Ordinanza n. 193 del 2021

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ORDINANZA N. 193

ANNO 2021

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Giancarlo CORAGGIO

Giudici: Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO,

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito delle nuove direttive disposte dalla Presidenza del Senato della Repubblica circa i criteri di redazione degli atti di sindacato ispettivo basati sull’applicazione degli artt. 145 e 154 del regolamento del Senato, promosso da Elio Lannutti, nella qualità di senatore, con ricorso depositato in cancelleria il 27 maggio 2021 ed iscritto al n. 3 del registro conflitti tra poteri dello Stato 2021, fase di ammissibilità.

Udita nella camera di consiglio del 22 settembre 2021 la Giudice relatrice Daria de Pretis;

deliberato nella camera di consiglio del 23 settembre 2021.

Ritenuto che, con ricorso depositato il 27 maggio 2021, il senatore Elio Lannutti ha promosso conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato contro il Senato della Repubblica, in persona del Presidente in carica;

che il conflitto presenta tre diversi oggetti: a) le «nuove direttive disposte dalla Presidenza circa i criteri di redazione degli atti di sindacato ispettivo», di cui dà atto il resoconto stenografico della 34a seduta pubblica dell’Assemblea del Senato, tenutasi l’11 settembre 2018; b) l’omessa pubblicazione, da parte del Presidente del Senato, di alcune interrogazioni presentate dal ricorrente nel 2021; c) la pubblicazione di altre interrogazioni dello stesso ricorrente in un testo diverso da quello presentato;

che il ricorrente riporta il contenuto delle direttive (definite nel ricorso «circolare bavaglio») adottate nel 2018 circa i criteri di redazione delle interrogazioni e delle interpellanze; in esse in particolare il Presidente, affermando di basarsi «su una rigorosa applicazione degli articoli 145 e 154 del Regolamento del Senato», precisa di ritenere «improponibili le interrogazioni contenenti elementi estranei rispetto alla “semplice domanda rivolta al Ministro competente per avere informazioni o spiegazioni su un oggetto determinato o per sapere se e quali provvedimenti siano stati adottati o si intendano adottare in relazione all’oggetto medesimo”, secondo la definizione del ricordato articolo 145 del Regolamento», e che, «[c]onseguentemente, l’eventuale parte premissiva dovrà essere strettamente collegata alla formulazione del quesito»; nelle direttive si afferma che le disposizioni regolamentari «appaiono inequivoche nel collegare la funzione degli atti di sindacato ispettivo alla concreta sfera di competenza dell’Esecutivo»: pertanto, «interrogazioni e interpellanze volte a chiedere l’intervento del Governo in ambiti ad esso preclusi (come le competenze guarentigiate di organi costituzionali, attribuzioni di altri poteri dello Stato, autorità indipendenti, ovvero organi territoriali o sovranazionali, attività di partiti politici) saranno considerati improponibili»;

che, secondo il ricorrente, sulla base di tali direttive alcune delle interrogazioni da lui presentate non sono mai state pubblicate e trasmesse ai destinatari e altre sono state pubblicate in un testo differente rispetto a quello presentato;

che, in particolare, non sarebbero mai state pubblicate e inoltrate ai destinatari due interrogazioni a risposta scritta presentate il 16 marzo 2021 e una presentata il 5 maggio 2021, mentre due interrogazioni a risposta scritta (una del 29 aprile 2021 e una del 5 maggio 2021) sarebbero state pubblicate in un testo diverso da quello presentato;

che il ricorso sintetizza il contenuto di queste cinque interrogazioni;

che, secondo il ricorrente, le direttive della Presidenza del Senato, così come l’inerzia del Senato nel trasmettere alcune interrogazioni nonché la pubblicazione di altre con quesiti diversi da quelli formulati costituirebbero atti e omissioni del Senato «concretanti una menomazione del potere costituzionale di controllo spettante all’esponente, nella sua qualità di Parlamentare uti singulus»;

che il ricorrente argomenta sull’ammissibilità del ricorso, osservando che la funzione di controllo del singolo parlamentare, «ancorché non espressamente menzionata dalla Carta costituzionale, è da questa implicitamente prevista, in quanto direttamente postulata» dalla forma di governo parlamentare, implicante un rapporto di fiducia tra Camere e Governo;

che, oltre che nell’art. 94 della Costituzione, il controllo parlamentare troverebbe la sua base giuridica nell’art. 1 Cost., «che riconosce al popolo l’appartenenza della sovranità», la quale si esplicherebbe anche attraverso il controllo delle Camere, elette direttamente dal corpo elettorale, sul Governo, «che non gode di legittimazione democratica diretta»;

che il potere di controllo costituirebbe un’attribuzione costituzionale del singolo parlamentare, giacché, ragionando diversamente, il parlamentare non sarebbe nella condizione di esprimere il proprio voto sulla fiducia, in quanto «gli sarebbe impedita qualsivoglia attività di controllo che non provenisse dall’impulso dell’intera Camera, secondo una logica di maggioranza»;

che la titolarità di tale potere in capo al singolo parlamentare discenderebbe anche dall’art. 67 Cost., che lo eleverebbe «a soggetto titolare di tutte le funzioni costituzionali connesse alla carica ricoperta, tra cui, indubbiamente, quelle di controllo»;

che, nel caso di specie, sarebbero dunque sussistenti entrambi i requisiti di ammissibilità del conflitto previsti dall’art. 37 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), ossia la capacità di dichiarare definitivamente la volontà del potere e la titolarità di un’attribuzione costituzionale;

che il ricorrente ricorda, infine, l’ordinanza n. 17 del 2019, con la quale questa Corte ha riconosciuto che il singolo parlamentare è potenzialmente legittimato a sollevare conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato;

che, nel merito, il ricorrente lamenta la lesione del proprio potere di controllo, in violazione degli artt. 1, 67 e 94 Cost.;

che il ricorrente riporta il contenuto degli artt. 146 e 153 del regolamento del Senato, osservando che esso stabilisce la procedura per la presentazione delle interrogazioni nonché i termini entro cui devono essere evase, e che tale procedura non sarebbe mai stata seguita per le sue interrogazioni;

che il ricorrente precisa altresì che «la violazione del Regolamento del Senato non rileva nel caso di specie», essendo non sindacabile davanti a questa Corte, ma che tale violazione rivelerebbe il carattere ingiustificato della compressione del potere costituzionale di controllo;

che la Presidenza del Senato avrebbe impedito l’esercizio del potere di interrogazione non solo non inoltrandone alcune ma anche modificando i quesiti di altre, perché la modifica si risolverebbe «nella formulazione di una nuova e diversa interrogazione»;

che illegittime sarebbero anche le già citate direttive della Presidenza del Senato, che limiterebbero in modo ingiustificato e dunque lederebbero «inammissibilmente la funzione di controllo di cui è titolare ogni singolo parlamentare»; inoltre, secondo il ricorrente alcuni degli ambiti che le direttive definiscono come «preclusi» per il Governo costituirebbero invece materie in relazione alle quali lo stesso non sarebbe privo di poteri (il riferimento è all’esempio degli «organi territoriali o sovranazionali», a fronte del quale il ricorrente menziona i poteri governativi di cui agli artt. 120 e 127 Cost., la «gestione delle relazioni internazionali» ed il ruolo svolto dall’Esecutivo nell’ordinamento europeo);

che infine il ricorrente, ricordata l’ordinanza n. 225 del 2017 di questa Corte, che ha riconosciuto la possibilità di disporre misure cautelari anche nel conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato, chiede che vengano adottate «misure cautelari idonee a tutelare le attribuzioni del ricorrente», rinviando, quanto al fumus, alle considerazioni sopra esposte;

che il periculum in mora discenderebbe «in via diretta ed immediata dalla totale inibizione del potere ispettivo» del ricorrente; le interrogazioni, riguardando l’azione del Governo in merito a questioni determinate, dovrebbero essere tempestivamente evase onde garantire un controllo parlamentare efficace;

che il ricorrente chiede dunque a questa Corte di adottare «le meglio ritenute misure cautelari», al fine di tutelarne le prerogative;

che la stessa vigenza delle direttive comprimerebbe le prerogative del ricorrente, impedendogli di formulare interrogazioni all’esecutivo in determinate materie e prevedendo «un intollerabile vaglio di ammissibilità/proponibilità delle interrogazioni medesime da parte dell’Ufficio di Presidenza del Senato», ciò che giustificherebbe la richiesta di sospendere l’efficacia delle stesse direttive, nelle more del conflitto;

che, in conclusione, il ricorrente chiede: a) l’accertamento della sua titolarità del potere di presentare interrogazioni al Presidente del Consiglio o al ministro competente e di ottenere una risposta da parte dei destinatari; b) l’accertamento della non titolarità in capo al Senato, in persona del Presidente, del potere di omettere gli adempimenti consistenti nell’annuncio dell’interrogazione all’Assemblea e nella sua trasmissione ai destinatari, così come del potere di modificarne il testo; c) l’accertamento della lesione del potere del ricorrente di presentare interrogazioni e di ottenere una risposta da parte dei destinatari, «in ragione del contegno costituzionalmente illegittimo del Senato»; d) la condanna del Senato, in persona del Presidente, a porre in essere gli adempimenti necessari affinché le interrogazioni presentate siano trasmesse ai destinatari nella loro formulazione originaria; e) l’accertamento della lesione del suo potere di controllo a causa dell’adozione delle direttive del Presidente del Senato sui criteri di redazione degli atti di sindacato ispettivo; f) l’annullamento delle stesse direttive.

Considerato che il senatore Elio Lannutti ha promosso conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato contro il Senato della Repubblica, in persona del Presidente in carica;

che il conflitto ha ad oggetto: a) le «nuove direttive disposte dalla Presidenza circa i criteri di redazione degli atti di sindacato ispettivo», di cui dà atto il resoconto stenografico della 34a seduta pubblica dell’Assemblea del Senato, tenutasi l’11 settembre 2018; b) l’omessa pubblicazione, da parte del Presidente del Senato, di alcune interrogazioni presentate dal ricorrente nel 2021; c) la pubblicazione di altre interrogazioni, proposte dal ricorrente sempre nel 2021, in un testo diverso da quello presentato;

che, in questa fase del giudizio, la Corte costituzionale è chiamata a deliberare, in camera di consiglio e senza contraddittorio, sulla sussistenza dei requisiti soggettivo e oggettivo prescritti dall’art. 37, primo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), ossia a decidere se il conflitto insorga tra organi competenti a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartengono e per la delimitazione della sfera di attribuzioni delineata per i vari poteri da norme costituzionali;

che l’ordinanza n. 17 del 2019 di questa Corte ha riconosciuto l’esistenza di una sfera di prerogative che spettano al singolo parlamentare e ha affermato che – qualora risultino lese da altri organi parlamentari – esse possono essere difese con lo strumento del ricorso per conflitto tra poteri dello Stato;

che, nella sentenza n. 379 del 2003, questa Corte ha rilevato che «[i]l potere di presentare interrogazioni, rivolte al Governo, […] ancorché non previsto espressamente dalla Costituzione, fa parte tradizionalmente delle attribuzioni del singolo membro delle Camere, nell’ambito dell’attività e della funzione ispettivo-politica ad esse spettante»;

che la stessa ordinanza n. 17 del 2019 ha precisato che «[l]a legittimazione attiva del singolo parlamentare deve […] essere rigorosamente circoscritta quanto al profilo oggettivo, ossia alle menomazioni censurabili in sede di conflitto»;

che «non possono trovare ingresso nei giudizi per conflitto di attribuzioni fra poteri dello Stato le censure che riguardano esclusivamente violazioni o scorrette applicazioni dei regolamenti parlamentari e delle prassi di ciascuna Camera» (ordinanza n. 17 del 2019; da ultimo, ordinanza n. 186 del 2021);

che, infatti, secondo la giurisprudenza costituzionale, «l’autonomia degli organi costituzionali “non si esaurisce nella normazione, bensì comprende – coerentemente – il momento applicativo delle norme stesse, incluse le scelte riguardanti la concreta adozione delle misure atte ad assicurarne l’osservanza” (da ultimo, sentenza n. 262 del 2017)», momento applicativo che a sua volta «comprende “i rimedi contro gli atti ed i comportamenti che incidano negativamente sulle funzioni dei singoli parlamentari e che pregiudichino il corretto svolgimento dei lavori” (sentenza n. 379 del 1996)» (così ancora l’ordinanza n. 17 del 2019);

che tale assunto va ribadito in questa sede, pur con la precisazione che «l’autonomia normativa e funzionale delle Camere non può essere interpretata quale affrancamento da qualsiasi forma di controllo esterno» (ordinanza n. 188 del 2021);

che il «dovuto rispetto all’autonomia del Parlamento esige che il sindacato di questa Corte debba essere rigorosamente circoscritto ai vizi che determinano violazioni manifeste delle prerogative costituzionali dei parlamentari ed è necessario che tali violazioni siano rilevabili nella loro evidenza già in sede di sommaria delibazione» (ordinanza n. 17 del 2019);

che tale requisito manca con riferimento alla parte del ricorso avente ad oggetto le nuove direttive del Presidente del Senato;

che il ricorrente contesta la possibilità per la Presidenza del Senato di prevedere, con una circolare, un vaglio di ammissibilità delle interrogazioni, limitando le materie sulle quali esse possono vertere;

che le direttive, là dove sanciscono l’improponibilità delle interrogazioni «contenenti elementi estranei» alla semplice domanda rivolta al ministro competente e richiedono che l’eventuale premessa sia «strettamente collegata alla formulazione del quesito», si limitano a confermare quanto risulta espressamente dal regolamento del Senato (non contestato dal ricorrente), che all’art. 145 individua il contenuto delle interrogazioni e all’art. 146 prevede che il Presidente ne valuti la proponibilità;

che, dunque, il ricorso, lungi dal dare conto di un’evidente violazione delle prerogative parlamentari, rivela in questa parte la manifesta assenza di una loro lesione;

che le stesse direttive, là dove affermano che le disposizioni regolamentari «appaiono inequivoche nel collegare la funzione degli atti di sindacato ispettivo alla concreta sfera di competenza dell’Esecutivo», e considerano improponibili interrogazioni «volte a chiedere l’intervento del Governo in ambiti ad esso preclusi», costituiscono interpretazione degli artt. 145 e 146 del regolamento e devono, dunque, considerarsi sottratte al sindacato di questa Corte in virtù dell’autonomia spettante alle Camere sull’applicazione e sull’interpretazione dei propri regolamenti (sentenze n. 262 del 2017, n. 120 del 2014, n. 246 del 2010, n. 379 del 1996, n. 129 del 1981 e n. 9 del 1959; ordinanze n. 188 e 186 del 2021, n. 86 del 2020, n. 17 del 2019, n. 149 e n. 91 del 2016);

che, di conseguenza, nemmeno sotto questo profilo emergono dalla prospettazione del ricorso evidenti violazioni delle prerogative del singolo parlamentare, avendo il Presidente del Senato esercitato il proprio potere di interpretare il regolamento di quel ramo del Parlamento;

che, in definitiva, il ricorso risulta inammissibile nella parte concernente le «nuove direttive» del 2018;

che allo stesso esito deve giungersi per la parte del ricorso riguardante l’omessa pubblicazione di alcune interrogazioni;

che, in forza del richiamato principio di autonomia delle Camere, «l’estensione del potere presidenziale e le concrete modalità del suo esercizio possono essere oggetto di valutazione ad opera di questa Corte solo in presenza di manifesta menomazione delle attribuzioni costituzionali del parlamentare» (ordinanza n. 188 del 2021, concernente il controllo del Presidente della Camera sull’ammissibilità dei progetti di legge);

che il ricorrente non contesta l’omessa pubblicazione di alcune sue interrogazioni in quanto, per il loro contenuto, sarebbero state da considerare proponibili, ma ne lamenta l’omessa pubblicazione in sé, affermando in sostanza il dovere del Presidente del Senato di pubblicare e trasmettere tutte le interrogazioni ricevute;

che l’art. 146 del regolamento del Senato prevede esplicitamente il controllo di proponibilità delle interrogazioni e il ricorrente non contesta tale disposizione;

che, dunque, la pretesa che ogni interrogazione debba avere un seguito è palesemente infondata, ciò che manifesta l’evidente assenza di una lesione della prerogativa del singolo parlamentare a causa della condotta omissiva del Presidente del Senato;

che, infine, il conflitto risulta inammissibile anche con riferimento alla pubblicazione di alcune interrogazioni in un testo non coincidente con quello presentato;

che, innanzi tutto, il ricorso contiene in questa parte alcune imprecisioni, in quanto: a) nelle premesse menziona un’interrogazione del 5 maggio 2021, rivolta al Presidente del Consiglio, definendola «mai annunciata», ma dall’elenco dei documenti allegati risulta che tale interrogazione è stata pubblicata in un testo modificato come atto di sindacato ispettivo n. 4-05461 (doc. 7 allegato al ricorso); b) nelle premesse si afferma che un’interrogazione del 5 maggio 2021, rivolta al Presidente del Consiglio e ai Ministri dell’economia e della giustizia, sarebbe stata pubblicata in un testo modificato come atto di sindacato ispettivo n. 4-05461, mentre essa è stata pubblicata come atto di sindacato ispettivo n. 4-05445 (tale testo modificato non risulta tra gli atti allegati al ricorso);

che, a prescindere da ciò, il ricorso risulta sul punto del tutto carente, in quanto il ricorrente – dopo aver proposto nelle premesse una sintesi del contenuto delle interrogazioni presentate – si limita ad affermare che alcune delle sue interrogazioni sarebbero state «modificate al punto di snaturarle», ma non illustra in alcun modo il testo o anche solo il senso delle modifiche, né opera un confronto tra i testi presentati e quelli pubblicati, né dà anche solo minimamente conto della portata delle modifiche stesse in funzione della lamentata manifesta lesione del potere di controllo tramite esse esercitato;

che, «ai fini dell’ammissibilità del conflitto, […] è necessario che [il singolo parlamentare ricorrente] alleghi e comprovi una sostanziale negazione o un’evidente menomazione della funzione costituzionalmente attribuita al ricorrente» (ordinanza n. 17 del 2019), individuando «puntualmente» i comportamenti asseritamente lesivi (ordinanza n. 186 del 2021);

che nel caso di specie il ricorrente non ha in alcun modo spiegato le ragioni per le quali le interrogazioni sarebbero state snaturate;

che, dunque, anche in questa parte il ricorso risulta inammissibile;

che la dichiarazione di inammissibilità del ricorso preclude l’esame dell’istanza cautelare (ordinanze n. 197, n. 196 e n. 195 del 2020).

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato promosso dal senatore Elio Lannutti con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 settembre 2021.

F.to:

Giancarlo CORAGGIO, Presidente

Daria de PRETIS, Redattrice

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria l'11 ottobre 2021.