Ordinanza n. 192 del 2021

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ORDINANZA N. 192

ANNO 2021

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Giancarlo CORAGGIO

Giudici: Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO,

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 6, secondo e terzo periodo, del decreto legislativo 23 febbraio 2000, n. 38 (Disposizioni in materia di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, a norma dell’articolo 55, comma 1, della legge 17 maggio 1999, n. 144), promosso dalla Corte d’appello di Cagliari, sezione civile, in funzione di giudice del lavoro, nel procedimento vertente tra C. S., quale erede di M. F., e l’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL), in persona del Direttore regionale Sardegna, con ordinanza del 17 settembre 2020, iscritta al n. 18 del registro ordinanze 2021 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 8, prima serie speciale, dell’anno 2021.

Visti l’atto di costituzione dell’INAIL, nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udita nella camera di consiglio del 22 settembre 2021 la Giudice relatrice Emanuela Navarretta;

deliberato nella camera di consiglio del 23 settembre 2021.

Ritenuto che, con ordinanza depositata il 17 settembre 2020 ed iscritta al r. o. n. 18 del 2021, la Corte d’appello di Cagliari, sezione civile, in funzione di giudice del lavoro, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 38 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 6, secondo e terzo periodo, del decreto legislativo 23 febbraio 2000, n. 38 (Disposizioni in materia di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, a norma dell’articolo 55, comma 1, della legge 17 maggio 1999, n. 144), «nella parte in cui portano ad una duplicazione totale o parziale dell’indennizzo, a differenza delle fattispecie disciplinate dal 1° periodo dello stesso comma»;

che la Corte rimettente riferisce di dover decidere sulla riassunzione della causa a seguito di annullamento con rinvio disposto dalla sentenza della Corte di cassazione, sezione lavoro, 6 dicembre 2017-19 marzo 2018, n. 6774;

che – secondo quanto espone il giudice a quo – nel primo grado del giudizio, il lavoratore M. F., minatore dal 1959 al 1988 e già titolare di una rendita liquidata per broncopneumopatia professionale, sulla base del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124 (Testo unico delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali), chiedeva che gli venisse riconosciuto, ai sensi del d.lgs. n. 38 del 2000, anche il danno biologico da silicosi conseguente all’attività lavorativa svolta;

che il Tribunale ordinario di Cagliari, con la sentenza del 19 luglio 2011, n. 1975, accoglieva la domanda e liquidava una rendita quantificata nel 25 per cento di danno biologico derivante da silicosi e da cardiopatia associata;

che tale decisione veniva formulata sulla base di una consulenza tecnica d’ufficio, la quale confermava la diagnosi di silicosi già effettuata in un altro procedimento relativo alla revisione della rendita per la broncopneumopatia, liquidata ai sensi del d.P.R. n. 1124 del 1965;

che, nell’ambito di tale precedente giudizio, il consulente tecnico d’ufficio aveva ritenuto non più condivisibile la diagnosi di broncopneumopatia, sussistendo un quadro patologico di silicosi, e cionondimeno era stata rivalutata la rendita imputata alla broncopneumopatia, con una elevazione del grado di inabilità lavorativa generica dal 14 per cento al 32 per cento;

che – come riferisce sempre la rimettente – l’INAIL agiva in appello sostenendo che il danno lamentato fosse stato già indennizzato con la rendita liquidata sulla base del d.P.R. n. 1124 del 1965 e che, comunque, il danno da silicosi, in quanto patologia concorrente, non avrebbe potuto essere indennizzato, se non previo scorporo del danno da broncopneumopatia;

che la Corte d’appello di Cagliari, con la sentenza del 28 novembre 2012, n. 518, negava il diritto all’indennizzo per il danno biologico da silicosi, escludendo che tale patologia fosse una nuova malattia concorrente e reputando il danno già indennizzato tramite la rendita rivalutata, ai sensi del d.P.R. n. 1124 del 1965;

che – come riporta la rimettente – l’appellato proponeva ricorso per cassazione e il giudice di legittimità, con la citata sentenza n. 6774 del 2018, annullava la decisione di secondo grado, ravvisando una violazione dell’art. 13, comma 6, del d.lgs. n. 38 del 2000;

che, in particolare, la Corte di cassazione riconosceva la silicosi come nuova e successiva patologia concorrente e riteneva, per un verso, che l’indennizzo per il danno biologico dovesse essere calcolato considerando gli effetti combinati della broncopneumopatia e della silicosi e, per un altro verso, che tale indennizzo andasse, comunque, liquidato in aggiunta alla rendita già riconosciuta per l’inabilità lavorativa conseguente alla broncopneumopatia;

che, all’esito della fase rescindente, il giudizio è stato riassunto dinanzi alla Corte d’appello di Cagliari da C. S., erede dell’originario ricorrente, nel contempo deceduto;

che, in conformità a quanto disposto dalla Corte di cassazione, il giudice a quo sostiene di dover applicare l’art. 13, comma 6, secondo e terzo periodo, del d.lgs. n. 38 del 2000, e di non potersi distaccare dall’interpretazione di tale disposizione offerta dal giudice di legittimità con la già citata sentenza rescindente, oltre che con la sentenza della Corte di cassazione, sezione lavoro, 6 dicembre 2017-3 marzo 2018, n. 6048, formulata in altro analogo giudizio;

che, secondo la Suprema Corte, «qualora il lavoratore goda di una rendita per una malattia professionale denunciata prima dell’entrata in vigore della disciplina dettata dal d.lgs. n. 38 del 2000 (ovvero prima del 25 luglio del 2000) e successivamente venga colpito da una nuova malattia professionale (non importa se concorrente o coesistente), il grado di menomazione conseguente alla nuova malattia professionale deve essere valutato senza tenere conto delle preesistenti menomazioni», senza, dunque, effettuare lo scorporo che consentirebbe di stimare i soli effetti derivanti dalla patologia concorrente verificatasi sotto il nuovo regime normativo (Cass. sentenza n. 6048 del 2018);

che la Corte d’appello di Cagliari, preso atto che l’applicazione del richiamato principio di diritto condurrebbe, nella fattispecie oggetto del giudizio a quo, a riconoscere – in base al secondo periodo dell’art. 13, comma 6, del d.lgs. n. 38 del 2000 – una rendita parametrata sul 25 per cento del danno biologico, derivante dagli effetti combinati della broncopneumopatia e della silicosi, nonché a preservare – in base al terzo periodo del medesimo articolo – la rendita stimata nel 32 per cento di inabilità lavorativa, cagionata dalla broncopneumopatia, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 6, secondo e terzo periodo, del d.lgs. n. 38 del 2000;

che la Corte rimettente ha ravvisato una violazione dell’art. 3 Cost. per disparità di trattamento fra le disposizioni censurate e quanto prevede il primo periodo dell’art. 13, comma 6, del d.lgs. n. 38 del 2000, in quanto le prime, nell’interpretazione che ne viene fornita dalla Corte di cassazione, determinerebbero una situazione di irragionevole privilegio rispetto alla previsione del primo periodo del medesimo comma 6;

che il giudice a quo reputa altresì violato l’art. 3 Cost., sotto la diversa angolatura della intrinseca irragionevolezza, in quanto le norme censurate farebbero «riferimento ad una piena efficienza fisica, anche se in concreto già compromessa» e, al contempo, costringerebbero a valutare «due volte le conseguenze di una determinata patologia»;

che da ciò discenderebbe una duplicazione dell’indennizzo che, oltre a essere irragionevole, violerebbe l’art. 38 Cost. e il principio di solidarietà sociale, a dispetto di quello che la Corte rimettente reputa un corollario del sistema dell’assicurazione sociale: vale a dire, il principio di incompatibilità tra le prestazioni derivanti dallo stesso fatto lesivo (art. 1, comma 43, della legge 8 agosto 1995, n. 335, recante «Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare»), nonché tra le prestazioni previdenziali e quelle assistenziali, pur se di diversa origine e frutto di un differente sistema di valutazione (art. 3 della legge 29 dicembre 1990, n. 407, recante «Disposizioni diverse per l’attuazione della manovra di finanza pubblica 1991-1993»);

che nel procedimento dinanzi a questa Corte si è costituito INAIL chiedendo di dichiarare le questioni non fondate, all’esito di un’interpretazione costituzionalmente orientata delle norme censurate, in linea con la ricostruzione della disposizione offerta dalla precedente sentenza di questa Corte n. 426 del 2006;

che, in particolare, la difesa dell’INAIL ha contestato, in conformità a quanto già affermato da questa Corte con la citata sentenza n. 426 del 2006, che si possano stimare gli effetti combinati della broncopneumopatia, verificatasi sotto la vigenza del d.P.R. n. 1124 del 1965, con la silicosi, sì da poter liquidare il danno biologico complessivo, in aggiunta alla rendita riconosciuta sulla base dell’inabilità lavorativa derivante dalla prima tecnopatia (terzo periodo dell’art. 13, comma 6, del d.lgs. n. 38 del 2000);

che, per converso, secondo la difesa dell’INAIL, nel caso delle patologie concorrenti, sarebbe imprescindibile effettuare lo scorporo degli effetti delle due malattie, per poter valutare in danno biologico solo quelli derivanti dalla tecnopatia ascrivibile, ratione temporis, al nuovo sistema;

che, infine, la difesa dell’INAIL ha aggiunto che, qualora l’interpretazione offerta dalla Corte di cassazione, con le richiamate sentenze n. 6774 e n. 6048 del 2018, «dovesse essere [considerata] l’unica interpretazione possibile del predetto comma 6 dell’art. 13», in tal caso, le questioni di legittimità costituzionale dovrebbero, viceversa, ritenersi fondate;

che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, la quale ha chiesto di dichiarare le questioni inammissibili o, comunque, manifestamente infondate;

che l’interveniente ha eccepito l’inammissibilità, sul presupposto che il rimettente invocherebbe una pronuncia manipolativa non costituzionalmente obbligata in una materia riservata alle scelte discrezionali del legislatore;

che, nel merito, sempre la difesa erariale ha sostenuto la manifesta infondatezza delle questioni, alla luce della citata sentenza n. 426 del 2006 di questa Corte, la quale avrebbe giustificato la scelta del legislatore di «cristallizzare, per un limitato periodo di applicazione intertemporale ed in considerazione del “consolidamento” delle liquidazioni già effettuate in base alla preesistente normativa, la disciplina applicabile a fattispecie eterogenea rispetto a quella oggetto della nuova e più favorevole normativa», così ponendo «una netta cesura tra i due regimi applicabili ratione temporis»;

che l’erede dell’assicurato non si è costituito in giudizio.

Considerato che, con ordinanza del 17 settembre 2020, iscritta al r. o. n. 18 del 2021, la Corte d’appello di Cagliari, sezione civile, in funzione di giudice del lavoro, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 38 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 6, secondo e terzo periodo, del decreto legislativo 23 febbraio 2000, n. 38 (Disposizioni in materia di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, a norma dell’articolo 55, comma 1, della legge 17 maggio 1999, n. 144), «nella parte in cui portano ad una duplicazione totale o parziale dell’indennizzo, a differenza delle fattispecie disciplinate dal 1° periodo dello stesso comma»;

che, successivamente all’ordinanza di rimessione, questa Corte, con la sentenza n. 63 del 2021, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 13, comma 6, secondo periodo, del d.lgs. n. 38 del 2000, «nella parte in cui non prevede che, per le patologie aggravate da menomazioni preesistenti concorrenti, trovi applicazione la medesima disciplina contemplata dal primo periodo, in aggiunta alla persistente erogazione della rendita di cui al terzo periodo del medesimo comma 6»;

che, pertanto, le questioni in esame devono essere dichiarate manifestamente inammissibili in quanto oramai prive di oggetto (ex plurimis, ordinanze n. 47 del 2021, n. 225 e n. 220 del 2020), atteso che, in ragione della intervenuta dichiarazione di illegittimità costituzionale, è venuta meno la norma che − secondo la Corte rimettente − determinava il denunciato contrasto con i parametri costituzionali evocati.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 6, secondo e terzo periodo, del decreto legislativo 23 febbraio 2000, n. 38 (Disposizioni in materia di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, a norma dell’articolo 55, comma 1, della legge 17 maggio 1999, n. 144), sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 38 della Costituzione, dalla Corte d’appello di Cagliari, sezione civile, in funzione di giudice del lavoro, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 settembre 2021.

F.to:

Giancarlo CORAGGIO, Presidente

Emanuela NAVARRETTA, Redattrice

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria l'11 ottobre 2021.