Sentenza n. 206 del 2018

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SENTENZA N. 206

ANNO 2018

 

 REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-      Giorgio                       LATTANZI                                        Presidente

-      Aldo                           CAROSI                                             Giudice

-      Marta                          CARTABIA                                               ”

-      Mario Rosario            MORELLI                                                  ”

-      Giancarlo                   CORAGGIO                                               ”

-      Giuliano                     AMATO                                                     ”

-      Silvana                       SCIARRA                                                  ”

-      Nicolò                        ZANON                                                     ”

-      Franco                        MODUGNO                                               ”

-      Augusto Antonio        BARBERA                                                 ”

-      Giulio                         PROSPERETTI                                          ”

-      Giovanni                    AMOROSO                                               ”

-      Francesco                   VIGANÒ                                                    ”

-      Luca                           ANTONINI                                                ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 3, commi 1 e 3, della legge della Regione Lombardia 17 luglio 2017, n. 19 (Gestione faunistica-venatoria del cinghiale e recupero degli ungolati feriti), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 19-21 settembre 2017, depositato in cancelleria il 26 settembre 2017, iscritto al n. 76 del registro ricorsi 2017 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 46, prima serie speciale, dell’anno 2017.

Visto l’atto di costituzione della Regione Lombardia;

udito nella udienza pubblica del 9 ottobre 2018 il Giudice relatore Mario Rosario Morelli;

uditi l’avvocato dello Stato Marina Russo per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Francesco Saverio Marini per la Regione Lombardia.

Ritenuto in fatto

1.− Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, con il ricorso in epigrafe, ha chiesto dichiararsi l’illegittimità costituzionale di alcune disposizioni della legge della Regione Lombardia 17 luglio 2017, n. 19 (Gestione faunistica-venatoria del cinghiale e recupero degli ungolati feriti).

L’impugnativa è segnatamente rivolta ai commi 1 e 3 dell’art. 3 della predetta legge regionale, di cui si denuncia il contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione – in relazione a varie disposizioni della legge 6 dicembre 1991, n. 394 (Legge quadro sulle aree protette) – e con l’art. 118, primo e secondo comma, Cost.

1.1.– La prima delle norme censurate (art. 3, comma 1) prevede che la Giunta regionale deliberi le «modalità di gestione del cinghiale», e le «modalità e tempistiche per l’attuazione del prelievo venatorio», «sull’intero territorio regionale» e, quindi, anche all’interno delle aree naturali protette nazionali, laddove, con riguardo a queste ultime – argomenta il ricorrente – l’art. 11 della legge quadro n. 394 del 1991 – «nella quale si è estrinsecata […] la potestà legislativa nazionale cui è riservata in via esclusiva, la materia [della tutela dell’ambiente]» – dispone che sia viceversa l’«Ente parco» (ente di diritto pubblico, sottoposto alla vigilanza del Ministero dell’ambiente) a disciplinare, con proprio regolamento, l’esercizio delle attività consentite. Dal che la violazione, per interposizione, degli evocati parametri costituzionali.

1.2.– La seconda disposizione coinvolta nel ricorso (art. 3, comma 3, legge reg. Lombardia n. 19 del 2017) prevede che «le densità obiettivo» della specie cinghiale, e i conseguenti prelievi e abbattimenti, nelle aree protette, siano individuati dalla Giunta regionale «d’intesa con i relativi enti gestori». E, con ciò, ad avviso sempre del ricorrente, verrebbe, a sua volta, a violare i richiamati parametri costituzionali, in relazione, in particolare, al disposto di cui all’art. 22, comma 6, della legge n. 394 del 1991, per il quale gli «eventuali prelievi faunistici» e gli eventuali «abbattimenti selettivi», necessari per ricomporre equilibri ecologici accertati dall’Ente parco, dovrebbero avvenire, invece, «per iniziativa e sotto la diretta responsabilità e sorveglianza» esclusiva dell’Ente parco ed essere attuati dal suo personale o da «persone all’uopo espressamente autorizzate dall’Ente parco stesso».

2.– Resiste al ricorso la Regione Lombardia, sostenendo che le censurate proprie disposizioni, lungi dal porsi in contrasto con principi della legge quadro, muoverebbero piuttosto «nella direzione dell’innalzamento del livello di tutela ambientale delle aree protette ove è più avvertita l’esigenza di preservare i delicati equilibri degli ecosistemi e delle biodiversità».

Ciò, in particolare, considerando, per un verso, che «nessun Ente parco della Lombardia è dotato di regolamento, nonostante siano trascorsi più di trenta anni dall’entrata in vigore della legge quadro regionale» e, per altro verso, come «gli enti gestori delle aree naturali protette in Lombardia siano pienamente partecipi del processo decisionale nella definizione delle densità obiettivo».

Considerato in diritto

1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri dubita della legittimità costituzionale dell’art. 3, commi 1 e 3, della legge della Regione Lombardia 17 luglio 2017, n. 19 (Gestione faunistica-venatoria del cinghiale e recupero degli ungolati feriti) e ne prospetta il contrasto con gli articoli 117, secondo comma, lettera s), e 118, primo e secondo comma, della Costituzione: quanto al primo, in relazione all’art. 11, commi 1, 3 e 4 della legge 6 dicembre 1991, n. 394 (Legge quadro sulle aree protette).

2.– Il censurato art. 3, comma 1, della legge regionale impugnata dispone che «[l]a Giunta regionale, sentiti la Provincia di Sondrio e l’Istituto superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA), […] deliber[i] le modalità di gestione del cinghiale sull’intero territorio regionale anche mediante la definizione dei criteri per il calcolo delle densità obiettivo, la determinazione di modalità e tempistiche per l’attuazione del prelievo venatorio e del controllo, nonché le modalità per il monitoraggio dei risultati conseguiti».

Secondo il ricorrente, «[l]a norma in parola, nella parte in cui si applica anche alle aree protette nazionali, si pone in palese contrasto con il disposto dell’art. 11, commi 1, 3 e 4, della legge n. 394 del 1991, nella quale si è estrinsecata […] la potestà legislativa nazionale cui è riservata, in via esclusiva, la materia», con ciò violando gli evocati parametri costituzionali.

2.1.– Nei termini e limiti di tale prospettazione la questione è fondata.

2.1.1.– La disciplina delle aree naturali protette statali (volta alla salvaguardia e valorizzazione dei territori che presentano valori culturali, paesaggistici ed ambientali meritevoli di protezione) attiene – come già più volte affermato – alla tutela dell’ambiente e dell’ecosistema (sentenze n. 12 del 2009, n. 387 del 2008, n. 422 del 2002) e rientra ora nella competenza legislativa esclusiva dello Stato di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. (sentenza n. 272 del 2009).

E, se è pur vero che la tutela dell’ambiente non può ritenersi propriamente una “materia”, essendo invece l’ambiente da considerarsi come un “valore” costituzionalmente protetto che non esclude la titolarità in capo alle Regioni di competenze legislative su materie (governo del territorio, tutela della salute, ecc.) per le quali quel valore costituzionale assume rilievo (sentenze n. 108 del 2005, n. 307 del 2003, n. 407 del 2002), vero è, altresì, che l’inerenza della tutela dell’ambiente alla competenza esclusiva dello Stato «precede e comunque costituisce un limite alla tutela degli altri interessi pubblici assegnati alla competenza concorrente delle Regioni» (sentenza n. 272 del 2009). E alla tutela dell’ambiente e dell’ecosistema attengono, in particolare, anche i piani di abbattimento (come extrema ratio) della fauna nociva (sentenza n. 392 del 2005).

2.1.2.– A questi effetti vengono, appunto, in rilievo gli standard di tutela uniformi fissati dalla richiamata legge quadro sulle aree protette (legge n. 394 del 1991).

Detta legge, in particolare sub art. 11, prevede che l’esercizio delle attività consentite all’interno del parco nazionale sia disciplinato con regolamento adottato dall’Ente parco (comma 1); entro tale territorio vieta «la cattura, l’uccisione, il danneggiamento, il disturbo delle specie animali» (comma 3, lettera a) ); consente che eventuali deroghe a tali divieti siano adottate con regolamento del parco (comma 4); dispone che «eventuali prelievi faunistici ed eventuali abbattimenti selettivi, necessari per ricomporre squilibri ecologici», siano «accertati dall’Ente parco» e avvengano «per iniziativa e sotto la diretta responsabilità» dell’Ente stesso.

2.1.3.– Con il prevedere che il potere deliberativo della Giunta regionale, in tema di gestione faunistica, si eserciti «sull’intero territorio regionale» e, quindi, anche sulle aree protette nazionali, la disposizione scrutinata si pone, dunque, in radicale contrasto con le richiamate norme della legge n. 394 del 1991, che diversamente presuppongono, per dette aree, una competenza dell’Ente parco relativamente alle attività di che trattasi.

Norme, queste ultime, già costituenti principi fondamentali ai fini dell’esercizio della competenza legislativa concorrente delle regioni in materia di caccia e che − dopo la trasformazione di tale competenza da concorrente a residuale, a seguito della riforma costituzionale del 2001 – mantengono la loro «forza vincolante», in quanto «assumono la veste di standard minimi uniformi, previsti dalla legislazione statale, nell’esercizio della competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela dell’ambiente» (sentenza n. 315 del 2010).

Dal che, appunto, per interposizione, il contrasto dell’art. 3, comma 1, della legge reg. Lombardia n. 19 del 2017 con l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. – restando assorbito l’ulteriore profilo di violazione dell’art. 118 − e la conseguente sua illegittimità costituzionale in parte qua.

3.– Il successivo comma 3 dell’art. 3 della impugnata legge reg. Lombardia n. 19 del 2017, di cui il ricorrente sospetta il contrasto con i medesimi innanzi evocati parametri costituzionali, a sua volta, dispone che «[p]er il territorio delle aree protette […] le densità obiettivo sono definite d’intesa con i relativi enti gestori».

3.1.– Secondo la resistente, detta disposizione troverebbe la sua ratio giustificativa nel fatto che «nessun Ente Parco della Lombardia è dotato di regolamento nonostante siano trascorsi più di trent’anni dall’entrata in vigore della legge quadro regionale» e risponderebbe all’esigenza di «definire una strategia di riferimento per perseguire un comune obiettivo (definito all’art. 1 della legge regionale n. 19 del 2017), raggiungibile esclusivamente attraverso una gestione unitaria del territorio […]», in modo che le densità obiettivo vengano «perseguite in piena autonomia dai singoli enti gestori, avvalendosi del personale da essi individuato e delle metodologie di intervento da esse ritenute adeguate e percorribili […]».

3.2.– Interpretata alla stregua di tali premesse e indicazioni – nel senso della sua riferibilità alle sole aree protette regionali ed alla sua operatività in assenza di regolamento adottato dall’Ente parco – la disposizione in esame supera il vaglio di legittimità costituzionale.

L’art. 22, comma 6, della legge n. 394 del 1991 – al riguardo richiamato come norma interposta dal ricorrente – prevede, infatti, che «[n]ei parchi naturali regionali e nelle riserve naturali regionali, […] eventuali prelievi faunistici ed abbattimenti selettivi necessari per ricomporre squilibri ecologici […] devono avvenire in conformità al regolamento del parco» ovvero, appunto, «qualora [questo] non esista», in conformità «alle direttive regionali per iniziativa e sotto la diretta responsabilità e sorveglianza dell’organismo di gestione del parco […]».

La formula della «intesa con gli enti gestori» – con la quale l’impugnata disposizione regionale declina la compartecipazione decisoria tra Regione ed Ente parco, ai fini della determinazione della densità obiettivo della specie cinghiale (nelle aree protette regionali, in assenza di regolamento del parco) − non si discosta, pertanto, dalla formula − della «iniziativa» dell’organo di gestione «in conformità alle direttive regionali» − adottata dalla norma statale, in termini che possano implicarne una negativa incidenza sul piano ed ai fini della tutela dell’ambiente e dell’ecosistema.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, della legge della Regione Lombardia 17 luglio 2017, n. 19 (Gestione faunistica-venatoria del cinghiale e recupero degli ungolati feriti), nella parte in cui si riferisce anche alle aree protette nazionali;

2) dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 3, della legge reg. Lombardia n. 19 del 2017, proposta, in riferimento agli artt. 117, secondo comma, lettera s), e 118, primo e secondo comma, della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 ottobre 2018.

F.to:

Giorgio LATTANZI, Presidente

Mario Rosario MORELLI, Redattore

Filomena PERRONE, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 16 novembre 2018.