Sentenza n. 36 del 2020

SENTENZA N. 36

ANNO 2020

Commento alla decisione di

Francesco Saverio Marini

La costituzionalità delle deroghe alle procedure concorsuali per l’accesso ai ruoli della pubblica amministrazione e la sentenza n. 36 del 2020 della Corte costituzionale

per g.c. de La Rivista della Corte dei conti

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Marta CARTABIA;

Giudici: Aldo CAROSI, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 33 della legge della Regione Calabria 27 dicembre 2016, n. 43, intitolata «Provvedimento generale recante norme di tipo ordinamentale e procedurale (Collegato alla manovra di finanza regionale per l’anno 2017)», promosso dalla Corte d’appello di Catanzaro nel procedimento vertente tra la Regione Calabria e A. A. G., con ordinanza del 21 settembre 2017, iscritta al n. 12 del registro ordinanze 2018 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 6, prima serie speciale, dell’anno 2018.

Visto l’atto di costituzione della Regione Calabria;

udito nell’udienza pubblica del 28 gennaio 2020 il Giudice relatore Giovanni Amoroso;

udito l’avvocato Graziano Pungì per la Regione Calabria;

deliberato nella camera di consiglio del 28 gennaio 2020.

Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza del 21 settembre 2017, depositata il 15 gennaio 2018, la Corte d’appello di Catanzaro – sezione lavoro – ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 33 della legge della Regione Calabria 27 dicembre 2016, n. 43, intitolata «Provvedimento generale recante norme di tipo ordinamentale e procedurale (Collegato alla manovra di finanza regionale per l’anno 2017)», per contrasto con l’articolo 97, quarto comma, della Costituzione, nella parte in cui – stabilendo che, a seguito dello scioglimento delle associazioni di divulgazione agricola, il personale proveniente dalle disciolte associazioni, già in servizio con rapporto di lavoro a tempo indeterminato con la Regione Calabria, rimane collocato nei ruoli della Regione alle medesime condizioni sussistenti al momento del subentro – consente l’accesso ai ruoli della pubblica amministrazione senza concorso.

La disposizione censurata prevede che «[a] seguito dell’avvenuto scioglimento di tutte le associazioni di divulgazione agricola, le cui funzioni sono state nuovamente trasferite alla Regione Calabria, ai sensi dell’articolo 1, comma 89, della legge 7 aprile 2014, n. 56 (Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni), così come attuato dall’articolo 1 della legge regionale 22 giugno 2015, n. 14 (Disposizioni urgenti per l’attuazione del processo di riordino delle funzioni a seguito della legge 7 aprile 2014, n. 56), al fine di garantire l’espletamento delle attività connesse ed in assenza di professionalità adibite allo svolgimento delle suddette, il personale proveniente dalle disciolte associazioni, già in servizio con rapporto di lavoro a tempo indeterminato con la Regione Calabria, ai sensi dell’art. 42, comma 4, della legge regionale n. 15 del 2008 (Provvedimento Generale di tipo ordinamentale e finanziario (collegato alla manovra di finanza regionale per l’anno 2008 ai sensi dell’art. 3, comma 4, della legge regionale 4 febbraio 2002, n. 8)), alla data di entrata in vigore della presente legge, rimane collocato nei ruoli della Regione Calabria alle medesime condizioni sussistenti al momento del subentro, nelle more della definizione delle procedure di selezione pubblica per l’approvvigionamento delle suddette professionalità, fermo restando il rispetto degli obiettivi di finanza pubblica».

Premette il Giudice rimettente di dover decidere sull’appello avverso la sentenza con cui il Tribunale ordinario di Catanzaro ha accolto il ricorso proposto, nei confronti della Regione Calabria, da A. A. G., dipendente a tempo indeterminato della disciolta associazione di divulgazione agricola «CopagriDap», disponendo il subentro della Regione nel pregresso rapporto di lavoro intrattenuto dal ricorrente, secondo quanto previsto dall’art. 10 della legge della Regione Calabria 26 luglio 1999, n. 19 (Disciplina dei servizi di sviluppo agricolo nella Regione Calabria), come modificato dall’art. 13, comma 1, della legge della Regione Calabria 5 ottobre 2007, n. 22 (Ulteriori disposizioni di carattere ordinamentale e finanziario collegate alla manovra di assestamento del bilancio di previsione per l’anno 2007 ai sensi dell’art. 3, comma 4, della legge regionale 4 febbraio 2002, n. 8), e come interpretato dall’art. 42, comma 4, della legge della Regione Calabria 13 giugno 2008, n. 15, recante «Provvedimento generale di tipo ordinamentale e finanziario (collegato alla manovra di finanza regionale per l’anno 2008 ai sensi dell’art. 3, comma 4, della legge regionale 4 febbraio 2002, n. 8)».

Tale disposizione, infatti, prevedeva che in caso di volontario scioglimento di una o di tutte le associazioni di divulgazione agricola, il personale, in assenza di altre associazioni di divulgazione agricola disponibili a proseguire il rapporto, dovesse rientrare nella competenza gestionale della Regione Calabria.

La Corte d’appello rimettente, inoltre, dà atto che il giudice di primo grado, nel motivare l’accoglimento del ricorso, ha considerato indicativo il fatto che la Regione già contribuisse con un finanziamento alle spese sostenute dall’associazione per i dipendenti, rientrando la divulgazione agricola tra le finalità di competenza regionale.

Nelle more del giudizio di impugnazione, prosegue il rimettente, la Corte costituzionale, investita con ordinanza di rimessione di altra sezione della medesima Corte d’appello, ha dichiarato, con la sentenza n. 248 del 2016, l’illegittimità costituzionale del citato art. 10, comma 2, della legge reg. Calabria n. 19 del 1999, come sostituito dall’art. 13, comma 1, della legge reg. Calabria n. 22 del 2007, ravvisando la violazione della regola del pubblico concorso per l’accesso alle pubbliche amministrazioni sancita dall’art. 97, quarto comma, Cost.

Alla luce di tale pronuncia e della successiva emanazione del censurato art. 33 della legge reg. Calabria n. 43 del 2016, la Regione Calabria, all’udienza fissata dal giudice a quo per la decisione, ha domandato che fosse dichiarata la cessazione della materia del contendere.

Tanto premesso, la Corte rimettente, nel dubitare della legittimità costituzionale della nuova disposizione, assume che essa «restaura l’identica violazione del principio del concorso pubblico già sanzionata dalla Corte costituzionale».

L’art. 33 della legge reg. Calabria n. 43 del 2016, infatti, là dove consente la permanenza nei ruoli regionali del personale originariamente dipendente delle disciolte associazioni, fa salvo, quanto meno sul piano degli effetti già prodotti, il ricorso a una procedura che consente il subingresso della Regione (avvenuto in applicazione dell’art. 10 della legge reg. Calabria n. 19 del 1999) nel rapporto di lavoro fra le disciolte associazioni di divulgazione agricola e i loro dipendenti, senza alcuna forma di selezione concorsuale. Né, peraltro, la disposizione indica una specifica esigenza di interesse pubblico idonea a giustificare una deroga al principio.

Il Giudice rimettente ricorda che con la citata pronuncia n. 248 del 2016 questa Corte, ritenuta pacifica la natura privatistica delle associazioni di divulgazione agricola, ha ribadito il principio secondo cui «la regola costituzionale della necessità del pubblico concorso per l’accesso alle pubbliche amministrazioni va rispettata anche da parte di disposizioni che regolano il passaggio da soggetti privati ad enti pubblici (ex multis, sentenze n. 7 del 2015, n. 134 del 2014, n. 227 e n. 167 del 2013, n. 62 del 2012, n. 299 e n. 52 del 2011, n. 267 del 2010, n. 190 del 2005)».

Sempre sotto il profilo della non manifesta infondatezza, la Corte d’appello di Catanzaro conclude chiarendo che, diversamente da quanto ritenuto dal giudice di primo grado, la procedura seguita dalla Regione Calabria non può in alcun modo essere assimilata a un concorso pubblico, essendo consistita, in realtà, in una «mera comunicazione, inviata al ricorrente da parte del presidente dell’associazione, del buon esito delle esperite procedure concorsuali».

Infine, quanto alla rilevanza, il Giudice rimettente osserva che dopo la dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 10, comma 2, della legge reg. Calabria n. 19 del 1999, come sostituito dall’art. 13, comma 1, della legge reg. Calabria n. 22 del 2007, – applicabile ratione temporis, quantunque abrogato dall’art. 1, comma 1, della legge della Regione Calabria 15 novembre 2012, n. 58, recante «Abrogazione dell’articolo 10, comma 2, della legge regionale 26 luglio 1999, n. 19 e s.m.i. (Disciplina dei servizi di sviluppo agricolo nella Regione Calabria)» – «l’esito del giudizio viene a dipendere unicamente dal disposto della nuova norma di legge regionale».

2.– Con atto del 15 febbraio 2018, pervenuto il 20 febbraio 2018, è intervenuta in giudizio la Regione Calabria e ha chiesto di dichiarare inammissibile o comunque manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Corte d’appello di Catanzaro.

Quanto alla prospettata inammissibilità, la Regione ha sostenuto che, a fronte di un’istanza congiunta, presentata dalle parti del giudizio a quo, volta a ottenere dal Giudice rimettente la dichiarazione di cessata materia del contendere in ragione dell’applicazione del richiamato ius superveniens, la rilevanza della questione sarebbe venuta meno.

Nel merito, la Regione deduce che la norma censurata differisce radicalmente da quella contenuta nell’art. 10, comma 2, della legge reg. Calabria n. 19 del 1999, come sostituito dall’art. 13, comma 1, della legge reg. Calabria n. 22 del 2007, dichiarato incostituzionale con la citata pronuncia n. 248 del 2016.

Infatti, la disposizione in esame non è volta, come la precedente, a garantire la tutela dell’occupazione, ma ad assicurare la continuità dell’azione amministrativa. Essa, stabilendo che la permanenza del personale collocato nei ruoli della Regione Calabria è finalizzata a «garantire l’espletamento delle attività connesse […] in assenza di professionalità adibite allo svolgimento delle suddette», rivela chiaramente l’intento di salvaguardare la Regione dal pregiudizio derivante dal venir meno, all’improvviso, dell’apporto di lavoratori attualmente in servizio.

Questa finalità, del resto, è resa palese dalla temporaneità della misura, destinata a operare «nelle more della definizione delle procedure di selezione pubblica per l’approvvigionamento delle suddette professionalità».

Alla luce di tali considerazioni, prosegue la Regione, dovrebbe escludersi che sia stato derogato il principio generale del pubblico concorso. Ma, in ogni caso, tale deroga sarebbe comunque giustificata da ragioni di pubblico interesse collegate alla garanzia del buon andamento della pubblica amministrazione che, nella specie, viene attuata con il mantenimento temporaneo nei ruoli regionali dei dipendenti operanti nel settore specifico della divulgazione agricola.

Considerato in diritto

1.– La Corte d’appello di Catanzaro – sezione lavoro – ha sollevato questione incidentale di legittimità costituzionale dell’art. 33 della legge della Regione Calabria 27 dicembre 2016, n. 43, intitolata «Provvedimento generale recante norme di tipo ordinamentale e procedurale (Collegato alla manovra di finanza regionale per l’anno 2017)», che prevede il mantenimento provvisorio nei ruoli della Regione del personale proveniente dalle disciolte associazioni di divulgazione agricola, già in servizio con rapporto di lavoro a tempo indeterminato con la Regione, nelle more della definizione delle procedure di selezione pubblica per l’approvvigionamento delle relative professionalità.

Secondo la Corte rimettente sarebbe violato il principio dell’assunzione tramite pubblico concorso posto dall’art. 97, quarto comma, della Costituzione, in quanto la disposizione censurata consente l’accesso senza concorso ai ruoli di una pubblica amministrazione, così di fatto ripristinando l’efficacia dell’art. 10, comma 2, della legge della Regione Calabria 26 luglio 1999, n. 19 (Disciplina dei servizi di sviluppo agricolo nella Regione Calabria), come sostituito dall’art. 13, comma 1, della legge della Regione Calabria 5 ottobre 2007, n. 22 (Ulteriori disposizioni di carattere ordinamentale e finanziario collegate alla manovra di assestamento del bilancio di previsione per l’anno 2007 ai sensi dell’art. 3, comma 4, della legge regionale 4 febbraio 2002, n. 8), dichiarato costituzionalmente illegittimo con sentenza n. 248 del 2016 di questa Corte proprio per violazione del principio suddetto.

2.– Giova premettere il quadro normativo d’insieme in cui si colloca la disposizione censurata.

Con la citata legge regionale n. 19 del 1999 sono stati disciplinati i servizi di sviluppo agricolo nella Regione Calabria, trasferiti alla Regione dai decreti del Presidente della Repubblica 15 gennaio 1972, n. 11 (Trasferimento alle Regioni a statuto ordinario delle funzioni amministrative statali in materia di agricoltura e foreste, di caccia e di pesca nelle acque interne e dei relativi personali ed uffici), e 24 luglio 1977, n. 616 (Attuazione della delega di cui all’art. 1 della L. 22 luglio 1975, n. 382), anche tenendo conto del Regolamento del Consiglio delle Comunità europee n. 270/79 del 6 febbraio 1979, relativo allo sviluppo della divulgazione agricola in Italia. Si trattava di servizi diretti a promuovere lo sviluppo socio-economico all’interno delle aree rurali.

Tali attività sarebbero state svolte dall’Agenzia regionale per lo sviluppo e i servizi in agricoltura (ARSSA) – subentrata (nel 1993) al soppresso Ente regionale di sviluppo agricolo della Calabria (ESAC) – alla quale era assegnato, come specifica competenza, il servizio di divulgazione agricola.

In particolare, l’art. 10, comma 2, di tale legge regolava la sorte del personale delle associazioni di divulgazione agricola promosse dalle organizzazioni professionali agricole (OOPPAA), enti di natura privatistica. Disponeva che «[n]el caso di volontario scioglimento di una o di tutte le Associazioni di divulgazione agricola il personale […] è assegnato ad altra Associazione di divulgazione agricola in grado di proseguire l’attività che ne abbia fatto specifica richiesta, oppure rientra nella competenza gestionale dell’ente di appartenenza (A.R.S.S.A.)».

Nel 2007 l’ARSSA è stata soppressa dall’art. 5 della legge della Regione Calabria 11 maggio 2007, n. 9, recante «Provvedimento generale recante norme di tipo ordinamentale e finanziario (collegato alla manovra di finanza regionale per l’anno 2007, art. 3, comma 4, della legge regionale n. 8/2002)» e a essa in seguito è subentrata l’Azienda regionale per lo sviluppo dell’agricoltura calabrese (ARSAC), ente strumentale della Regione munito di personalità giuridica di diritto pubblico, istituito con la legge della Regione Calabria 20 dicembre 2012, n. 66 (Istituzione dell’Azienda regionale per lo sviluppo dell’agricoltura e disposizioni in materia di sviluppo dell’agricoltura), per svolgere le principali funzioni precedentemente espletate dall’ARSSA.

Il personale dell’ente disciolto è stato trasferito in soprannumero alla Regione Calabria, permanendo nello stato giuridico ed economico precedente.

Con una legge quasi coeva è stato regolamentato anche il personale delle OOPPAA. L’art. 13, comma 1, della legge della Regione Calabria 5 ottobre 2007, n. 22 (Ulteriori disposizioni di carattere ordinamentale e finanziario collegate alla manovra di assestamento del bilancio di previsione per l’anno 2007 ai sensi dell’art. 3, comma 4, della legge regionale 4 febbraio 2002, n. 8), ha sostituito il comma 2 dell’art. 10 della citata legge n. 19 del 1999, prevedendo: «[n]el caso di volontario scioglimento di una o di tutte le Associazioni di Divulgazione Agricola il personale, unitamente alle attrezzature delle U.D.A. di competenza, è assegnato ad altra Associazione di Divulgazione Agricola in grado di proseguire l’attività che ne abbia fatto specifica richiesta, oppure rientra nella competenza gestionale della Regione Calabria».

Quindi il personale delle associazioni di divulgazione agricola, in caso di scioglimento delle stesse, sarebbe potuto confluire nei ruoli del personale regionale.

Questa norma è poi stata interpretata autenticamente dall’art. 42, comma 4, della legge della Regione Calabria 13 giugno 2008, n. 15, recante «Provvedimento generale di tipo ordinamentale e finanziario (collegato alla manovra di finanza regionale per l’anno 2008 ai sensi dell’art. 3, comma 4, della legge regionale 4 febbraio 2002, n. 8)», ai sensi del quale «[l]’articolo 10, comma 2, della legge regionale 26 luglio 1999, n. 19, così come modificato dall’articolo 13, comma 1, della legge regionale 5 ottobre 2007, n. 22, s’interpreta nel senso che, in assenza di un’associazione di divulgazione agricola disponibile a proseguire il rapporto con il personale di cui alla medesima norma, nel rapporto medesimo subentra, ai medesimi termini e condizioni, la Regione Calabria, ferma restando la possibilità in futuro di un successivo passaggio a un’associazione, che dovesse manifestare nel prosieguo la propria disponibilità. L’attuazione di tale dispositivo non può comportare un incremento dei costi a carico del bilancio regionale».

Si trattava, dunque, di una norma che consentiva il subingresso della Regione Calabria nel rapporto di lavoro fra le disciolte associazioni di divulgazione agricola e i dipendenti.

Questa disposizione – poi abrogata dall’art. 1 della legge della Regione Calabria 15 novembre 2012, n. 58, recante «Abrogazione dell’articolo 10, comma 2, della legge regionale 26 luglio 1999, n. 19 e s.m.i. (Disciplina dei servizi di sviluppo agricolo nella Regione Calabria)» – è stata oggetto di una precedente questione incidentale di legittimità costituzionale sollevata con ordinanza della stessa Corte d’appello di Catanzaro in una controversia analoga a quella oggetto dell’attuale giudizio a quo.

Questa Corte, con la sentenza n. 248 del 2016, ha ritenuto la questione fondata e ha dichiarato la norma censurata costituzionalmente illegittima per violazione dell’art. 97, comma quarto, Cost. Ha affermato questa Corte che, pacifica essendo la natura privatistica delle associazioni di divulgazione agricola, l’art. 10, comma 2, della legge reg. Calabria n. 19 del 1999 (come sostituito dall’art. 1, comma 1, della legge reg. Calabria n. 22 del 2007, e come interpretato autenticamente dall’art. 42, comma 4, della legge reg. Calabria n. 15 del 2008) disponeva il subingresso della Regione Calabria nel rapporto di lavoro fra le associazioni di divulgazione agricola sciolte e i loro dipendenti senza alcuna forma di selezione concorsuale, né sussisteva alcuna specifica esigenza di interesse pubblico che potesse giustificare una deroga all’art. 97, quarto comma, Cost.

Subito dopo tale pronuncia è stata introdotta la disposizione censurata (art. 33 della legge reg. Calabria n. 43 del 2016), che prevede che «[a] seguito dell’avvenuto scioglimento di tutte le associazioni di divulgazione agricola, le cui funzioni sono state nuovamente trasferite alla Regione Calabria […] al fine di garantire l’espletamento delle attività connesse ed in assenza di professionalità adibite allo svolgimento delle suddette, il personale proveniente dalle disciolte associazioni, già in servizio con rapporto di lavoro a tempo indeterminato con la Regione Calabria, ai sensi dell’art. 42, comma 4, della legge regionale n. 15 del 2008 […], alla data di entrata in vigore della presente legge, rimane collocato nei ruoli della Regione Calabria alle medesime condizioni sussistenti al momento del subentro, nelle more della definizione delle procedure di selezione pubblica per l’approvvigionamento delle suddette professionalità, fermo restando il rispetto degli obiettivi di finanza pubblica».

3.– Ciò premesso, va innanzi tutto esaminata l’eccezione di inammissibilità sollevata dall’Avvocatura generale dello Stato; eccezione che è infondata.

L’ordinanza di rimessione dà atto che la Regione Calabria – appellante avverso la sentenza del giudice di primo grado, che aveva accolto il ricorso di A. A. G. e aveva condannato la medesima Regione a operare il subentro dell’originario ricorrente nel rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato intrattenuto con la «CopagriDap», associazione di divulgazione agricola, inserendolo nel ruolo del personale regionale – ha chiesto dichiararsi la cessazione della materia del contendere in ragione della sopravvenuta norma, attualmente censurata (il citato art. 33 della legge della reg. Calabria n. 43 del 2016), sulla temporanea conservazione del collocamento nei ruoli del personale regionale (di cui l’originario ricorrente ha beneficiato per la provvisoria esecutorietà della sentenza di primo grado).

Tale disposizione ha previsto – secondo l’interpretazione che, in termini senz’altro plausibili, ne offre la Corte d’appello rimettente – il mantenimento provvisorio nei ruoli della Regione del personale proveniente dalle disciolte associazioni di divulgazione agricola già in servizio con rapporto di lavoro a tempo indeterminato con la Regione, in tal modo assicurando una temporanea stabilizzazione del personale transitato anche solo in forza di una pronuncia provvisoriamente esecutiva, qual era quella oggetto dell’appello, nelle more di future procedure di selezione pubblica.

Ma correttamente ha osservato la Corte d’appello rimettente che la prospettata cessazione della materia del contendere è condizionata alla valutazione della legittimità costituzionale della norma sulla quale essa si fonderebbe.

La Regione parte appellante nel giudizio di impugnazione, non ha rinunciato all’impugnazione, ma ha insistito per ottenere una decisione sulla controversia nella forma della richiesta declaratoria di cessazione della materia del contendere per effetto del richiamato ius superveniens.

Nel giudizio civile di impugnazione, la sopravvenienza di una nuova norma regolatrice del rapporto – la quale venga a sovrapporsi a quella applicata dal giudice della pronuncia impugnata, certamente non più applicabile perché dichiarata costituzionalmente illegittima da questa Corte – può essere invocata a fondamento della richiesta di declaratoria di cessazione della materia del contendere, che, pur non espressamente prevista dal codice di rito, è non di meno ritenuta ammissibile dalla giurisprudenza (ex plurimis, Corte di cassazione, sezioni unite, sentenza 28 settembre 2000, n. 1048) e dalla dottrina.

Una siffatta pronuncia – secondo un più recente arresto della giurisprudenza (Corte di cassazione, sezioni unite, sentenza 11 aprile 2018, n. 8980) – può anche veicolare un giudizio di merito ove definisca la lite sul verificato presupposto che il rapporto non sia più regolato nei termini nei quali tra le parti era in atto la controversia, ma da una fonte sopravvenuta negoziale o – può aggiungersi – anche normativa, quale, come nella fattispecie, una norma nuova e diversa, sopravvenuta nel corso del processo. Norma la quale viene in rilievo proprio al fine dell’adozione di tale pronuncia con la conseguenza che la Corte d’appello, prima di dichiarare la cessazione della materia del contendere, ben può interrogarsi in ordine alla legittimità costituzionale della stessa.

Da ciò la rilevanza – e quindi l’ammissibilità – della sollevata questione di legittimità costituzionale.

4.– Nel merito, la questione di legittimità costituzionale è fondata.

4.1.– Occorre partire dalla citata sentenza n. 248 del 2016 nella quale questa Corte ha ritenuto che, di per sé, il subingresso ex lege della Regione all’associazione di divulgazione agricola – previsto dalla norma applicata dal giudice di primo grado, la cui sentenza è oggetto di impugnazione innanzi alla Corte d’appello rimettente – è incompatibile con la regola di rango costituzionale del pubblico concorso, posta dall’art. 97, quarto comma, Cost.; regola che va rispettata anche dalle disposizioni che disciplinano il passaggio di personale da soggetti privati a enti pubblici. Né vale a derogare a tale regola l’esigenza della Regione di avere alle proprie dipendenze il personale necessario allo svolgimento di funzioni già attribuite a enti disciolti, né tanto meno il generico interesse alla difesa dell’occupazione dei dipendenti di questi ultimi.

Nella giurisprudenza di questa Corte è costante l’affermazione che il pubblico concorso costituisce la forma generale e ordinaria di reclutamento per le amministrazioni pubbliche, quale strumento per assicurare efficienza, buon andamento e imparzialità e che la facoltà del legislatore di introdurre deroghe a tale regola, con la previsione di un diverso meccanismo di selezione per il reclutamento del personale del pubblico impiego, deve essere delimitata in modo rigoroso alla sola ipotesi in cui esse siano strettamente funzionali al buon andamento dell’amministrazione e sempre che ricorrano peculiari e straordinarie esigenze di interesse pubblico idonee a giustificarle (ex plurimis, sentenze n. 40 del 2018 e n. 110 del 2017).

4.2.– La disposizione censurata si pone, quindi, in evidente contrasto con tale principio perché prevede – non diversamente dalla disposizione già dichiarata costituzionalmente illegittima dalla richiamata sentenza n. 248 del 2016 – che il personale proveniente dalle disciolte associazioni di divulgazione agricola «rimane collocato nei ruoli della Regione Calabria alle medesime condizioni sussistenti al momento del subentro». L’inequivocabile tenore testuale della disposizione rende evidente che la norma censurata prevede un passaggio, automatico e senza concorso pubblico, dei dipendenti delle disciolte associazioni di divulgazione agricola – enti che, come è pacifico nel giudizio a quo, hanno natura privatistica – nei ruoli del personale della Regione.

A questo contenuto regolatorio che accomuna la disposizione già dichiarata costituzionalmente illegittima e quella attualmente censurata si aggiunge, solo in quest’ultima, la riserva recata dall’espressione «nelle more della definizione delle procedure di selezione pubblica per l’approvvigionamento delle suddette professionalità».

La difesa della Regione ha posto in rilievo l’esigenza di conciliare la necessità di dare seguito alla sentenza n. 248 del 2016 e quella di espletare la funzione di divulgazione agricola, facente carico sulla Regione, a mezzo delle specifiche e particolari professionalità dei dipendenti provenienti dalle disciolte associazioni, che in precedenza erano presenti sul territorio operando proprio in tale settore. Ha sottolineato in particolare che, per evitare una soluzione di continuità, la disposizione censurata prevede sì il transito dei dipendenti suddetti nel personale regionale, ma solo temporaneamente, fino all’effettuazione del concorso pubblico per ripristinare la legalità del transito, venuta meno per effetto della richiamata pronuncia di questa Corte.

A prescindere dalla questione se una procedura concorsuale a sostanziale sanatoria del transito ex lege di tale personale dalle associazioni di divulgazione agricola alla Regione, precluso dalla citata sentenza di questa Corte, sarebbe potuta venire in rilievo – quale eventuale deroga, sul piano costituzionale, di carattere eccezionale e transitorio, alla regola del concorso pubblico – ove fosse stata circoscritta dalla previsione di un termine finale o almeno fosse stata seguita a breve distanza di tempo dall’indizione delle «procedure di selezione pubblica», dirimente è il rilievo che, comunque, così non è, e non è stato, perché nessun termine è previsto nella disposizione censurata e, di fatto, a distanza di oltre tre anni, nessuna procedura concorsuale risulta essere stata espletata o finanche promossa, come ammette la stessa difesa della Regione.

Non è compatibile con la prescrizione dell’art. 97, quarto comma, Cost., che, senza pubblico concorso, dipendenti di un’associazione di natura privatistica transitino nei ruoli del personale regionale con il subentro della Regione nella posizione di amministrazione pubblica datrice di lavoro, solo formalmente in via temporanea, ma di fatto in via tendenzialmente definitiva in mancanza di un termine finale per la regolarizzazione di tale transito con l’indizione di procedure di selezione pubblica.

Del resto, questa Corte (sentenza n. 245 del 2012) ha già censurato – anche se, in particolare, per violazione del giudicato costituzionale – una similare stabilizzazione provvisoria ad opera di altra normativa regionale di personale, il cui inquadramento nella superiore qualifica era risultato contra legem a seguito di una precedente dichiarazione di illegittimità costituzionale della disposizione che lo prevedeva.

5.– Va, quindi, dichiarata l’illegittimità costituzionale della disposizione censurata per violazione dell’art. 97, quarto comma, Cost.

Spetterà al legislatore regionale porre rimedio alla situazione determinatasi per effetto della richiamata sentenza n. 248 del 2016 con la previsione di procedure di selezione pubblica da svolgersi entro un termine breve e certo, ferma restando la tutela residuale che comunque l’ordinamento giuridico già assicura alle prestazioni lavorative di fatto con violazione di legge (art. 2126 del codice civile).

PER QUESTI  MOTIVI 

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 33 della legge della Regione Calabria 27 dicembre 2016, n. 43, intitolata «Provvedimento generale recante norme di tipo ordinamentale e procedurale (Collegato alla manovra di finanza regionale per l’anno 2017)».

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 28 gennaio 2020.

F.to:

Marta CARTABIA, Presidente

Giovanni AMOROSO, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 27 febbraio 2020.