Sentenza n. 228 del 2020

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SENTENZA N. 228

 

ANNO 2020

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

 

Presidente: Mario Rosario MORELLI;

 

Giudici: Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA,

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 4 della legge della Regione autonoma Sardegna 3 luglio 2003, n. 7, recante «Disposizioni diverse in materia di edilizia residenziale pubblica e integrazioni alla legge regionale 17 ottobre 1997, n. 29 (Istituzione del servizio idrico integrato, individuazione e organizzazione degli ambiti territoriali ottimali in attuazione della Legge 5 gennaio 1994, n. 36)», promosso dal Tribunale ordinario di Cagliari, in composizione monocratica, nel procedimento vertente tra Giuliano Bocco e l’Azienda Regionale per l’Edilizia Abitativa, con ordinanza del 2 agosto 2019, iscritta al n. 15 del registro ordinanze 2020 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 7, prima serie speciale, dell’anno 2020.

 

Visto l’atto di intervento della Regione autonoma Sardegna;

 

udito nella camera di consiglio del 7 ottobre 2020 il Giudice relatore Augusto Antonio Barbera;

 

deliberato nella camera di consiglio del 7 ottobre 2020.

 

Ritenuto in fatto

 

1.– Con ordinanza del 2 agosto 2019 (r.o. n. 15 del 2020), il Tribunale ordinario di Cagliari, in composizione monocratica, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 4 della legge della Regione autonoma Sardegna 3 luglio 2003, n. 7 recante «Disposizioni diverse in materia di edilizia residenziale pubblica e integrazioni alla legge regionale 17 ottobre 1997, n. 29 (Istituzione del servizio idrico integrato, individuazione e organizzazione degli ambiti territoriali ottimali in attuazione della Legge 5 gennaio 1994, n. 36)», in riferimento agli artt. 3 e 117, secondo comma, lettere d), g) e h), della Costituzione.

 

 

La disposizione censurata disciplina il canone degli alloggi di servizio destinati al personale civile e militare della pubblica sicurezza, dell’Arma dei carabinieri, del Corpo della guardia di finanza, del Corpo degli agenti di custodia e del Corpo forestale dello Stato, che sono stati costruiti e sono gestiti ai sensi della legge 6 marzo 1976, n. 52 (Interventi straordinari per l’edilizia a favore del personale civile e militare della pubblica sicurezza, dell’Arma dei carabinieri, del Corpo della guardia di finanza, del Corpo degli agenti di custodia e del Corpo forestale dello Stato).

 

La normativa statale prevede che la gestione degli immobili, che rimangono di proprietà dello Stato, spetti agli istituti autonomi delle case popolari, e che a questi ultimi competa un canone di locazione, da determinare con decreto del Ministro dei lavori pubblici, di concerto con il Ministro per il tesoro, sentiti i Ministri interessati e il comitato per l’edilizia residenziale.

 

La disposizione censurata, per il caso in cui il decreto manchi e fino a che non sia adottato, stabilisce che il canone sia quantificato in base alla legge della Regione autonoma Sardegna 6 aprile 1989, n. 13, recante «Disciplina regionale delle assegnazioni e gestione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica».

 

Nel giudizio a quo, sulla base di tali previsioni l’azienda regionale per l’edilizia abitativa, subentrata agli istituti delle case popolari, ha aggiornato il canone di locazione di un immobile detenuto in godimento da un agente del Corpo di polizia penitenziaria fin dal 1998. Si è applicato, in particolare, l’art. 36 della legge reg. Sardegna n. 13 del 1989, che prevede i criteri di aggiornamento al costo della vita del canone di locazione degli immobili di edilizia residenziale pubblica.

 

Il rimettente conosce dell’opposizione, da parte del conduttore, al decreto ingiuntivo con cui è stato ordinato il pagamento della somma dovuta a tale titolo.

 

Il giudice a quo, con ampi riferimenti alla giurisprudenza costituzionale e di legittimità, premette che gli immobili disciplinati dalla legge n. 52 del 1976 sono destinati a soddisfare l’interesse dello Stato all’organizzazione e al buon andamento dei servizi di pubblica sicurezza, permettendo ai dipendenti addetti a questi ultimi di reperire un alloggio a prezzo calmierato presso la sede di servizio.

 

Essi, pertanto, esulerebbero dalla disciplina dell’edilizia residenziale pubblica, per essere, invece, oggetto della competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di ordine pubblico e sicurezza, difesa e organizzazione amministrativa. Tale conclusione, aggiunge il rimettente, dovrebbe concernere non solo gli immobili concessi a titolo gratuito (cosiddetti alloggi di servizio in senso stretto), ma anche quelli goduti dietro corrispettivo, posto che anch’essi non sono stati costruiti con la finalità di ampliare l’offerta abitativa pubblica per i ceti meno abbienti, ma per conseguire l’interesse dello Stato al buon andamento dei servizi di pubblica sicurezza (come questa Corte avrebbe affermato con la sentenza n. 417 del 1994).

 

Il rimettente esclude, per tale ragione, che la disciplina del canone possa essere ricondotta alla competenza legislativa residuale della Regione in materia di edilizia residenziale pubblica, e dubita, perciò, che la norma impugnata abbia invaso la competenza esclusiva statale tracciata dall’art. 117, secondo comma, lettere d), g) e h), Cost.

 

Inoltre, nell’imporre un canone più elevato agli assegnatari di alloggi in Sardegna che non nel resto d’Italia, la disposizione censurata, non suscettibile di interpretazione costituzionalmente conforme, avrebbe leso il principio di uguaglianza (art. 3 Cost.).

 

2.– È intervenuta in giudizio la Regione autonoma Sardegna, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili, o non fondate.

 

La Regione premette che il decreto ministeriale di fissazione del canone degli alloggi regolati dalla legge n. 52 del 1976 non è mai stato adottato.

 

Pertanto, in sede di stipula dei contratti di locazione ad essi relativi, la parte pubblica ha sempre applicato la disciplina relativa agli immobili di edilizia residenziale pubblica. Lo stesso contratto di locazione dedotto nel giudizio principale prevede, infatti, che «[l]’importo [del] canone è stato determinato ai sensi delle vigenti leggi in materia di E.R.P. [edilizia residenziale pubblica] e potrà essere variato in qualsiasi momento a seguito della applicazione di norme di legge».

 

Del resto, aggiunge la Regione, la stessa delibera del Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE) 13 marzo 1995, n. 21 (Edilizia residenziale pubblica: criteri generali per l’assegnazione degli alloggi e per la determinazione dei canoni) eccettuerebbe dal proprio ambito applicativo solo gli alloggi di servizio in senso stretto, ovvero quelli concessi senza contratto di locazione.

 

Ciò detto, la Regione eccepisce l’inammissibilità delle questioni per difetto di rilevanza, perché, se anche esse fossero accolte, in ogni caso il conduttore sarebbe tenuto a corrispondere il canone aggiornato, sulla base di quanto previsto dal contratto di locazione. Inoltre, il rimettente non avrebbe motivato a sufficienza sulla non manifesta infondatezza delle questioni.

 

La difesa regionale aggiunge che gli alloggi di servizio locati in base alla legge n. 52 del 1976 andrebbero ricompresi nell’ambito della competenza legislativa residuale della Regione in materia di edilizia residenziale pubblica, a partire dall’entrata in vigore della legge 24 dicembre 1993, n. 560 (Norme in materia di alienazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica), che ne ha consentito l’alienazione, così ponendo fine al collegamento della locazione con l’espletamento del servizio pubblico.

 

La giurisprudenza costituzionale citata in senso contrario dal rimettente non avrebbe asserito il contrario per opporsi all’aggiornamento di canoni divenuti oramai “irrisori”, ma al solo fine di riconoscere allo Stato la competenza ad assegnarli in godimento.

 

 

Quanto alla gestione dei beni e alla determinazione del canone, la difesa della Regione afferma che essa sarebbe stata trasferita alle Regioni dall’art. 93 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 (Attuazione della delega di cui all’art. 1 della legge 22 luglio 1975, n. 382), e sarebbe perciò stata esercitata legittimamente sulla base della norma impugnata.

 

Le questioni sarebbero inoltre non fondate, perché nel 2013 la proprietà dell’immobile relativo al giudizio principale è stata trasferita dallo Stato alla Regione, in forza dell’art. 14 dello statuto di autonomia recato dalla legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna), a seguito dell’accertamento che esso non è più connesso a servizi di competenza statale.

 

Perciò, si avrebbe conferma della pertinenza in causa della sola materia dell’edilizia residenziale pubblica.

 

In caso contrario, conclude sul punto la Regione autonoma Sardegna, lo Stato lederebbe l’autonomia finanziaria regionale, perché i costi di gestione degli immobili in oggetto non potrebbero essere coperti dai canoni di locazione non aggiornati.

 

Quanto alla censura riferita all’art. 3 Cost., la difesa regionale osserva che, in assenza del decreto ministeriale di fissazione del canone, «quasi tutte le regioni hanno applicato i criteri di E.R.P.» sicché la norma impugnata non discriminerebbe affatto i conduttori in Sardegna, posto che tra tali criteri vi è l’aggiornamento del canone.

 

Considerato in diritto

 

1.– Il Tribunale ordinario di Cagliari, in composizione monocratica, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 4 della legge della Regione autonoma Sardegna 3 luglio 2003, n. 7, recante «Disposizioni diverse in materia di edilizia residenziale pubblica e integrazioni alla legge regionale 17 ottobre 1997, n. 29 (Istituzione del servizio idrico integrato, individuazione e organizzazione degli ambiti territoriali ottimali in attuazione della Legge 5 gennaio 1994, n. 36)», in riferimento agli artt. 3 e 117, secondo comma, lettere d), g) e h), della Costituzione.

 

La disposizione censurata ha per oggetto l’aggiornamento del canone degli alloggi di servizio destinati al personale civile e militare della pubblica sicurezza, dell’Arma dei carabinieri, del Corpo della guardia di finanza, del Corpo degli agenti di custodia e del Corpo forestale dello Stato, che sono stati costruiti e sono gestiti ai sensi della legge 6 marzo 1976, n. 52 (Interventi straordinari per l’edilizia a favore del personale civile e militare della pubblica sicurezza, dell’Arma dei carabinieri, del Corpo della guardia di finanza, del Corpo degli agenti di custodia e del Corpo forestale dello Stato).

 

Per tali casi, l’art. 1, comma 3, della citata legge n. 52 del 1976 prevede che i canoni di locazione siano stabiliti «con decreto del Ministro per i lavori pubblici, di concerto con il Ministro per il Tesoro, sentiti i Ministri interessati e il comitato per l’edilizia residenziale».

 

Tuttavia, osserva il rimettente, tale decreto non sarebbe mai stato adottato, sicché nella Regione Sardegna, in cui la relativa azienda regionale per l’edilizia abitativa è assegnataria della gestione degli alloggi, i contratti sono stati fin dall’origine stipulati con un rinvio, quanto alla determinazione del canone, alla disciplina dell’edilizia residenziale pubblica.

 

La norma censurata è intervenuta sulla materia, prevedendo espressamente che, in attesa del decreto ministeriale, i canoni siano determinati secondo le disposizioni della legge della Regione Sardegna 6 aprile 1989, n. 13, recante la «Disciplina regionale delle assegnazioni e gestione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica».

 

L’art. 36 della legge regionale n. 13 del 1989, in particolare, prevede l’aggiornamento annuale del canone al costo della vita sulla base delle variazioni dell’indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati.

 

2.– Nel giudizio a quo, il conduttore, che gode di un immobile costruito ai sensi dell’art. 1, comma 3, della legge n. 52 del 1976, fin dal 1998, propone opposizione al decreto ingiuntivo con cui, in applicazione della norma censurata, l’azienda regionale per l’edilizia abitativa sarda ha ottenuto la condanna della ricorrente al pagamento della somma dovuta a titolo di aggiornamento del canone dalla data di entrata in vigore della disposizione impugnata, che funge da fondamento della pretesa, fino al 2016.

 

Il rimettente, con ampi riferimenti alla giurisprudenza di questa Corte, reputa che gli alloggi di servizio di proprietà dello Stato, e realizzati in base alla legge n. 52 del 1976, esulino dalla materia dell’edilizia residenziale pubblica, assegnata alla competenza legislativa residuale della Regione, per ricadere invece nella sfera delle competenze esclusive statali in materia di difesa, di organizzazione amministrativa dello Stato, di ordine pubblico e sicurezza (art. 117, secondo comma, lettere d, g e h, Cost.).

 

Inoltre, assoggettando i canoni, ed il loro aggiornamento, ad una disciplina differenziata territorialmente, la norma censurata avrebbe leso anche l’art. 3 Cost.

 

3.– La questione è inammissibile per difetto di motivazione sulla rilevanza, conseguente ad una carente ricostruzione del quadro normativo applicabile, in relazione alle peculiari vicende dell’immobile avente rilievo nel giudizio principale.

 

Come ha infatti osservato la difesa della Regione autonoma Sardegna, nel costituirsi nel presente giudizio incidentale, in base all’art. 14 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna) e all’art. 39 del d.P.R. 19 maggio 1949, n. 250 (Norme di attuazione dello Statuto speciale per la Sardegna), la Regione succede nei beni e nei diritti patrimoniali dello Stato, quanto agli immobili inseriti nell’elenco indicato dal medesimo art. 39.

 

Il rimettente non ha preso in considerazione tale normativa, che invece ha trovato applicazione proprio all’immobile per il quale pende il giudizio principale.

 

La Regione autonoma Sardegna ha infatti dedotto che tale bene è transitato nel patrimonio regionale, sulla base del meccanismo normativo appena ricordato, e a seguito di un protocollo di intesa tra Agenzia del demanio e Regione del 23 maggio 2013, al quale si riferisce l’elenco dei beni trasferiti. In ragione di ciò, a decorrere dal 22 luglio 2013 è stata accertata l’insuscettibilità di utilizzo per fini di competenza statale dell’immobile concesso in godimento all’opponente nel processo principale.

 

Omettendo di considerare la normativa statutaria e di attuazione dello statuto speciale così ricordata, per trarne conseguenze in ordine alla peculiare vicenda del bene oggetto del giudizio a quo, il rimettente ha dunque mancato di motivare sulla necessaria applicabilità della norma impugnata in tale giudizio.

 

Quest’ultima, infatti, regola i canoni degli alloggi costruiti e gestiti ai sensi della legge n. 52 del 1976, che, quand’anche ne sia affidata la gestione alle Regioni, «rimangono di proprietà dello Stato» (art. 1, comma 1, della legge n. 52 del 1976).

 

Anche ammesso che tale presupposto, sia pure a partire dal 2013, sia venuto meno, quanto all’alloggio per cui pende il giudizio principale, e che la pretesa creditoria azionata avanti al rimettente concerna anche tale arco di tempo, non è stata offerta una adeguata motivazione sulla perdurante applicabilità della norma impugnata al caso di specie.

 

Tale omissione si traduce in una ragione di inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale (ex plurimis, sentenze n. 146, n. 30 del 2020 e n. 13 del 2020).

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 4 della legge della Regione autonoma Sardegna 3 luglio 2003, n. 7 recante «Disposizioni diverse in materia di edilizia residenziale pubblica e integrazioni alla legge regionale 17 ottobre 1997, n. 29 (Istituzione del servizio idrico integrato, individuazione e organizzazione degli ambiti territoriali ottimali in attuazione della Legge 5 gennaio 1994, n. 36)», sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 117, secondo comma, lettere d), g) e h), della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Cagliari, in composizione monocratica, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 ottobre 2020.

 

F.to:

 

Mario Rosario MORELLI, Presidente

 

Augusto Antonio BARBERA, Redattore

 

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

 

Depositata in Cancelleria il 30 ottobre 2020.