Ordinanza n. 93 del 2021

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ORDINANZA N. 93

ANNO 2021

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Giancarlo CORAGGIO

Giudici: Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO,

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 4 del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23 (Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n 183), promosso dal Tribunale ordinario di Roma, in funzione di giudice del lavoro, nel procedimento instaurato da M.E. H.M. contro Insieme società cooperativa arl onlus e altro, con ordinanza del 3 gennaio 2020, iscritta al n. 61 del registro ordinanze 2020 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 24, prima serie speciale, dell’anno 2020.

Visto l’atto di costituzione di M.E. H.M.;

udito nella camera di consiglio del 14 aprile 2021 il Giudice relatore Silvana Sciarra;

deliberato nella camera di consiglio del 14 aprile 2021.

Ritenuto che, con ordinanza del 3 gennaio 2020, iscritta al n. 61 del registro ordinanze 2020, il Tribunale ordinario di Roma, in funzione di giudice del lavoro, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 4, primo comma, e 35, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 4 del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23 (Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183), «limitatamente alle parole “di importo pari a una mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio”»;

che il rimettente espone di dover decidere sull’impugnazione di un licenziamento disciplinare che gli «appare allo stato probabile che […] vada dichiarato illegittimo», per violazione della procedura sancita dall’art. 7 della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale, nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento), e di dover applicare la previsione censurata, che disciplina l’indennità spettante per i licenziamenti viziati dal punto di vista formale o procedurale;

che la disposizione in esame, nel prevedere una indennità parametrata in maniera rigida e fissa all’anzianità di servizio, soprattutto quando l’anzianità di servizio è «assai modesta», si porrebbe in contrasto con l’art. 3 Cost., sotto il profilo della violazione del principio di ragionevolezza: una indennità così determinata, difatti, non rappresenterebbe «una adeguata dissuasione del datore di lavoro dal licenziare ingiustamente (o comunque in violazione di legge)» e non garantirebbe neppure «un adeguato ristoro al pregiudizio concretamente arrecato»;

che la commisurazione dell’indennità alla sola anzianità di servizio sarebbe lesiva anche del principio di eguaglianza (art. 3 Cost.), in quanto condurrebbe a sanzionare «in modo uguale violazioni non solo produttive di danni differenti, ma di gravità che possono essere, a loro volta, del tutto differenti»;

che sarebbero violati anche gli artt. 4, primo comma, e 35, primo comma, Cost., in quanto «un criterio di commisurazione dell’indennità automaticamente legato all’anzianità di servizio» pregiudicherebbe l’interesse del lavoratore a non essere licenziato ingiustamente;

che si è costituita la parte ricorrente nel giudizio principale e ha chiesto di accogliere la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale ordinario di Roma e, in via consequenziale, di estendere la declaratoria di illegittimità costituzionale alla previsione dell’art. 4 del d.lgs. n. 23 del 2015 riguardante la misura massima, pari a dodici mensilità, dell’indennità risarcitoria;

che non è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri.

Considerato che il Tribunale ordinario di Roma, in funzione di giudice del lavoro, dubita della legittimità costituzionale dell’art. 4 del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23 (Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183), in riferimento agli artt. 3, 4, primo comma, e 35, primo comma, della Costituzione, nella parte in cui parametra l’indennità per il licenziamento affetto da vizi formali o procedurali alla sola anzianità di servizio, nella misura pari a una mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio;

che, ad avviso del rimettente, la determinazione dell’indennità risarcitoria in base al solo criterio dell’anzianità di servizio sarebbe irragionevole, oltre che lesiva del principio di eguaglianza (art. 3 Cost.) e della tutela del diritto al lavoro, sancita dagli artt. 4, primo comma, e 35, primo comma, Cost.;

che lo scrutinio di questa Corte è circoscritto ai profili di illegittimità costituzionale dedotti dal giudice a quo;

che la richiesta della parte ricorrente nel giudizio principale e costituita di dichiarare l’illegittimità costituzionale, in via consequenziale, della previsione dell’ammontare massimo dell’indennità risarcitoria, pari a dodici mensilità, sottende una diversa questione e mira ad ampliare irritualmente il tema del decidere, così come delimitato dall’ordinanza di rimessione: le censure del giudice a quo si appuntano, difatti, sul meccanismo di determinazione dell’indennità, non sull’ammontare – minimo e massimo – determinato dal legislatore;

che, pertanto, la richiesta svolta dalla parte non può essere presa in esame (da ultimo, sentenze n. 49 e n. 35 del 2021);

che, successivamente all’ordinanza di rimessione, questa Corte, con la sentenza n. 150 del 2020, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 4 del d.lgs. n. 23 del 2015, limitatamente alle parole «di importo pari a una mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio», in senso conforme al petitum dell’odierno rimettente;

che, pertanto, la questione sollevata deve essere dichiarata manifestamente inammissibile per sopravvenuta carenza di oggetto (fra le molte, ordinanze n. 47 del 2021, n. 225, n. 125 e n. 105 del 2020), poiché la disposizione censurata è stata già rimossa dall’ordinamento con efficacia retroattiva.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 4 del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23 (Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 4, primo comma, e 35, primo comma, della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Roma, in funzione di giudice del lavoro, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 aprile 2021.

F.to:

Giancarlo CORAGGIO, Presidente

Silvana SCIARRA, Redattore

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria il 7 maggio 2021.

Il Direttore della Cancelleria