione di legittimità costituzionale posta senza un’adeguata ed autonoma illustrazione, da parte del giudice rimettente, delle ragioni per le quali la normativa censurata integrerebbe una violazione del parametro evocato. Non è sufficiente, quindi, l’indicazione delle norme da raffrontare, per valutare la compatibilità dell’una rispetto al contenuto precettivo dell’altra, ma è necessario motivare il giudizio negativo in tal senso e, se del caso, illustrare i passaggi interpretativi operati al fine di enucleare i rispettivi contenuti di normazione (ex multis, sentenze n. 120 del 2015, n. 236 del 2011; ordinanze n. 26 del 2012, n. 321 del 2010 e n. 181 del 2009).

Nel caso in esame, con riguardo al requisito del coniugio ai fini dell’idoneità all’adozione internazionale, l’ordinanza di rimessione non illustra le ragioni della dedotta antinomia tra la disposizione censurata e i princípi presidiati dalla garanzia dell’art. 8 CEDU, né articola critiche mirate, che avvalorino la prospettata violazione. Il giudice a quo si limita a svolgere alcune considerazioni sulla nuova disciplina della filiazione scaturita dalla riformulazione dell’art. 74 del codice civile, come modificato dall’art. 1, comma 1, della legge 10 dicembre 2012, n. 219 (Disposizioni in materia di riconoscimento dei figli naturali), e sull’evoluzione dei casi di adozione monoparentale già previsti dall’ordinamento, per desumerne – senza motivarlo – un difetto di chiarezza e frammentarietà del quadro normativo. Tali censure, tuttavia, non sono sorrette da alcuna considerazione comparativa degli istituti e delle discipline rispetto ai quali esse si manifesterebbero, né è fornita alcuna spiegazione in ordine al modo in cui la lamentata mancanza di chiarezza e omogeneità – essa stessa genericamente affermata, ma non corroborata da precipue argomentazioni – si realizzerebbe nello specifico contenuto precettivo dell’art. 29-bis, comma 1, della legge n. 184 del 1983, che viceversa è assunto dallo stesso rimettente nel suo univoco significato, preclusivo dell’adozione piena da parte dei non coniugati.

D’altra parte, l’ordinanza non fornisce neppure un’idonea spiegazione circa le modalità in cui l’asserito difetto di chiarezza e la frammentarietà della disciplina delle adozioni si risolverebbero nella violazione del principio del rispetto della vita privata, presidiato dalle garanzie dell’art. 8 CEDU. Infatti, anche in riferimento alla tutela convenzionale richiamata, è omessa qualsiasi motivazione sui presupposti individuati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo per qualificare una situazione di incertezza normativa in termini di contrasto con il principio di non ingerenza. Al riguardo, è richiamata una sola sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (sezione seconda, 14 maggio 2013, Gross contro Svizzera), che – oltre ad essere stata superata dalla successiva pronuncia della Grande camera del 30 settembre 2014 – è riferita ad un contesto normativo del tutto differente da quello in esame. In definitiva, il contrasto con il principio convenzionale di cui all’art. 8 CEDU risulta solo genericamente affermato, ma non sufficientemente argomentato.

Le rilevate lacune del tessuto argomentativo dell’ordinanza di rimessione determinano l’inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 29-bis, comma 1, della legge n. 184 del 1983 e ne impediscono la valutazione nel merito.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 29-bis, comma 1, della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Diritto del minore ad una famiglia), sollevata, in riferimento all’art. 117, primo comma, della Costituzione, in relazione all’art. 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, dal Tribunale per i minorenni di Firenze con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 novembre 2021.

F.to:

Giancarlo CORAGGIO, Presidente

Giuliano AMATO, Redattore

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria il 23 dicembre 2021.