Sentenza n. 175 del 2019

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SENTENZA N. 175

ANNO 2019

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Presidente: Giorgio LATTANZI;

Giudici: Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 89, comma 2, ultimo periodo, della legge della Regione Umbria 21 gennaio 2015, n. 1 (Testo unico governo del territorio e materie correlate), promosso dal Tribunale amministrativo regionale per l’Umbria, sezione prima, nel giudizio instaurato da Società semplice agricola Tenuta San Quirico contro il Comune di Orvieto e altra, con ordinanza dell’8 ottobre 2018, iscritta al n. 14 del registro ordinanze 2019 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 7, prima serie speciale, dell’anno 2019.

Visto l’atto di intervento della Regione Umbria;

udito nella camera di consiglio del 18 giugno 2019 il Giudice relatore Silvana Sciarra.

Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza dell’8 ottobre 2018, iscritta al n. 14 del registro ordinanze 2019, il Tribunale amministrativo regionale per l’Umbria, sezione prima, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 42, 97, 117, secondo comma, lettera l), e terzo comma, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 89, comma 2, ultimo periodo, della legge della Regione Umbria 21 gennaio 2015, n. 1 (Testo unico governo del territorio e materie correlate), nella parte in cui vieta, nelle zone agricole, ogni forma di recinzione dei terreni.

1.1.– Il rimettente espone di dover decidere sulla richiesta di annullamento dell’ordinanza del Comune di Orvieto, che ha disposto la demolizione di una recinzione elettrificata realizzata a difesa dalla fauna selvatica in violazione dell’art. 89, comma 2, della legge reg. Umbria n. 1 del 2015.

In via preliminare, il giudice a quo disattende le eccezioni di inammissibilità del ricorso per omessa impugnazione del parere della Regione Umbria 6 luglio 2017 e della direttiva regionale 11 maggio 2015, n. 67738, sul presupposto che si tratti ‒ rispettivamente – di un atto privo di contenuto decisorio e di un atto che non reca un pregiudizio immediato alla posizione della parte ricorrente.

Non si potrebbe reputare il ricorso inammissibile neppure in ragione dell’omessa impugnazione dell’art. 42 delle norme tecniche di attuazione del piano regolatore generale, che non statuisce alcun divieto di installare recinzioni, e dell’intempestiva impugnazione dell’ordinanza di sospensione dei lavori e della diffida dalla prosecuzione dei lavori, atti di per sé sprovvisti di un’autonoma portata lesiva.

Ad avviso del TAR Umbria, non sarebbero risolutive le molteplici doglianze della parte ricorrente, che fanno leva sull’erronea interpretazione della disposizione censurata, sul carattere temporaneo delle opere, sull’illegittima applicazione della sanzione della demolizione in luogo di una mera sanzione pecuniaria, sull’erroneità del richiamo a un Parco Culturale, comprensivo anche dei terreni agricoli della parte ricorrente, e alle previsioni riguardanti le distanze delle opere di recinzione fronteggianti le strade, sulla disparità di trattamento rispetto alle «aziende agricole limitrofe in possesso di recinzioni a protezione dei terreni coltivati».

Il giudice a quo assume che la normativa di settore non consenta la realizzazione di recinzioni come quella installata dalla società ricorrente, che non si configura come opera temporanea, si estende per circa tre chilometri ed è formata in modo tale da permettere «il normale passaggio di animali di piccole e medie dimensioni, fatta eccezione per gli ungulati».

Soltanto gli Ambiti territoriali di caccia (ATC), nei piani di prevenzione delle emergenze agricole (art. 4, comma 1, lettera c, del regolamento della Regione Umbria 24 febbraio 2010, n. 5, recante «Regolamento di attuazione della legge regionale 29 luglio 2009, n. 17 - Norme per l’attuazione del fondo regionale per la prevenzione e l’indennizzo dei danni arrecati alla produzione agricola dalla fauna selvatica ed inselvatichita e dall’attività venatoria»), potrebbero prevedere la realizzazione di recinzioni elettriche. Tuttavia, nel caso di specie, una tale previsione non sarebbe stata adottata.

Quanto all’applicazione della sanzione pecuniaria, richiesta in via di mero subordine, non eliderebbe l’interesse della parte ricorrente a rimuovere il divieto di recinzioni.

Non sarebbe fondata neppure la doglianza sulla violazione delle distanze dalle strade, indicata nell’ordinanza impugnata soltanto come «motivazione ulteriore».

Il vincolo idrogeologico, indicato da Italia Nostra onlus - Associazione nazionale per la tutela del patrimonio storico, artistico e naturale della nazione, interveniente ad opponendum nel giudizio a quo, non soltanto sarebbe stato dedotto irritualmente a sostegno della legittimità del divieto di recinzioni, con un’indebita estensione del thema decidendum, ma non sarebbe neppure dimostrato.

1.2.– Ciò posto, il TAR Umbria accoglie l’eccezione di illegittimità costituzionale, formulata dalla parte ricorrente con riguardo alla normativa che nelle zone agricole vieta le recinzioni, a «prescindere dalla tutela di interessi ambientali, paesaggistici e/o estetici». La previsione censurata presenterebbe un tenore letterale univoco, che non si presterebbe a un’interpretazione adeguatrice. Secondo l’interpretazione oramai consolidata nella giurisprudenza e nella prassi amministrativa, nelle zone agricole non sarebbe possibile realizzare recinzioni a protezione dalla fauna selvatica.

Il giudice a quo muove dalla premessa che le recinzioni senza opere murarie, quando siano «di precaria installazione e di immediata asportazione», costituiscano «attività libera» e rappresentino una manifestazione del diritto di proprietà, che include anche la facoltà di delimitare un fondo e di proteggerlo da intrusioni.

Tale facoltà potrebbe essere sacrificata soltanto in presenza di «superiori interessi pubblici», da bilanciare «con le opposte ragioni di cui sono portatori i soggetti privati coinvolti», nel rispetto «dei canoni di logicità, equità, imparzialità ed economicità» (art. 97 Cost.) e delle prescrizioni di carattere inderogabile.

Il divieto assoluto di collocare recinzioni nelle zone agricole lederebbe la competenza esclusiva dello Stato in materia di ordinamento civile, in contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. Il legislatore regionale comprimerebbe in maniera illegittima «una libertà oggetto di competenza statale esclusiva» e introdurrebbe un divieto che non potrebbe essere ricondotto «all’esercizio delle prerogative regionali concorrenti in materia urbanistico-edilizia», proprio perché sarebbe «completamente scisso dalle dimensioni e dalle caratteristiche costruttive delle recinzioni e dunque da ogni apprezzabile alterazione ambientale, estetica e funzionale».

Il divieto in esame, che incide su una tipica facoltà dominicale, sarebbe lesivo del diritto di proprietà (art. 42 Cost.), che potrebbe essere sacrificato esclusivamente per la tutela di «superiori interessi pubblici». Interessi pubblici che, nel caso di specie, non sarebbe dato riscontrare.

Inoltre, la legge umbra entrerebbe in conflitto con l’art. 117, terzo comma, Cost., che demanda alla normativa statale di principio la definizione del regime dei titoli abilitativi e delle categorie di interventi riconducibili al regime di edilizia libera e preclude al legislatore regionale l’introduzione «di regimi particolarmente restrittivi non giustificati da superiori interessi pubblici» o di divieti radicali, «non sorretti da apprezzabili finalità ambientali, estetiche e funzionali». Sarebbe violato, in particolare, il principio fondamentale sancito dall’art. 6 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia. (Testo A)», che considera «le recinzioni senza opere murarie» come «interventi edilizi liberi».

La disciplina regionale è censurata anche per contrasto con i princìpi di eguaglianza, di ragionevolezza (art. 3 Cost.) e di buon andamento dell’amministrazione (art. 97 Cost.). Essa, pur consentendo la realizzazione di recinzioni poste a protezione degli edifici e degli animali, ammetterebbe le recinzioni che mirano a «impedire dall’esterno l’ingresso involontario della fauna selvatica che, come i cinghiali, è notoriamente causa di ingenti danni per le coltivazioni», soltanto a condizione che siano rilasciate le autorizzazioni previste nel contesto dei piani di prevenzione predisposti dagli ATC.

Il rimettente denuncia l’antigiuridicità e la macroscopica irragionevolezza di un divieto assoluto di collocare le recinzioni, che rappresentano «un elemento imprescindibile di molte coltivazioni e degli allevamenti di bestiame».

Un ulteriore profilo di irragionevolezza si coglierebbe nel fatto che il legislatore regionale, per un verso, incentiverebbe l’uso degli strumenti difensivi con l’art. 6 della legge della Regione Umbria 29 luglio 2009, n. 17 (Norme per l’attuazione del fondo regionale per la prevenzione e l’indennizzo dei danni arrecati alla produzione agricola dalla fauna selvatica ed inselvatichita e dall’attività venatoria) e, per altro verso, vieterebbe in via generale l’installazione delle recinzioni.

2.– Nel giudizio è intervenuta la Regione Umbria, con atto depositato il 5 marzo 2019, e ha chiesto di dichiarare inammissibili o comunque infondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal TAR Umbria.

In linea preliminare, la Regione Umbria ha eccepito l’inammissibilità delle questioni per difetto di rilevanza. La parte ricorrente nel giudizio principale avrebbe posto in opera una recinzione elettrificata, che fronteggia strade pubbliche o di uso pubblico ed è pertanto sottoposta al regime della segnalazione certificata di inizio attività (SCIA). Il Comune di Orvieto, anche a prescindere dalla controversa applicazione della disciplina censurata, avrebbe dovuto ordinare la demolizione del manufatto, realizzato senza ottemperare alla procedura della SCIA e senza richiedere alcun accertamento di conformità.

Le questioni, nel merito, non sarebbero comunque fondate.

In base alle previsioni dell’art. 21, comma 3, lettera n), del regolamento della Regione Umbria 18 febbraio 2015, n. 2, recante «Norme regolamentari attuative della legge regionale 21 gennaio 2015, n. 1 (Testo unico Governo del territorio e materie correlate)», le imprese agricole potrebbero apporre, senza titoli abilitativi, recinzioni che siano di pertinenza di edifici e non fronteggino strade o spazi pubblici oppure non interessino superfici di terreno superiori a tremila metri quadrati.

In virtù della legislazione regionale di settore, nelle aree agricole sarebbe possibile collocare recinzioni «strettamente necessarie a protezione di edifici ed attrezzature funzionali, anche per attività zootecniche» (art. 89, comma 2, della legge reg. Umbria n. 1 del 2015), recinzioni temporanee anche a protezione dalla fauna selvatica, per un periodo massimo di novanta giorni (art. 118, comma 1, lettera l-septies, della legge reg. Umbria n. 1 del 2015), recinzioni di tartufaie coltivate (art. 106, comma 2, della legge della Regione Umbria 9 aprile 2015, n. 12, recante «Testo unico in materia di agricoltura») o di zone per piante di specie portaseme bisognose di isolamento per ragioni genetiche e sanitarie (art. 58, comma 3, lettera b, della legge reg. Umbria n. 12 del 2015).

Sarebbe consentito, inoltre, recintare i terreni in cui è vietato l’esercizio dell’attività venatoria (art. 21, comma 2, della legge della Regione Umbria 17 maggio 1994, n. 14, recante «Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio») e sarebbero ammesse le recinzioni a protezione della fauna selvatica (art. 118, comma 1, lettera l, della legge reg. Umbria n. 1 del 2015).

Le imprese agricole potrebbero collocare chiudende per l’allevamento di animali (art. 118, comma 1, lettera g, della legge reg. Umbria n. 1 del 2015) e, nelle aree boscate e nelle fasce di transizione, sarebbero legittime «recinzioni ed opere pertinenziali di edifici» (art. 85, comma 4, della legge reg. Umbria n. 1 del 2015).

Sulla scorta di tale ricostruzione, la Regione Umbria replica di avere vietato nelle zone agricole soltanto una realizzazione indiscriminata delle recinzioni e di avere così esercitato la «potestà legislativa concorrente in materia di governo del territorio», allo scopo di salvaguardare le peculiarità di un territorio caratterizzato da una «presenza preponderante di zone agricole e boschive» e di tutelare l’integrità del paesaggio.

La facoltà di recintare senza limiti «le parti di territorio occupate da boschi e da terreni agricoli» produrrebbe «una insostenibile alterazione estetica e funzionale» del paesaggio rurale e interromperebbe percorsi storici come la via francigena.

La Regione Umbria afferma di avere contemperato in maniera equilibrata i diversi interessi rilevanti e, pertanto, esclude la violazione dei parametri costituzionali evocati dal rimettente.

Considerato in diritto

1.– Il Tribunale amministrativo regionale per l’Umbria, sezione prima, con l’ordinanza indicata in epigrafe (reg. ord. n. 14 del 2019), dubita della legittimità costituzionale dell’art. 89, comma 2, ultimo periodo, della legge della Regione Umbria 21 gennaio 2015, n. 1 (Testo unico governo del territorio e materie correlate), nella parte in cui sancisce, nelle zone agricole, un divieto di installare recinzioni, che, «in quanto del tutto scollegato da dimensioni e caratteristiche costruttive, appare prescindere dalla tutela di interessi ambientali, paesaggistici e/o estetici».

Il rimettente denuncia la violazione degli artt. 3, 42, 97, 117, secondo comma, lettera l), e terzo comma, della Costituzione.

Il divieto di recinzioni nelle zone agricole contrasterebbe anzitutto con l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., in quanto inciderebbe «“in peius” sulle facoltà dominicali proprie del diritto di proprietà» e comprimerebbe arbitrariamente «una libertà oggetto di competenza statale esclusiva ex art. 117, comma 2, lett. l), della Costituzione in materia di “ordinamento civile”».

Il giudice a quo prospetta, inoltre, il contrasto con l’art. 42 Cost. Il diritto di proprietà, che include la facoltà di realizzare recinzioni, sarebbe indebitamente sacrificato, senza che ricorrano le «condizioni previste dall’ordinamento in funzione di superiori interessi pubblici», in coerenza con la funzione sociale che caratterizza il diritto di proprietà.

Sarebbe violato anche l’art. 117, terzo comma, Cost. Il divieto di realizzare recinzioni, «completamente scisso dalle dimensioni e dalle caratteristiche costruttive delle recinzioni e dunque da ogni apprezzabile alterazione ambientale, estetica e funzionale id est dalla salvaguardia dei valori culturali ed ambientali», si porrebbe in contrasto con i princìpi fondamentali dettati dalla legislazione statale nella materia di competenza concorrente del governo del territorio, con riguardo alla «definizione delle categorie di interventi edilizi», e, in particolare, con la normativa statale di principio posta dall’art. 6 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia. (Testo A)». Di regola, «le recinzioni senza opere murarie» rientrerebbero nel novero degli «interventi edilizi liberi» e il legislatore regionale, «vincolato alle categorie edilizie tracciate dallo Stato», non potrebbe introdurre «regimi particolarmente restrittivi non giustificati da superiori interessi pubblici, ovvero […] divieti in senso assoluto non sorretti da apprezzabili finalità ambientali, estetiche e funzionali».

Il rimettente, da ultimo, censura la disciplina regionale per violazione degli artt. 3 e 97 Cost.

La disposizione in esame, nel consentire l’installazione delle recinzioni che servono a «impedire dall’esterno l’ingresso involontario della fauna selvatica che, come i cinghiali, è notoriamente causa di ingenti danni per le coltivazioni» soltanto con il previo rilascio delle «autorizzazioni previste nell’ambito dei piani di prevenzione» predisposti dagli Ambiti territoriali di caccia (ATC), sarebbe lesiva dei princìpi di eguaglianza e di ragionevolezza e di buon andamento della pubblica amministrazione.

In particolare, per le recinzioni finalizzate a impedire l’ingresso della fauna selvatica, sarebbe previsto un trattamento irragionevolmente deteriore rispetto alle recinzioni poste a protezione degli edifici e degli animali, per contro completamente liberalizzate (art. 118, comma 1, lettera l, della legge reg. Umbria n. 1 del 2015).

La disciplina apprestata dal legislatore regionale sarebbe inoltre «macroscopicamente irragionevole», in quanto l’attività di coltivazione e di allevamento del bestiame sarebbe impossibile senza un sistema di recinzioni, e sarebbe «contraddittoria» rispetto alla scelta di incentivare l’uso di strumenti difensivi per la prevenzione del danno alle colture agricole (art. 6 della legge della Regione Umbria 29 luglio 2009, n. 17, recante «Norme per l’attuazione del fondo regionale per la prevenzione e l’indennizzo dei danni arrecati alla produzione agricola dalla fauna selvatica ed inselvatichita e dall’attività venatoria»).

2.– La Regione Umbria, nell’atto di intervento, ha eccepito l’inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale per difetto di rilevanza.

A sostegno dell’eccezione, la Regione Umbria ha argomentato che il provvedimento di demolizione non discende dalla violazione della disposizione censurata, ma dalla violazione della normativa regionale, che prescrive la segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) per l’esecuzione delle opere pertinenziali come le recinzioni che fronteggino strade o spazi pubblici o interessino superfici superiori a tremila metri quadrati.

L’eccezione deve essere disattesa.

Il giudice a quo ha specificato che l’ordinanza di demolizione si fonda in via primaria sulla violazione del divieto di innalzare nelle zone agricole ogni forma di recinzione e – soltanto in subordine e «per relationem» – sulla «violazione dei limiti di distanza dalle strade pubbliche o di uso pubblico».

Come emerge dall’approfondita ricostruzione delineata dal rimettente, il dibattito processuale verte sull’applicazione della disposizione censurata e sulla possibilità di beneficiare delle deroghe tipizzate dal legislatore umbro. Anche nella fase cautelare, la delibazione del fumus boni iuris, sia dinanzi al Tribunale rimettente sia dinanzi al Consiglio di Stato (punti 5. e 6. del Ritenuto in fatto dell’ordinanza di rimessione), si è cimentata con l’interpretazione dell’art. 89, comma 2, ultimo periodo, della legge reg. Umbria n. 1 del 2015, oggi sottoposto al vaglio di questa Corte.

È la stessa Regione Umbria, del resto, a evidenziare che i sistemi di difesa dalla fauna selvatica, come quelli posti in opera dalla parte ricorrente, sono disciplinati dall’art. 89, secondo comma, ultimo periodo, della legge reg. Umbria n. 1 del 2015 (pagina 4 dell’atto di intervento) e incorrono dunque nel divieto sancito da tale previsione.

Peraltro, la possibilità di attivare il regime della SCIA presuppone che sia comunque consentito collocare recinzioni, facoltà che la disposizione censurata, per contro, tendenzialmente esclude. È proprio su questa esclusione, posta a fondamento dell’ordinanza impugnata, che si incentrano le censure del TAR Umbria.

Da questa angolazione si coglie dunque la rilevanza del dubbio di costituzionalità, che è possibile esaminare nel merito.

3.– Nel merito, le questioni sono fondate, per le ragioni di séguito esposte.

3.1.– Il sospetto di illegittimità costituzionale riguarda l’art. 89, comma 2, ultimo periodo, della legge reg. Umbria n. 1 del 2015, nella parte in cui esclude, nelle zone agricole, ogni forma di recinzione dei terreni. Le censure del rimettente si appuntano su questa previsione di carattere generale, che è contraddistinta da un tenore letterale inequivocabile e si colloca in una più ampia disciplina degli interventi edilizi nel territorio agricolo.

3.2.– Il giudice a quo muove dalla premessa, conforme alla consolidata giurisprudenza amministrativa (fra le molte, Consiglio di Stato, sezione sesta, sentenza 23 maggio 2019, n. 3346), che la recinzione, quando consista di materiale di scarso impatto visivo e si configuri come un intervento di dimensioni ridotte, privo di opere murarie di sostegno, sia riconducibile alle manifestazioni del diritto di proprietà. Invero, una recinzione dotata di tali caratteristiche assolve una mera funzione di difesa della proprietà dalle ingerenze materiali ed è strumentale all’esercizio dello ius excludendi alios (Consiglio di Stato, sezione sesta, sentenza 4 luglio 2014, n. 3408), che si traduce nella facoltà di delimitare e di conferire l’assetto più opportuno alle singole proprietà, allo scopo di separarle dalle altre, di custodirle e di proteggerle da eventuali intrusioni.

Quando invece la recinzione, per le modalità costruttive prescelte, determini un’apprezzabile alterazione ambientale, estetica e funzionale e si atteggi, pertanto, come esercizio dello ius aedificandi, è indispensabile il previo rilascio di un idoneo titolo abilitativo. La distinzione tra esercizio dello ius excludendi alios ed esercizio dello ius aedificandi deve essere condotta alla stregua delle caratteristiche concrete del manufatto e dell’impatto che esso produce sul territorio (Consiglio di Stato, sezione sesta, sentenza 12 giugno 2019, n. 3932).

La giurisprudenza amministrativa è poi costante nell’affermare che la facoltà di chiudere il fondo, attribuzione tipica del diritto di proprietà, può essere limitata e conformata dalle norme urbanistiche soltanto in funzione di preminenti interessi pubblici (Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sezione staccata di Brescia, sezione prima, sentenze 4 marzo 2015, n. 362, e 5 febbraio 2008, n. 40, e Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, sezione seconda, sentenza 10 maggio 2012, n. 532).

4.– Nel prendere le mosse da tali condivisibili premesse interpretative, il dubbio di costituzionalità si rivela fondato, in riferimento alla violazione della competenza esclusiva dello Stato in materia di ordinamento civile (art. 117, secondo comma, lettera l, Cost.). Tale profilo, che investe in radice la stessa potestà della Regione di dettare la disposizione censurata, presenta carattere pregiudiziale rispetto alle censure attinenti al merito della disciplina regionale.

4.1.– La legge regionale censurata, nel vietare nelle zone agricole ogni forma di recinzione dei terreni, contiene una previsione di valenza generale, solo in parte temperata dalle circoscritte deroghe individuate dalla legislazione di settore o giustificate da motivi di sicurezza, «purché strettamente necessarie a protezione di edifici ed attrezzature funzionali, anche per attività zootecniche». Il divieto colpisce anche quelle recinzioni che non determinano alcuna trasformazione del territorio e sono espressione dello ius excludendi alios.

4.2.– Si deve rilevare che è lo stesso codice civile, disciplina organica dei rapporti interprivati, a regolare il potere di apporre recinzioni, nell’àmbito del Libro III, specificamente riservato al diritto di proprietà. In particolare, l’attribuzione al proprietario del diritto di chiudere il fondo in ogni tempo (art. 841 cod. civ.) si inquadra in una trama di disposizioni del Titolo II e, in particolare, della Sezione I del Capo II, che definiscono il contenuto del diritto di proprietà nel necessario contemperamento con l’interesse dei terzi (artt. 840, secondo comma, 842, primo comma, 843 e 844 cod. civ.) e con gli scopi di pubblico interesse (art. 845 cod. civ.).

Nel codice civile si tracciano i limiti del diritto di chiudere il fondo, che attengono, su un piano generale, al divieto di atti emulativi (art. 833 cod. civ.) e, più specificamente, all’obbligo di non pregiudicare i diritti di servitù spettanti a chi ha la necessità di passare per il fondo (art. 1064, secondo comma, cod. civ.).

4.3.– Nel vietare le recinzioni dei terreni agricoli che non siano espressamente previste dalla legislazione di settore o giustificate da motivi di sicurezza, il legislatore umbro ha travalicato i limiti della competenza concorrente in materia di governo del territorio, che riconosce la potestà regionale di dettare prescrizioni di dettaglio sugli interessi legati all’uso del territorio (sentenza n. 105 del 2017, punto 4.1. del Considerato in diritto), in conformità con i princìpi fondamentali enunciati dalla legislazione statale.

Nell’àmbito di un equilibrato bilanciamento tra i contrapposti interessi, il legislatore regionale ben può conformare anche le facoltà spettanti ai privati, allo scopo di salvaguardare interessi pubblici sovraordinati e di delineare un assetto complessivo e unitario di determinate zone, rispettoso delle peculiarità dei territori coinvolti. Al legittimo esercizio della competenza concorrente in materia di governo del territorio possono essere ricondotte disposizioni specifiche sulle modalità costruttive delle recinzioni, limitazioni puntuali connesse con la particolarità del territorio, specificazioni in merito al regime edilizio applicabile, in coerenza con la normativa statale del d.P.R. n. 380 del 2001.

4.4.– La previsione censurata non interviene su un aspetto specifico correlato al governo del territorio, ma incide su un potere, tradizionalmente oggetto di codificazione, e si prefigge di regolarne il contenuto sostanziale. Essa, con una formulazione di notevole latitudine, esclude in via generale una facoltà che il codice civile considera, per contro, parte integrante del diritto di proprietà.

In questa prospettiva, trova conferma la riconducibilità della disciplina regionale all’ordinamento civile, che «si pone quale limite alla legislazione regionale, in quanto fondato sull’esigenza, sottesa al principio costituzionale di eguaglianza, di garantire nel territorio nazionale l’uniformità della disciplina dettata per i rapporti tra privati» (sentenza n. 352 del 2001, punto 6.2. del Considerato in diritto; negli stessi termini, sentenza n. 159 del 2013, punto 4. del Considerato in diritto).

Le considerazioni svolte conducono a ritenere violata la competenza esclusiva statale sancita dall’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.

5.– Si deve dichiarare, pertanto, l’illegittimità costituzionale dell’art. 89, comma 2, ultimo periodo, della legge reg. Umbria n. 1 del 2015, nella parte in cui vieta, nelle zone agricole, ogni forma di recinzione dei terreni non espressamente prevista dalla legislazione di settore o non giustificata da motivi di sicurezza, purché strettamente necessaria a protezione di edifici ed attrezzature funzionali, anche per attività zootecniche.

5.1.– Restano assorbite le ulteriori censure formulate dal rimettente.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 89, comma 2, ultimo periodo, della legge della Regione Umbria 21 gennaio 2015, n. 1 (Testo unico governo del territorio e materie correlate), nella parte in cui vieta, nelle zone agricole, ogni forma di recinzione dei terreni non espressamente prevista dalla legislazione di settore o non giustificata da motivi di sicurezza, purché strettamente necessaria a protezione di edifici ed attrezzature funzionali, anche per attività zootecniche.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 giugno 2019.

F.to:

Giorgio LATTANZI, Presidente

Silvana SCIARRA, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 12 luglio 2019.