Sentenza n. 161 del 2019

 

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SENTENZA N. 161

ANNO 2019

Commento alla decisione di

 

Monica Bergo

Sulla riforma di AGEA la Corte costituzionale dribbla la richiesta di revocatoria e un precedente “scomodo” con un impiego sostanziale della leale collaborazione

 

per g.c. dell’Osservatorio AIC

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

composta dai signori:

Presidente: Giorgio LATTANZI;

Giudici: Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 3, e degli artt. 2, 3, 4, 8 e 15, comma 5, nonché dell’intero testo, del decreto legislativo 21 maggio 2018, n. 74 (Riorganizzazione dell’Agenzia per le erogazioni in agricoltura - AGEA e per il riordino del sistema dei controlli nel settore agroalimentare, in attuazione dell’articolo 15, della legge 28 luglio 2016, n. 154), promosso dalla Regione Veneto, con ricorso notificato il 21-23 agosto 2018, depositato in cancelleria il 23 agosto 2018, iscritto al n. 52 del registro ricorsi 2018 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 38, prima serie speciale, dell’anno 2018.

Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella udienza pubblica del 19 marzo 2019 il Giudice relatore Giancarlo Coraggio;

uditi gli avvocati Andrea Manzi e Ezio Zanon per la Regione Veneto e l’avvocato dello Stato Gabriella Palmieri per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.− Con ricorso iscritto al n. 52 reg. ric. del 2018, la Regione Veneto ha promosso questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 3, e degli art. 2, 3, 4 e 8, nonché dell’art. 15, comma 5, del decreto legislativo 21 maggio 2018, n. 74 (Riorganizzazione dell’Agenzia per le erogazioni in agricoltura - AGEA e per il riordino del sistema dei controlli nel settore agroalimentare, in attuazione dell’articolo 15, della legge 28 luglio 2016, n. 154), oltre che dell’intero decreto legislativo medesimo.

La ricorrente chiede, inoltre, a questa Corte di decidere, «ove necessario, sui motivi di impugnazione dell’art. 15 della legge n. 154 del 2016, che si devono intendere qui interamente riproposti, previa rimessione nei termini di cui all’art. 127 Cost.»; disporre, «ove necessario, per effetto del combinato disposto degli artt. 91 e 92 del decreto legislativo n. 104/2010, dell’art. 22 della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 395, comma 1, nn. 1) e 4) c.p.c. la revocazione della decisione [di questa Corte] n. 139 del 2018, considerando nell’eventuale fase rescissoria, come integralmente riproposti i motivi di impugnazione del giudizio R.G. 65/2016»; sollevare, «[i]n subordine e in via alternativa, sempre ove necessario, […] questione incidentale di costituzionalità avverso l’art. 18 della legge 11 marzo 1953, n. 87 nella parte in cui non prevede la possibilità di impugnare le decisioni della Corte costituzionale nel caso in cui si presenti un vizio revocatorio ex art. 395, comma 1, nn. 1 e 4) c.p.c.».

1.1.− La Regione espone che, con ricorso iscritto al n. 65 del reg. ric. 2016, aveva proposto in via principale questione di legittimità costituzionale avente ad oggetto, tra l’altro, l’art. 15, commi 1, 2, lettera d), e 5, della legge 28 luglio 2016, n. 154 (Deleghe al Governo e ulteriori disposizioni in materia di semplificazione, razionalizzazione e competitività dei settori agricolo e agroalimentare, nonché sanzioni in materia di pesca illegale), per violazione degli artt. 97, 117, quarto comma, e 118 della Costituzione, nonché del principio di leale collaborazione di cui all’art. 120 Cost.

In particolare, a parere della Regione ricorrente, la delega legislativa, nel prevedere, nell’ambito della rinnovazione del modello di coordinamento degli organismi pagatori a livello regionale, quali criteri direttivi «l’introduzione di un modello organizzativo omogeneo, l’uniformità dei costi di gestione del sistema tra i diversi livelli regionali e l’uniformità delle procedure e dei sistemi informativi tra i diversi livelli», sarebbe andata oltre i limiti afferenti alla esplicitata finalità di razionalizzazione e contenimento della spesa pubblica, finalità anzi compromessa dalla disposizione stessa. Quest’ultima, infatti, sarebbe stata tesa a realizzare un livellamento organizzativo, procedurale e di spesa tra i diversi livelli regionali, senza tener conto delle loro specificità e peculiarità, determinando l’effetto distorsivo per cui, ove essi presentassero caratteristiche di eccellenza sotto il profilo organizzativo, gestorio e finanziario, come nel caso della Regione Veneto, avrebbero dovuto comunque adeguarsi ai nuovi parametri previsti dalla legislazione statale, pur se “qualitativamente” inferiori, con la conseguente lesione in termini non solo di efficienza amministrativa, ma anche sotto il profilo economico-finanziario, accrescendo la correlata voce di spesa pubblica, con violazione dunque sia del principio di buon andamento di cui all’art. 97 Cost. che degli artt. 81 e 119 Cost.

L’imposizione di modelli organizzativi e procedimentali prevista nella delega legislativa in esame avrebbe inoltre determinato un’invasione delle competenze affidate alle Regioni in materia di ordinamento e organizzazione amministrativa regionale e in materia di agricoltura, con violazione degli artt. 117, quarto comma, e 118 Cost.

Inoltre, la previsione, quale unico strumento di concertazione intergovernativa, di un mero parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, da rendere nel termine di quarantacinque giorni dalla data di trasmissione di ciascun schema di decreto legislativo, decorso il quale il Governo era abilitato a procedere, avrebbe determinato, sia per il carattere “debole” dell’intervento della conferenza intergovernativa sia per l’esiguità del termine previsto, la violazione del principio di leale collaborazione di cui all’art. 120 Cost.

1.1.1.− La Regione ricorda che il ricorso iscritto al n. 65 del reg. ric. 2016 è stato deciso con sentenza n. 139 del 2018, nella quale si è rilevato che, «come segnalato dalla Regione ricorrente nella propria memoria depositata il 17 aprile 2018 e dall’Avvocatura generale dello Stato in udienza [tenutasi 1’8 maggio 2018], nonostante il decorso del termine legislativamente previsto, non è stato dato seguito alla delega». Questa Corte ha pertanto dichiarato l’inammissibilità della questione di legittimità costituzionale per sopravvenuta carenza di interesse a coltivare il ricorso.

Viene però rilevato che, in realtà, la delega legislativa è stata esercitata dal Governo giusta deliberazione del 16 maggio 2018, e ciò legittimamente in quanto il termine per l’esercizio del potere delegato, per effetto del comma 5 dell’art. 15 della legge n. 154 del 2016, era stato prorogato ex lege di tre mesi, spostando in tal modo al 25 maggio 2018 l’esaurimento del potere legislativo delegato.

La Regione sostiene quindi che la predetta pronuncia è fondata «su uno stato di fatto smentito dal successivo comportamento difforme del Governo».

Tanto premesso, la ricorrente – pur asserendo di concentrare le proprie censure sul d.lgs. n. 74 del 2018, in quanto reputa che esso presenti vizi di legittimità costituzionale, sostanziali e procedimentali, propri – afferma che esso risulta viziato anche in via derivata per effetto dei limiti e criteri direttivi della legge delega, oggetto di un’impugnazione decisa in rito e non nel merito.

Sulla base di tale considerazione la Regione Veneto evidenzia di avere interesse a una pronuncia di merito in ordine alla legittimità costituzionale della legge delega n. 154 del 2016, previa rimessione nei termini di cui all’art. 127 Cost., essendo essa decaduta dagli stessi per effetto della dichiarata inammissibilità, senza che alcun addebito di colpa possa essere mossa alla stessa, o, altrimenti, previa revocazione della sentenza n. 139 del 2018, in applicazione del combinato disposto degli artt. 91 e 92 dell’Allegato 1 (Codice del processo amministrativo) al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell’articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo), dell’art. 22 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), e dell’art. 395, primo comma, numeri 1) e 4), del codice di procedura civile, anche, se necessario – e cioè qualora tali disposizioni fossero ritenute non compatibili con il giudizio costituzionale −, in seguito a declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 18 della legge n. 87 del 1953, nella parte in cui non prevede la revocazione delle decisioni della Corte costituzionale nei giudizi in via principale, ove le stesse siano frutto di un errore di fatto o di dolo di una delle parti, che ha precluso la pronuncia sul merito del ricorso.

1.2.− Tanto premesso, la ricorrente si sofferma sulle censure specificamente mosse avverso le disposizioni del d.lgs. n. 74 del 2018.

1.2.1.− L’art. 15, comma 5, viene impugnato per violazione degli artt. 76, 97, 117, terzo e quarto comma, 118 e 120 Cost.

La Regione sostiene che tale disposizione – la quale prevede che: «Per l’esercizio delle funzioni e dei compiti di cui al presente decreto, ivi compresi i controlli preventivi integrati effettuati mediante telerilevamento previsti dalla normativa dell’Unione europea, l’Agenzia e gli altri organismi pagatori riconosciuti si avvalgono dei servizi del SIAN» – conferma tutti i dubbi di legittimità costituzionale sollevati nel giudizio promosso avverso la legge delega sotto il profilo della lesione dell’autonomia organizzativa regionale e, dunque, della violazione degli artt. 117, quarto comma, e 118 Cost.

E ciò in quanto si impone a tutti gli organismi pagatori riconosciuti e, dunque, anche a quelli regionali, di esercitare tutte le proprie funzioni e compiti avvalendosi dei servizi del Sistema informativo agricolo nazionale (SIAN).

La disposizione di legge statale travalicherebbe, dunque, i confini del coordinamento informativo e dello strumento di garanzia di uniformità di linguaggio e si porrebbe quale misura organizzatoria e funzionale eteroimposta e vincolante l’organizzazione delle Regioni e degli enti regionali, ledendo, pertanto, la competenza regionale in materia di ordinamento e organizzazione regionale oltreché la competenza regionale in materia di agricoltura, in tal guisa violando gli artt. 117, quarto comma, e 118 Cost.

Si sottolinea, poi, che la Regione Veneto è da tempo dotata di un proprio organismo pagatore che utilizza un proprio sistema informativo, predisposto per l’esercizio delle funzioni proprie e correlato per flussi informativi con il SIAN. Pertanto, la disposizione impugnata violerebbe, oltre che gli artt. 117, terzo e quarto comma, e 118 Cost., anche l’art. 97 Cost. non garantendo la possibilità da parte delle Regioni e degli enti strumentali delle stesse, cui sia affidato il ruolo di organismo pagatore regionale, di scegliere di non avvalersi, nell’esercizio delle proprie funzioni, del SIAN e di utilizzare un sistema informativo proprio, anche ove quest’ultimo risulti più efficiente e funzionale al perseguimento del pubblico interesse.

Infine – e ferma restando l’illegittimità costituzionale derivante dal vizio procedimentale in precedenza esposto nella ricostruzione dei motivi di impugnazione della legge delega (che importerebbe una violazione dell’art. 76 Cost.) – sarebbe ravvisabile la violazione del principio di leale collaborazione di cui all’art. 120 Cost., per «la solo apparente concertazione collaborativa svolta in termini solo formali di intesa, ma invero alla stregua di un mero parere».

1.2.2.− Viene altresì sostenuta l’illegittimità costituzionale degli artt. 1, comma 3, 2, 3, 4 e 8 del d.lgs. n. 74 del 2018, e, conseguentemente, dell’intero decreto legislativo medesimo per violazione degli artt. 76, 97, 117, primo e quarto comma, 118 e 120 Cost.

L’art. 1 del d.lgs. n. 74 del 2018, al comma 3, dispone che l’Agenzia per le erogazioni in agricoltura (AGEA) «assicura la separazione tra le funzioni di organismo di coordinamento e di organismo pagatore».

La Regione – dopo un succinto excursus delle molteplici funzioni attribuite dal decreto legislativo ad AGEA quale organismo di coordinamento – sostiene che esse andrebbero oltre i confini tracciati dalla normativa unionale e, soprattutto in materia di vigilanza e controllo oltreché armonizzazione ai fini dell’uniformità comportamentale degli organismi pagatori regionali, avrebbero richiesto un esercizio formalmente e sostanzialmente separato rispetto alle funzioni di organismo pagatore.

Ricorda quindi che, come indicato dallo stesso art. 4 del regolamento (UE) n. 908/2014 della Commissione, del 6 agosto 2014, recante modalità di applicazione del regolamento (UE) n. 1306/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda gli organismi pagatori e altri organismi, la gestione finanziaria, la liquidazione dei conti, le norme sui controlli, le cauzioni e la trasparenza, l’«organismo pagatore può svolgere il ruolo di organismo di coordinamento, purché le due funzioni siano nettamente distinte», e ciò in omaggio alla necessità di evitare commistioni e sovrapposizioni di esercizio tra funzioni interferenti che devono essere affidate alle cure di organismi distinti ed autonomi.

Sarebbe dunque ravvisabile la violazione della disposizione unionale e, conseguentemente, dell’art. 117, primo comma, Cost., la quale si riverbererebbe in una lesione dell’autonomia organizzativa e gestionale regionale e degli organismi pagatori regionali, i quali verrebbero a soffrire gli effetti negativi derivanti dalla commistione di funzioni di coordinamento, di vigilanza e di gestione degli aiuti, e si rifletterebbe, altresì, in una elisione della competenza regionale in materia di agricoltura, con conseguente violazione degli artt. 117, quarto comma, e 118 Cost.

La sovrapposizione funzionale prevista dal decreto legislativo delegato, infatti, sarebbe idonea a determinare effetti distorsivi tali da «alterare il sistema relazionale tra organismo di coordinamento e di controllo e organismi pagatori e tra organismi pagatori regionali e AGEA», con inevitabili ripercussioni sull’efficienza dello stesso sistema, in contrasto con l’art. 97 Cost.

Tale criticità, del resto, sarebbe stata fotografata dal parere espresso dalla Commissione 9a (Agricoltura e produzione agroalimentare) del Senato della Repubblica, ove si subordinerebbe l’assenso parlamentare alla predisposizione di modifiche idonee a garantire «una piena garanzia dell’indipendenza e della separazione delle funzioni che la nuova AGEA è chiamata a svolgere, in quanto soggetto erogatore degli aiuti, e nella veste di soggetto deputato all’espletamento dei controlli: il principio di terzietà impone infatti specifiche guarentigie». La Regione asserisce che tali osservazioni, per il loro contenuto puntuale e normogenetico, potrebbero considerarsi delle autentiche condizioni, in quanto evidenziano elementi critici da sciogliere nello stesso decreto legislativo e, lungi dall’essere mere constatazioni, si atteggerebbero alla stregua di «autentici suggerimenti/indicazioni, volti a incidere sulla formazione della volontà legislativa delegata».

Il mancato compimento del dialogo codecisorio previsto dalla legge di delega –individuato dalla ricorrente nel mancato adeguamento dello schema di decreto delegato alle predette osservazioni e nella mancata ritrasmissione dello schema rivisitato alla Commissione del Senato – determinerebbe dunque un vizio di legittimità del decreto delegato, confermato dal fatto che le guarentigie richieste nel parere non sembrerebbero essere state introdotte nel decreto legislativo, il quale soffrirebbe dunque sia del vizio di legittimità derivante dalla violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., sia dell’ulteriore vizio consistente nella violazione dell’art. 76 Cost. Di fronte alla condizione posta dalla Commissione parlamentare non si sarebbe, infatti, svolto l’iter procedimentale rafforzato previsto dalla legge delega, radicando una violazione che si riverbererebbe «in acto e non solo in potentia in una lesione della competenza regionale sia sotto il profilo della elisione dell’autonomia organizzatoria sia della lesione della materia agricoltura e, in particolare dell’attività di gestione dei fondi agricoli».

La Regione sottolinea, infine, che l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 3, e degli artt. 2, 3, 4 e 8 del d.lgs. n. 74 del 2018 ingenererebbe «un effetto caducante sull’intera geometria funzionale del decreto legislativo, stante il necessario venir meno di ogni disposizione dell’atto avente forza di legge che comporti un’indebita commistione delle funzioni di organismo pagatore e di coordinamento/vigilanza», e conclude chiedendo – qualora questa Corte non condividesse tale impostazione secondo cui il predetto effetto caducatorio dovrebbe considerarsi quale conseguenza necessaria della pronuncia demolitoria richiesta con riferimento alle singole disposizioni – di estendere l’impugnazione all’intero testo del d.lgs. n. 74 del 2018, stante la inscindibilità delle disposizioni impugnate rispetto alle altre norme dello stesso.

2.− Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, si è costituito deducendo l’infondatezza delle censure prospettate dalla Regione Veneto e, al contempo, chiedendo, con riferimento a quanto contenuto a pagina 8, punto 7), del ricorso regionale, la cancellazione della frase «potrebbe far trasmutare il carattere non intenzionale di tale condotta in una vera e propria sorta di dolo».

L’Avvocatura generale sostiene l’inammissibilità della richiesta di rimessione in termini per l’impugnazione dell’art. 15 della legge delega n. 154 del 2016, in quanto, stante il carattere del giudizio in via principale di giudizio a disponibilità delle parti, l’inammissibilità per sopravvenuta carenza di interesse a coltivare il ricorso, ravvisabile quando una pronuncia ablatoria non è idonea a soddisfare l’interesse del ricorrente, avrebbe effetti preclusivi ai fini di una possibile ripresentazione del ricorso.

Né sarebbe sostenibile – prosegue l’Avvocatura – a sostegno della richiesta di rimessione in termini «un’incolpevole decadenza della parte dai termini processuali», posto che la stessa Regione, nella memoria del 16 aprile 2018, depositata il successivo 17 aprile, aveva evidenziato che non le constava l’avvenuta adozione del decreto attuativo della legge delega, dato peraltro non smentito all’udienza dell’8 maggio 2018, con richiesta di cessazione della materia del contendere.

Inammissibile sarebbe altresì la richiesta di revocazione della sentenza n. 139 del 2018, stante il dettato preclusivo dell’art. 137, terzo comma, Cost., che esclude qualsiasi tipo di impugnazione delle decisioni della Corte.

Quanto al merito delle censure, viene rilevato che, pur rientrando la materia agricoltura nell’ambito della competenza residuale delle Regioni, verrebbero in rilievo materie di competenza legislativa esclusiva statale, di cui alle lettere a) ed s) del secondo comma dell’art. 117 Cost.

3.− In data 26 febbraio 2019 la Regione Veneto ha depositato memoria, ribadendo le proprie argomentazioni, soffermandosi in particolare sull’ammissibilità della richiesta di revocazione, soprattutto in base alla considerazione che oggetto della stessa sarebbe una pronuncia di rito.

Considerato in diritto

1.− Con ricorso iscritto al n. 52 reg. ric. del 2018, la Regione Veneto ha promosso questioni di legittimità costituzionale dell’art. 15, comma 5, del decreto legislativo 21 maggio 2018, n. 74 (Riorganizzazione dell’Agenzia per le erogazioni in agricoltura – AGEA e per il riordino del sistema dei controlli nel settore agroalimentare, in attuazione dell’articolo 15, della legge 28 luglio 2016, n. 154), per violazione degli artt. 76, 97, 117, terzo e quarto comma, 118 della Costituzione e del principio di leale collaborazione di cui all’art. 120 Cost., nonché dell’art. 1, comma 3, e degli artt. 2, 3, 4 e 8, e, conseguentemente, dell’intero decreto legislativo medesimo, per violazione degli artt. 76, 97, 117, primo e quarto comma, 118 Cost. e del principio di leale collaborazione di cui all’art. 120 Cost.

La ricorrente chiede, inoltre, a questa Corte di:

− decidere, «ove necessario, sui motivi di impugnazione dell’art. 15 della legge n. 154 del 2016, che si devono intendere qui interamente riproposti, previa rimessione nei termini di cui all’art. 127 Cost.»;

− disporre, «ove necessario, per effetto del combinato disposto degli artt. 91 e 92 del decreto legislativo n. 104/2010, dell’art. 22 della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 395, comma 1, nn. 1) e 4) c.p.c., la revocazione della decisione [di questa Corte] n. 139 del 2018, considerando nell’eventuale fase rescissoria, come integralmente riproposti i motivi di impugnazione del giudizio R.G. 65/2016»;

− sollevare, «in subordine e in via alternativa, sempre ove necessario, […] questione incidentale di costituzionalità avverso l’art. 18 della legge 11 marzo 1953, n. 87 nella parte in cui non prevede la possibilità di impugnare le decisioni della Corte costituzionale nel caso in cui si presenti un vizio revocatorio ex art. 395, comma 1, nn. 1 e 4) c.p.c.».

2.− Premesso che l’interesse prioritario della Regione – come dalla stessa sottolineato anche in udienza – verte sull’esame delle questioni avverso l’impugnato decreto legislativo, queste ultime vanno affrontate preliminarmente, secondo l’ordine formulato dalla ricorrente. Questa – come emerge con chiarezza dalle conclusioni e come può evincersi dal corpo motivazionale del ricorso – in via principale chiede che venga dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 3, e degli artt. 2, 3, 4 e 8, nonché dell’art. 15, comma 5, del d.lgs. n. 74 del 2018, oltre che dell’intero decreto legislativo medesimo, e, come sopra riportato, solo «ove necessario», chiede alla Corte di pronunciarsi sulle ulteriori istanze relative all’art. 15 della legge 28 luglio 2016, n. 154 (Deleghe al Governo e ulteriori disposizioni in materia di semplificazione, razionalizzazione e competitività dei settori agricolo e agroalimentare, nonché sanzioni in materia di pesca illegale).

3.− Una prima censura che coinvolge l’intero decreto legislativo è relativa all’art. 76 Cost., la cui violazione è prospettata sotto due profili:

1) mancata acquisizione del parere della XIII Commissione (Agricoltura) della Camera dei deputati con acquisizione del solo parere della Commissione 9a (Agricoltura e produzione agroalimentare) del Senato della Repubblica;

2) difetto di adeguamento alle osservazioni del parere della Commissione del Senato, con conseguente «vizio procedimentale grave e insanabile», per inosservanza della disposizione di cui al comma 6 dell’art. 15 della legge delega n. 154 del 2016, a norma del quale «[i]l Governo, qualora non intenda conformarsi ai pareri parlamentari, ritrasmette i testi alle Camere con le sue osservazioni e con eventuali modificazioni, per il parere definitivo delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per i profili finanziari, da rendere entro un mese dalla data di trasmissione. Decorso il predetto termine, i decreti possono essere comunque adottati in via definitiva dal Governo».

3.1.− Entrambi i profili di censura non sono fondati.

3.2.− Quanto al primo, si deve partire dalla considerazione che, secondo quanto dispone il comma 6 sopra riportato, il Governo, una volta decorso il termine normativamente previsto, era legittimato ad adottare il decreto legislativo anche in assenza del parere delle Commissioni parlamentari e la stessa ricorrente riconosce che non intende far valere «la circostanza che il parere sia condizione di procedibilità per il Governo», insistendo sulla convinzione che, tuttavia, la sua assenza «abbia impedito che si potesse svolgere quel dialogo concertativo tra esecutivo e legislativo considerato dalla legge delega quale condicio sine qua non per il legittimo esercizio della delega legislativa».

Senonché ciò rende la censura contraddittoria poiché prevedere che il decorso del tempo legittimi il Governo ad adottare il decreto legislativo anche in assenza dell’acquisizione dei pareri comporta il carattere non necessario del dialogo.

3.3.− Il secondo profilo di censura, invece, parte da un’errata lettura del parere della Commissione del Senato e della sua portata.

La ricorrente, in maniera apodittica, sostiene che il parere è stato espresso in modo favorevole ma subordinatamente all’accoglimento delle «osservazioni», reputate «condizionanti il carattere favorevole del parere».

In realtà, come chiarito anche nel documento di analisi dell’Ufficio Valutazione Impatto del Senato del dicembre 2017, nella prassi delle commissioni parlamentari vi è una netta distinzione tra le osservazioni e le condizioni: mentre queste ultime rappresentano una richiesta di modifica alla quale la commissione annette una specifica importanza, subordinandovi il rilascio del parere favorevole, le prime si sostanziano in mere indicazioni al Governo e sono pertanto prive di carattere vincolante.

Del resto, la negazione della natura sostanziale di condizioni nel caso in esame emerge chiaramente dallo stesso tenore dell’atto adottato dalla Commissione del Senato, la quale, «valutata la conformità al principio di delega che concerne la garanzia dell’indipendenza del soggetto erogatore rispetto al sistema dei controlli nel settore agroalimentare», esprime parere favorevole con osservazioni, nonché dai resoconti della medesima Commissione, dai quali si evince che non sono emersi particolari dubbi sulle disposizioni dello schema di decreto delegato sottoposto a parere.

A ciò si aggiunga che le stesse formule adottate sono espressione di indirizzi generali o di princìpi, pienamente coerenti con la natura delle osservazioni.

4.– Non sono fondate neanche le censure mosse avverso l’art. 15, comma 5, del d.lgs. n. 74 del 2018 in riferimento agli artt. 97, 117, terzo e quarto comma, e 118 Cost.

4.1.– La ricorrente sostiene che la disposizione impugnata – prevedendo, nell’ambito della riorganizzazione dell’Agenzia per le erogazioni in agricoltura (AGEA), che l’Agenzia e gli altri organismi pagatori riconosciuti si avvalgono dei servizi del Sistema informativo agricolo nazionale (SIAN) – violerebbe gli artt. 117, quarto comma, e 118 Cost., in quanto l’imposizione di un sistema informativo nazionale in materia agricola alle Regioni ed agli enti regionali, per l’esercizio delle proprie funzioni gestorie ed amministrative, travalicherebbe la competenza statale in materia di coordinamento informativo statistico e informatico dei dati dell’amministrazione statale, determinando un’invasione delle competenze affidate alle Regioni in materia di ordinamento e organizzazione amministrativa regionale; gli artt. 117, terzo e quarto comma, e 118, nonché l’art. 97 Cost., in quanto precluderebbe alle Regioni ed agli enti strumentali delle stesse, cui sia affidato il ruolo di organismo pagatore regionale, la possibilità di scegliere di non avvalersi, nell’esercizio delle proprie funzioni, del SIAN e di utilizzare un sistema informativo proprio, anche ove quest’ultimo risulti più efficiente e funzionale al perseguimento del pubblico interesse.

4.2.− Secondo la costante giurisprudenza costituzionale, occorre preliminarmente individuare l’ambito materiale al quale vanno ascritte le disposizioni impugnate, tenendo conto della loro ratio, oltre che della finalità del contenuto e dell’oggetto della disciplina (ex multis, sentenze n. 32 del 2017, n. 175 e n. 158 del 2016; n. 245 del 2015).

Questa Corte – pronunciandosi, con la sentenza n. 139 del 2018, sulla questione di legittimità costituzionale avente ad oggetto l’art. 7 della legge n. 154 del 2016, relativo alla gestione informatica dei procedimenti inerenti all’agricoltura e all’acquacoltura biologiche e all’obbligo di attivare i sistemi di cooperazione applicativa della pubblica amministrazione necessari a garantire il flusso delle informazioni tra i sistemi informativi regionali e il Sistema informativo per il biologico (SIB) – ha ricordato che la competenza statale nella materia relativa al «coordinamento informativo statistico e informatico dei dati dell’amministrazione […] locale» (art. 117, secondo comma, lettera r, Cost.) concerne le disposizioni strumentali per assicurare una comunanza di linguaggi, di procedure e di standard omogenei, in modo da permettere la comunicabilità tra i sistemi informatici della pubblica amministrazione (nello stesso senso, tra le altre, sentenze n. 284 e n. 251 del 2016, n. 23 del 2014 e n. 46 del 2013).

È evidente che anche la disciplina in esame costituisce espressione della medesima competenza legislativa esclusiva statale, cosicché le sfere di attribuzione regionale come l’agricoltura e l’organizzazione amministrativa regionale non possono che arretrare a fronte dell’indubbia esigenza di funzionalità del sistema nazionale, che può, appunto, essere assicurata solo attraverso una comunanza di linguaggi, di procedure e di standard omogenei (sentenze n. 251 del 2016, n. 23 del 2014, n. 46 del 2013 e n. 17 del 2004).

4.3.– Non sussiste dunque la dedotta violazione degli artt. 117, terzo e quarto comma, e 118 Cost.

4.4.− Alla luce di tali argomentazioni, va negato anche il contrasto con l’art. 97 Cost., in quanto l’utilizzo del medesimo sistema informativo serve proprio a garantire l’efficienza dell’attività della pubblica amministrazione, ed in particolare il pieno e corretto svolgimento delle funzioni e dei compiti dell’AGEA e degli altri organismi pagatori, grazie alla comunicabilità tra i diversi sistemi centrali e periferici (come affermato anche dalla sentenza n. 139 del 2018).

5.− Infondate sono anche le censure aventi ad oggetto l’art. 1, comma 3, e gli artt. 2, 3, 4 e 8 del d.lgs. n. 74 del 2018, e, conseguentemente, l’intero decreto legislativo, in riferimento agli artt. 97, 117, primo e quarto comma, e 118 Cost.

5.1.− L’art. 1 del d.lgs. n. 74 del 2018, al comma 3, dispone che l’AGEA «assicura la separazione tra le funzioni di organismo di coordinamento e di organismo pagatore», ma, ad avviso della Regione, le molteplici funzioni attribuite ad AGEA andrebbero oltre i confini tracciati dalla normativa unionale, e, soprattutto, quelle in materia di vigilanza e controllo oltreché armonizzazione ai fini dell’uniformità comportamentale degli organismi pagatori regionali, avrebbero richiesto un esercizio formalmente e sostanzialmente separato rispetto alle funzioni di organismo pagatore. La ricorrente ricorda, infatti, che, come indicato dallo stesso art. 4 del regolamento (UE) n. 908/2014 della Commissione del 6 agosto 2014, recante modalità di applicazione del regolamento (UE) n. 1306/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda gli organismi pagatori e altri organismi, la gestione finanziaria, la liquidazione dei conti, le norme sui controlli, le cauzioni e la trasparenza, l’«organismo pagatore può svolgere il ruolo di organismo di coordinamento, purché le due funzioni siano nettamente distinte», e ciò in omaggio alla necessità di evitare commistioni e sovrapposizioni di esercizio tra funzioni interferenti che devono essere affidate alle cure di organismi distinti ed autonomi.

Vi sarebbe dunque una violazione della disposizione europea e, quindi, dell’art. 117, primo comma, Cost., la quale si riverbererebbe in una lesione dell’autonomia organizzativa e gestionale della Regione e degli organismi pagatori regionali, che soffrirebbero degli effetti negativi derivanti dalla commistione di funzioni, con conseguente lesione della competenza regionale in materia di agricoltura, in contrasto con gli artt. 117, quarto comma, e 118 Cost.

5.2.− Al riguardo va ricordato che la normativa evocata quale parametro interposto prevede che possono essere svolte dallo stesso soggetto le funzioni di organismo pagatore e organismo di coordinamento, purché sia garantita la separazione richiesta dalla predetta disposizione.

Ebbene il d.lgs. n. 74 del 2018 presenta una serie di disposizioni ed “accorgimenti” predisposti a tale scopo (che la Regione si limita a stigmatizzare, in maniera assertiva, come inadeguati): quella secondo cui il Direttore (figura unica verticistica dell’AGEA) coordina le diverse funzioni «garantendone la separazione» (art. 8); nonché quella che dispone l’istituzione di un Comitato tecnico composto da un direttore dell’organismo di coordinamento e dal direttore dell’organismo pagatore, oltre che da due direttori degli altri organismi pagatori riconosciuti e da due rappresentanti delle Regioni (art. 9); o, ancora, quella che impone di prevedere nel bilancio dell’Agenzia due distinte rubriche, una per l’organismo di coordinamento ed una per l’organismo pagatore, organismi che costituiscono distinti centri di responsabilità amministrativa e di costo (art. 2).

Inoltre lo stesso art. 2 espressamente prevede che «L’Agenzia assicura altresì, nell’esercizio delle sue funzioni di organismo pagatore, il rispetto dei criteri di riconoscimento previsti dall’allegato I del regolamento delegato (UE) n. 907/2014 della Commissione dell’11 marzo 2014 per quanto riguarda la ripartizione dei poteri e delle responsabilità a tutti i livelli operativi. A tal fine l’Agenzia garantisce che nessun funzionario ha contemporaneamente più incarichi in materia di autorizzazione, pagamento o contabilizzazione delle somme imputate al Fondo europeo agricolo di garanzia (FEAGA) o al Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR) e che nessun funzionario svolge uno dei compiti predetti senza la supervisione di un secondo funzionario».

Del resto, con riferimento alle funzioni di organismo pagatore, non va sottaciuto che esse sono residuali e temporanee (riguardando, in sostanza, quelle Regioni che, ancora, non si sono dotate di un proprio organismo pagatore), come indicato dallo stesso art. 2 del d.lgs. n. 74 del 2018.

Infine, lo statuto dell’Agenzia, secondo quanto previsto dall’art. 12 del citato d.lgs., dovrà provvedere alla disciplina delle competenze degli organi ed all’istituzione di apposite strutture di controllo interno, «assicurando la separazione delle funzioni di cui all’articolo 1, comma 3».

5.3.− Va quindi esclusa la violazione della disposizione evocata quale parametro interposto e, conseguentemente, degli artt. 117, primo e quarto comma, e 118 Cost., poiché le suddette previsioni sono idonee a garantire la separazione imposta da tale normativa.

5.4.− Il rinvio allo statuto rende peraltro evidente che, se, da una parte, i princìpi e le regole descritti sono formalmente in linea con la normativa europea, dall’altra, essi esigono un’attuazione puntuale e rigorosa nella sede statutaria, e pertanto non vi è dubbio che la relativa adozione debba rispondere pienamente ai canoni della leale collaborazione, come emerge dal coinvolgimento della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano previsto dal citato art. 12.

5.5.− Deve essere anche escluso il contrasto con l’art. 97 Cost.

Infatti, ribaltando il ragionamento della ricorrente, si deve osservare che l’accorpamento delle funzioni di controllo e vigilanza in capo al medesimo organismo che svolge le funzioni di interlocutore unico nei confronti della Commissione europea per le questioni relative al FEAGA e al FEASR e di coordinamento degli organismi pagatori – accorpamento non precluso dalla normativa evocata dalla ricorrente e anzi auspicata dalla legge delega per quanto sopra evidenziato – è funzionale al perseguimento del buon andamento della pubblica amministrazione, in termini di efficienza ed economicità, senza determinare – per quanto detto – gli effetti distorsivi paventati dalla ricorrente.

6.− Con riferimento a tutte le impugnate disposizioni del d.lgs. n. 74 del 2018 è stata, infine, prospettata la violazione del principio di leale collaborazione di cui all’art. 120 Cost. in via derivata, per effetto del vizio della legge delega – già censurato con il ricorso iscritto al n. 65 reg. ric. del 2016 proposto avverso quest’ultima – legato alla previsione, quale unico strumento di concertazione, del parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano anziché dell’intesa.

6.1.− Innanzitutto, va rigettata la censura con riferimento all’art. 15 del d.lgs. n. 74 del 2018, in quanto, come affermato dalla costante giurisprudenza costituzionale, la riconduzione alla competenza legislativa statale esclude anche ogni profilo di violazione del principio di leale collaborazione, in particolare con riguardo alla procedura di adozione dei decreti legislativi (sentenza n. 251 del 2016).

Nel caso in esame, secondo quanto sopra argomentato, si è di fronte alla prevalenza della competenza legislativa statale esclusiva. Deve, quindi, negarsi la necessità del ricorso all’intesa.

6.2.− Discorso parzialmente diverso va condotto con riferimento alla presunta violazione del principio di leale collaborazione ad opera dell’art. 1, comma 3, e degli artt. 2, 3, 4, e 8 del d.lgs. n. 74 del 2018, relativi all’assetto organizzativo dell’Agenzia.

Rispetto ad essi, infatti, ricorre un inestricabile intreccio di competenze legislative statali e regionali.

Tuttavia, va tenuto presente al riguardo che, nell’iter di formazione del decreto legislativo, il Governo ha, in concreto, fatto ricorso al procedimento di intesa e, contrariamente a quanto sostenuto dalla Regione nel ricorso, non in modo meramente nominalistico.

È intercorso infatti un carteggio sullo schema di decreto delegato, a conclusione del quale la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano ha sancito la mancata intesa, visti gli esiti della riunione tecnica del 9 gennaio 2018 in cui è stato raggiunto un consenso di massima sugli emendamenti presentati dalle Regioni e accolti dal MiPAAF, ad eccezione della posizione contraria del Veneto, come espressa nella nota del 19 dicembre 2017 n. 529370, consegnata nel corso dell’incontro.

Al di là di queste circostanze – che depongono per il superamento del modulo del mero parere, tramite un dialogo che va oltre, per flessibilità e bilateralità, il rigido schema della sequenza coordinata di atti unilaterali (invio dello schema da parte del Ministro, parere della Regione) – di tale modifica sostanziale dà atto la stessa Regione che, nella citata nota n. 529370 del 2017, esprime parere negativo all’intesa sullo schema di decreto legislativo in esame «[p]ur considerando che il testo dello schema di DLGS trasmesso il 14 dicembre 2017, rispetto alla bozza presentata a luglio scorso dal MIPAAF, ha accolto alcune delle osservazioni formulate dalle regioni» e «[p]ur prendendo atto che ora il Governo, probabilmente a fronte del ricorso della Regione Veneto e a delega pressoché scaduta, sottopone alla Conferenza lo schema di decreto delegato legislativo ai fini dell’acquisizione dell’ “intesa”, in luogo del prescritto parere», anche se poi aggiunge che ciò è avvenuto «comprimendo […] i termini a disposizione delle Regioni per la valutazione dello stesso», affermazione, quest’ultima, non ulteriormente sviluppata nel giudizio.

7.– L’esame fin qui effettuato delle censure relative alla normativa delegata, come richiesto in via prioritaria dalla Regione in una corretta prospettiva sostanzialistica, comporta l’irrilevanza delle domande subordinate di revocazione della sentenza n. 139 del 2018 con cui è stata dichiarata l’inammissibilità dell’impugnazione della legge di delega, nonché delle analoghe censure proposte avverso quest’ultima.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 15, comma 5, del decreto legislativo 21 maggio 2018, n. 74 (Riorganizzazione dell’Agenzia per le erogazioni in agricoltura - AGEA e per il riordino del sistema dei controlli nel settore agroalimentare, in attuazione dell’articolo 15 della legge 28 luglio 2016, n. 154), nonché dell’art. 1, comma 3, e degli artt. 2, 3, 4 e 8, oltre che dell’intero decreto legislativo medesimo, promosse in riferimento, rispettivamente, agli artt. 76, 97, 117, terzo e quarto comma, e 118 della Costituzione nonché al principio di leale collaborazione di cui all’art. 120 Cost., e agli artt. 76, 97, 117, primo e quarto comma, e 118 Cost. nonché al principio di leale collaborazione di cui all’art. 120 Cost., dalla Regione Veneto, con il ricorso indicato in epigrafe.