Sentenza n. 43 del 2019

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SENTENZA N. 43

ANNO 2019

 

Commento alla decisione di

 

Paolo Giangaspero

L’insindacabilità dei consiglieri regionali: alcune conferme e qualche (parziale)novità in due decisioni della Corte costituzionale

 

per g.c. del Forum di Quaderni Costituzionali

 

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Giorgio LATTANZI;

Giudici: Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio per conflitto di attribuzione tra enti sorto a seguito dell’atto di citazione della Procura regionale presso la Corte dei conti-sezione giurisdizionale per l’Emilia-Romagna dell’11 novembre 2016, n. 44598, Proc. V. 2014/00386/MI G. 44598, promosso dalla Regione Emilia-Romagna nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri, della Procura regionale della Corte dei Conti presso la sezione giurisdizionale per l’Emilia-Romagna e della Corte dei conti, sezione giurisdizionale per l’Emilia-Romagna, con ricorso notificato l’8 febbraio 2017, depositato in cancelleria il 10 febbraio 2017, iscritto al n. 1 del registro conflitti tra enti 2017 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 10, prima serie speciale, dell’anno 2017.

Visto l’atto di intervento della Procura regionale presso la sezione giurisdizionale della Corte dei conti per l’Emilia-Romagna;

udito nell’udienza pubblica del 22 gennaio 2019 il Giudice relatore Giovanni Amoroso;

uditi gli avvocati Giandomenico Falcon, Franco Mastragostino e Andrea Manzi per la Regione Emilia-Romagna e il Procuratore regionale Carlo Alberto Manfredi Selvaggi per la Procura regionale presso la sezione giurisdizionale della Corte dei Conti per l’Emilia-Romagna.

Ritenuto in fatto

1.– La Regione Emilia-Romagna, con ricorso notificato l’8 febbraio 2017 e depositato il 10 febbraio 2017, ha promosso conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato in relazione all’atto di citazione contrassegnato come Proc. V. 2014/00386/MI G. 44598 del 9 novembre 2016, con il quale la Procura regionale della Corte dei conti presso la sezione giurisdizionale per l’Emilia-Romagna ha chiamato a rispondere davanti al giudice contabile i seguenti consiglieri regionali o ex consiglieri regionali: Matteo Richetti (ex Presidente dell’Assemblea legislativa), Palma Costi (Presidente dell’Assemblea legislativa), Enrico Aimi, Roberto Corradi, Gabriella Meo, Luca Bartolini, Mario Mazzotti, Sandro Mandini (tutti componenti dell’Ufficio di Presidenza in carica tra maggio 2010 e gennaio 2015); atto notificato ai suddetti convenuti in data 6 dicembre 2016, unitamente al decreto di fissazione di udienza per il 31 maggio 2017.

Con il medesimo atto e per gli stessi fatti, la Procura regionale ha citato in giudizio anche due dirigenti del Consiglio regionale.

La Procura regionale ha chiesto la condanna dei convenuti alla rifusione del danno erariale per responsabilità amministrativa; danno derivante dall’aver provveduto, con varie delibere dell’Ufficio di Presidenza del Consiglio, alla nomina di A. A. a Capo di Gabinetto del Presidente dell’Assemblea legislativa regionale in assenza del presupposto di legge del possesso del titolo di studio della laurea. Allo stesso, in prosieguo di tempo, l’Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale aveva attribuito temporaneamente anche le funzioni di direttore del servizio informazione e di tecnico di garanzia in materia di partecipazione.

La Regione ricorrente ha evidenziato che il Capo di Gabinetto ricopre un incarico dirigenziale di vertice ed è pertanto chiamato a svolgere i compiti previsti dall’art. 63 della legge statutaria regionale 31 marzo 2005, n. 13 (Statuto della Regione Emilia-Romagna), dagli artt. 4 e 9 della legge della Regione Emilia-Romagna 26 novembre 2001, n. 43 (Testo unico in materia di organizzazione e di rapporti di lavoro nella Regione Emilia-Romagna), dalla deliberazione dell’Ufficio di Presidenza dell’Assemblea legislativa regionale n. 54 del 16 giugno 2010 (avente per oggetto «Modifiche e integrazioni alla delibera n. 12 del 27 maggio 2010 recante: “Strutture speciali dell’Assemblea legislativa regionale: procedure di acquisizione del personale e limiti di spesa”»); compiti riconducibili alle più elevate funzioni di supporto dell’organo di indirizzo e controllo politico.

La Regione ricorrente, riferito l’esito infruttuoso del tentativo di vedere accolte le proprie ragioni in sede di controdeduzioni, domanda a questa Corte di dichiarare «che non spetta allo Stato e per esso alla Procura regionale della Corte dei conti della Regione Emilia-Romagna, il potere di citare in giudizio i consiglieri o ex consiglieri regionali per il danno erariale asseritamente provocato alla Regione dall’affidamento al signor A. A. – segnatamente mediante le deliberazioni dell’Ufficio di Presidenza n. 4 del 13 maggio 2010, n. 97 del 22 giugno 2011, n. 20 del 13 febbraio 2013, n. 186 del 18 dicembre 2013, nonché mediante il provvedimento/nota del Presidente dell’Assemblea legislativa n. 44725 del 12 novembre 2013 – dell’incarico di Capo di Gabinetto del Presidente della Assemblea legislativa della Regione e di altre funzioni connesse, in quanto lesivo dell’autonomia del Consiglio regionale (Assemblea legislativa regionale) garantita dalla Costituzione e, in particolare, delle attribuzioni regionali in materia di prerogative dei consiglieri regionali di cui all’art. 122, quarto comma, Cost., e di autorganizzazione del Consiglio regionale di cui all’art. 122, terzo comma, Cost., e di cui agli articoli 33, 34, 35 e 63 della legge regionale 31 marzo 2005, recante “Statuto della Regione Emilia-Romagna”» e «conseguentemente annullare l’atto di citazione contrassegnato come Proc. V. 2014/00386/MI G. 44598, con il quale la Procura regionale presso la Sezione giurisdizionale regionale della Corte dei conti dell’Emilia-Romagna ha esercitato tale potere avverso i consiglieri regionali o ex consiglieri regionali citati».

Circa l’ammissibilità del conflitto, la Regione richiama la giurisprudenza costituzionale secondo cui l’atto di citazione con il quale la procura presso la Corte dei conti chiama i consiglieri regionali a rispondere per asserito danno erariale generato da voti o delibere assunti nell’esercizio delle loro funzioni può essere immediatamente lesivo della prerogativa di cui all’art. 122, quarto comma, Cost. (sentenze n. 235 del 2015, n. 392 del 1999 e n. 289 del 1997).

Nel merito, la ricorrente pone in rilievo che le delibere in questione, in quanto finalizzate a costituire la propria organizzazione interna fondamentale, rientrano tra quelle coperte dall’immunità consiliare e quindi il conferimento della funzione di Capo di Gabinetto del Presidente, rientrando nell’ambito di tale attività, è sottratta a responsabilità erariale. La funzione di autorganizzazione interna dei Consigli regionali partecipa delle guarentigie apprestate dall’art. 122, quarto comma, Cost. a tutela dell’esercizio della funzione legislativa e di indirizzo politico della Regione, restando esclusi solo «gli atti non riconducibili ragionevolmente all’autonomia ed alle esigenze ad essa sottese» (sono richiamate le sentenze n. 392 del 1999 e n. 289 del 1997).

La ricorrente sottolinea in particolare che il Capo di Gabinetto è una figura posta al vertice della struttura amministrativa, indispensabile per garantire il funzionamento dell’Ufficio di Presidenza, organo indefettibile, espressamente previsto dall’art. 122, terzo comma, Cost.

Aggiunge la Regione che la centralità dell’Ufficio di Presidenza nell’organizzazione del Consiglio regionale trova riscontro, in armonia con la Costituzione, nel citato statuto reg. Emilia-Romagna. In particolare, la Regione richiama l’art. 35, comma 2, dello Statuto che, nel disciplinarne le funzioni, stabilisce: «[l]’Ufficio di Presidenza dispone di servizi generali per le attività dell’Assemblea; ha alle proprie dipendenze il relativo personale; amministra i fondi relativi al bilancio autonomo dell’Assemblea». Inoltre, l’art. 63 dello Statuto «ne conferma il regime speciale quanto alla provvista», disponendo che «[l]a legge regionale disciplina il conferimento di incarichi a tempo determinato per lo svolgimento di funzioni e per l’adempimento di compiti speciali e di consulenza attinenti a: a) Gabinetto e Segreterie particolari degli organi della Regione; b) articolazioni, organi e strutture dell’Assemblea previsti dallo Statuto di cui agli articoli 33, 34, 36, 38 e 40». Ulteriore conferma si trarrebbe dall’art. 4 della legge reg. Emilia-Romagna n. 43 del 2001, ai sensi del quale «[i]l Gabinetto del Presidente del Consiglio è preposto allo svolgimento delle attività di supporto necessarie per l’esercizio delle funzioni attribuite al Presidente del Consiglio dallo Statuto e dalle altre norme regionali».

Il Capo di Gabinetto sarebbe, dunque, una figura chiamata a coadiuvare l’attività del Presidente dell’Assemblea legislativa e dell’Ufficio di Presidenza. Pertanto, la scelta del soggetto più idoneo non potrebbe che avere carattere fiduciario e restare di pertinenza esclusiva della Presidenza, attenendo alle funzioni di autorganizzazione del Consiglio.

Quanto all’attribuzione ad A. A. delle funzioni di direttore del servizio informazione e di tecnico di garanzia in materia di partecipazione, la ricorrente pone in luce che, in entrambi i casi, si è trattato di compiti svolti temporaneamente (senza indennità) e funzionalmente connessi alla carica di Capo di Gabinetto da lui ricoperta.

2.– Non si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, al quale è stato ritualmente notificato il ricorso.

3.– Con atto pervenuto l’8 marzo 2017 è intervenuta la Procura regionale della Corte dei conti presso la sezione giurisdizionale per l’Emilia-Romagna, domandando il rigetto del ricorso e la dichiarazione che spetta allo Stato, e per esso alla Procura regionale della Corte dei conti per l’Emilia-Romagna, il potere di adottare l’atto di citazione.

La Procura osserva che il conferimento ad A. A. degli incarichi sopra citati richiedeva il possesso del titolo di laurea, in ragione della normativa statale e regionale; in mancanza risulterebbe violato il principio di separazione fra attività di indirizzo politico e attività gestionale; né sarebbe stata rispettata la regola secondo cui il reclutamento del personale delle pubbliche amministrazioni avviene mediante concorso pubblico.

La Procura sottolinea che l’insindacabilità dei consiglieri regionali è circoscritta alle funzioni legislative, di indirizzo politico, di controllo e di autorganizzazione interna e non si estende ad altre e diverse funzioni di tipo amministrativo. Inoltre, queste garanzie relative alla funzione di autorganizzazione previste dall’art. 122, comma quarto, Cost. hanno una minore portata rispetto a quelle previste dall’art. 68 Cost. per i membri del Parlamento.

In particolare, la Procura ritiene che dall’esame della normativa statale, regionale e delle delibere adottate dall’Ufficio di Presidenza dell’Assemblea legislativa, emerge la necessità del possesso del diploma di laurea per poter accedere alla qualifica di dirigente e ricoprire l’incarico di Capo di Gabinetto.

4.– Con memoria depositata il 31 dicembre 2018, la Regione Emilia-Romagna ha insistito per l’accoglimento del ricorso sostenendo, in via preliminare, la carenza di legittimazione della Procura regionale della Corte dei conti a intervenire in giudizio.

Considerato in diritto

1.– La Regione Emilia-Romagna ha domandato a questa Corte di «dichiarare che non spetta allo Stato e per esso alla Procura regionale della Corte dei conti presso la Sezione giurisdizionale dell’Emilia-Romagna il potere di citare in giudizio i consiglieri o ex consiglieri regionali per il danno erariale asseritamente provocato alla Regione dall’affidamento al signor A. A. – segnatamente mediante le deliberazioni dell’Ufficio di Presidenza n. 4 del 13 maggio 2010, n. 97 del 22 giugno 2011, n. 20 del 13 febbraio 2013, n. 186 del 18 dicembre 2013, nonché mediante il provvedimento/nota del Presidente dell’Assemblea legislativa n. 44725 del 12 novembre 2013 – dell’incarico di Capo di Gabinetto del Presidente dell’Assemblea legislativa della Regione e di altre funzioni connesse; e conseguentemente annullare l’atto di citazione contrassegnato come Proc. V. 2014/00386/MI G. 44598, con il quale la Procura regionale presso la Sezione giurisdizionale regionale della Corte dei conti dell’Emilia-Romagna ha esercitato tale potere avverso i consiglieri regionali o ex consiglieri regionali citati nelle premesse del presente atto».

Con l’atto emesso il 9 novembre 2016, la Procura regionale della Corte dei conti presso la sezione giurisdizionale per l’Emilia-Romagna (Proc. V. 2014/00386/MI G. 44598) ha citato a giudizio il Presidente e l’ex Presidente dell’Assemblea legislativa, nonché i componenti dell’Ufficio di Presidenza in carica nel periodo ricompreso fra il maggio 2010 e il gennaio 2015 (indicati in narrativa), per sentirli condannare alla rifusione del danno erariale (quantificato in misura pari all’importo delle retribuzioni corrisposte tra il 13 maggio 2010 e il 27 gennaio 2015) derivante dall’aver nominato A. A., privo del diploma di laurea, Capo di Gabinetto del Presidente dell’Assemblea legislativa regionale, dall’aver stipulato in connessione con tale incarico contratti di lavoro a tempo determinato e dall’aver attribuito allo stesso le funzioni di direttore del servizio informazione e di tecnico di garanzia in materia di partecipazione, in violazione delle norme statali e regionali che prevedono, quale requisito necessario per poter ricoprire questi incarichi, il possesso del suddetto titolo di studio.

La Regione ricorrente assume che tale atto sia lesivo «dell’autonomia del consiglio regionale (Assemblea legislativa regionale) garantita dalla Costituzione e, in particolare, delle attribuzioni regionali in materia di prerogative dei consiglieri regionali di cui all’art. 122, quarto comma, Cost., e di auto-organizzazione del consiglio regionale di cui all’art. 122, terzo comma, Cost., e di cui agli articoli 33, 34, 35 e 63 della legge regionale 31 marzo 2005, [n. 13], recante “Statuto della Regione Emilia-Romagna”».

L’iniziativa della Procura regionale della Corte dei conti nel sindacare la scelta del soggetto al quale sono stati attribuiti tali incarichi avrebbe realizzato – secondo la Regione ricorrente – una indebita interferenza con la funzione di organizzazione interna dell’organo, rientrante tra le prerogative dei consiglieri regionali, la cui insindacabilità è tutelata dall’art. 122, quarto comma, della Costituzione.

2.– Preliminarmente, va ritenuta l’ammissibilità dell’intervento spiegato in giudizio dalla Procura regionale della Corte dei conti.

La difesa della Regione Emilia-Romagna, con la memoria depositata il 31 dicembre 2018, ne ha sostenuto l’inammissibilità sul rilievo che, essendo consentito solo un intervento da amicus curiae o comunque puramente adesivo, questo necessiterebbe, quale presupposto indefettibile, della previa costituzione in giudizio del Presidente del Consiglio dei ministri, la quale, nella specie, è invece mancata.

Tale eccezione non è fondata.

2.1.– L’art. 25, comma 2, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, approvato con deliberazione del 7 ottobre 2008 e riproducendo l’art. 27, comma 2, di quelle precedentemente approvate con deliberazione del 10 giugno 2004, espressamente prevede che il ricorso per conflitto di attribuzione, proposto ai sensi dell’art. 39 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), debba essere notificato anche «all’organo che ha emanato l’atto, quando si tratti di autorità diverse da quelle di Governo e da quelle dipendenti dal Governo».

Non si tratta di semplice litis denuntiatio, ma dell’evocazione in giudizio di un organo dello Stato dotato di autonomia, in quanto non dipendente dal Governo, e di soggettività, sì da legittimarlo passivamente nel processo (sentenza n. 252 del 2013).

Tale organo può intervenire in giudizio per contestare che l’atto emesso costituisca lesione o turbativa delle competenze della Regione ricorrente. Ciò può fare in piena autonomia come già riconosciuto dalla giurisprudenza di questa Corte nell’affermare, in particolare, che a tali organi «è riconosciuta la facoltà di intervenire nel giudizio costituzionale al fine di fare valere le ragioni della legittimità dell’atto impugnato, da essi adottato, in via autonoma dal resistente Presidente del Consiglio dei ministri» (sentenza n. 252 del 2013).

La riconosciuta autonomia dell’organo che interviene smentisce l’interpretazione della difesa della Regione secondo cui sarebbe ammissibile solo un intervento adesivo, che presupporrebbe la costituzione in giudizio del Presidente del Consiglio dei ministri. Si ha invece che la mancata costituzione di quest’ultimo non preclude l’intervento, in piena autonomia, dell’organo che ha emesso l’atto.

Peraltro, nella specie, la mera mancata costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri non può significare acquiescenza alle doglianze espresse dalla Regione ricorrente e ciò esonera dall’esame dell’ammissibilità, o no, di un intervento dell’organo, che ha emesso l’atto, la quale in ipotesi non sia adesiva, ma si ponga in opposizione alle conclusioni rassegnate dal Governo.

2.2.– Un ulteriore profilo di ammissibilità riguarda la possibilità che l’intervento sia spiegato personalmente, senza alcun patrocinio di avvocato legittimato alla difesa innanzi a questa Corte, così come è avvenuto in questo giudizio.

La Procura contabile nell’atto di intervento evoca, a tal fine, l’art. 37, ultimo comma, della legge n. 87 del 1953, secondo il quale, nei giudizi per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, gli organi interessati, «quando non compaiano personalmente», possono essere difesi e rappresentati da liberi professionisti abilitati al patrocinio davanti alle giurisdizioni superiori; sicché possono limitarsi a comparire – e quindi anche costituirsi – personalmente.

In realtà, però, per i giudizi per conflitto di attribuzione fra Stato e Regioni l’art. 41 della legge n. 87 del 1953 prevede che si osservano, in quanto applicabili, alcune disposizioni dettate in materia di conflitti tra poteri dello Stato – segnatamente gli artt. 23, 25, 26 e 38 – ma non anche l’art. 37.

Trova, pertanto, applicazione il canone generale dell’art. 20 della legge n. 87 del 1953, che, dopo aver prescritto che nei procedimenti dinanzi alla Corte costituzionale la rappresentanza e la difesa delle parti può essere affidata soltanto ad avvocati abilitati al patrocinio innanzi alla Corte di cassazione (primo comma), prevede che «[g]li organi dello Stato e delle Regioni hanno diritto di intervenire in giudizio», (secondo comma), [e che il Governo] (correzione materiale come da ord. n. 145 del 2019) è rappresentato e difeso dall’Avvocato generale dello Stato (terzo comma).

Questa disposizione è stata interpretata da questa Corte nel senso che per gli organi dello Stato e delle Regioni è possibile anche la difesa personale. Nella sentenza n.163 del 2005 si è precisato «come il secondo comma dell’art. 20 della legge n. 87 del 1953 detti una previsione generale volta a regolare esclusivamente la rappresentanza e difesa nel giudizio davanti alla Corte, stabilendo che – a differenza di quanto è previsto per il Governo, rappresentato dall’Avvocato generale dello Stato (terzo comma), e per le altre parti, le cui rappresentanza e difesa possono essere affidate soltanto ad avvocati abilitati al patrocinio innanzi alla Corte di cassazione (primo comma) – per gli organi dello Stato e delle Regioni non è richiesta una difesa professionale». Tale principio era già stato affermato dalla sentenza n. 350 del 1998.

L’intervento nel conflitto tra enti spiegato personalmente proprio dalla Procura contabile è poi stato ammesso anche dalle sentenze n. 252 del 2013 e n. 235 del 2015.

Ciò non esclude che nei giudizi per conflitto di attribuzione tra Stato e Regioni un organo dello Stato, dotato di autonomia, possa essere difeso – oltre che dall’Avvocatura generale dello Stato (come nel giudizio di cui alla sentenza n. 2 del 2007) – anche da avvocati del libero foro (non diversamente che nei giudizi per conflitto tra poteri dello Stato: sentenza n. 329 del 1999).

3.– Ancora, in via preliminare va precisato che – come ha eccepito la Procura contabile nell’atto di costituzione, ma come in vero ritiene anche la Regione ricorrente – il conflitto promosso da quest’ultima riguarda il Presidente del Consiglio regionale e alcuni consiglieri, sia in carica che cessati dal mandato, ma non anche i due dirigenti pure destinatari dell’atto di citazione della Procura contabile e dell’azione diretta a far valere la loro (asserita) concorrente responsabilità amministrativa per danno erariale. Sicché è priva di rilevanza l’argomentazione svolta nell’atto di intervento della Procura contabile che ha sostenuto l’estraneità dei predetti dirigenti all’immunità di cui all’art. 122, quarto comma, Cost., e alla dedotta non sindacabilità dei voti espressi dai consiglieri regionali, di cui è investita questa Corte.

La ricaduta della decisione del presente conflitto sulla situazione soggettiva dei dirigenti suddetti, ai quali non è certo riferibile l’assunzione delle deliberazioni dell’Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale, ma solo la (doverosa) esecuzione delle stesse, sarà valutata dal giudice chiamato a pronunciarsi sulla pretesa azionata dalla Procura contabile.

Del resto, risulta chiaramente dalle stesse conclusioni dell’atto introduttivo di questo giudizio che le richieste della Regione concernono solo i componenti dell’Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale, compreso il suo Presidente, avvicendatisi nel tempo e non anche i due dirigenti.

4.– Può aggiungersi – ancora sotto il profilo dell’ammissibilità del ricorso – che l’immunità consiliare di cui al quarto comma dell’art. 122 Cost. può esser fatta valere dalla Regione ricorrente anche con riferimento a chi non è più consigliere regionale o presidente dell’Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale, ma tale era al momento dell’adozione delle delibere in questione, così come questa Corte ha già ritenuto per i membri del Parlamento con riferimento all’immunità parlamentare di cui all’art. 68, primo comma, Cost. (sentenza n. 252 del 1999).

Né vi è dubbio che un conflitto di attribuzione possa trarre origine da un atto processuale di un giudizio, se e in quanto, come nella specie, si deduca che possa derivarne un’invasione della competenza costituzionale garantita alla Regione, come ha ritenuto questa Corte fin dalla sentenza n. 211 del 1972 con riferimento proprio al ricorso di una Regione avverso una citazione a giudizio del Procuratore generale della Corte dei conti.

5.– Nel merito il ricorso è fondato.

6.– Il presente conflitto concerne alcune delibere dell’Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale, adottate nel periodo dal 13 maggio 2010 al 12 novembre 2013 e distintamente indicate in narrativa; delibere che hanno avuto ad oggetto il conferimento ad A. A. dell’incarico di Capo di Gabinetto del Presidente del Consiglio regionale, in ragione del quale è stata corrisposta negli anni una retribuzione complessiva, richiesta in ripetizione, come danno erariale (asseritamente) subito dalla Regione, ai consiglieri regionali, componenti di quell’ufficio, compreso il suo Presidente, i quali hanno votato le delibere stesse. Inoltre, nel corso dello svolgimento dell’incarico di Capo di Gabinetto, ad A. A. sono stati assegnati temporaneamente anche i due incarichi dirigenziali suddetti.

Vengono, allora, in rilievo le prerogative dell’Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale unitamente all’immunità dei consiglieri regionali, quali costituzionalmente garantite dall’art. 122 Cost.; parametro puntualmente richiamato dalla difesa della Regione ricorrente sia nel suo terzo comma, che prevede l’Ufficio di Presidenza per i lavori del Consiglio regionale, sia nel suo quarto comma, che prescrive che i consiglieri regionali non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell’esercizio delle loro funzioni.

Da una parte, l’Ufficio di Presidenza deve poter operare per assicurare il concreto esercizio delle potestà legislative attribuite alla Regione, e, quindi, su di esso si proietta la garanzia costituzionale di autonomia alla stessa attività legislativa della Regione (art. 122, terzo comma). D’altra parte, i consiglieri regionali, in particolare quelli componenti tale ufficio, compreso il suo Presidente, devono essere liberi da condizionamenti nell’esprimere, in quella sede come anche, più in generale, in quella consiliare, le loro opinioni e il loro voto (art. 122, quarto comma).

7.– Sotto il primo profilo, l’Ufficio di Presidenza, in quanto eletto in seno al Consiglio regionale, costituisce una formazione ridotta del Consiglio stesso, composta esclusivamente da consiglieri regionali, quale struttura di supporto della funzione legislativa attribuita al Consiglio dall’art. 121, secondo comma, Cost. A esso è coessenziale una concorrente potestà regolatoria avente a oggetto innanzi tutto l’organizzazione di supporto dei lavori del Consiglio, la quale si esprime non già in delibere legislative, ma in atti di «autorganizzazione» nel rispetto dei «princìpi fondamentali di organizzazione e funzionamento» della Regione, posti dallo Statuto (art. 123, primo comma, Cost.).

Mentre per ciascuna camera è previsto, oltre all’Ufficio di Presidenza (art. 63, primo comma, Cost.), un ampio potere regolamentare (art. 64, primo comma, Cost.), che radica la loro autonomia costituzionalmente garantita, invece per i Consigli regionali e i loro Uffici di Presidenza la simmetrica potestà di autorganizzazione dell’attività di tali assemblee legislative è presidiata da garanzia costituzionale solo nel suo contenuto essenziale, direttamente incidente in tale attività, quale riflesso della potestà normativa della Regione.

Distinti da questi atti di autorganizzazione dell’Ufficio di Presidenza del Consiglio vi può essere, come talora è previsto dalla normativa regionale, una congerie di vari atti di esercizio di funzioni amministrative diverse dalla potestà normativa del Consiglio e comunque non strettamente coessenziali a quest’ultima.

Benché le funzioni amministrative appartengano alla Giunta, che è l’organo esecutivo della Regione, e al suo Presidente, che è responsabile della politica della Giunta e emana i regolamenti regionali, non di meno lo statuto e la normativa regionale possono assegnare al Consiglio o al suo Ufficio di Presidenza anche alcune funzioni amministrative, nel rispetto della distinzione di ruoli e poteri tra gli organi della Regione (il Consiglio, la Giunta e il suo Presidente).

Si ha, allora, che le delibere dell’Ufficio di Presidenza del Consiglio, quando hanno natura di atti di autorganizzazione del Consiglio, direttamente incidenti sull’attività legislativa di quest’ultimo, sono presidiati dalla garanzia costituzionale dell’autonomia della potestà organizzativa di supporto all’attività legislativa del Consiglio stesso. Quando, invece, hanno natura di atti amministrativi estranei, o comunque non strettamente coessenziali, all’organizzazione dell’attività legislativa del Consiglio, si collocano all’esterno di tale autonomia costituzionalmente garantita, pur costituendo legittimo esercizio di un potere. Tale è, in particolare, l’attività di gestione delle risorse finanziarie, che «resta assoggettata alla ordinaria giurisdizione di responsabilità civile, penale e contabile» (sentenze n. 235 del 2015 e n. 292 del 2001; inoltre, Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenza 7 settembre 2018, n. 21927).

8.– La previsione costituzionale dell’art. 122, terzo comma, si salda a quella del successivo quarto comma sull’immunità dei singoli consiglieri regionali.

Le delibere dell’Ufficio di Presidenza – tipico organismo collegiale – sono formate dalla confluenza di voti espressi dai consiglieri e dal Presidente, i quali non possono essere chiamati a rispondere di tali voti. In generale, la responsabilità (civile, penale o amministrativa) di un componente di un collegio consegue, con nesso causale, all’apporto di quest’ultimo per aver assentito con il suo voto alla volontà del collegio, espressa in una delibera o in una decisione. Nella fattispecie, il concorso delle singole immunità dei consiglieri regionali, previste a presidio delle distinte dichiarazioni di voto, rifluisce – nella misura in cui tale immunità sussiste (secondo la giurisprudenza di questa Corte di cui si viene ora a dire) – in preclusione alla cumulativa perseguibilità dei consiglieri regionali a causa della predicata illegittimità della delibera stessa.

9.– Decisiva è quindi la nozione di atti di autorganizzazione elaborata dalla giurisprudenza di questa Corte.

Orbene, inizialmente questa Corte con la sentenza n. 81 del 1975 ha accolto una nozione ampia dell’immunità consiliare di cui al quarto comma dell’art. 122 Cost.

In una vicenda in cui venivano in rilievo sia alcune delibere del Consiglio regionale, sia una delibera della Giunta, la Corte ha rispettivamente riconosciuto in un caso e negato nell’altro la garanzia dell’immunità consiliare. Da una parte, ha affermato che la «irresponsabilità in esame comprende […] certamente le opinioni ed i voti manifestati nell’esercizio delle funzioni spettanti al Consiglio». Ma ha precisato che l’«immunità copre […] esclusivamente quelle attività che costituiscono esplicazione di una funzione consiliare, per garantire […] l’autonomia del Consiglio»; sicché le delibere della Giunta non sono coperte da questa immunità. Non rileva invece la «forma amministrativa» che connota le deliberazioni consiliari, nel senso che ciò non esclude l’immunità consiliare.

È questo un criterio meramente formale di imputazione dell’atto al Consiglio regionale da cui discende in ogni caso – secondo questo arresto giurisprudenziale – l’immunità per i consiglieri regionali a prescindere dal contenuto delle delibere consiliari. Nella specie, l’immunità è stata riconosciuta – ed è stato accolto il conflitto di attribuzione proposto dalla Regione Abruzzo in relazione all’azione dell’autorità giudiziaria per far valere la responsabilità penale dei consiglieri – con riferimento a delibere consiliari che in realtà non sembra attenessero all’autorganizzazione del Consiglio (ma riguardavano il pagamento del conto di un ristorante per i pasti dei consiglieri e il concorso finanziario della Regione all’onere assunto dai consiglieri per la stipula dell’assicurazione contro gli infortuni).

Questa nozione ampia di immunità consiliare è stata dapprima ridimensionata dalla sentenza n. 69 del 1985. Questa Corte ha infatti precisato che «[n]on sono, per contro, coperte dalla immunità eventuali altre funzioni amministrative, attribuite al Consiglio dalla normativa regionale, non essendo concepibile tra l’altro che il limite della potestà punitiva sia segnato, invece che dalla legge dello Stato da atti della Regione». Nella specie si trattava di un parere espresso da una commissione del Consiglio regionale e della conforme deliberazione del Consiglio regionale, aventi a oggetto l’ammissione al convenzionamento preventivo con enti mutualistici di un laboratorio privato di analisi. Ciò costituiva – ha ritenuto questa Corte – attività amministrativa che non poteva rientrare nella nozione di «autorganizzazione» e quindi è stato rigettato il ricorso per conflitto di attribuzione promosso dalla Regione Abruzzo. È venuto così emergendo che vi è, «accanto alla funzione primaria, quella legislativa, ed alla funzione di indirizzo politico e di controllo, la funzione di autoorganizzazione interna» del Consiglio regionale, quale «nucleo essenziale comune e caratterizzante delle funzioni degli organi “rappresentativi”».

Ciò valeva essenzialmente per le delibere non legislative, mentre per quelle legislative tornava a prevalere il criterio formale dell’imputazione dell’atto. La sentenza n. 100 del 1986 ha, infatti, ritenuto insindacabili i consiglieri regionali che avevano deliberato in sede legislativa (con legge della Regione Abruzzo 7 novembre 1973, n. 41, recante «Nuove norme sulla previdenza e sul fondo di solidarietà a favore dei consiglieri della Regione Abruzzo») di stipulare una polizza assicurativa a favore dei componenti del Consiglio stesso, con riguardo ai rischi di morte e invalidità derivanti da infortuni connessi anche con cause diverse dall’esercizio della pubblica attività dei beneficiari, e di porre a carico del bilancio regionale la maggior parte della relativa spesa.

Successivamente, le sentenze n. 392 del 1999 e n. 289 del 1997 sono tornate su questo criterio distintivo con riferimento a ricorsi per conflitto di attribuzione, promossi dalle due Regione per contrastare proprio iniziative della procura contabile dirette a far valere la responsabilità amministrativa per danno erariale di consiglieri regionali.

L’«autorganizzazione» è stata tenuta distinta dalle «altre funzioni» (sentenza n. 289 del 1997) di amministrazione attiva del Consiglio regionale; si è puntualizzato come «il nucleo caratterizzante delle predette attribuzioni, quale definito dall’art. 121, secondo comma, della Costituzione, ricomprenda non solo le funzioni legislative e regolamentari, di indirizzo politico, di controllo e di autorganizzazione, ma anche quelle di amministrazione attiva, quando siano assegnate all’organo in via diretta ed immediata dalle leggi dello Stato» (sentenza n. 392 del 1999). Entrambi i conflitti di attribuzione promossi dalle Regioni sono stati accolti, essendosi fatte rientrare nella nozione di «autorganizzazione» due delibere degli Uffici di Presidenza di Consigli regionali che riguardavano rispettivamente l’acquisto di autovetture e alcune missioni all’estero di consiglieri e funzionari regionali. Però la sentenza n. 392 del 1999 precisa anche che «non si tratta di una immunità assoluta, in quanto essa non copre gli atti non riconducibili, secondo ragionevolezza, all’autonomia ed alle esigenze ad essa sottese» del Consiglio regionale.

A fronte di questa giurisprudenza il legislatore costituzionale, in occasione della menzionata riforma del 1999, pur sostituendo integralmente l’art. 122 Cost., ha riprodotto negli stessi esatti termini l’immunità consiliare di cui al quarto comma (art. 2 della legge cost. n. 1 del 1999), mostrando di voler avallare – o comunque non negare – la distinzione che fino ad allora si era profilata tra atti di «autorganizzazione» e atti di esercizio di funzioni amministrative. Tale disposizione non ha subito modifiche neppure in occasione della riforma del 2001 (legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, recante «Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione»).

In seguito, questa Corte ha ribadito tale criterio distintivo in altro conflitto di attribuzione promosso dalla Regione ancora nei confronti della Procura contabile che azionava la responsabilità amministrativa per danno erariale. Pur riconfermando l’immunità consiliare sugli atti di autorganizzazione del Consiglio, la Corte ha precisato che «[n]on sono, per contro, coperte dall’immunità eventuali altre funzioni amministrative, attribuite al Consiglio dalla normativa regionale» (sentenza n. 337 del 2009); e, nella specie, a esse è stato ricondotto un parere espresso da una commissione legislativa quanto alla convenzione tra la Regione Siciliana e la Croce Rossa Italiana con conseguente rigetto del ricorso per conflitto di attribuzione.

10.– Si ha, nel complesso, che il graduale affinamento, in termini progressivamente più rigorosi, della nozione di atti di autorganizzazione, alla quale la richiamata giurisprudenza di questa Corte ha fatto ricorso per perimetrare l’immunità consiliare di cui al quarto comma dell’art. 122 Cost. con riferimento alle delibere del Consiglio e del suo Ufficio di Presidenza, converge verso il riconoscimento dell’autonomia guarentigiata nel terzo comma dello stesso art. 122, come sopra si è detto.

In sintesi, il consigliere regionale non può essere chiamato a rispondere del voto dato in sede di Assemblea legislativa per approvare un atto normativo, quale la legge regionale, e di quello espresso in sede di Ufficio di Presidenza del Consiglio che abbia condotto all’adozione di un delibera di quest’ultimo, atto non normativo, che sia strettamente collegata alla sua organizzazione e più in generale all’organizzazione del Consiglio con carattere di essenzialità e diretta incidenza, tale che, in sua mancanza, l’attività del Consiglio o del suo Ufficio di Presidenza sarebbe menomata o ne sarebbe significativamente incisa.

11.− Nella specie, le delibere in questione, adottate dall’Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale, hanno avuto a oggetto la nomina di A. A. a Capo di Gabinetto del Presidente del Consiglio stesso, delibere di cui la Procura regionale della Corte dei conti assume l’illegittimità perché quest’ultimo era privo di laurea e quindi inidoneo a ricoprire l’incarico per mancanza del prescritto titolo di studio.

Rileva a tal fine l’art. 63 dello Statuto reg. Emilia-Romagna che, tra gli incarichi speciali, prevede quello a tempo determinato per lo svolgimento di funzioni e per l’adempimento di compiti speciali e di consulenza attinenti al Gabinetto degli organi della Regione e quindi anche del Consiglio regionale e del suo Presidente.

L’art. 4 della legge reg. Emilia-Romagna n. 43 del 2001 prevede specificamente il «Gabinetto del Presidente del Consiglio regionale», che ha come missione quella di svolgere ogni attività di supporto necessaria per l’esercizio delle funzioni attribuite al Presidente del Consiglio dallo statuto reg. Emilia-Romagna e dalle altre norme regionali. In particolare, il Gabinetto, cui è preposto il Capo di Gabinetto, è deputato «all’esercizio delle funzioni e attività dei consiglieri regionali, ai rapporti con le Assemblee parlamentari nazionali ed estere ed inoltre alle iniziative di comunicazione istituzionale e di divulgazione legislativa».

L’Ufficio di Presidenza dell’Assemblea legislativa ha poi emanato, in attuazione dell’art. 63 dello statuto reg. Emilia-Romagna e della legge reg. Emilia-Romagna n. 43 del 2001, la delibera n. 54 del 16 giugno 2010, avente per oggetto «Modifiche e integrazioni alla delibera n. 12 del 27 maggio 2010 recante: “Strutture speciali dell’Assemblea legislativa regionale: procedure di acquisizione del personale e limiti di spesa”».

Decisiva è la circostanza che la formazione del Gabinetto e segnatamente la nomina del Capo di Gabinetto incidono direttamente sull’attività normativa del Consiglio regionale.

Si tratta di una struttura centrale e strategica che, in diretta collaborazione con il Presidente del Consiglio regionale, condiziona il buon andamento dei lavori assembleari, sicché può ben dirsi che l’atto di nomina del Capo di Gabinetto appartiene agli atti di autorganizzazione dell’Ufficio di Presidenza con incidenza diretta e significativamente rilevante – e anzi, nella specie, con una connotazione di evidente essenzialità – nell’attività legislativa del Consiglio regionale.

12.– Non rileva, invece, la circostanza, sulla quale molto insiste l’atto di citazione della Procura contabile, della necessità, o no, della laurea per ricoprire l’incarico di Capo di Gabinetto.

Si tratta di un incarico altamente fiduciario che si basa su «valutazioni soggettive legate alla consonanza politica e personale con il titolare dell’organo politico» che nomina e che «può avvenire, in base alla normativa vigente, intuitu personae, senza predeterminazione di alcun rigido criterio che debba essere osservato nell’adozione dell’atto di assegnazione all’ufficio» (ex plurimis, sentenza n. 304 del 2010; nello stesso senso, sentenza n. 269 del 2016).

In ragione della specificità degli uffici di diretta collaborazione, questa Corte ha affermato (sentenze n. 53 del 2012, n. 7 del 2011, n. 34 del 2010, n. 293 del 2009 e n. 104 del 2007) che le Regioni possono dettare, in deroga ai criteri di selezione dettati dall’art. 7, comma 6, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), dei propri, autonomi, criteri selettivi, che tengano conto della peculiarietà dell’incarico in conseguenza del necessario rapporto fiduciario con l’organo politico. Ciò è tanto più vero per il Capo di Gabinetto che, collocato in posizione apicale, opera in diretta collaborazione con il Presidente del Consiglio regionale.

13.– In conclusione il ricorso va accolto e va quindi dichiarato che non spetta allo Stato, e per esso alla Procura regionale della Corte dei conti per la Regione Emilia-Romagna, di convenire in giudizio per responsabilità amministrativa per danno erariale, con l’atto di citazione indicato in epigrafe, il Presidente del Consiglio regionale dell’Emilia-Romagna e i componenti dell’Ufficio di Presidenza di detto Consiglio, in carica al momento dell’adozione delle delibere indicate nel suddetto atto di citazione, che, di conseguenza, va annullato in tale parte.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara che non spetta allo Stato, e per esso alla Procura regionale della Corte dei conti presso la sezione giurisdizionale per la Regione Emilia-Romagna, di convenire in giudizio per responsabilità amministrativa per danno erariale, con l’atto di citazione indicato in epigrafe, il Presidente del Consiglio regionale dell’Emilia-Romagna e i componenti dell’Ufficio di Presidenza di detto Consiglio, in carica al momento dell’adozione delle delibere indicate nel suddetto atto di citazione; di conseguenza, annulla, in tale parte, il medesimo atto di citazione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 gennaio 2019.

F.to:

Giorgio LATTANZI, Presidente

Giovanni AMOROSO, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria l'8 marzo 2019.