Ordinanza n. 130 del 2021

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ORDINANZA N. 130

ANNO 2021

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Giancarlo CORAGGIO

Giudici: Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO,

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 299 del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia (Testo A)», nella parte in cui abroga l’art. 42 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell’articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468), dell’art. 1, comma 473, della legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020), che ha introdotto l’art. 238-bis del medesimo d.P.R. n. 115 del 2002, e dell’art. 7 della legge 8 marzo 1999, n. 50 (Delegificazione e testi unici di norme concernenti procedimenti amministrativi – Legge di semplificazione 1998), promosso dal Giudice di pace di Taranto nel procedimento penale a carico di D. P., con ordinanza del 19 luglio 2019, iscritta al n. 50 del registro ordinanze 2020 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 22, prima serie speciale, dell’anno 2020.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 26 maggio 2021 il Giudice relatore Franco Modugno;

deliberato nella camera di consiglio del 26 maggio 2021.

Ritenuto che, con ordinanza del 19 luglio 2019 (r.o. n. 50 del 2020), il Giudice di pace di Taranto ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 299 del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia (Testo A)», nella parte in cui abroga l’art. 42 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell’articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468), e dell’art. 1, comma 473, della legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020), che ha introdotto l’art. 238-bis del d.P.R. n. 115 del 2002, prospettando la violazione degli artt. 25, 76, 97, primo (recte: secondo) comma, e 111 della Costituzione, «e, in via subordinata, dell’art. 7 della legge 8 marzo 1999, n. 50 (Delegificazione e testi unici di norme concernenti procedimenti amministrativi – Legge di semplificazione 1998), con riferimento all’art. 76 della Costituzione»;

che il giudice a quo premette di essere investito del processo nei confronti di una persona imputata del reato di cui all’art. 633 del codice penale, per aver occupato abusivamente un immobile di altrui proprietà;

che il rimettente rileva che l’imputato potrebbe essere condannato al termine del dibattimento e quindi sottoposto ad una delle pene previste per i reati di competenza del giudice di pace, compresa la permanenza domiciliare, essendogli stata contestata l’aggravante della recidiva reiterata infraquinquennale (art. 52, comma 3, del d.lgs. n. 274 del 2000): il che potrebbe determinare una successiva attività dello stesso giudice di pace, in qualità di giudice dell’esecuzione (art. 40 del d.lgs. n. 274 del 2000);

che, in ragione di ciò, «si rend[erebbe] necessario prevenire in dibattimento [un] eventuale conflitto di competenze, nell’applicazione e riconversione dell’eventuale condanna dell’imputato alla pena pecuniaria o alla pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità o alla permanenza domiciliare»;

che, al riguardo, il rimettente osserva che, con la sentenza 12 marzo 2019-24 aprile 2019, n. 17595, la prima sezione penale della Corte di cassazione, risolvendo un conflitto di competenza tra il Giudice di pace di Alessandria e il Magistrato di sorveglianza di Alessandria, ha ritenuto che competente a decidere in ordine alla conversione per insolvibilità del condannato di una pena irrogata dal giudice di pace sia il magistrato di sorveglianza;

che, in tale pronuncia, la Corte di cassazione ha rilevato che l’esecuzione delle pene pecuniarie inflitte dal giudice di pace era originariamente disciplinata dall’art. 42 del d.lgs. n. 274 del 2000, il quale stabiliva che l’accertamento dell’insolvibilità del condannato fosse svolto – anziché dal magistrato di sorveglianza, come stabilito in termini generali dall’art. 660 del codice di procedura penale – dallo stesso giudice di pace competente per l’esecuzione, che adottava anche i provvedimenti in ordine alla rateizzazione o alla conversione della pena pecuniaria;

che l’art. 42 del d.lgs. n. 274 del 2000 è stato, peraltro, abrogato dall’art. 299 del d.P.R. n. 115 del 2002, nel quale sono confluite le disposizioni legislative di cui al decreto legislativo 30 maggio 2002, n. 113, recante «Testo unico delle disposizioni legislative in materia di spese di giustizia (Testo B)», e le disposizioni regolamentari di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 114, recante «Testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di spese di giustizia (Testo C)»;

che tale intervento abrogativo si inseriva nel più ampio disegno volto ad attribuire in via generale, con l’art. 238 del d.P.R. n. 115 del 2002, al giudice dell’esecuzione i procedimenti di conversione delle pene pecuniarie: prospettiva nella quale lo stesso art. 299 abrogava anche l’art. 660 cod. proc. pen., che, come ricordato, affidava in precedenza al magistrato di sorveglianza i procedimenti in questione;

che, con la sentenza n. 212 del 2003, la Corte costituzionale ha dichiarato, tuttavia, costituzionalmente illegittimi, per eccesso di delega, gli artt. 238 e 299 del d.lgs. n. 113 del 2002, quest’ultimo nella parte in cui aveva abrogato l’art. 660 cod. proc. pen.: ciò, in quanto la modifica della competenza per il procedimento di conversione delle pene pecuniarie non poteva essere fatta rientrare nella materia delle spese di giustizia, alla quale soltanto atteneva la delega legislativa conferita dall’art. 7 della legge n. 50 del 1999, sulla cui base il d.lgs. n. 113 del 2002 era stato emanato;

che, a seguito di tale pronuncia, l’intera materia della conversione delle pene pecuniarie era confluita – secondo la sopra citata pronuncia della Corte di cassazione – nelle competenze del magistrato di sorveglianza: avendo la Corte costituzionale dichiarato illegittimo l’art. 299 del d.lgs. n. 113 del 2002 solo parzialmente, restava infatti salvo l’effetto abrogativo di tale norma sull’art. 42 del d.lgs. n. 274 del 2000, che prevedeva precedentemente, in via derogatoria, la competenza del giudice di pace; con la conseguenza che anche la conversione delle pene pecuniarie irrogate dal giudice onorario resterebbe affidata al magistrato di sorveglianza;

che tale conclusione – sempre secondo la Corte di cassazione – risulterebbe rafforzata dalla successiva introduzione dell’art. 238-bis del d.P.R. n. 115 del 2002 ad opera dell’art. 1, comma 473, della legge n. 205 del 2017, che, nel regolare la fase di attivazione della procedura di conversione delle pene pecuniarie non pagate, individua unicamente nel magistrato di sorveglianza l’organo competente a provvedere;

che, ad avviso del giudice a quo, la ricostruzione operata dalla Corte di cassazione avrebbe dovuto condurre, in realtà, a un diverso risultato: ossia a ritenere che l’art. 299 del d.P.R. n. 115 del 2002 sia costituzionalmente illegittimo, per eccesso di delega, anche nella parte in cui ha abrogato l’art. 42 del d.lgs. n. 274 del 2000; norma, quest’ultima, che dovrebbe «essere restituita a piena vigenza (ex tunc) esattamente come l’art. 660 c.p.p.», ripristinando, in tal modo, la competenza del giudice di pace in materia di conversione delle pene pecuniarie dallo stesso irrogate;

che l’affermazione contenuta nella sentenza n. 212 del 2003, secondo cui il legislatore delegato era «sicuramente privo del potere di dettare una disciplina del procedimento di conversione delle pene pecuniarie», tesa a modificare radicalmente le regole di competenza, sarebbe, infatti, riferibile all’intervento normativo nel suo complesso, e dunque anche all’art. 299 nella parte in cui ha abrogato l’art. 42 del d.lgs. n. 274 del 2000;

che, per gli stessi motivi, il rimettente dubita, altresì, della legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 473, della legge n. 205 del 2017, che ha introdotto nel d.P.R. n. 115 del 2002 l’art. 238-bis – il quale, come detto, nel disciplinare l’attivazione delle procedure di conversione delle pene pecuniarie, indica come competente per esse il magistrato di sorveglianza – ravvisando, anche in tal caso, la violazione dell’art. 76 Cost., nonché degli artt. 25, 97, primo (recte: secondo) comma, e 111 Cost., «e, in via subordinata, dell’art. 7 della legge 8 marzo 1999, n. 50 […], con riferimento all’art. 76 della Costituzione»;

che le questioni sarebbero «rilevant[i], e nei fatti decisiv[e] nel procedimento dibattimentale in corso», in quanto il loro accoglimento rappresenterebbe «un elemento nuovo e risolutivo per affermare che – diversamente da quanto sancito a risoluzione del conflitto venutosi a creare – competente a valutare l’eventuale applicazione della pena pecuniaria comminata all’imputato in sede di esecuzione dell’emananda sentenza, ma anche l’applicazione della pena sostitutiva, è il Giudice di pace e non il Magistrato di sorveglianza»;

che è intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili o infondate;

che, ad avviso dell’Avvocatura dello Stato, le questioni sarebbero inammissibili, perché palesemente premature e ipotetiche: esse investono, infatti, norme relative all’attribuzione di competenze proprie della fase esecutiva, delle quali non potrebbe certamente farsi questione nel corso del dibattimento di primo grado;

che, inoltre, la rilevanza delle questioni sarebbe prospettata dallo stesso rimettente in modo dubitativo ed eventuale, facendo riferimento alla possibilità che l’imputato sia condannato al termine del dibattimento;

che le questioni relative all’art. 299 del d.P.R. n. 115 del 2002, nella parte in cui abroga l’art. 42 del d.lgs. n. 274 del 2000, risulterebbero in ogni caso irrilevanti per la ragione già indicata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 95 del 2020: data la prevalenza, nel caso di specie, della norma generale posteriore su quella speciale anteriore, l’accoglimento di tali questioni non potrebbe produrre effetti nel giudizio principale, il quale continuerebbe ad essere regolato dall’art. 238-bis del d.P.R. n. 115 del 2002, con la conseguenza che la competenza per la conversione della pena pecuniaria irrogata dal giudice di pace rimarrebbe in capo al magistrato di sorveglianza;

che, con la medesima sentenza n. 95 del 2020, la Corte costituzionale ha dichiarato, d’altro canto, non fondate le questioni di legittimità costituzionale del citato art. 238-bis del d.P.R. n. 115 del 2002, rilevando, in particolare, come tale disposizione costituisca espressione dell’ampia discrezionalità legislativa nella conformazione degli istituti processuali, il cui esercizio è sindacabile, in sede di scrutinio di legittimità costituzionale, solo ove trasmodi nella manifesta irragionevolezza e nell’arbitrio: limiti che non possono ritenersi valicati nel caso in esame.

Considerato che il Giudice di pace di Taranto dubita della legittimità costituzionale:

a) dell’art. 299 del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia (Testo A)», nella parte in cui abroga l’art. 42 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell’articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468), che attribuiva al giudice di pace, quale giudice dell’esecuzione, la competenza in materia di conversione delle pene pecuniarie inflitte dallo stesso giudice onorario;

b) dell’art. 1, comma 473, della legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020), che ha introdotto l’art. 238-bis del d.P.R. n. 115 del 2002, il quale, nel regolare l’attivazione della procedura di conversione delle pene pecuniarie ineseguite per insolvibilità del condannato, individua come giudice competente il solo magistrato di sorveglianza;

che il giudice a quo denuncia la violazione dell’art. 76 della Costituzione, per eccesso di delega, in quanto la delega legislativa conferita dall’art. 7 della legge 8 marzo 1999, n. 50 (Delegificazione e testi unici di norme concernenti procedimenti amministrativi – Legge di semplificazione 1998), sulla cui base è stato emanato il decreto legislativo 30 maggio 2002, n. 113, recante «Testo unico delle disposizioni legislative in materia di spese di giustizia (Testo B)» – confluito nel d.P.R. n. 115 del 2002 – atteneva alla sola materia delle spese di giustizia e non consentiva, dunque, al legislatore delegato di operare modifiche alla competenza in tema di conversione delle pene pecuniarie;

che viene dedotta, altresì, la violazione degli artt. 25, 97, primo (recte: secondo) comma, e 111 Cost., «e, in via subordinata, dell’art. 7 della legge 8 marzo 1999, n. 50 (Delegificazione e testi unici di norme concernenti procedimenti amministrativi – Legge di semplificazione 1998), con riferimento all’art. 76 della Costituzione»;

che l’obiettivo sostanziale perseguito dal rimettente, tramite la proposizione dell’incidente di costituzionalità, è far sì che il giudice di pace torni ad essere competente a disporre, quale giudice dell’esecuzione – in luogo del magistrato di sorveglianza –, la conversione delle pene pecuniarie inflitte dallo stesso giudice onorario e rimaste ineseguite per insolvibilità del condannato;

che, conformemente a quanto eccepito dall’Avvocatura dello Stato, le questioni sono manifestamente inammissibili per difetto di rilevanza, in quanto palesemente premature e ipotetiche (ex plurimis, sentenza n. 217 del 2019; ordinanze n. 210 del 2020 e n. 259 del 2016), e vertenti su disposizioni delle quali il rimettente non è chiamato a fare applicazione (tra le altre, sentenze n. 20 del 2019, n. 177 del 2018; ordinanza n. 259 del 2016);

che l’istituto della conversione delle pene pecuniarie, cui si riferiscono i quesiti, si colloca, infatti, nella fase dell’esecuzione penale: esso presuppone che l’imputato sia stato condannato con sentenza irrevocabile a una di tali pene e che la stessa sia rimasta ineseguita;

che, secondo quanto si riferisce nell’ordinanza di rimessione, il giudice a quo è, per converso, investito di un giudizio di cognizione di primo grado nei confronti di una persona imputata del reato di invasione di edifici;

che il problema dell’individuazione del giudice competente per la conversione della pena pecuniaria che sarà eventualmente inflitta all’imputato è, dunque, del tutto inattuale – restando legato a eventi futuri e incerti – e, in ogni caso, non si porrà nell’ambito del giudizio di cui il rimettente è investito;

che, a ciò va aggiunto, che le censure di violazione degli artt. 25, 97, secondo comma, e 111 Cost. risultano sfornite di qualsiasi motivazione di supporto: il che costituisce ulteriore motivo di manifesta inammissibilità delle relative questioni;

che, per le ragioni indicate, le questioni vanno dichiarate quindi manifestamente inammissibili, restando assorbito l’ulteriore profilo di inammissibilità, eccepito dall’Avvocatura dello Stato, concernente le sole questioni aventi ad oggetto l’art. 299 del d.P.R. n. 115 del 2002 e che si connetterebbe all’infondatezza delle questioni, logicamente pregiudiziali, relative all’altra norma sottoposta a scrutinio, alla luce di quanto deciso da questa Corte con la sentenza n. 95 del 2020.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 1, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 299 del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia (Testo A)», e dell’art. 1, comma 473, della legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020), sollevate, in riferimento agli artt. 25, 76, 97, secondo comma, e 111 della Costituzione, dal Giudice di pace di Taranto con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede dalla Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 maggio 2021.

F.to:

Giancarlo CORAGGIO, Presidente

Franco MODUGNO, Redattore

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria il 24 giugno 2021.