Sentenza n. 223 del 2019

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SENTENZA N. 223

ANNO 2019

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Giorgio LATTANZI;

Giudici: Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale del decreto legislativo 10 aprile 2018, n. 36, recante «Disposizioni di modifica della disciplina del regime di procedibilità per taluni reati in attuazione della delega di cui all’articolo 1, commi 16, lettere a) e b), e 17, della legge 23 giugno 2017, n. 103», nella parte in cui non prevede la punibilità a querela anche per i delitti previsti dall’art. 590-bis, primo comma, del codice penale, promosso dal Tribunale ordinario di La Spezia, sezione penale, nel procedimento penale a carico di C.S. S., con ordinanza dell’8 ottobre 2018, iscritta al n. 3 del registro ordinanze 2019 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 5, prima serie speciale, dell’anno 2019.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 25 settembre 2019 il Giudice relatore Francesco Viganò.

Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza dell’8 ottobre 2018, iscritta al n. 3 del registro ordinanze 2019, il Tribunale ordinario di La Spezia, sezione penale, ha sollevato, in riferimento all’art. 76 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale del decreto legislativo 10 aprile 2018, n. 36, recante «Disposizioni di modifica della disciplina del regime di procedibilità per taluni reati in attuazione della delega di cui all'articolo 1, commi 16, lettere a) e b), e 17, della legge 23 giugno 2017, n. 103», nella parte in cui non prevede la procedibilità a querela anche per i delitti previsti dall’art. 590-bis, primo comma, del codice penale, in contrasto con quanto stabilito dall’art. 1, comma 16, lettera a), della legge 23 giugno 2017, n. 103 (Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all'ordinamento penitenziario).

1.1.– Il rimettente premette di dover giudicare della responsabilità penale di C.S. S., imputata del reato previsto dall’art. 590-bis (Lesioni personali stradali gravi o gravissime), primo e ottavo comma, cod. pen., per avere, alla guida della propria autovettura, omesso di concedere la precedenza a un motociclo, in violazione dell’art. 145, commi 4 e 10, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), così cagionando al conducente del motociclo F. N. e al passeggero N. F. lesioni personali gravi.

1.2.– In punto di rilevanza della questione di legittimità costituzionale, il giudice a quo riferisce che C.S. S., tratta a giudizio con citazione diretta, è stata ammessa al rito abbreviato condizionato all’espletamento di perizia medico-legale sulla persona di F. N.; che secondo le risultanze dell’esame peritale – esteso anche alle lesioni riportate da N. F. – F. N. ha sofferto, in conseguenza del sinistro stradale oggetto di imputazione, una malattia di durata inferiore a venti giorni, mentre N. F. ha patito una malattia guarita in settanta giorni; che dagli atti processuali emerge inequivocabilmente la responsabilità colposa dell’imputata; che le vittime del sinistro non hanno sporto querela.

Il rimettente osserva che, con riferimento alla persona offesa F. N., la contenuta durata della malattia impone la riqualificazione del fatto di reato nell’ipotesi di cui all’art. 590 cod. pen. (lesioni personali colpose), con conseguente pronuncia, nei confronti dell’imputata, di sentenza di non doversi procedere per difetto di querela della vittima. Diversamente, in relazione alla persona offesa N. F., essendo la malattia di quest’ultima durata settanta giorni, si configura il reato di cui all’art. 590-bis, primo comma, cod. pen., perseguibile d’ufficio; di talché, sussistendo la responsabilità di C.S. S., il processo non potrebbe che concludersi con una sentenza di condanna. Un diverso esito sarebbe conseguibile solo ove il reato di cui all’art. 590-bis, primo comma, cod. pen. fosse punibile a querela, che, in specie, non è stata presentata.

1.3.– Quanto alla non manifesta infondatezza della questione, il giudice a quo evidenzia che l’art. 1, comma 16, lettera a), della legge n. 103 del 2017 aveva delegato il Governo, entro un anno dall’entrata in vigore del provvedimento, a «prevedere la procedibilità a querela per i reati contro la persona puniti con la sola pena edittale pecuniaria o con la pena edittale detentiva non superiore nel massimo a quattro anni, sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria, fatta eccezione per il delitto di cui all’articolo 610 del codice penale, e per i reati contro il patrimonio previsti dal codice penale, salva in ogni caso la procedibilità d’ufficio qualora ricorra una delle seguenti condizioni: 1) la persona offesa sia incapace per età o per infermità; 2) ricorrano circostanze aggravanti ad effetto speciale ovvero le circostanze indicate nell’articolo 339 del codice penale; 3) nei reati contro il patrimonio, il danno arrecato alla persona offesa sia di rilevante gravità».

Nell’esercitare la delega con l’adozione del d.lgs. n. 36 del 2018, il Governo ha omesso di annoverare l’art. 590-bis, primo comma, cod. pen. tra le fattispecie oggetto della modifica del regime di procedibilità, con la conseguenza che il reato in questione è tuttora procedibile d’ufficio e non a querela, benché punito con una pena (reclusione da tra mesi a un anno per le lesioni gravi e da uno a tre anni per le lesioni gravissime) compresa nella forbice edittale per la quale il legislatore delegante aveva previsto l’introduzione della condizione di procedibilità della querela.

Il rimettente sostiene che la mancata previsione della procedibilità a querela per il reato di cui all’art. 590-bis, primo comma, cod. pen. sarebbe frutto non di una mera dimenticanza, ma di una specifica scelta del legislatore delegato. Ciò emergerebbe inequivocabilmente dalla relazione illustrativa al d.lgs. n. 36 del 2018, nella quale si sosteneva che il delitto in questione rientrasse nelle ipotesi eccettuate dalla punibilità a querela in forza dell’art. 1, comma 16, lettera a), numero 1), della legge n. 103 del 2017, essendo la malattia derivante da lesioni gravi e gravissime commesse in violazione delle norme di disciplina della circolazione stradale equiparabile all’infermità che cagioni incapacità della vittima.

Il giudice a quo ritiene non condivisibile tale assunto del Governo, poiché il legislatore delegante avrebbe escluso la procedibilità a querela per i soli reati contro la persona che, pur puniti con una pena detentiva non superiore a quattro anni, siano posti in essere ai danni di una persona offesa la quale, già prima della commissione del reato, si trovi in stato di incapacità per età o infermità e sia, pertanto, impossibilitata a sporgere querela. Colui che subisce lesioni gravi o gravissime in conseguenza di un sinistro stradale potrebbe non versare affatto in stato di incapacità, ad esempio ove subisca lesioni traumatiche quali il cosiddetto “colpo di frusta” o l’amputazione di un arto, che pur possono determinare una malattia di lunga durata. Non sussisterebbe, dunque, alcuna «correlazione diretta e costante» tra le lesioni gravi o gravissime riportate a seguito di un sinistro stradale e lo stato di incapacità.

Ad avviso del rimettente, la lettura della delega data dal Governo, secondo cui le vittime di un sinistro stradale che abbiano riportato lesioni gravi o gravissime sarebbero «di per sé incapaci per infermità», si risolverebbe in una violazione dei principi e criteri direttivi impartiti dal legislatore delegante, con conseguente vulnus dell’art. 76 Cost.

La scelta «eccessivamente rigorosa» del legislatore delegato frustrerebbe la finalità deflattiva del contenzioso penale sottesa alla delega e rischierebbe altresì di «vanificare e depotenziare» il ricorso allo strumento risarcitorio, quale forma di ristoro del pregiudizio subito dalla vittima. Secondo il giudice a quo, infatti, «la remissione della querela e l’estinzione del reato per condotte riparatorie ai sensi dell’art. 162 ter c.p. costituiscono una spinta formidabile al risarcimento dei danni e quindi ad una rapida definizione dei procedimenti, in un contesto in cui alla persona offesa non interessa la condanna di colui che ha causato (o contribuito a causare in caso di concorso di colpa della stessa vittima) il sinistro stradale, ma ottenere il giusto ristoro economico per i danni subiti».

Il rimettente osserva infine che i delitti di lesioni personali stradali gravi e gravissime, commessi da persona che non abbia fatto uso di sostanze alcooliche o stupefacenti, susciterebbero minore allarme sociale rispetto alle medesime condotte, perpetrate sotto l’effetto di dette sostanze. Si giustificherebbe quindi la previsione di un diverso regime di procedibilità – a querela nell’un caso, d’ufficio in tutti gli altri – in relazione alle fattispecie incriminatrici di cui al primo comma dell’art. 590-bis cod. pen. da un lato, e a quelle di cui al quarto, quinto e sesto comma della medesima disposizione, dall’altro lato.

2.– È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione di legittimità costituzionale sia dichiarata inammissibile o infondata.

2.1.– L’interveniente rammenta anzitutto che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, il controllo di conformità della norma delegata alla norma delegante richiede un confronto tra gli esiti di due processi ermeneutici paralleli: l’uno, relativo alle norme che determinano l’oggetto, i principi ed i criteri direttivi indicati dalla delega, da svolgere tenendo conto del complessivo contesto in cui si collocano ed individuando le ragioni e le finalità poste a fondamento della legge di delegazione; l’altro, relativo alle norme poste dal legislatore delegato, da interpretarsi nel significato compatibile con i principi ed i criteri direttivi della delega (è citata la sentenza n. 250 del 2016).

Secondo la giurisprudenza costituzionale, poi, il legislatore delegato disporrebbe di margini di discrezionalità nell’attuazione della delega, sempre che ne rispetti la ratio e che la sua attività si inserisca in modo coerente nel complessivo quadro normativo (sono richiamate le sentenze n. 59 del 2016, n. 146 e n. 98 del 2015, n. 119 del 2013), e senza che il libero apprezzamento del legislatore delegato possa assurgere a principio o criterio direttivo (è citata la sentenza n. 293 del 2010).

Nel caso di specie, qualificabile come «ipotetico eccesso di delega in minus», il rimettente avrebbe omesso di considerare i «margini di delega» spettanti al legislatore delegato, così prospettando una questione manifestamente inammissibile.

2.2.– La questione sarebbe, comunque, infondata nel merito, poiché il legislatore delegato si sarebbe attenuto ai principi e criteri direttivi di cui all’art. 1, comma 16, lettera a), della legge n. 103 del 2017.

L’assimilazione tra lo stato di malattia conseguente alle lesioni personali stradali gravi o gravissime e lo stato di incapacità, posta a base della scelta del legislatore delegato di non rendere procedibile a querela il delitto di cui all’art. 590-bis, primo comma, cod. pen., si giustificherebbe in quanto – come rilevato anche nella Relazione illustrativa al d.lgs. n. 36 del 2018 – nel sistema del codice penale la malattia è già equiparata alla «incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni», come reso palese dal disposto dell’art. 583, primo comma, numero 1), cod. pen., relativo alle aggravanti al delitto di lesioni. Il delitto di lesioni «si connota, quindi, per l’evento, che ben può consistere in uno stato di incapacità». L’assimilazione della malattia allo stato di incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni, per effetto della previsione di cui all’art. 583, primo comma, cod. pen., non potrebbe che valere anche per l’ipotesi delittuosa di cui all’art. 590-bis cod. pen., «nella misura in cui la gravità delle lesioni si ricava per relationem, mediante il rinvio all’art. 583 c.p.».

Del resto, la delega legislativa, nell’individuare lo stato di incapacità della vittima quale condizione ostativa al passaggio dal regime di procedibilità d’ufficio a quello di procedibilità a querela di parte, si riferirebbe in termini generali all’incapacità, senza specificare se essa debba essere intesa come temporanea o permanente, piena oppure parziale, sicché il legislatore delegato «non [avrebbe potuto] che accoglierne la nozione più ampia». E, su tali presupposti, il d.lgs. n. 36 del 2018 non avrebbe previsto la procedibilità a querela né per il delitto di lesioni personali di cui all’art. 582, primo comma, cod. pen., né per quello di lesioni personali stradali gravi e gravissime di cui all’art. 590-bis, primo comma, cod. pen.; quest’ultimo, peraltro, oggetto di recente novella legislativa a opera della legge 23 marzo 2016, n. 41 (Introduzione del reato di omicidio stradale e del reato di lesioni personali stradali, nonché disposizioni di coordinamento al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e al decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274).

Il reato di lesioni personali derivanti da violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale integrerebbe, poi, una fattispecie criminosa grave e connotata da particolare allarme sociale, «posto che l’evento lesivo risulta essere conseguenza della violazione di una regola cautelare di condotta posta a presidio proprio della sicurezza della circolazione stradale», di talché la scelta del legislatore delegato di non prevedere la procedibilità del delitto a querela di parte sarebbe rispettosa dei principi e criteri della delega contenuta nell’art. 1, comma 16, lettera a), della legge n. 103 del 2017.

Non sarebbe, infine, condivisibile il presupposto interpretativo del giudice rimettente, secondo cui lo stato di incapacità della persona offesa, condizione ostativa alla modifica del regime di procedibilità, dovrebbe necessariamente preesistere alla commissione del reato, e non potrebbe essere a questo conseguente o collegato.

In senso contrario deporrebbe la circostanza che il legislatore delegato abbia scelto di mantenere la procedibilità d’ufficio per il delitto di abuso di autorità contro arrestati o detenuti (art. 608 cod. pen.), nel quale la persona offesa versa in condizioni di «minorata autonoma difesa» e, pertanto, come osservato nella Relazione illustrativa al d.lgs. n. 36 del 2018, in «uno stato di incapacità del tutto equiparabile a quello della infermità, dal momento che ben può inibire le normali reazioni difensive come accade per il soggetto affetto da un qualche stato patologico».

Ancora, come emerge dalla citata Relazione illustrativa, in accoglimento di alcune delle condizioni poste dalle Commissioni giustizia di Camera e Senato, il legislatore delegato non ha previsto la procedibilità a querela in relazione ai delitti di arresto illegale (art. 606 cod. pen.), di indebita limitazione della libertà personale (art. 607 cod. pen.), di perquisizione e ispezione personale arbitrarie (art. 609 cod. pen.), per ragioni di coerenza sistematica con la procedibilità d’ufficio mantenuta per il reato di cui all’articolo 608 cod. pen., trattandosi, in tutti i casi, di ipotesi delittuose commesse in danno di persona affidata alla custodia dell’autore delle condotte abusive e, dunque, in condizione di minorata difesa.

Una lettura sistematica del d.lgs. n. 36 del 2018 smentirebbe, quindi, l’assunto del giudice rimettente, secondo cui l’incapacità ostativa alla procedibilità a querela dovrebbe preesistere alla commissione del reato, e confermerebbe la coerenza della scelta del legislatore delegato di non prevedere la procedibilità d’ufficio in relazione ai delitti di cui all’art. 590-bis, primo comma, cod. pen.

Dovrebbe dunque, in conclusione, escludersi che il legislatore delegato abbia «“tradito” o applicato in minus» i principi della delega di cui all’art. 1, comma 16, lettera a), della legge n. 103 del 2017.

Considerato in diritto

1.– Il Tribunale ordinario di La Spezia, sezione penale, ha sollevato, in riferimento all’art. 76 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale del decreto legislativo 10 aprile 2018, n. 36, recante «Disposizioni di modifica della disciplina del regime di procedibilità per taluni reati in attuazione della delega di cui all’articolo 1, commi 16, lettere a) e b), e 17, della legge 23 giugno 2017, n. 103», nella parte in cui non prevede la procedibilità a querela anche per i delitti previsti dall’art. 590-bis, primo comma, del codice penale, in contrasto con quanto stabilito dall’art. 1, comma 16, lettera a), della legge 23 giugno 2017, n. 103 (Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all'ordinamento penitenziario).

Secondo il rimettente, il legislatore delegato avrebbe errato nel non prevedere, nell’ambito del d.lgs. n 36 del 2018, la punibilità a querela per il delitto di cui all’art. 590-bis cod. pen., rubricato «Lesioni personali stradali gravi o gravissime», ove non sussistano le circostanze aggravanti di cui ai commi secondo e seguenti.

L’art. 1, comma 16, lettera a), della legge n. 103 del 2017 aveva delegato il Governo a «prevedere la procedibilità a querela per i reati contro la persona puniti con la sola pena edittale pecuniaria o con la pena edittale detentiva non superiore nel massimo a quattro anni, sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria, fatta eccezione per il delitto di cui all’art. 610 del codice penale, e per i reati contro il patrimonio previsti dal codice penale, salva in ogni caso la procedibilità d’ufficio quando ricorra una delle seguenti condizioni: 1) la persona offesa sia incapace per età o per infermità; 2) ricorrano circostanze aggravanti ad effetto speciale ovvero le circostanze indicate nell’articolo 339 del codice penale; 3) nei reati contro il patrimonio, il danno arrecato alla persona offesa sia di rilevante gravità».

L’art. 590-bis, primo comma, cod. pen. configura un reato contro la persona, punito con la reclusione da tre mesi a un anno laddove il colpevole abbia cagionato lesioni gravi alla persona offesa, e con la reclusione da uno a tre anni laddove le abbia cagionato lesioni gravissime. In entrambe le ipotesi, dunque, la pena detentiva massima non supera nel massimo i quattro anni.

Ad avviso del giudice a quo, il Governo avrebbe pertanto dovuto estendere anche alla fattispecie delittuosa in questione la punibilità a querela, non trovando qui applicazione alcuna delle deroghe previste dalla legge delega al criterio generale basato sulla durata della pena detentiva massima, e in particolare l’eccezione di cui al numero 1) della disposizione poc’anzi citata, relativa alle ipotesi in cui «la persona offesa sia incapace per età o per infermità».

A tale omissione dovrebbe porre rimedio questa Corte, attraverso la pronuncia additiva sollecitata nell’ordinanza di rimessione.

2.– L’Avvocatura generale dello Stato ha eccepito l’inammissibilità della questione all’esame, con la quale il rimettente si dorrebbe di un «eccesso di delega in minus», omettendo così di considerare il margine di discrezionalità spettante al Governo nell’esercizio della delega medesima.

L’eccezione è, in realtà, relativa a un profilo che attiene al merito della questione, anziché alla sua ammissibilità.

La questione in questa sede prospettata – peraltro certamente rilevante nel giudizio a quo, in cui si discute della responsabilità penale di un imputato del delitto di cui all’art. 590-bis, primo comma, cod. pen., nei cui confronti non risulta essere stata presentata querela – è, dunque, ammissibile.

3.– Prima di esaminare il merito della questione, giova precisare che il giudice rimettente non lamenta qui un mancato esercizio della delega da parte del legislatore, né un suo parziale esercizio: ipotesi, queste, che secondo la costante giurisprudenza di questa Corte possono sì determinare una responsabilità politica del Governo verso il Parlamento, ma non una violazione dell’art. 76 Cost., a meno che il mancato parziale esercizio della delega stessa non comporti uno stravolgimento della legge di delegazione (sentenze n. 304 del 2011, n. 149 del 2005, n. 218 del 1987, n. 8 del 1977 e n. 41 del 1975; ordinanze n. 283 del 2013 e n. 257 del 2005).

Il giudice a quo lamenta, invece, la non corretta osservanza di uno specifico criterio di delega – quello di cui all’art. 1, comma 16, lettera a), della legge n. 103 del 2017 – che il Governo ha deciso di esercitare mediante il d.lgs. n. 36 del 2018, che ha per l’appunto previsto la procedibilità a querela di una serie di delitti contro la persona e contro il patrimonio previsti dal codice penale e puniti con pena detentiva non superiore a quattro anni. Nell’esercitare tale delega, il Governo avrebbe – nella prospettiva del rimettente – arbitrariamente omesso di prevedere la procedibilità a querela del delitto di cui all’art. 590-bis, primo comma, cod. pen., anche se tale delitto prevede pene detentive inferiori nel massimo al limite di quattro anni indicato dalla legge delega, e nonostante non ricorra – secondo il giudice a quo – alcuna delle ipotesi eccezionali nelle quali doveva, in base al citato art. 1, comma 16, lettera a), della legge n. 103 del 2017, conservarsi la regola previgente della procedibilità d’ufficio.

Come è accaduto nella recente sentenza n. 127 del 2017, la Corte è dunque chiamata a valutare se il Governo, nell’esercitare in parte qua la delega conferitagli dal Parlamento, abbia o meno errato nel dare applicazione ai principi e ai criteri direttivi il cui rispetto condiziona, in forza dell’art. 76 Cost., la legittimità costituzionale del decreto legislativo.

Ove risultasse che il Governo abbia interpretato e applicato in maniera non corretta il criterio di delega in parola, e abbia quindi indebitamente omesso di prevedere la procedibilità a querela del delitto di cui all’art. 590-bis, primo comma, cod. pen., tale omissione si risolverebbe in una violazione dell’art. 76 Cost.: non diversamente, del resto, da ciò che accadrebbe ove il Governo avesse previsto la procedibilità a querela di un’ipotesi delittuosa che, secondo le indicazioni del legislatore delegato, doveva invece restare procedibile d’ufficio.

4.– Ciò precisato, la questione non è fondata.

4.1.– Occorre subito sottolineare che, a fronte della previsione di pene detentive massime non superiori a quattro anni nelle due ipotesi delittuose contemplate dall’art. 590-bis, primo comma, cod. pen., il solo thema decidendum nella presente controversia è se il Governo fosse autorizzato a non prevedere la procedibilità a querela di tali fattispecie in ragione dell’operatività di una delle tre eccezioni, previste dall’art. 1, comma 16, lettera a), della legge n. 103 del 2017, al criterio generale che abbracciava tra l’altro «i reati contro la persona puniti con la sola pena edittale pecuniaria o con la pena edittale detentiva non superiore nel massimo a quattro anni, sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria», diversi dalla violenza privata.

Posta l’ovvia inapplicabilità, nella specie, dell’eccezione prevista dal numero 3) della disposizione – riferita ai soli reati contro il patrimonio –, e considerata l’altrettanto pacifica inapplicabilità dell’ulteriore eccezione prevista al numero 2) – riferita all’ipotesi in cui ricorrano circostanze aggravanti a effetto speciale o taluna delle circostanze di cui all’art. 339 cod. pen., stante la riconosciuta natura di fattispecie autonome delle ipotesi previste dall’art. 590-bis, primo comma, cod. pen. (Corte di cassazione, sezione quarta penale, sentenza 11 aprile-6 maggio 2019, n. 18802; sezione terza penale, sentenza 14 febbraio-10 giugno 2019, n. 25538; sezione prima penale, ordinanza 20 dicembre 2018-10 gennaio 2019, n. 1046; sezione quarta penale, sentenza 24 maggio-14 giugno 2018, n. 27425; sezione quarta penale, sentenza 16 maggio-15 settembre 2017, n. 42346; sezione quarta penale, sentenza 1 marzo-14 giugno 2017, n. 29721) –, resta da valutare se la scelta del Governo di non includere le fattispecie delittuose previste dall’art. 590-bis, primo comma, cod. pen. nel novero dei reati procedibili a querela ai sensi del d.lgs. n. 36 del 2018 si giustifichi in relazione all’eccezione prevista dal numero 1), riferita all’ipotesi in cui «la persona offesa sia incapace per età o per infermità». Profilo, quest’ultimo, su cui effettivamente si incentrano le opposte argomentazioni dell’ordinanza di rimessione e dell’Avvocatura generale dello Stato.

4.2.– La mancata inclusione tra i delitti procedibili a querela tanto della fattispecie di lesioni personali dolose di cui all’art. 582 cod. pen., nell’ipotesi in cui consegua una malattia di durata superiore a venti giorni, quanto delle fattispecie di lesioni stradali gravi e gravissime di cui all’art. 590-bis, primo comma, cod. pen., è stata giustificata dal Governo, nella Relazione illustrativa al primo schema di decreto legislativo (A.G. 475), «in ragione della considerazione che il legislatore ha già equiparato, ai fini della descrizione della fattispecie, la malattia allo stato di incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni, come si ricava agevolmente dalla disposizione in punto di aggravante di cui all’articolo 583, comma 1, n. 1, c.p. Il delitto di lesioni si connota, quindi, per l’evento, che ben può consistere in uno stato di incapacità, e la previsione di delega non qualifica ulteriormente la condizione di incapacità, non specifica se essa debba essere intesa come temporanea o permanente, piena o anche solo parziale, sicché il legislatore delegato non può che accoglierne la nozione più ampia […]. Il criterio di delega di cui all’articolo 1, comma 16, lettera a), numero 1), legge n. 103/2017 impone dunque di preservare la procedibilità d’ufficio quando ricorre la condizione di incapacità della persona offesa per (età o per) infermità».

La Commissione giustizia della Camera dei deputati, nel formulare il 6 dicembre 2017 il proprio parere favorevole con condizioni allo schema di decreto legislativo, ha espresso sul punto il proprio dissenso, richiedendo alla condizione numero 3) che la procedibilità a querela fosse estesa anche alle fattispecie di cui all’art. 590-bis, primo comma, cod. pen. Secondo la Commissione, infatti, la condizione di incapacità della vittima, per età o per infermità, dovrebbe «ritenersi riferibile ai casi in cui le particolari condizioni di vulnerabilità della vittima, per età o per infermità, preesistano al comportamento criminoso dell’autore del reato e siano perciò da questo indipendenti. La maggiore gravità del fatto, cui si lega la scelta di mantenere ferma la perseguibilità d’ufficio, sembrerebbe, quindi, essere ancorata alla circostanza che l’agente, per la realizzazione del reato, ha sfruttato una situazione di minorata difesa della vittima, antecedente alla condotta punita, che ha reso più agevole l’esecuzione, piuttosto che ad una situazione di infermità procurata anche a seguito della condotta criminosa».

Nessun rilievo sul punto specifico è stato invece mosso allo schema dalla Commissione giustizia del Senato della Repubblica.

Lo schema di decreto legislativo (A.G. 475-bis), approvato in secondo esame dal Consiglio dei ministri dell’8 febbraio 2018, non ha ritenuto di accogliere la condizione espressa dalla Commissione giustizia della Camera dei deputati, reiterando gli argomenti già illustrati nella Relazione al primo schema e aggiungendo che il delitto in parola, «peraltro già oggetto di recente intervento normativo», suscita «particolare allarme sociale», ed è comunque connotato «da una certa gravità posto che l’evento lesivo risulta essere conseguenza della violazione di una regola cautelare di condotta posta a presidio proprio della sicurezza della circolazione stradale».

Su tale secondo schema di decreto la Commissione giustizia della Camera dei deputati non ha espresso alcun parere, mentre la Commissione giustizia del Senato della Repubblica ha espresso parere non ostativo il 7 marzo 2018.

4.3.– I rilievi della Commissione giustizia della Camera dei deputati, ripresi in senso adesivo da varie voci dottrinali e riproposti dall’ordinanza di rimessione oggi all’esame, fanno leva essenzialmente sull’argomento testuale – di per sé nient’affatto peregrino – secondo cui l’espressione «sia incapace» alluderebbe a una condizione di incapacità della persona offesa preesistente alla condotta criminosa, e non già a una situazione creata dalla condotta criminosa stessa, come avviene nel caso delle lesioni personali.

A fronte di ciò, va peraltro sottolineato come la formula normativa utilizzata dal legislatore delegante sia in radice ambigua, non risultando chiaro se essa debba essere riferita alla necessaria presenza, nello schema della fattispecie delittuosa, di una persona offesa incapace per età o per infermità – come accade, ad esempio, nelle ipotesi di corruzione di minorenne (art. 609-quinquies cod. pen.) o di circonvenzione di incapaci (art. 643 cod. pen.), peraltro punite con pena detentiva massima superiore a quattro anni e quindi già a priori non comprese nella delega –, ovvero all’ipotesi in cui, nel singolo caso concreto, la persona offesa attinta dalla condotta criminosa sia incapace, magari proprio per effetto dello stesso evento criminoso.

È evidente, peraltro, come la ratio dell’eccezione in parola miri a confermare la regola della procedibilità d’ufficio per le ipotesi in cui la persona offesa sia una persona vulnerabile a causa della propria incapacità, in modo da assicurare che la tutela dell’ordinamento non venga fatta dipendere dalla sua iniziativa giudiziaria: iniziativa il cui esercizio, eventualmente tramite un rappresentante legale o un curatore speciale – la cui esistenza e la cui nomina non può, peraltro, essere data in questi casi per scontata – potrebbe risultare più difficoltoso di quanto normalmente accada rispetto alla generalità delle persone offese.

Ciò posto, era in facoltà del Governo ritenere che una tale esigenza di tutela rafforzata ricorra anche rispetto al delitto di lesioni stradali gravi o gravissime previsto dall’art. 590-bis, primo comma, cod. pen., che è produttivo di notevoli conseguenze pregiudizievoli per la salute della vittima, le quali a loro volta possono determinare una situazione di incapacità, transitoria o permanente, tale da renderle più difficoltosa una eventuale iniziativa giudiziaria volta a sollecitare la persecuzione penale del responsabile delle lesioni.

D’altra parte, la previsione della procedibilità a querela delle ipotesi delittuose contemplate dall’art. 590-bis, primo comma, cod. pen., si sarebbe posta in aperta contraddizione con la scelta, compiuta appena due anni prima dal Parlamento con la legge 23 marzo 2016, n. 41 (Introduzione del reato di omicidio stradale e del reato di lesioni personali stradali, nonché disposizioni di coordinamento al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e al decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274), di prevedere la procedibilità d’ufficio di tutte le fattispecie di lesioni stradali di cui all’art. 590-bis cod. pen., in considerazione del particolare allarme sociale determinato dalle condotte che con la nuova incriminazione si intendevano contrastare; mentre, all’evidenza, la scelta del legislatore delegante appariva volta a prevedere la procedibilità a querela per fatti di modesto contenuto offensivo, come emerge del resto dall’espressa previsione, al numero 3) dell’art. 1, comma 16, lettera a), della legge delega, di un’eccezione alla regola della procedibilità a querela per i reati contro il patrimonio produttivi di un danno alla persona offesa di rilevante gravità.

In conclusione, questa Corte ritiene che il Governo non abbia travalicato i fisiologici margini di discrezionalità impliciti in qualsiasi legge delega, nell’adottare una interpretazione non implausibile – e non distonica rispetto alla ratio di tutela sottesa alle indicazioni del legislatore delegante – del criterio dettato dall’art. 1, comma 16, lettera a), numero 1), della legge n. 103 del 2017; e si sia mantenuto così entro il perimetro sancito dal «legittimo esercizio della discrezionalità spettante al Governo nella fase di attuazione della delega, nel rispetto della ratio di quest’ultima e in coerenza con esigenze sistematiche proprie della materia penale» (sentenza n. 127 del 2017). E tanto più nel caso di specie, al cospetto di una delega “ampia” o “vaga”, che interviene per “blocchi” di materie, riferendosi genericamente a due Titoli del codice penale.

Dal che discende la non fondatezza della questione di legittimità in questa sede prospettata.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale del decreto legislativo 10 aprile 2018, n. 36, recante «Disposizioni di modifica della disciplina del regime di procedibilità per taluni reati in attuazione della delega di cui all’articolo 1, commi 16, lettere a) e b), e 17, della legge 23 giugno 2017, n. 103», sollevata, in riferimento all’art. 76 della Costituzione, nella parte in cui non prevede la procedibilità a querela anche per i delitti previsti dall’art. 590-bis, primo comma, del codice penale, dal Tribunale ordinario di La Spezia, sezione penale, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 settembre 2019.

F.to:

Giorgio LATTANZI, Presidente

Francesco VIGANÒ, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 24 ottobre 2019.