Sentenza n. 204 del 2021

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SENTENZA N. 204

ANNO 2021

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Giancarlo CORAGGIO

Giudici : Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 120, comma 5, dell’Allegato 1 (Codice del processo amministrativo) al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell’articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo), promosso dal Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione staccata di Lecce, nel procedimento vertente tra la Sincon srl e il Comune di Latiano e altri, con ordinanza del 2 marzo 2020, iscritta al n. 107 del registro ordinanze 2020 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 37, prima serie speciale, dell’anno 2020.

Visti gli atti di costituzione della Sincon srl e del Comune di Latiano, nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 5 ottobre 2021 il Giudice relatore Augusto Antonio Barbera;

uditi l’avvocato Francesco Caricato per la Sincon srl, Pietro Quinto per il Comune di Latiano, in collegamento da remoto, ai sensi del punto 1) del decreto del Presidente della Corte del 18 maggio 2021, e l’avvocato dello Stato Andrea Fedeli per il Presidente del Consiglio dei ministri;

deliberato nella camera di consiglio del 6 ottobre 2021.

Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza del 2 marzo 2020 (reg. ord. n. 107 del 2020), il Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione staccata di Lecce, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 120, comma 5, dell’Allegato 1 (Codice del processo amministrativo) al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell’articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo) in riferimento all’art. 24 della Costituzione, nella parte in cui fa decorrere il termine per proporre motivi aggiunti, nelle controversie di cui al comma 1, dalla ricezione della comunicazione di cui all’art. 79 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE).

2.– Il giudice rimettente riferisce che gli atti di una procedura di affidamento di un appalto di servizi sono stati impugnati con un ricorso proposto ai sensi dell’art. 120 dell’Allegato 1 al d.lgs. n. 104 del 2010 (d’ora in avanti: cod. proc. amm.), a seguito della comunicazione di aggiudicazione a favore della controinteressata in data 29 maggio 2019.

Fin dal 30 maggio 2019 la ricorrente ha chiesto l’accesso agli atti di gara, che è stato consentito dalla stazione appaltante solo il 15 luglio successivo.

A ciò è seguita la proposizione di motivi aggiunti al ricorso, notificati il 31 luglio 2019. Pertanto, a parere del giudice a quo, essi sarebbero irricevibili per tardività, in applicazione del denunciato art. 120, comma 5, cod. proc. amm. Ne seguirebbe la rilevanza della questione di legittimità costituzionale della norma censurata.

3.– Con riferimento alla non manifesta infondatezza, il rimettente ritiene di essere vincolato ad applicare l’art. 120, comma 5, cod. proc. amm. nell’univoco senso espresso dalla lettera della disposizione, che riconnetterebbe la decorrenza del termine alla sola ricezione della comunicazione di aggiudicazione, inviata agli operatori concorrenti alla gara ai sensi dell’art. 79 del d.lgs. n. 163 del 2006 (d’ora in avanti: “primo” cod. contratti pubblici).

Posto che i vizi da porre a base dei motivi aggiunti, tuttavia, ben potrebbero essere conosciuti solo in data successiva a tale ricezione, in forza dell’accesso agli atti di gara, tale regime processuale sarebbe palesemente in contrasto con l’art. 24 Cost., perché, comportando che il termine per la proposizione dei motivi medesimi decorra prima della cognizione del vizio, impedirebbe “di fatto” la tutela giurisdizionale.

4.– Il giudice a quo stima poi inadeguata a risolvere il profilo di illegittimità costituzionale la soluzione interpretativa invalsa in giurisprudenza, secondo la quale, in caso di accesso agli atti di gara, il termine di trenta giorni per proporre ricorso, anche con motivi aggiunti, va incrementato di un numero di giorni pari a quelli che l’art. 79 del “primo” cod. contratti pubblici assegna ai fini dell’accesso.

Il rimettente dà atto che l’art. 79 appena citato è stato abrogato, e che, ad oggi, la giurisprudenza si è attestata nel senso che il rinvio operato dall’art. 120, comma 5, cod. proc. amm. a tale disposizione vada ora indirizzato al nuovo art. 76, comma 2, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 (Codice dei contratti pubblici), che, pur con una diversa formula letterale, assegnerebbe quindici giorni, anziché dieci, dalla comunicazione della aggiudicazione per un tempestivo accesso. Il termine per proporre motivi aggiunti potrebbe essere perciò incrementato di conseguenza.

Tale soluzione, secondo il rimettente, non è compatibile con la lettera della norma censurata, che continua a rinviare all’art. 79 del “primo” cod. contratti pubblici, per quanto abrogato.

Inoltre, essa comporterebbe lo slittamento anche del termine per proporre il ricorso principale, «in radicale contrasto con la previsione del rito speciale accelerato in materia di appalti pubblici».

5.– È intervenuto nel giudizio incidentale il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, eccependo la inammissibilità della questione, e, nel merito, chiedendo che essa sia dichiarata non fondata.

6.– La questione sarebbe inammissibile perché il rimettente non indica quale sia il regime «alternativo e conforme a Costituzione» rispetto a quello imposto dalla norma censurata.

Inoltre, essa sarebbe inammissibile perché il rimettente si è sottratto al dovere di interpretazione conforme, mancando di uniformarsi all’indirizzo giurisprudenziale che permette di incrementare il termine per proporre motivi aggiunti.

Il giudice a quo non avrebbe inoltre considerato la giurisprudenza secondo cui, nell’ipotesi in cui l’accesso non sia permesso tempestivamente dalla stazione appaltante, il giudice dovrà escludere che il termine per proporre motivi aggiunti decorra comunque.

7.– Le medesime considerazioni appena svolte sull’interpretazione conforme renderebbero la questione, ove ammissibile, in ogni caso non fondata.

8.– Si è costituito il Comune di Latiano, già parte del giudizio principale, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o non fondata.

Il Comune sostiene, al pari dell’Avvocatura generale, che la soluzione praticata dalla giurisprudenza respinta dal rimettente sia corretta, e superi ogni dubbio di legittimità costituzionale.

Tale indirizzo, si aggiunge, è stato di recente ribadito dalla Adunanza plenaria del Consiglio di Stato con la sentenza 24 giugno-2 luglio 2020, n. 12, che ha confermato come il rinvio disposto dall’art. 120, comma 5, cod. proc. amm. all’art. 79 del “primo” cod. contratti pubblici vada ora riferito all’art. 76 del d.lgs. n. 50 del 2016 (d’ora in avanti: “secondo” cod. contratti pubblici).

Il Comune condivide la «svalutazione del criterio letterale» a favore di una «interpretazione sistematica delle norme», e aggiunge che, nel caso di specie, si è in presenza di un mero difetto di coordinamento tra l’art. 120 cod. proc. amm. e il “secondo” cod. contratti pubblici.

9.– Si è costituita la Sincon srl, ricorrente nel giudizio principale, chiedendo che la questione sia accolta.

La parte premette di avere notificato il ricorso principale il 27 giugno 2019, quando ancora non era stata posta in grado di percepire la sussistenza dei vizi poi dedotti con motivi aggiunti, posto che la istanza di accesso del 30 maggio precedente non era stata ancora soddisfatta.

A parere della Sincon srl, i motivi aggiunti notificati il 31 luglio 2019 sarebbero tempestivi, perché intervenuti nel termine di trenta giorni dalla conoscenza degli atti, conseguita il 15 luglio precedente. La parte aggiunge che non vi sarebbero motivi per derogare al principio generale che fa decorrere il termine dalla conoscenza del vizio, ottenuta a seguito di accesso.

Tuttavia, ove si intendesse aderire alla ricostruzione ermeneutica fatta propria dal giudice a quo, e quindi si ritenesse che il termine di decadenza per proporre motivi aggiunti decorra dalla comunicazione dell’aggiudicazione, la questione di legittimità costituzionale sarebbe da accogliere, perché tale interpretazione lederebbe il diritto di difesa.

10.– Nell’imminenza dell’udienza pubblica, la Sincon srl ha depositato memoria, insistendo sulle conclusioni già formulate. Nel caso di specie, i motivi aggiunti proposti nel processo principale sarebbero tempestivi, in quanto la conoscenza dei vizi con essi dedotti sarebbe stata raggiunta solo a seguito di accesso agli atti, ai sensi dell’art. 52, comma 2, del “secondo” cod. contratti pubblici.

Considerato in diritto

1.– Il Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione staccata di Lecce, ha sollevato, con ordinanza del 2 marzo 2020 (reg. ord. n. 107 del 2020), questione di legittimità costituzionale dell’art. 120, comma 5, dell’Allegato 1 (Codice del processo amministrativo) al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell’articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo) in riferimento all’art. 24 della Costituzione, nella parte in cui fa decorrere il termine per proporre motivi aggiunti, nelle controversie di cui al comma 1, dalla ricezione della comunicazione di cui all’art. 79 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE).

Il rimettente giudica della legittimità di una procedura di affidamento di appalto pubblico di servizi, nella quale è controversa la tempestività della proposizione di motivi aggiunti al ricorso.

Questi ultimi, infatti, sono stati notificati il 31 luglio 2019, a seguito di accesso agli atti di gara conseguito il 15 luglio precedente. Tuttavia, la comunicazione dell’aggiudicazione (disciplinata ora, a seguito dell’abrogazione dell’indicato art. 79 del d.lgs. n. 163 del 2006 – d’ora in avanti: “primo” cod. contratti pubblici – dall’art. 76 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, recante «Codice dei contratti pubblici») era pervenuta alla parte ricorrente nel processo principale fin dal 29 maggio 2019, sicché, assumendo tale ultima data a dies a quo per computare il termine di decadenza per proporre i motivi aggiunti, sarebbe palese la tardività di questi ultimi e la conseguente irricevibilità del ricorso che li contiene.

Il giudice a quo muove da tale presupposto interpretativo, che reputa imposto dal chiaro tenore letterale della disposizione censurata, e ne denuncia gli esiti come difformi dalle garanzie del diritto di difesa assicurate dall’art. 24 Cost. Infatti, il termine di decadenza per proporre motivi aggiunti decorrerebbe da una data nella quale la parte ricorrente ben potrebbe ignorare i vizi che affliggono la procedura di gara, e la cui conoscenza potrebbe seguire non già alla mera comunicazione dell’aggiudicazione a favore di altro concorrente, ma alla visione degli atti del procedimento, per effetto dell’istanza di accesso.

2.– L’Avvocatura generale dello Stato ha eccepito l’inammissibilità della questione per «mancata compiuta individuazione del petitum», ovvero perché il rimettente non avrebbe indicato quale soluzione compatibile con la Costituzione questa Corte dovrebbe adottare, al fine di superare il prospettato vizio di illegittimità costituzionale.

L’eccezione non è fondata.

Questa Corte ha già affermato che «l’ordinanza di rimessione delle questioni di legittimità costituzionale non necessariamente deve concludersi con un dispositivo recante altresì un petitum, essendo sufficiente che dal tenore complessivo della motivazione emerga[no] con chiarezza il contenuto ed il verso delle censure» (sentenze n. 150 e n. 123 del 2021).

Nel caso di specie, il tenore dell’ordinanza di rimessione rende esplicito che il giudice a quo ravvisa una soluzione al dubbio di legittimità costituzionale nel regime generale di proposizione dei motivi aggiunti regolato dall’art. 43 dell’Allegato 1 al d.lgs. n. 104 del 2010 (d’ora in avanti: cod. proc. amm.), per il quale il termine non può che decorrere da quando chi abbia interesse al ricorso sia stato posto nelle condizioni di percepire il vizio, suscettibile di essere reso oggetto del motivo aggiunto.

3.– L’Avvocatura ha altresì eccepito l’inammissibilità della questione, perché il giudice rimettente avrebbe omesso ogni tentativo di interpretazione costituzionalmente conforme.

Ciò sarebbe particolarmente grave, secondo l’interveniente, alla luce della giurisprudenza amministrativa maturata sul censurato art. 120, comma 5, cod. proc. amm., che avrebbe già offerto una lettura della disposizione tale da renderla del tutto conforme all’art. 24 Cost.

La giurisprudenza, per la sua parte largamente maggioritaria, aveva infatti già precisato, al tempo in cui è stata adottata l’ordinanza di rimessione, che il rinvio contenuto nella norma censurata all’art. 79 del “primo” cod. contratti pubblici va ora riferito al vigente art. 76 del “secondo” cod. contratti pubblici, che disciplina l’analogo istituto delle informazioni da comunicare a candidati e offerenti nella gara pubblica. Si era aggiunto che, per effetto di tale rinvio, il termine di trenta giorni per proporre il ricorso è suscettibile di essere incrementato (cosiddetta dilazione temporale) con riferimento agli ulteriori quindici giorni che l’art. 76, comma 2, prima parte, del “secondo” cod. contratti pubblici prevede ai fini dell’accesso agli atti di gara, e che, in ogni caso, per le ipotesi in cui l’amministrazione non permetta l’accesso, o lo procrastini indebitamente, il termine decorre solo da quando l’interessato abbia conosciuto gli atti della procedura.

Successivamente all’ordinanza di rimessione, tale indirizzo giurisprudenziale ha incontrato l’avallo della Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, con la sentenza 24 giugno-2 luglio 2020, n. 12.

3.1.– L’eccezione non è fondata.

Il giudice rimettente si è mostrato consapevole dell’indirizzo ermeneutico appena rammentato, ma ha dichiarato di ritenerlo precluso all’interprete dalla univoca formulazione letterale dell’art. 120, comma 5, cod. proc. amm., la quale imporrebbe di computare la decorrenza del termine per proporre motivi aggiunti dalla comunicazione dell’aggiudicazione, senza alcun correttivo che permetta in ogni caso al ricorrente di godere pienamente del termine assegnato dal legislatore, ove il profilo di illegittimità non potesse essere colto sulla base del solo provvedimento di aggiudicazione.

Questa Corte ha ripetutamente affermato, a tale proposito, che «l’effettivo esperimento del tentativo di una interpretazione costituzionalmente orientata – ancorché risolto dal giudice a quo con esito negativo per l’ostacolo ravvisato nella lettera della disposizione denunciata – consente di superare il vaglio di ammissibilità della questione incidentale sollevata. La correttezza o meno dell’esegesi presupposta dal rimettente – e, più in particolare, la superabilità o non superabilità degli ostacoli addotti a un’interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione censurata – attiene invece al merito, e cioè alla successiva verifica di fondatezza della questione stessa» (sentenza n. 189 del 2019; in tal senso, sentenze n. 172 del 2021, n. 262 e n. 221 del 2015).

Pertanto, alla luce della motivazione offerta dal rimettente per contrapporsi all’interpretazione costituzionalmente orientata, pur predominante in giurisprudenza, la questione è ammissibile.

4.– Nel merito, essa non è fondata.

Anzitutto, va osservato che non sussiste alcuno degli ostacoli ravvisati dal giudice a quo, quanto alla praticabilità della interpretazione adeguatrice da ultimo sposata dalla menzionata Adunanza plenaria del Consiglio di Stato.

4.1.– Il giudice a quo ritiene, in primo luogo, che il rinvio operato dalla norma censurata alla comunicazione dell’aggiudicazione di cui all’art. 79 del “primo” cod. contratti pubblici, ai fini della decorrenza del termine per proporre motivi aggiunti, non permetta di postergare in nessun caso il dies a quo, neppure per l’ipotesi di accesso agli atti di gara, né di adottare soluzioni correttive che garantiscano l’esercizio del diritto di difesa, nonostante simile decorrenza.

Viene così ravvisato un impedimento letterale che si frapporrebbe all’interpretazione invalsa in giurisprudenza durante la vigenza dell’art. 79 appena citato, e che è stata poi riproposta con riferimento al sopravvenuto art. 76 del “secondo” cod. contratti pubblici.

Tuttavia, il rimettente non considera che entrambe le disposizioni appena ricordate disciplinano non solo l’informazione attinente alla aggiudicazione, ma anche quelle successive che l’amministrazione è tenuta a rendere disponibili, ovvero a comunicare, a seguito di richiesta di accesso agli atti (art. 79, comma 5-quater, del “primo” cod. contratti pubblici; art. 76, comma 2, del “secondo” cod. contratti pubblici). Fermo restando, perciò, che l’inizio del termine per proporre il ricorso coincide (in questo caso e salve le altre ipotesi individuate dalla giurisprudenza amministrativa) con la data della comunicazione della aggiudicazione, è proprio il rinvio al testo integrale (e dunque comprensivo dell’attività conseguente alla richiesta di accesso) dell’art. 79 del “primo” cod. contratti pubblici (ed ora a quello del sopravvenuto art. 76 del “secondo” cod. contratti pubblici) a ricondurre nel cerchio delle interpretazioni compatibili con la lettera della legge, secondo il contesto logico-giuridico al quale pertiene la norma, la lettura che impone una dilazione temporale, correlata all’esercizio dell’accesso nei quindici giorni previsti attualmente dall’art. 76 del vigente “secondo” cod. dei contratti pubblici (e, in precedenza, ai dieci giorni indicati invece dall’art. 79 del “primo” cod. contratti pubblici).

4.2.– Il rimettente, in secondo luogo, osserva che il censurato art. 120, comma 5, cod. proc. amm. continua a rinviare all’art. 79 del “primo” cod. contratti pubblici, pur dopo l’abrogazione di esso ad opera dell’art. 217, comma 1, lettera e), del “secondo” cod. contratti pubblici. Il giudice a quo ricava da ciò un ulteriore elemento letterale sfavorevole all’applicabilità alla fattispecie del sopraggiunto art. 76 del “secondo” cod. contratti pubblici, sulla quale ormai si fonda l’interpretazione adeguatrice accolta dalla giurisprudenza amministrativa.

Tuttavia, tale argomento è inidoneo a sorreggere una simile conclusione. L’abrogazione dell’art. 79 del “primo” cod. contratti pubblici, e la perdurante vigenza dell’art. 120, comma 5, cod. proc. amm. censurato, infatti, pone un dubbio ermeneutico concernente la natura formale o materiale del rinvio disposto dalla disposizione censurata, e, nel caso in cui l’interprete si orienti per il carattere formale, un ulteriore profilo concernente l’individuazione, ove possibile, della norma eventualmente divenuta applicabile in luogo di quella abrogata, e delle forme e dei limiti entro i quali il rinvio può continuare ad operare. Si tratta, vale a dire, di tappe di un percorso integralmente riconducibile alla sfera propria dell’interpretazione, ovvero di un’attività tipica del giudice. Rispetto ad esso la lettera della legge, per la parte in cui dispone un rinvio ad una disposizione successivamente abrogata, non è un ostacolo, ma al contrario il punto di partenza che onera l’interprete del compito di assegnare alla norma il significato che essa acquisisce, a seguito dell’abrogazione della disposizione oggetto di rinvio.

4.3.– Infine, il rimettente sostiene che l’interpretazione intesa a individuare nel sopraggiunto art. 76 del “secondo” cod. contratti pubblici l’oggetto del rinvio contenuto nell’art. 120, comma 5, cod. proc. amm. sarebbe del tutto eccentrica, perché comporterebbe che il termine per proporre non solo i motivi aggiunti, ma anche il ricorso principale decorra non già dalla comunicazione dell’aggiudicazione, ma «solo a partire dal momento in cui l’interessato abbia avuto cognizione degli atti della procedura» a seguito di richiesta di accesso.

Il rimettente ritiene tale effetto, che sarebbe «in radicale contrasto con la previsione del rito speciale accelerato in materia di appalti pubblici», una conseguenza necessitata del presupposto secondo il quale la norma censurata dispone ora un rinvio all’art. 76, comma 2, del “secondo” cod. contratti pubblici, che disciplina le comunicazioni rese dall’amministrazione a seguito di istanza di accesso.

Tale convincimento non è però condivisibile, perché non vi è alcuna ragione per ritenere che la norma censurata contenga ora un rinvio solo a tale porzione dell’art. 76 del “secondo” cod. contratti pubblici, e non anche al comma 1 dello stesso articolo, che continua a disciplinare la comunicazione dell’aggiudicazione.

Ne consegue che il testo dell’art. 120, comma 5, cod. proc. amm. è compatibile con un’interpretazione, come quella da ultimo seguita dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, secondo la quale il dies a quo per proporre il ricorso principale ed i motivi aggiunti decorre dalla comunicazione dell’aggiudicazione (salve le ulteriori ipotesi di decorrenza di altra natura, ed estranee al presente incidente di legittimità costituzionale), fermo il già descritto meccanismo di dilazione temporale per denunciare i vizi che emergano a seguito dell’accesso agli atti di gara.

5.– Una volta appurato che non vi è alcun impedimento letterale o logico ad adottare l’interpretazione della norma censurata propugnata dalla giurisprudenza amministrativa maggioritaria, avvallata dalla Adunanza plenaria, resta da verificare se essa sia tale da assicurare la conformità della disposizione all’art. 24 Cost.

Questa Corte osserva, in via preliminare, che senza dubbio sarebbe contrario alle garanzie proprie del diritto di difesa un assetto che imponga alla parte lesa dal provvedimento di aggiudicazione di proporre un ricorso recante motivi aggiunti prima che essa sia stata posta nelle condizioni di percepire il vizio che si intende denunciare, o comunque quando non le sia stato assicurato, a tal fine, l’intero termine di trenta giorni previsto dalla legge, e non le possa essere mosso alcun addebito di colpevole inerzia, o comunque di negligenza.

L’istituto stesso dei motivi aggiunti, infatti, è finalizzato, per quanto qui rileva, a permettere l’introduzione in giudizio di profili di illegittimità dell’atto impugnato che non era stato possibile percepire innanzi, sulla base della sola cognizione del provvedimento lesivo.

Perciò, prevedere che il termine di decadenza per proporre i motivi aggiunti maturi, nonostante il vizio non fosse conoscibile mediante l’impiego della ordinaria diligenza, comporterebbe una arbitraria e irragionevole compressione del diritto di agire (ex plurimis, sentenze n. 271 del 2019 e n. 94 del 2017).

Oltretutto, nella materia degli affidamenti pubblici di lavori, servizi o forniture soggetti al diritto dell’Unione europea, una tale previsione sarebbe anche in contrasto con quest’ultimo, che invece esige che il termine per proporre ricorso decorra dalla data in cui il ricorrente è venuto a conoscenza o avrebbe dovuto essere a conoscenza della illegittimità che intende denunciare (Corte di giustizia dell’Unione europea, sentenza 28 gennaio 2010, in causa C-406/08, Uniplex, UK, Ltd, e ordinanza 14 febbraio 2019, in causa C-54/18, Cooperativa Animazione Valdocco S.C.S. Impresa sociale Onlus), formulando così una regola che, in tale settore, concerne sia il ricorso principale, sia la proposizione di motivi aggiunti.

Perciò, sono compatibili con l’art. 24 Cost., oltre che con il diritto dell’Unione europea, ove applicabile, quelle sole interpretazioni del quadro normativo per effetto delle quali la parte ricorrente disponga di un termine non inferiore a trenta giorni per agire in giudizio, e comunque per proporre motivi aggiunti, tenuto conto della data in cui essa ha preso conoscenza, o avrebbe potuto prendere conoscenza usando l’ordinaria diligenza, dei profili di illegittimità oggetto dell’impugnativa. Si tratta, infatti, del termine discrezionalmente scelto dal legislatore per la proposizione sia del ricorso principale, sia dei motivi aggiunti, per i quali ultimi non è stabilita normativamente alcuna dimidiazione di esso.

6.– L’interpretazione respinta dal rimettente, ma avallata da ultimo dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, rientra nel novero appena descritto delle letture costituzionalmente orientate del censurato art. 120, comma 5, cod. proc. amm.

Difatti, essa assicura, mediante il meccanismo della cosiddetta dilazione temporale per i casi di accesso tempestivamente soddisfatto dall’amministrazione, che il termine per proporre i motivi aggiunti, pur decorrendo, per l’ipotesi prevista dalla disposizione censurata, dalla data di comunicazione dell’aggiudicazione, sia ugualmente pieno.

Parimenti, per il caso in cui l’amministrazione, invece, neghi l’accesso o lo procrastini con condotte dilatorie, il termine, secondo tale lettura esegetica, decorre, quanto ai vizi non percepibili innanzi, dalla data di effettiva conoscenza degli atti di gara, sicché con ciò si assicura alla parte ricorrente di poter usufruire dei trenta giorni assegnati dall’art. 120 cod. proc. amm. per articolare le proprie censure in giudizio.

7.– La configurabilità di un’interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione censurata, che supera il profilo di illegittimità costituzionale denunciato, e che peraltro è già dominante in giurisprudenza, rende non fondata la questione sollevata dal rimettente.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 120, comma 5, dell’Allegato 1 (Codice del processo amministrativo) al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell’articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo), sollevata, in riferimento all’art. 24 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione staccata di Lecce, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 ottobre 2021.

F.to:

Giancarlo CORAGGIO, Presidente

Augusto Antonio BARBERA, Redattore

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria il 28 ottobre 2021