Sentenza n. 71 del 2021

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SENTENZA N. 71

ANNO 2021

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Giancarlo CORAGGIO

Giudici: Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale del combinato disposto dei commi 44 e 45 dell’art. 1 della legge 24 dicembre 2012, n. 228, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2013)», promosso dal Tribunale ordinario di Torino, sezione lavoro, nel procedimento vertente tra M. C. B. e altri e il Ministero dell’istruzione dell’università e della ricerca, con ordinanza del 18 giugno 2019, iscritta al n. 28 del registro ordinanze 2020 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 10, prima serie speciale, dell’anno 2020.

Visti l’atto di costituzione di M. C. B. e altri, nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 23 marzo 2021 il Giudice relatore Angelo Buscema;

uditi l’avvocato Giovanna Tona per M. C. B. e altri e l’avvocato dello Stato Gabriella D’Avanzo per il Presidente del Consiglio dei ministri, in collegamento da remoto, ai sensi del punto 1) del decreto del Presidente della Corte del 16 marzo 2021;

deliberato nella camera di consiglio del 23 marzo 2021.

Ritenuto in fatto

1.– Il Tribunale ordinario di Torino, sezione lavoro, ha sollevato, con ordinanza del 17 giugno 2019 (reg. ord.. n. 28 del 2020), questioni di legittimità costituzionale del combinato disposto dei commi 44 e 45 dell’art. 1 della legge 24 dicembre 2012, n. 228, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2013)», in riferimento agli artt. 3 e 36 (recte: 36, primo comma) della Costituzione.

1.1.– Alla stregua della normativa censurata, a decorrere dall’anno scolastico 2012-2013, agli assistenti amministrativi incaricati di svolgere le mansioni di direttore dei servizi generali e amministrativi (DSGA) viene riconosciuto un trattamento in misura pari alla differenza tra quello previsto per quest’ultimo al livello iniziale della progressione economica e quello complessivamente goduto dall’assistente amministrativo incaricato.

Ad avviso del rimettente, anzitutto, tale meccanismo di determinazione del compenso spettante per lo svolgimento delle mansioni di DSGA, comportandone una progressiva riduzione equivalente all’aumento del trattamento economico correlato all’anzianità maturata dall’incaricato, fino all’azzeramento nel momento in cui raggiunge o supera lo stipendio tabellare iniziale previsto per la qualifica superiore, contrasterebbe con il principio di ragionevolezza.

In secondo luogo, la normativa denunciata violerebbe il principio di uguaglianza, in quanto, da un lato, determinerebbe un’ingiustificata discriminazione, a parità di mansioni, all’interno della medesima categoria, beneficiando maggiormente coloro che hanno una minore anzianità di servizio rispetto ai colleghi, e, dall’altro, riserverebbe agli assistenti amministrativi un trattamento deteriore rispetto, in particolare, ai docenti chiamati a svolgere le superiori mansioni di dirigente scolastico, i quali, viceversa, non patirebbero la riduzione del relativo compenso in proporzione inversa alla progressione economica correlata all’anzianità nella qualifica di provenienza.

Risulterebbe così violato l’art. 3 Cost.

Le norme censurate confliggerebbero altresì con l’art. 36, primo comma, Cost., in quanto il diritto ivi sancito a una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro prestato imporrebbe l’integrale e aggiuntiva corresponsione del trattamento economico previsto per lo svolgimento delle mansioni superiori, non decrescente in senso inverso rispetto all’anzianità di servizio maturata.

1.2.– Le questioni sollevate sarebbero rilevanti, in quanto il rimettente riferisce di essere stato adito da alcuni assistenti amministrativi che, chiamati a svolgere, in virtù di contratti di lavoro a tempo determinato, le mansioni superiori di DSGA per periodi concomitanti e successivi all’anno scolastico 2012-2013, hanno rivendicato il pagamento dell’indennità per le mansioni superiori, per tutti i periodi in cui le hanno svolte, in misura pari al differenziale economico dei livelli iniziali di inquadramento del DSGA e dell’assistente amministrativo, secondo la disciplina precedente all’entrata in vigore della legge n. 228 del 2012 e altrimenti applicabile ai ricorrenti nel giudizio a quo, ossia ai sensi dell’art. 69, comma 1, del Contratto collettivo nazionale di lavoro del Comparto scuola 1994-1997, sottoscritto in data 4 agosto 1995, richiamato dall’art. 146, lettera g), numero 7), del CCNL del Comparto scuola 2006-2009, sottoscritto in data 29 novembre 2007. Tali domande potrebbero trovare integrale accoglimento – allo stato lo sarebbero solo parzialmente, in ragione della sentenza n. 108 del 2016, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della normativa censurata «nella parte in cui non esclude dalla sua applicazione i contratti di conferimento delle mansioni superiori di direttore dei servizi generali ed amministrativi stipulati antecedentemente alla sua entrata in vigore» – solo a seguito della declaratoria di illegittimità costituzionale della disciplina denunciata. Quest’ultima, infatti, non sarebbe né suscettibile d’interpretazione costituzionalmente orientata, stante il tenore letterale, né di disapplicazione per contrasto con l’art. 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007, e con gli artt. 1 e 2 della direttiva 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro. Ciò in quanto il trattamento discriminatorio denunciato non dipenderebbe dall’età del lavoratore, a cui si riferiscono entrambe le fonti sovranazionali, bensì dall’anzianità di servizio e dalla correlata progressione economica.

2.– È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, deducendo l’infondatezza delle questioni sollevate.

Anzitutto, il meccanismo di determinazione del trattamento economico da riconoscere per lo svolgimento delle superiori mansioni di DSGA, oltre a essere compatibile con la previsione generale di cui all’art. 52 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), sarebbe tutt’altro che lesivo del principio di uguaglianza, trovando giustificazione nell’esigenza di impedire discriminazioni economiche a discapito di assistenti amministrativi con ridotta anzianità nell’esercizio delle relative mansioni, ma con lunghi periodi di esercizio di quelle superiori, o di un DSGA di ruolo con poca anzianità. Ad altrimenti opinare, il trattamento economico risulterebbe maggiormente correlato a fattori estrinseci rispetto alla prestazione di lavoro effettivamente svolta.

Tali argomenti confuterebbero anche la dedotta irragionevolezza della normativa denunciata.

L’infondatezza delle censure deriverebbe altresì dalla considerazione che il temporaneo conferimento delle mansioni superiori avverrebbe su base volontaristica e che, in tal modo, l’assistente amministrativo non solo conseguirebbe un vantaggio di fatto nell’espletamento nelle prove di concorso per accedere alla qualifica superiore, ma beneficerebbe anche a livello normativo di procedure selettive riservate al personale che possa vantare tale esperienza.

D’altra parte, questa Corte, investita della questione di legittimità costituzionale della medesima normativa oggi censurata, non avrebbe ravvisato il contrasto con l’art. 3 Cost. proprio con riferimento ai profili dedotti nella fattispecie, limitandosi a rilevare la sola violazione del principio di affidamento (è citata la sentenza n. 108 del 2016).

Quanto al contrasto con l’art. 36, primo comma, Cost., il Presidente del Consiglio dei ministri evidenzia come, pur non potendosi negare il progressivo ridursi del trattamento economico connesso al temporaneo conferimento delle mansioni superiori, il compenso riconosciuto, unitamente alla considerazione complessiva del trattamento riservato alla categoria di dipendenti in questione, costituisca scelta che, oltre a porsi in linea con gli obblighi di sostenibilità del debito pubblico, garantirebbe all’assistente amministrativo, quale effetto finale, un livello di remunerazione allineato a quello del DSGA, così soddisfacendo l’esigenza di proporzionalità alla qualità delle mansioni concretamente svolte.

3.– Si sono costituiti in giudizio cinque dei sei ricorrenti in via principale, deducendo la rilevanza delle questioni sollevate e condividendo le censure formulate dal giudice a quo.

In particolate, poi, le parti costituite hanno evidenziato come la disciplina dettata dalle disposizioni denunciate costituisca un unicum nell’ambito del pubblico impiego contrattualizzato, a esclusivo pregiudizio della categoria degli assistenti amministrativi, e come il risparmio derivante da quanto previsto, non in via transeunte né generalizzata, sia assolutamente irrisorio, onde la sproporzione rispetto agli scopi prefissati. Peraltro, la soddisfazione delle contingenti esigenze economiche e finanziarie non consentirebbe deroghe al principio di uguaglianza su cui si fonda l’ordinamento costituzionale.

4.– Con memoria illustrativa depositata in prossimità dell’udienza, il Presidente del Consiglio dei ministri ha ribadito le proprie difese, evidenziando come la sussistenza di un nesso eziologico tra la retribuzione e la scelta di rendersi disponibili all’esercizio delle mansioni superiori consenta di riconoscere preponderante rilievo, ai fini del giudizio di ragionevolezza, all’esigenza di contenimento della spesa perseguita dalla normativa censurata.

Anche le parti costituite hanno depositato memoria illustrativa, con cui, oltre a insistere negli argomenti già addotti a sostegno della fondatezza delle questioni sollevate, hanno sottolineato l’irrilevanza delle facilitazioni concorsuali normativamente previste, peraltro successive alla stipulazione dei contratti da essi sottoscritti. Parimenti irrilevante sarebbe la circostanza che la sentenza di questa Corte n. 108 del 2016 non si sia occupata delle (parzialmente) analoghe censure già allora formulate avverso la medesima normativa, avendole ritenute assorbite.

Considerato in diritto

1.– Il Tribunale ordinario di Torino, sezione lavoro, ha sollevato, con ordinanza del 17 giugno 2019 (reg. ord.. n. 28 del 2020), questioni di legittimità costituzionale del combinato disposto dei commi 44 e 45 dell’art. 1 della legge 24 dicembre 2012, n. 228, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2013)», in riferimento agli artt. 3 e 36 (recte: 36, primo comma) della Costituzione.

Alla stregua della normativa censurata, a decorrere dall’anno scolastico 2012-2013, agli assistenti amministrativi incaricati di svolgere le mansioni di direttore dei servizi generali e amministrativi (DSGA) viene riconosciuto un trattamento economico pari alla differenza tra quello previsto per quest’ultimo al livello iniziale della progressione economica e quello complessivamente goduto dall’assistente amministrativo incaricato.

Secondo il rimettente, tale criterio di determinazione del compenso per lo svolgimento delle mansioni superiori di DSGA, comportandone una progressiva riduzione equivalente all’aumento del trattamento economico correlato all’anzianità maturata dall’incaricato, fino all’azzeramento nel momento in cui raggiunge o supera lo stipendio tabellare iniziale previsto per la qualifica superiore, contrasterebbe anzitutto con il principio di ragionevolezza. In secondo luogo, il descritto meccanismo violerebbe il principio di uguaglianza, in quanto, da un lato, determinerebbe un’ingiustificata discriminazione, a parità di mansioni, all’interno della medesima categoria, beneficiando coloro che hanno una minore anzianità rispetto ai colleghi, e, dall’altro, pregiudicherebbe gli assistenti amministrativi rispetto ai docenti incaricati di svolgere le mansioni superiori di dirigente scolastico, che non patirebbero analoga riduzione del compenso. Risulterebbe così violato l’art. 3 Cost.

Le norme censurate confliggerebbero altresì con l’art. 36, primo comma, Cost., in quanto il diritto a una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro prestato imporrebbe l’integrale e aggiuntiva corresponsione del trattamento economico previsto per le mansioni superiori e non, invece, in misura decrescente, fino al potenziale azzeramento.

2.– Prima di procedere alla disamina delle questioni sollevate, occorre una sintetica ricostruzione del quadro normativo in cui le disposizioni censurate si inseriscono.

La disciplina generale della remunerazione delle mansioni superiori nell’ambito del pubblico impiego contrattualizzato è recata dall’art. 52 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), il quale prevede, al comma 2, che «[p]er obiettive esigenze di servizio il prestatore di lavoro può essere adibito a mansioni proprie della qualifica immediatamente superiore: a) nel caso di vacanza di posto in organico, per non più di sei mesi, prorogabili fino a dodici qualora siano state avviate le procedure per la copertura dei posti vacanti come previsto al comma 4; b) nel caso di sostituzione di altro dipendente assente con diritto alla conservazione del posto, con esclusione dell’assenza per ferie, per la durata dell’assenza». Il successivo comma 4 stabilisce che «[n]ei casi di cui al comma 2, per il periodo di effettiva prestazione, il lavoratore ha diritto al trattamento previsto per la qualifica superiore». Infine, ai sensi del comma 6 del medesimo art. 52, «[l]e disposizioni del presente articolo si applicano in sede di attuazione della nuova disciplina degli ordinamenti professionali prevista dai contratti collettivi e con la decorrenza da questi stabilita. I medesimi contratti collettivi possono regolare diversamente gli effetti di cui ai commi 2, 3 e 4».

L’art. 69, comma 1, del Contratto collettivo nazionale di lavoro del Comparto scuola 1994-1997, sottoscritto in data 4 agosto 1995 – a cui rinvia l’art. 146, lettera g), numero 7), del CCNL del Comparto scuola 2006-2009, sottoscritto il 29 novembre 2007, applicabile ai contratti stipulati dai ricorrenti nel giudizio a quo – prevede che «[a]l personale docente incaricato dell’ufficio di presidenza o di direzione, e al docente vicario, che sostituisce a tutti gli effetti il capo d’istituto per un periodo superiore a quindici giorni, nei casi di assenza o impedimento, nonché all’assistente amministrativo, che sostituisce il direttore amministrativo o il responsabile amministrativo, negli stessi casi, è attribuita, per l’intera durata dell’incarico o della sostituzione, una indennità pari al differenziale dei relativi livelli iniziali di inquadramento».

Tale regime è stato modificato dall’art. 1 della legge n. 228 del 2012, che, nei commi censurati, dispone che, «[a] decorrere dall’anno scolastico 2012-2013, l’articolo 1, comma 24, della legge 28 dicembre 1995, n. 549, trova applicazione anche nel caso degli assistenti amministrativi incaricati di svolgere mansioni superiori per l’intero anno scolastico ai sensi dell’articolo 52 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, per la copertura di posti vacanti o disponibili di direttore dei servizi generali e amministrativi» (comma 44) e che «[l]a liquidazione del compenso per l’incarico di cui al comma 44 è effettuata ai sensi dell’articolo 52, comma 4, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, in misura pari alla differenza tra il trattamento previsto per il direttore dei servizi generali amministrativi al livello iniziale della progressione economica e quello complessivamente in godimento dall’assistente amministrativo incaricato» (comma 45).

Il combinato disposto di dette norme, dichiarato costituzionalmente illegittimo dalla sentenza n. 108 del 2016 nella sua applicabilità retroattiva, comporta, come rilevato in tale occasione, che, «in luogo del criterio in precedenza adottato (che prendeva a riferimento le retribuzioni tabellari nelle rispettive qualifiche iniziali dell’assistente amministrativo e del DSGA), si deve tenere conto dell’intero trattamento economico complessivamente goduto dall’assistente amministrativo incaricato. Ne consegue che la valorizzazione dell’intero trattamento goduto dall’assistente amministrativo, in ogni caso di rilevante anzianità di servizio (superiore a 21 anni) […] produce l’azzeramento del compenso per le mansioni superiori, in quanto il trattamento complessivo in godimento è già pari o superiore a quello previsto come trattamento tabellare per la qualifica iniziale di DSGA».

3.– Tanto chiarito, le questioni sollevate non sono fondate.

Il giudice a quo lamenta che il meccanismo poc’anzi descritto di determinazione del compenso spettante per lo svolgimento delle superiori mansioni di DSGA risulti inevitabilmente lesivo del principio di proporzione della retribuzione alla quantità e qualità del lavoro prestato (art. 36, primo comma, Cost.) e irragionevole, determinando un’ingiustificata discriminazione, sia nell’ambito della medesima categoria degli assistenti amministrativi, sia rispetto al personale docente (art. 3 Cost.).

Le censure formulate dal rimettente presentano un elevato grado d’interconnessione, circostanza che induce a trattarle congiuntamente.

Occorre anzitutto rammentare come il legislatore goda di ampia discrezionalità, sia nell’articolazione delle carriere e dei passaggi di qualifica dei dipendenti pubblici (ex plurimis, sentenza n. 224 del 2020), che nella differenziazione del trattamento economico (ex plurimis, sentenza n. 330 del 1999), salvo il limite della palese arbitrarietà e della manifesta irragionevolezza della disciplina.

Tanto premesso, secondo la giurisprudenza di questa Corte, il lavoratore preposto a mansioni superiori ha diritto alla differenza di trattamento con la qualifica più elevata in virtù del principio della retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro prestato, di cui all’art. 36, primo comma, Cost., applicabile anche al pubblico impiego (sentenze n. 17 del 2014, n. 101 del 1995, n. 488 e n. 236 del 1992).

La normativa censurata rispetta tale principio, dal momento che l’art. 1, comma 45, della legge n. 228 del 2012 assicura all’assistente amministrativo di conseguire il trattamento economico previsto per il DSGA al livello iniziale della progressione economica.

Come già rilevato da questa Corte (sentenza n. 108 del 2016), l’attuale meccanismo, in quanto ancorato al differenziale tra il trattamento complessivo percepito dall’assistente amministrativo che ha ricevuto l’incarico e quello tabellarmente previsto come iniziale per il DSGA, comporta, dopo i 21 anni di anzianità, l’azzeramento del compenso per le mansioni superiori.

Ciò, tuttavia, non contrasta con gli artt. 3 e 36, primo comma, Cost.

Anzitutto, «la garanzia apprestata dall’art. 36 della Costituzione non esclude la legittimità di una prestazione volontariamente resa senza la previsione di un compenso» (sentenza n. 22 del 1996 e, nello stesso senso, ordinanza n. 94 del 2002) e tale è da considerare l’incarico di DSGA svolto da un assistente amministrativo che abbia raggiunto o superato il citato livello di anzianità, posto che esso trova fondamento volontaristico sia nella manifestazione di disponibilità all’assegnazione delle mansioni superiori che nel successivo contratto a tempo determinato stipulato con l’amministrazione.

In secondo luogo, questa Corte «si è ripetutamente pronunciata sul punto della necessità di una valutazione complessiva della retribuzione, ai fini del giudizio sulla sufficienza e la proporzionalità della stessa al lavoro prestato» (ex plurimis, sentenza n. 96 del 2016). In applicazione di detto principio, il legislatore, dopo aver correlato all’anzianità di servizio come assistente amministrativo una progressione economica (Tabella A di cui al CCNL del Comparto scuola stipulato il 4 agosto del 2011, che ha rimodulato le posizioni stipendiali a decorrere dal 1° settembre 2010), di essa tiene conto nel momento in cui si confronta con il conferimento di un incarico implicante mansioni superiori e con la necessità di garantire la proporzionalità della retribuzione globalmente considerata.

Il riconoscimento di una progressione economica indubbiamente valorizza – e, quindi, già in parte remunera – la maggior esperienza e professionalità maturata dal dipendente nel corso degli anni di lavoro. Non è quindi manifestamente irragionevole che, nel caso di conferimento dell’incarico di DSGA, l’ordinamento preveda una retribuzione aggiuntiva via via decrescente, fino all’azzeramento, per il dipendente più anziano, dotato, sì, di maggiori esperienze, ma per esse già remunerato. A diversamente opinare, peraltro, si giungerebbe ad affermare che, a parità di mansioni svolte, sia costituzionalmente necessario riconoscere all’assistente amministrativo con un’anzianità maggiore ai 21 anni un compenso più elevato di quello previsto per il DSGA a livello iniziale, sebbene quest’ultimo «sia titolare di quelle funzioni appartenendo ad un ruolo diverso ed essendo stata oggettivamente accertata con apposita selezione concorsuale la maggiore qualificazione professionale, significativa di una più elevata qualità del lavoro prestato» (sentenze n. 115 del 2003 e n. 273 del 1997).

Le considerazioni svolte, oltre a escludere la manifesta irragionevolezza del meccanismo previsto dalla normativa censurata, giustificano la diversità di trattamento da essa riservata all’assistente amministrativo dotato di minor anzianità – e quindi destinato a beneficiare concretamente di un incremento retributivo in correlazione all’adibizione alle mansioni superiori di DSGA (come tutti i ricorrenti nel giudizio a quo) – rispetto a quello che ne ha maturata una superiore a 21 anni, proprio perché diversamente si atteggia la valutazione complessiva della retribuzione da essi altrimenti goduta.

Quanto, poi, alla dedotta disparità di trattamento che la normativa censurata riserverebbe agli assistenti amministrativi rispetto al personale docente, che continua a beneficiare del precedente criterio di determinazione del compenso spettante per lo svolgimento delle mansioni superiori di dirigente scolastico, non è ravvisabile alcun vulnus all’art. 3 Cost.

Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, infatti, la violazione del principio di uguaglianza sussiste «qualora situazioni sostanzialmente identiche siano disciplinate in modo ingiustificatamente diverso e non quando alla diversità di disciplina corrispondano situazioni non assimilabili» (ex plurimis, sentenza n. 85 del 2020).

Nella fattispecie difetta la condizione di sostanziale identità delle situazioni messe a confronto.

Anzitutto, a livello normativo, lo stato giuridico delle due categorie viene diversamente delineato dal decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297 (Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado), il quale si occupa del personale docente, educativo, direttivo e ispettivo nel Titolo I della Parte III (articoli da 395 a 541) e del personale amministrativo, tecnico e ausiliario (ATA), nel cui novero includere gli assistenti amministrativi, nei Titoli II e III della medesima Parte III (articoli da 542 a 589). In ragione di tale diversa disciplina, questa Corte ha già avuto modo di affermare che, «[i]n merito […] alla denunciata disparità di trattamento del personale docente rispetto al personale dirigente e al personale ATA, […], va osservato che le indicate tipologie di personale versano in una situazione di stato giuridico che non ne consente l’assimilazione in una unica categoria, con la conseguenza che non è irragionevole la previsione di una diversa disciplina in materia» (sentenza n. 322 del 2005).

Inoltre, sono notoriamente ed evidentemente diverse le attività di docenza da quelle amministrative nonché le mansioni di spettanza delle due categorie di dipendenti, come emerge chiaramente sia a livello legislativo – artt. 395, 396 e 397 del d.lgs. n. 297 del 1994 per le funzioni docente, ispettiva e direttiva; artt. 543 e seguenti per le aree funzionali e i ruoli del personale ATA, normativa che detta coordinate provvisorie nell’attesa dell’intervento della contrattazione collettiva, cui ne è demandata la definizione (art. 542) – sia nello stesso CCNL del 2007, che, dopo aver richiamato aree professionali distinte (rispettivamente, artt. 25, comma 1, e 44, comma 3), ne declina autonomamente e diversamente i compiti (in particolare, articoli da 26 a 31 per il personale docente; artt. 44 e 47 per il personale ATA).

Anche gli aspetti economico-retributivi relativi alle due categorie di dipendenti (docenti e ATA) risultano differenziati nell’ambito del CCNL del 2007, segnatamente per quanto riguarda il trattamento accessorio (art. 77).

Infine, sotto il profilo della progressione di carriera, l’art. 1, comma 605, della legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020), e il combinato disposto dell’art. 2, comma 6, del decreto-legge 29 ottobre 2019, n. 126 (Misure di straordinaria necessità ed urgenza in materia di reclutamento del personale scolastico e degli enti di ricerca e di abilitazione dei docenti) – convertito, con modificazioni, nella legge 20 dicembre 2019, n. 159, e successivamente modificato dall’art. 1, comma 972, della legge 30 dicembre 2020, n. 178 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2021 e bilancio pluriennale per il triennio 2021-2023) – e dell’art. 22, comma 15, del decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 75, recante «Modifiche e integrazioni al decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, ai sensi degli articoli 16, commi 1, lettera a), e 2, lettere b), c), d) ed e) e 17, comma 1, lettere a), c), e), f), g), h), l) m), n), o), q), r), s) e z), della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche», hanno previsto un regime agevolativo del tutto particolare proprio per l’accesso al profilo di DSGA da parte dell’assistente amministrativo che abbia maturato una pregressa esperienza triennale nell’esercizio delle corrispondenti mansioni, consentendo di prescindere una tantum dal requisito culturale della laurea, ordinariamente richiesta (sentenza n. 275 del 2020), e prevedendo delle procedure selettive riservate, nonché, per l’attribuzione dei posti, la valorizzazione dell’attività concretamente svolta.

Stante la diversità delle situazioni messe a confronto, questa Corte non ravvisa la denunciata disparità di trattamento e, quindi, anche sotto tale ulteriore profilo, ritiene insussistente la violazione dell’art. 3 Cost.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale del combinato disposto dei commi 44 e 45 dell’art. 1 della legge 24 dicembre 2012, n. 228, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2013)», sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 36, primo comma, della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Torino, sezione lavoro, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 marzo 2021.

F.to:

Giancarlo CORAGGIO, Presidente

Angelo BUSCEMA, Redattore

Filomena PERRONE, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 19 aprile 2021.