Sentenza n. 245 del 2017

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SENTENZA N. 245

ANNO 2017

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Paolo                       GROSSI                                                         Presidente

- Giorgio                    LATTANZI                                                     Giudice

- Aldo                        CAROSI                                                               

- Marta                      CARTABIA                                                         

- Mario Rosario         MORELLI                                                            

- Giancarlo                CORAGGIO                                                        

- Giuliano                  AMATO                                                               

- Silvana                    SCIARRA                                                            

- Daria                       de PRETIS                                                           

- Nicolò                     ZANON                                                               

- Augusto Antonio    BARBERA                                                          

- Giulio                      PROSPERETTI                                                    

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 1, commi 4, lettera d), e 5; 3, commi 1 e 3; e 12, comma 1, della legge della Regione autonoma Sardegna 28 ottobre 2016, n. 25, recante «Istituzione dell’Agenzia sarda delle entrate (ASE)», promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri, con ricorso notificato il 2-4 gennaio 2017, depositato in cancelleria il 10 gennaio 2017 e iscritto al n. 3 del registro ricorsi 2017.

Visto l’atto di costituzione della Regione autonoma Sardegna;

udito nell’udienza pubblica del 24 ottobre 2017 il Giudice relatore Nicolò Zanon;

uditi l’avvocato dello Stato Gianni De Bellis per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Massimo Luciani per la Regione autonoma Sardegna.

Ritenuto in fatto

1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, con ricorso notificato il 4 gennaio 2017, poi depositato il 10 gennaio 2017 (reg. ric. n. 3 del 2017), ha impugnato gli artt. 1, commi 4, lettera d), e 5; 3, commi 1 e 3; e 12, comma 1, della legge della Regione autonoma Sardegna 28 ottobre 2016, n. 25, recante «Istituzione dell’Agenzia sarda delle entrate (ASE)».

1.1.– Il ricorrente, dopo aver ricordato che lo statuto speciale della Regione autonoma Sardegna (legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3, recante «Statuto speciale per la Sardegna») attribuisce a quest’ultima sia la possibilità di istituire tributi propri (art. 8), sia la competenza a procedere all’accertamento ed alla riscossione di questi (art. 9), ha sostenuto che la legge reg. Sardegna n. 25 del 2016, nell’istituire l’Agenzia sarda delle entrate, «al fine di potenziare e razionalizzare il governo delle entrate del sistema Regione» (art. 1, comma 1), avrebbe dettato disposizioni in contrasto con i limiti imposti dallo statuto e dalla Costituzione in materia tributaria.

1.1.1.– Secondo il ricorrente, in primo luogo, gli artt. 1, comma 4, lettera d), e 3, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 25 del 2016, violerebbero gli artt. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione e 9 dello statuto reg. Sardegna.

L’art. 1, comma 4, lettera d), in particolare, nell’includere, tra le competenze attribuite all’ASE, anche il «controllo delle entrate da tributi devoluti, compartecipati e regionali derivati», violerebbe i parametri invocati, che riservano alla legislazione esclusiva dello Stato il «sistema tributario e contabile dello Stato».

La giurisprudenza della Corte costituzionale, secondo l’Avvocatura generale dello Stato, sarebbe costante nel ritenere che costituiscono tributi propri regionali esclusivamente quelli stabiliti con legge regionale, mentre tutti gli altri, ancorché il relativo gettito sia destinato alla Regione, in tutto o in parte, non possono definirsi tributi propri, conservando inalterata la loro natura di tributi erariali (vengono citate le sentenze n. 97 del 2013, n. 123 del 2010, n. 216 del 2009, n. 397 del 2005, n. 37 del 2004 e n. 296 del 2003).

Secondo il ricorrente, dunque, poiché l’art. 9, comma 1, dello statuto Reg. Sardegna riconosce alla Regione un potere di accertamento e di riscossione esclusivamente dei tributi propri, attribuire all’ASE il «controllo delle entrate da tributi devoluti, compartecipati e regionali derivati» si porrebbe in contrasto proprio con tale parametro statutario, nonché con l’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., che riserva alla legislazione esclusiva dello Stato il «sistema tributario e contabile dello Stato».

Per gli stessi motivi sarebbe illegittimo anche l’art. 3, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 25 del 2016, laddove prevede che la Regione «promuove tutte le azioni necessarie per  riconoscere in capo alla Regione, e per il successivo esercizio da parte  dell’ASE, la piena titolarità nella materia dell’accertamento e della riscossione dei tributi derivati e compartecipati al gettito dei tributi erariali prodotti o comunque generati nel territorio regionale di cui all’art. 8 dello Statuto speciale per la Sardegna, anche attraverso la richiesta di trasferimento o la delega di funzioni statali riferite alle agenzie fiscali dello Stato».

Tale disposizione, specificamente, si proporrebbe di ottenere un risultato («la piena titolarità nella materia dell’accertamento e della riscossione dei tributi derivati e compartecipati al gettito dei tributi erariali prodotti o comunque generati nel territorio regionale»), che, sulla base del sistema normativo vigente, sarebbe contrastante con l’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., che riserva allo Stato il potere di legiferare sul «sistema tributario», tanto che il legislatore statale ha affidato alle Agenzie fiscali le  funzioni di accertamento e riscossione dei tributi erariali, con gli artt. 56 e seguenti del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300 (Riforma dell’organizzazione del Governo, a norma dell’articolo 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59).

Del resto, ricorda ancora l’Avvocatura generale dello Stato, in relazione alle entrate erariali il cui gettito è destinato (anche) alla Regione, il decreto legislativo 9 giugno 2016, n. 114 (Norme di attuazione dell’articolo 8 dello Statuto speciale della Regione autonoma della Sardegna – legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3, in materia di entrate erariali regionali) all’art. 2 (rubricato «Modalità di attribuzione delle quote delle entrate erariali spettanti alla regione») prevede che, con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, adottato d’intesa con la Regione, siano individuati i tempi, le procedure e le modalità volti a garantire il riversamento diretto nelle casse regionali del gettito riscosso dall’Agenzia delle entrate, dagli agenti della riscossione e da qualunque altro soggetto cui affluiscono le entrate erariali, comunque denominate, spettanti alla Regione autonoma Sardegna ai sensi dell’art. 8 dello statuto di autonomia.

Secondo il ricorrente, dunque, al di fuori dell’intesa per l’adozione del suddetto decreto ministeriale, non potrebbero essere riconosciuti alla Regione autonoma Sardegna poteri o competenze sui tributi diversi da quelli propri.

1.1.2.– L’Avvocatura generale dello Stato impugna, in secondo luogo, l’art. 12, comma 1 – che viene letto unitamente al già citato art. 3, comma 1 – della legge reg. Sardegna n. 25 del 2016, ancora per contrasto con gli artt. 117, secondo comma, lettera e), Cost., e 9 dello statuto reg. Sardegna, nella parte in cui prevede l’istituzione del Comitato di indirizzo regionale sulle entrate (d’ora in poi CIRE).

La censura è sostenuta dagli stessi motivi posti a fondamento dell’impugnativa dell’art. 3, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 25 del 2016, ma lamenta, in particolare, l’estensione delle competenze attribuite al CIRE anche al servizio di riscossione «dei tributi locali attualmente non riscossi», dal momento che i tributi locali sono da ritenersi anch’essi tributi statali, in quanto istituiti con legge statale (indipendentemente dal destinatario del gettito), e che quest’ultima ha rimesso esclusivamente all’autonomia dei Comuni alcuni poteri di accertamento e riscossione dei tributi locali (ai sensi dell’art. 52 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, recante «Istituzione dell’imposta regionale sulle attività produttive, revisione degli scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell’Irpef e istituzione di una addizionale regionale a tale imposta, nonché riordino della disciplina dei tributi locali»).

Secondo il ricorrente, sarebbe violato anche l’art. 119, secondo comma, Cost.

1.1.3.– Sarebbe costituzionalmente illegittimo, per contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera e), e terzo comma, Cost. e con l’art. 2 del d.lgs. n. 114 del 2016, anche l’art. 1, comma 5, della legge reg. Sardegna n. 25 del 2016, nella parte in cui prevede che la Giunta regionale individua «le modalità e i tempi di riversamento nelle casse regionali» delle entrate spettanti alla Sardegna ai sensi dell’art. 8 dello statuto di autonomia.

Secondo l’Avvocatura generale dello Stato, infatti, il d.lgs. n. 114 del 2016 «prevede invece che tali funzioni siano esercitate dallo Stato, e per esso [da]l Ministero dell’Economia e delle Finanze, con Decreto Ministeriale emanato d’intesa con la Regione», sicché tale disciplina, in quanto «contenuta in una norma interposta di attuazione dello Statuto», non potrebbe essere incisa da una legge regionale.

Per il ricorrente, inoltre, la disposizione impugnata, nella parte in cui prevede che le entrate spettanti alla Regione ai sensi dell’art. 8 dello statuto di autonomia affluiscano presso l’ASE, produrrebbe «l’effetto di portare le suddette entrate al di fuori della tesoreria unica statale», istituita con legge 29 ottobre 1984, n. 720 (Istituzione del sistema di tesoreria unica per enti ed organismi pubblici), in contrasto con le previsioni di cui alla tabella A annessa alla legge n. 720 del 1984, che ricomprenderebbe la Regione autonoma Sardegna tra gli enti assoggettati a tale regime.

Tale legge si collocherebbe, a parere del ricorrente, nell’ambito dei principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica, ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost. (viene richiamata, al riguardo, la sentenza n. 311 del 2012), e non potrebbe, dunque, essere «violata» da una norma regionale.

La disposizione impugnata, ancora, si porrebbe in contrasto con l’art. 97, primo comma, Cost., ai sensi del quale «[l]e pubbliche amministrazioni, in coerenza con l’ordinamento dell’Unione europea, assicurano l’equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico».

1.1.4.– È infine impugnato l’art. 3, comma 3, della legge reg. Sardegna n. 25 del 2016, per contrasto con gli artt. 81, terzo comma, e 117, secondo comma, lettera g), Cost., nella parte in cui prevede che l’ASE operi «un raccordo continuo con la struttura statale», allo scopo di verificare l’esattezza dei dati e dei calcoli (anche) da questa effettuati allo scopo di garantire l’esatta determinazione di quanto spettante a titolo di compartecipazione regionale alle quote erariali.

Secondo il ricorrente, tale previsione provocherebbe «un incremento di attività amministrativa sull’apparato statale (ulteriore rispetto a quello già esistente), e quindi maggiori oneri» – peraltro «senza copertura finanziaria», in contrasto con l’art. 81, terzo comma, Cost. – violando l’art. 117, secondo comma, lettera g), Cost., che riserva alla legislazione esclusiva dello Stato l’«ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali», per effetto dell’imposizione di «una necessaria diversa (ed onerosa) regolamentazione in capo a questi ultimi» ad opera di una fonte (la legge regionale) priva di competenza al riguardo.

2.– La Regione autonoma Sardegna si è costituita nel giudizio di legittimità costituzionale, chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile o, comunque, non fondato.

2.1.– La resistente, in primo luogo, osserva che il ricorso è stato notificato a mezzo posta (in forza della previsione di cui all’art. 55 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante «Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile»), ai sensi della legge 21 gennaio 1994, n. 53 (Facoltà di notificazioni di atti civili, amministrativi e stragiudiziali per gli avvocati e procuratori legali).

Ne eccepisce, quindi, l’inammissibilità evidenziando che, dal timbro apposto in calce alla relazione di notificazione, l’atto risulta notificato non dall’Avvocato dello Stato incaricato dell’affare, bensì da un diverso soggetto, con la qualifica di Procuratore dello Stato, come tale non legittimato ad esercitare il patrocinio innanzi alle corti superiori, con conseguente «inesistenza» della notificazione dell’atto introduttivo del giudizio. Si tratterebbe, dunque, di un vizio insanabile, venendo in rilievo una notificazione effettuata da «persona priva dei poteri di rappresentanza giudiziale», con conseguente impossibilità di applicare l’istituto della sanatoria per raggiungimento dello scopo. Vengono citate, a sostegno, una pronuncia del Consiglio di Stato (sezione quinta giurisdizionale, sentenza 22 marzo 2012, n. 1631) ed una della Corte di cassazione (sezione prima civile, sentenza 13 giugno 2000, n. 8041).

2.2.– La Regione resistente sostiene, inoltre, l’inammissibilità e, comunque, l’infondatezza del ricorso, poiché esso avrebbe ad oggetto disposizioni relative alla disciplina di rapporti interni all’amministrazione regionale, volte semplicemente ad auspicare una collaborativa interlocuzione con quella statale.

2.3.– Quanto all’impugnativa degli artt. 1, comma 4, lettera d), e 3, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 25 del 2016, in particolare, la Regione autonoma Sardegna ne sostiene l’inammissibilità per difetto di motivazione, essendosi limitato il ricorrente ad asserire che il citato art. 1, comma 4, lettera d), esorbiterebbe dall’ambito di competenza regionale di cui all’art. 9 dello statuto di autonomia, senza affermare – né, a maggior ragione, spiegare – perché le disposizioni impugnate attribuirebbero alla Regione il compito di procedere all’accertamento e alla riscossione anche dei tributi statali. Il ricorrente, infatti, non avrebbe dato alcun tipo di qualificazione alle funzioni attribuite dalla legge impugnata all’ASE, né si sarebbe premurato di descrivere in quale modo tali funzioni ostacolerebbero lo svolgimento delle attribuzioni statali in materia di sistema tributario.

Quanto all’art. 3, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 25 del 2016, l’Avvocatura generale dello Stato non avrebbe in alcun modo spiegato perché la norma regionale sarebbe incompatibile con le norme d’attuazione dello statuto di autonomia. Sarebbero comunque insussistenti l’interesse a ricorrere e l’attualità del pregiudizio lamentato, in quanto la disposizione impugnata si limiterebbe «a porre un obiettivo di natura programmatica all’Amministrazione regionale, menzionando espressamente il fatto che tale obiettivo potrà essere raggiunto solo con l’assenso dello Stato», sicché la norma non produrrebbe alcun effetto diretto e immediato circa le modalità di accertamento e riscossione dei tributi erariali.

L’impugnativa di entrambe le disposizioni sarebbe inammissibile anche per contraddittorietà: da un lato il ricorrente sostiene che la legge regionale «già impingerebbe nell’attività di accertamento e riscossione dei tributi»; dall’altro lato afferma che la Regione «auspica di poter occuparsi di tale attività», a seguito di idonea intesa con lo Stato, sicché il gravame sarebbe stato articolato in maniera oscura e perplessa (viene citata la sentenza n. 247 del 2015).

2.3.1.– L’impugnativa sarebbe comunque non fondata, muovendo da un’errata lettura delle disposizioni censurate.

Secondo la Regione resistente, infatti, l’attività di controllo delle entrate da tributi devoluti, compartecipati e regionali derivati – prevista dall’art. 1, comma 4, lettera d), della legge reg. Sardegna n. 25 del 2016 – sarebbe «completamente estranea al procedimento di "accertamento” e di "riscossione” dei tributi». Le disposizioni impugnate non attribuirebbero all’ASE la funzione di emettere provvedimenti di constatazione e costituzione del debito tributario del contribuente e neppure quello di procedere alla concreta esazione del debito già accertato, ma soltanto «il compito di verificare i flussi dei trasferimenti statali derivanti dal regime di compartecipazione fissa ex art. 8 dello Statuto e la loro correttezza e regolarità». Si tratterebbe, insomma, di attività, tutta interna all’amministrazione regionale, di verifica della esatta esecuzione degli obblighi gravanti in capo allo Stato in virtù del regime di compartecipazione previsto dall’art. 8 dello statuto di autonomia. Viene richiamata la sentenza n. 99 del 2012 nella quale la Corte costituzionale avrebbe riconosciuto alla Regione autonoma Sardegna «il potere di quantificare l’ammontare delle compartecipazioni ai tributi erariali, al fine di redigere il bilancio di previsione».

Nessuna censura, inoltre, meriterebbe l’intenzione della Regione autonoma Sardegna – evidenziata dall’art. 3, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 25 del 2016 – di promuovere le azioni necessarie per ottenere il riconoscimento, da parte dello Stato, della piena titolarità in materia di accertamento e riscossione dei tributi derivati e del gettito derivante dalla compartecipazione ai tributi erariali prodotti o comunque generati sul territorio regionale: la norma regionale, infatti, riconosce allo Stato la piena titolarità della competenza in materia ed impegna la Regione autonoma Sardegna a chiedere allo Stato, nel rispetto della normativa da quest’ultimo emanata, il trasferimento o la delega di funzioni statali riferite alle Agenzie fiscali dello Stato.

Lo stesso legislatore statale – ricorda ancora la Regione resistente – con l’art. 1, comma 515, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2014)», ha previsto che, mediante intese tra lo Stato, la Regione autonoma Valle d’Aosta e le Province autonome di Trento e di Bolzano, o con apposite norme di attuazione degli statuti di autonomia, vengano definiti gli ambiti per il trasferimento o la delega delle funzioni statali e dei relativi oneri finanziari riferiti anche alle Agenzie fiscali dello Stato, prefigurando, così, un’operazione di trasferimento o delega delle funzioni statali oggetto dell’intesa, da completare con apposite norme di attuazione. La norma regionale censurata intenderebbe impegnare la Regione autonoma Sardegna a promuovere il raggiungimento di un obiettivo analogo, subordinatamente appunto alla conclusione di apposita intesa con il Governo.

2.4.– Quanto all’impugnativa dell’art. 12, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 25 del 2016, la Regione resistente esclude che esso regoli l’accertamento o la riscossione dei tributi «(né locali, né propri, né statali)», avendo piuttosto ad oggetto l’istituzione di un particolare organo dell’ASE (il CIRE) e la disciplina delle sue attribuzioni, che sarebbero «tutte di natura consultiva (e non di indirizzo amministrativo né di portata gestionale)».

Di qui, a parere della Regione autonoma Sardegna, l’inammissibilità del motivo di ricorso per aberratio ictus – in quanto il ricorso avrebbe «cercato di colpire un bersaglio inesistente» – o, comunque, la sua infondatezza, non essendo stata indicata alcuna ragione ostativa all’istituzione di un tale organo consultivo da parte del legislatore regionale.

2.5.– Quanto all’impugnativa dell’art. 1, comma 5, della legge reg. Sardegna n. 25 del 2016, la Regione resistente evidenzia che esso si limita a prevedere che la Giunta regionale possa regolare i rapporti tra l’ASE e l’amministrazione regionale, restando estranee all’ambito di applicazione della norma le modalità di liquidazione, da parte dello Stato, delle quote di compartecipazione regionale ai tributi erariali. Il che escluderebbe qualsiasi violazione degli artt. 117, secondo comma, lettera e), Cost., e 2 del d.lgs. n. 114 del 2016.

Quanto all’asserita violazione degli altri parametri costituzionali ed interposti, la Regione autonoma Sardegna evidenzia che il ricorrente avrebbe offerto una ricostruzione solo parziale del quadro normativo.

2.5.1.– Il regime di tesoreria unica introdotto dalla legge n. 720 del 1984, infatti, risulta successivamente sostituito – ai sensi dell’art. 7 del decreto legislativo 7 agosto 1997, n. 279 (Individuazione delle unità previsionali di base del bilancio dello Stato, riordino del sistema di tesoreria unica e ristrutturazione del rendiconto generale dello Stato) – dal diverso regime di tesoreria cosiddetta "mista” e quest’ultimo sistema risulta solo temporaneamente sospeso, con applicazione del precedente a tesoreria unica fino al 31 dicembre 2017, ai sensi dell’art. 35 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 (Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività), convertito, con modificazioni, in legge 24 marzo 2012, n. 27: a giudizio della Regione resistente, dunque, il ricorrente avrebbe dovuto allegare e dimostrare che l’istituzione dell’ASE sarebbe incompatibile anche con l’ordinario sistema a tesoreria mista, sicché, mancando tale prospettazione, il gravame sarebbe inammissibile per difetto di motivazione.

 2.5.2.– La censura, in ogni caso, sarebbe non fondata, «per la semplice ragione che la norma regionale non mette affatto in discussione il sistema della tesoreria unica».

Ricorda la Regione resistente che la legge n. 720 del 1984 prevede l’aggiornamento continuo, con decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, dell’elenco degli enti che devono essere soggetti al regime di tesoreria unica, in quanto lo Stato deve di volta in volta verificare se un ente strumentale istituito dalle Regioni o dagli enti locali abbia «le caratteristiche istituzionali che ne consentono l’assoggettamento a regime di tesoreria unica».

L’ASE, a giudizio della Regione autonoma Sardegna, presenta certamente tali caratteristiche, ma rientrerebbe sempre nella discrezionalità del Governo procedere al suo inserimento nell’elenco degli enti soggetti al regime di tesoreria unica, che già annovera, del resto, alcuni enti regionali della Sardegna, come l’Ente acque della Sardegna e gli enti-parco regionali: il che dimostrerebbe che l’istituzione di enti strumentali non può essere considerato come un mezzo per eludere le regole per il servizio di tesoreria.

2.6.– Quanto all’impugnativa dell’art. 3, comma 3, della legge reg. Sardegna n. 25 del 2016, la Regione resistente ne sostiene l’inammissibilità o, comunque, l’infondatezza, in quanto la norma non imporrebbe alcun tipo di obbligo od onere all’amministrazione statale. Sarebbero previsti obblighi esclusivamente in capo all’ASE e all’amministrazione regionale, imponendosi a queste ultime l’avvio di un raccordo informativo con l’amministrazione statale: e, a parere della resistente, di fronte a tali tentativi della Regione di instaurare un confronto collaborativo, lo Stato potrebbe anche rimanere inerte, spettando ai competenti organi statali verificare, alla luce delle disposizioni vigenti e delle funzioni pubbliche di competenza, se e come dare seguito all’interlocuzione così avviata, sicché la legge impugnata non comporterebbe alcuna nuova o maggiore spesa in capo all’amministrazione statale né alcun onere di tipo procedimentale od organizzativo.

In ogni caso, osserva conclusivamente la Regione autonoma Sardegna (citando la sentenza n. 95 del 2013), il principio di leale collaborazione e lo stesso regime di compartecipazione fissa alle entrate erariali imporrebbero allo Stato, senza attendere l’iniziativa regionale, di favorire le dovute interlocuzioni con l’amministrazione regionale, affinché quanto di competenza della Regione autonoma Sardegna sia a quest’ultima effettivamente e prontamente devoluto. Per queste ragioni, non potrebbe essere considerata illegittima, a parere della resistente, una disposizione di legge regionale che imponga all’amministrazione regionale di avviare un raccordo istituzionale con la controparte statale, senza che ciò determini alcuna obbligazione a carico di quest’ultima.

3.– Entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative in vista dell’udienza pubblica.

3.1.– L’Avvocatura generale dello Stato contesta, in primo luogo, l’eccezione di inammissibilità del ricorso per vizio insanabile della notificazione, in quanto effettuata da «persona priva dei poteri di rappresentanza giudiziale», osservando che lo stesso Consiglio di Stato (sezione sesta) ha riconosciuto, con la sentenza 11 febbraio 2013,  n. 769, che l’«Avvocatura dello Stato», cui la legge n. 55 del 2009 ha attribuito la possibilità di eseguire le notificazioni ai sensi della legge n. 53 del 1994, è composta da avvocati e procuratori dello Stato, tutti ugualmente abilitati ad effettuare le notifiche con le suddette modalità. Ed ha riconosciuto che il principio espresso dalla pronuncia richiamata dalla difesa regionale riguarda gli avvocati del libero foro e non anche l’Avvocatura generale dello Stato.

In subordine, evidenzia che l’irregolarità formale della notificazione, come tale integrante una nullità e non il vizio radicale dell’inesistenza, sarebbe stata senz’altro sanata dalla costituzione della Regione resistente.

Nel merito, ribadisce i contenuti del ricorso introduttivo del giudizio, che ritiene non indeboliti dalle difese spiegate dalla Regione autonoma Sardegna.

3.2.– La Regione autonoma Sardegna, oltre a confermare gli argomenti già spesi nell’atto di costituzione, aggiunge alcune osservazioni in ordine a ciascuna censura proposta con il ricorso.

Con riferimento all’impugnativa degli artt. 1, comma 4, lettera d), e 3, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 25 del 2016, evidenzia che l’intera legge regionale è ispirata al principio di leale collaborazione e che forme di raccordo organizzativo sono già operanti tra le Agenzie fiscali e la Regione autonoma Sardegna. Lo dimostrerebbe la «Convenzione per la gestione dell’imposta regionale sulle attività produttive e dell’addizionale regionale all’imposta sul reddito delle persone fisiche», stipulata tra la Regione autonoma Sardegna e l’Agenzia delle entrate in data 15 giugno 2017 (allegata alla memoria). In forza di tale convenzione, alla Regione spetta l’attività di «indirizzo e controllo delle attività di gestione delle imposte», mentre una commissione paritetica svolge numerose attività di controllo e coordinamento dei servizi dell’Agenzia fiscale. Il che dimostrerebbe, non solo l’astratta legittimità, ma anche la concreta praticabilità delle soluzioni individuate dalla legge regionale in tema di controllo delle entrate affidato all’ASE e di delega o trasferimento di funzioni da parte dello Stato.

Con riferimento all’impugnativa dell’art. 12, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 25 del 2016, la Regione autonoma Sardegna rileva che l’istituzione del CIRE, con funzioni meramente consultive, rientrerebbe nell’ambito dell’«ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi della Regione», di cui all’art. 3, comma 1, lettera a), dello statuto di autonomia.

Con riferimento all’impugnativa dell’art. 1, comma 5, della legge reg. Sardegna n. 25 del 2016, la Regione autonoma Sardegna evidenzia che «[l]’interposizione dell’ASE […] rappresenta un mero modulo organizzativo interno al "sistema regionale”, rispetto al quale rimane del tutto estraneo l’ambito di attribuzioni, competenze e funzioni statali». Inoltre, sottolinea che la disciplina del riversamento diretto nelle casse regionali del gettito delle entrate erariali non rientra nella competenza esclusiva dello Stato, ma è oggetto di una «co-decisione» assunta da entrambi i soggetti in termini paritetici.

Quanto al profilo del prospettato intento di aggiramento del sistema di tesoreria unica, la Regione autonoma Sardegna osserva che affermare l’illegittimità di ogni disposizione che istituisce un nuovo soggetto pubblico, in quanto integrante un tentativo elusivo nel senso prospettato dal ricorrente, significherebbe sancire l’impossibilità, per il legislatore regionale, di intervenire sull’organizzazione degli enti e degli uffici regionali.

Infine, quanto all’impugnativa dell’art. 3, comma 3, della legge reg. Sardegna n. 25 del 2016, la Regione autonoma Sardegna riconduce anche tale previsione normativa alla competenza in tema di «ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi della Regione», di cui all’art. 3, comma 1, lettera a), dello statuto di autonomia.

Considerato in diritto

1.– Con il ricorso indicato in epigrafe, l’Avvocatura generale dello Stato propone questioni di legittimità costituzionale in via principale di alcune disposizioni contenute nella legge della Regione autonoma Sardegna 28 ottobre 2016, n. 25, recante «Istituzione dell’Agenzia sarda delle entrate (ASE)».

1.1.– Secondo il ricorrente, in primo luogo, l’art. 1, comma 4, lettera d), della citata legge regionale, nell’includere, tra le competenze attribuite all’ASE, anche il «controllo delle entrate da tributi devoluti, compartecipati e regionali derivati», violerebbe l’art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, che riserva alla legislazione esclusiva dello Stato il «sistema tributario e contabile dello Stato», e si porrebbe in contrasto anche con l’art. 9 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna), che riconosce alla Regione la competenza a procedere all’accertamento ed alla riscossione dei soli tributi propri.

1.2.– Per gli stessi motivi sarebbe costituzionalmente illegittimo anche l’art. 3, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 25 del 2016, laddove prevede che la Regione «promuove tutte le azioni necessarie per  riconoscere in capo alla Regione, e per il successivo esercizio da parte dell’ASE, la piena titolarità nella materia dell’accertamento e della riscossione dei tributi derivati e compartecipati al gettito dei tributi erariali prodotti o comunque generati nel territorio regionale di cui all’articolo 8 dello Statuto speciale per la Sardegna, anche attraverso la richiesta di trasferimento o la delega di funzioni statali riferite alle agenzie fiscali dello Stato». La disposizione della legge regionale, infatti, auspicherebbe il raggiungimento di un risultato normativo di per sé contrastante con l’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., che riserva allo Stato la competenza legislativa in tema di «sistema tributario».

1.3.– L’Avvocatura generale dello Stato impugna, inoltre, l’art. 12, comma 1 letto unitamente al già citato art. 3, comma 1 della legge reg. Sardegna n. 25 del 2016, ancora per contrasto con gli artt. 117, secondo comma, lettera e), Cost., e 9 dello statuto di autonomia, nella parte in cui prevede l’istituzione del Comitato di indirizzo regionale sulle entrate (d’ora in poi CIRE).

In questo caso, a porsi in contrasto con i parametri ricordati sarebbe l’attribuzione al CIRE delle competenze relative anche al servizio di riscossione «dei tributi locali attualmente non riscossi», trattandosi di tributi comunque statali, in quanto istituiti con legge dello Stato (indipendentemente dal destinatario del gettito).

La disposizione, inoltre, violerebbe l’art. 119, secondo comma, Cost.

1.4.– Secondo il ricorrente, l’art. 1, comma 5, della legge reg. Sardegna n. 25 del 2016, nella parte in cui prevede che la Giunta regionale individua «le modalità e i tempi di riversamento nelle casse regionali» delle entrate spettanti alla Sardegna ai sensi dell’art. 8 dello statuto di autonomia, sarebbe costituzionalmente illegittimo, per contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., che attribuisce alla competenza legislativa esclusiva statale il «sistema tributario e contabile dello Stato». La disposizione sarebbe altresì in contrasto con l’art. 2 del decreto legislativo 9 giugno 2016, n. 114 (Norme di attuazione dell’articolo 8 dello Statuto speciale della Regione autonoma della Sardegna – legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3, in materia di entrate erariali regionali), il quale disciplina le «[m]odalità di attribuzione delle quote delle entrate erariali spettanti alla regione».

In particolare, sostiene l’Avvocatura generale dello Stato, quest’ultima disposizione – la quale prevede che i tempi, le procedure e le modalità volti a garantire il riversamento diretto nelle casse regionali delle entrate spettanti alla Regione autonoma Sardegna sono stabiliti con decreto ministeriale, adottato d’intesa con la Regione – non potrebbe essere derogata da una legge regionale, trattandosi di norma di attuazione dell’art. 8 dello statuto di autonomia.

La difesa statale ritiene, inoltre, che la disposizione impugnata – nella parte in cui stabilisce che le entrate spettanti alla Regione ai sensi dell’art. 8 dello statuto di autonomia affluiscano direttamente all’ASE – produrrebbe «l’effetto di portare le suddette entrate al di fuori della tesoreria unica statale», regolata dalla legge 29 ottobre 1984, n. 720 (Istituzione del sistema di tesoreria unica per enti ed organismi pubblici), la cui disciplina sarebbe espressione di principi fondamentali in materia di coordinamento della finanza pubblica, come tali presidiati dall’art. 117, terzo comma, Cost.

Il ricorrente prospetta anche un contrasto con l’art. 97, primo comma, Cost.

1.5.– Infine, l’art. 3, comma 3, della legge reg. Sardegna n. 25 del 2016, nella parte in cui prevede che l’ASE operi «un raccordo continuo con la struttura statale», per verificare l’esatta determinazione di quanto spetta alla Regione a titolo di compartecipazione alle quote erariali, violerebbe gli artt. 81, terzo comma, e 117, secondo comma, lettera g), Cost.

La norma regionale determinerebbe, infatti, «un incremento di attività amministrativa sull’apparato statale», invadendo la competenza legislativa statale in tema di «ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali», imponendo altresì allo Stato, per tale via, maggiori oneri «senza copertura finanziaria».

2.– Eccepisce in via preliminare la Regione autonoma Sardegna che il ricorso sarebbe inammissibile perché, dal timbro apposto in calce alla relazione di notificazione, l’atto risulta notificato, a mezzo posta, non dall’avvocato dello Stato incaricato dell’affare, bensì da soggetto munito della qualifica di procuratore dello Stato.

Secondo la Regione, in particolare, i procuratori dello Stato non sarebbero legittimati ad esercitare il patrocinio innanzi alle corti superiori.

Ne conseguirebbe la «inesistenza» della notificazione dell’atto introduttivo del giudizio, trattandosi di notificazione effettuata da «persona priva dei poteri di rappresentanza giudiziale», con conseguente impossibilità di applicare l’istituto della sanatoria per raggiungimento dello scopo. Viene citata, a sostegno dell’argomentazione, una pronuncia del Consiglio di Stato (sezione quinta giurisdizionale, sentenza 22 marzo 2012, n. 1631), peraltro relativa all’inesistenza della notifica del ricorso effettuata per via postale da parte di un avvocato del libero foro non iscritto all’albo degli avvocati cassazionisti.

L’eccezione non è fondata.

In primo luogo, l’art. 55 della legge 18 giugno 2009, n. 69 (Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile), che consente all’Avvocatura generale dello Stato di eseguire la notificazione ai sensi della legge 21 gennaio 1994, n. 53 (Facoltà di notificazioni di atti civili, amministrativi e stragiudiziali per gli avvocati e procuratori legali) – ossia direttamente a mezzo del servizio postale, senza l’intermediazione dell’agente notificatore – è pacificamente applicabile anche ai giudizi di legittimità costituzionale (sentenza n. 310 del 2011).

In secondo luogo, non può essere condivisa la tesi della Regione autonoma Sardegna, che vorrebbe applicare al caso ora in esame il principio desumibile dalla decisione del Consiglio di Stato sopra richiamata.

Tale pronuncia, infatti, si è uniformata all’indirizzo secondo cui la notifica del ricorso deve essere effettuata da un avvocato iscritto all’albo degli avvocati cassazionisti, con riferimento, appunto, alle notificazioni effettuate dai singoli avvocati del libero foro. Questa regola, tuttavia, non si estende alle notificazioni effettuate dall’Avvocatura generale dello Stato, in quanto i procuratori dello Stato – a differenza di quanto mostra di ritenere la Regione resistente – sono legittimati, al pari degli avvocati dello Stato, ad esercitare il patrocinio innanzi alle magistrature superiori. Infatti, il tenore testuale dell’art. 1, secondo comma, del regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1611 (Approvazione del testo unico delle leggi e delle norme giuridiche sulla rappresentanza e difesa in giudizio dello Stato e sull’ordinamento dell’Avvocatura dello Stato) e dell’art. 8, terzo comma, della legge 3 aprile 1979, n. 103 (Modifiche dell’ordinamento dell’Avvocatura dello Stato) chiarisce come nessuna limitazione sia prevista per i procuratori dello Stato, i quali, pertanto, possono esercitare, allo stesso modo degli avvocati dello Stato, le funzioni anche innanzi alle magistrature superiori (ciò è confermato dalla stessa giurisprudenza del Consiglio di Stato, sezione sesta, sentenza 11 febbraio 2013, n. 769).

Si aggiunga che l’art. 55 della legge n. 69 del 2009 autorizza l’Avvocatura generale dello Stato, intesa quale ufficio, ad impiegare la modalità di notificazione di cui alla legge n. 53 del 1994. E questo significa che anche un procuratore dello Stato, incardinato nell’ufficio, è autorizzato a dare impulso processuale al ricorso mediante la notificazione di quest’ultimo.

3.– Passando al merito delle singole censure, non sono fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate sull’art. 1, comma 4, lettera d), della legge reg. Sardegna n. 25 del 2016.

La disposizione include, tra le competenze attribuite all’ASE, il «controllo delle entrate» regionali, non solo di quelle derivanti da tributi propri regionali, ma anche di quelle provenienti da tributi devoluti, compartecipati e regionali derivati.

Non vi è dubbio che, alla luce della costante giurisprudenza di questa Corte, i tributi regionali e locali derivati, in quanto istituiti e regolati dalla legge dello Stato, conservano inalterata, nonostante la destinazione del gettito a un ente territoriale, la loro natura di tributi erariali (così come pacifica è, ovviamente, tale natura in relazione ai tributi compartecipati). La disciplina dell’accertamento e della riscossione di tali tributi rientra pertanto nella competenza legislativa esclusiva statale (ex plurimis, sentenze n. 280 del 2016, n. 67 del 2015, n. 121 e n. 97 del 2013) e l’esercizio della potestà legislativa regionale in materia è ammesso nei soli limiti consentiti dalla stessa legge statale (sentenza n. 85 del 2017).

Tuttavia, come osserva la difesa della Regione autonoma Sardegna, la disposizione impugnata non attribuisce affatto alla Regione il compito di procedere all’accertamento e alla riscossione di tributi diversi da quelli propri. L’attività di «controllo delle entrate» di cui ragiona l’art. 1, comma 4, lettera d), della legge reg. Sardegna n. 25 del 2016 – comprese le entrate derivanti da tributi devoluti, compartecipati e regionali derivati – è infatti attività ben distinta da quelle di accertamento e riscossione dei tributi e si colloca in un momento temporalmente successivo ad esse, in funzione di verifica della correttezza della quantificazione dei flussi finanziari spettanti alla Regione.

Questa distinzione, del resto, emerge anche da altre proposizioni normative contenute nella stessa legge regionale impugnata. Così, all’art. 1, comma 4, lettera a), si attribuisce all’ASE la gestione accentrata delle attività di «controllo e riscossione» dei soli tributi regionali propri e, all’art. 2, è riservata alla stessa Agenzia l’attività di «gestione diretta» unicamente con riferimento a questi ultimi.

Ancora, l’art. 3, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 25 del 2016, peraltro a sua volta impugnato dall’Avvocatura generale dello Stato, descrive la «piena titolarità nella materia dell’accertamento e della riscossione dei tributi derivati e compartecipati» non già quale contenuto normativo da tale articolo introdotto nell’ordinamento regionale, bensì come risultato finale (eventuale) di una serie di iniziative future, che la Regione intende "promuovere” «nel rispetto della normativa statale e regionale».

In definitiva, la disposizione impugnata si limita a prevedere una forma di verifica (interna all’amministrazione regionale) circa l’esatta quantificazione dell’ammontare delle compartecipazioni ai tributi erariali spettante alla Regione.  Tale attività di controllo sulla corretta esecuzione degli obblighi statali derivanti dal regime di compartecipazione in nessun modo lede le competenze legislative statali in materia di sistema tributario.

4.– Non sono fondate neppure le questioni di legittimità costituzionale sollevate in relazione all’art. 3, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 25 del 2016.

Questa disposizione, come si è accennato, prevede che la Regione, «nel rispetto della normativa statale e regionale, promuove» tutte le iniziative necessarie per riconoscere in capo a sé stessa, e per il successivo esercizio da parte dell’ASE, la piena titolarità nella materia dell’accertamento e della riscossione dei tributi derivati e compartecipati al gettito dei tributi erariali, «anche attraverso la richiesta di trasferimento o la delega di funzioni statali riferite alle agenzie fiscali dello Stato».

Sostiene l’Avvocatura generale dello Stato che il risultato perseguito dalla disposizione regionale sarebbe in contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera e) Cost., il quale riserva allo Stato la potestà legislativa in materia di «sistema tributario».

Ribatte la Regione resistente che la norma regionale rivestirebbe una natura meramente programmatica, priva di carattere lesivo. Non disconoscendo la piena titolarità statale della competenza in materia di accertamento e riscossione dei tributi derivati e compartecipati, essa si limiterebbe a impegnare la Regione autonoma Sardegna a chiedere allo Stato, nel rispetto della normativa vigente, il trasferimento o la delega di funzioni statali riferite alle Agenzie fiscali dello Stato. E richiama, in proposito, l’esempio dell’art. 1, comma 515, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2014)», che avrebbe definito gli ambiti per il trasferimento o la delega anche di quelle funzioni, attraverso un’intesa da completare con apposite norme di attuazione, a favore della Regione autonoma Valle d’Aosta e delle Province autonome di Trento e Bolzano.

Invero, il contenuto normativo della disposizione impugnata, che pure esiste (e perciò non è fondata l’eccezione d’inammissibilità preliminare, per carenza d’interesse, proposta dalla Regione), non si esprime in una disciplina sostanziale immediatamente applicabile, in ipotesi lesiva del corretto riparto delle competenze, o che autorizza l’adozione di atti amministrativi regionali che realizzino l’obiettivo auspicato (la piena titolarità nella materia dell’accertamento e della riscossione dei tributi derivati e compartecipati). La norma, invece, ha il contenuto precettivo di impegnare l’Amministrazione regionale a promuovere, nel rispetto della normativa vigente, tutte le azioni necessarie in vista dell’ottenimento dell’obiettivo ricordato.

Si tratta perciò di una norma che il legislatore regionale indirizza alla stessa Regione. In quanto tale, la disposizione è adottata nell’ambito delle attribuzioni regionali e non è suscettibile di esprimere contenuti lesivi dell’assetto costituzionale delle competenze in materia tributaria (sulla non fondatezza di questioni relative a norme regionali a contenuto precettivo programmatico, sentenze n. 256 del 2012, n. 94 del 2011 e n. 308 del 2009).

5.– Non fondate sono ugualmente le questioni di legittimità costituzionale sollevate in relazione all’art. 12, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 25 del 2016, per contrasto con gli artt. 117, secondo comma, lettera e), Cost., e 9 dello statuto di autonomia, nella parte in cui prevede l’istituzione del CIRE.

Tra i parametri costituzionali richiamati dal ricorrente figura altresì l’art. 119, secondo comma, Cost., tuttavia senza alcuna argomentazione che illustri le ragioni del contrasto prospettato: in base alla costante giurisprudenza di questa Corte, la relativa questione è perciò inammissibile (ex plurimis, tra le più recenti, sentenze n. 192, n. 169, n. 154, n. 62 e n. 50 del 2017).

Quanto alle censure scrutinabili nel merito, l’Avvocatura generale dello Stato lamenta, in particolare, che la competenza del neo-istituito CIRE sia estesa al servizio di riscossione dei «tributi locali attualmente non riscossi», alla luce della considerazione, sicuramente esatta, che i tributi locali sono anch’essi tributi statali, in quanto istituiti con legge statale, indipendentemente dal destinatario del gettito (per tutte, sentenza n. 121 del 2013).

In realtà, in nessuna previsione della legge reg. Sardegna n. 25 del 2016, e neppure in quella ora in esame, si prefigura una competenza della Regione, e per essa del CIRE, in tema di accertamento e riscossione di tributi locali.

Infatti, anche nell’ipotesi (auspicata dall’art. 3, comma 1, della legge regionale) che in materia tributaria fosse disposto un trasferimento di funzioni a favore della Regione autonoma Sardegna, queste ultime riguarderebbero solo l’accertamento e la riscossione dei tributi derivati e compartecipati al gettito dei tributi erariali, senza alcuna conseguenza su attività relative ai tributi locali.

Per questa ragione, la resistente ha eccepito l’inammissibilità della censura, allegando che il ricorso «avrebbe cercato di colpire un bersaglio inesistente».

Invero, l’eccezione non è fondata, giacché il ricorso statale non già ha errato nell’individuare la disposizione sospettata d’illegittimità costituzionale, ma ha attribuito alla norma censurata un contenuto lesivo che non presenta.

Essa, in primo luogo, subordina la stessa istituzione del CIRE alla previa acquisizione, da parte dell’ASE, delle competenze in materia di accertamento e riscossione di cui al citato art. 3. L’incidentale riferimento alla «attivazione del servizio di riscossione […] dei tributi locali attualmente non riscossi», anch’esso subordinato al raggiungimento del risultato auspicato dall’art. 3, comma 1, appare un mero auspicio, collegato non già ad una disposizione della legge regionale impugnata che una tale attivazione preveda, ma ad una riforma ordinamentale eventualmente disposta dalla normativa statale. Né potrebbe essere diversamente, atteso che la Regione autonoma Sardegna, allo stato, non può rivendicare, in materia, alcuna competenza.

Per la non fondatezza della questione, piuttosto, risulta decisiva un’altra circostanza: le funzioni che, secondo la norma impugnata, saranno da riconoscere al CIRE non attengono in radice a poteri di indirizzo amministrativo o di gestione attiva in materia tributaria. Tali funzioni, invece, si risolvono in attività di natura meramente consultiva in favore del direttore generale dell’ASE, in relazione: a) alle fasi deliberative e modificative relative allo statuto e agli atti regolamentari ad esso conseguenti e collegati; b) alla redazione dei piani aziendali annuali o pluriennali, dei bilanci e delle scelte strategiche; c) genericamente, alle iniziative inerenti al tema delle entrate.

Dall’esercizio di tali funzioni non può evidentemente derivare alcuna lesione dei parametri costituzionali e statutari allegati dal ricorrente.

6.– Le questioni di legittimità costituzionale sollevate in riferimento all’art. 1, comma 5, della legge reg. Sardegna n. 25 del 2016 sono fondate. Va invece dichiarata inammissibile la censura che il ricorrente solleva, senza alcuna motivazione, per asserita violazione dell’art. 97, primo comma, Cost.

Il comma 5 dell’art. 1 della legge reg. Sardegna n. 25 del 2016 dispone, nel suo primo periodo, che presso l’ASE affluiscono le entrate spettanti alla Regione autonoma Sardegna ai sensi dell’art. 8 dello Statuto speciale e delle relative norme di attuazione, anche quali quote delle compartecipazioni al gettito erariale corrisposte mediante riversamento diretto. La norma aggiunge che tale disciplina dell’afflusso delle entrate presso l’ASE deve rispettare quanto previsto dall’art. 2 del d.lgs. n. 114 del 2016, cioè dalla norma di attuazione dell’art. 8 dello statuto speciale.

L’ultimo periodo del comma 5 dell’art. 1 stabilisce che la Giunta regionale, con propria deliberazione, individua modalità e tempi di riversamento delle entrate in parola nelle casse regionali, disciplinando anche i relativi flussi informativi.

L’Avvocatura generale dello Stato allega che la prima parte del comma 5, laddove prevede che le entrate spettanti alla Regione ai sensi dell’art. 8 dello statuto affluiscono presso l’ASE, produrrebbe l’effetto di portare tali entrate al di fuori della tesoreria unica statale, istituita con legge n. 720 del 1984, in contrasto con le previsioni di cui alla tabella A annessa alla legge da ultimo citata, che ricomprende la Regione autonoma Sardegna tra gli enti assoggettati al regime in parola.

Poiché tale legge conterrebbe principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica, la norma regionale violerebbe anche l’art. 117, terzo comma, Cost.

Le censure del ricorrente colgono nel segno.

Per la parte qui rilevante, la disciplina legislativa statale in tema di tesoreria unica prevede che le entrate di spettanza regionale provenienti, direttamente o indirettamente, dallo Stato, siano versate presso conti speciali infruttiferi, intestati alle Regioni e gestiti dalla Banca d’Italia.

La previsione dell’afflusso diretto all’ASE delle entrate spettanti alla Regione autonoma Sardegna, ai sensi dell’art. 8 dello statuto di autonomia, è perciò in frontale contrasto con tale disciplina.

Né è rilevante, come eccepisce la Regione resistente, la circostanza che, allo stato, il sistema della tesoreria unica risulti operativo solo in virtù della sospensione –prevista dall’art. 35, comma 8, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 (Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività), convertito, con modificazioni, in legge 24 marzo 2012, n. 27, come modificato dall’articolo 1, comma 395, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2015)» – fino al 31 dicembre 2017, del diverso regime di tesoreria cosiddetta "mista” (introdotto dal decreto legislativo 7 agosto 1997, n. 279, recante «Individuazione delle unità previsionali di base del bilancio dello Stato, riordino del sistema di tesoreria unica e ristrutturazione del rendiconto generale dello Stato»).

Per questo motivo, secondo la Regione autonoma Sardegna, lo Stato ricorrente avrebbe dovuto allegare e dimostrare che l’istituzione dell’ASE sarebbe incompatibile anche con l’ordinario (benché sospeso) sistema a tesoreria mista.

Anche a prescindere dalla circostanza per cui, al momento dell’entrata in vigore della legge regionale impugnata, era vigente il sistema di tesoreria unica e non quello di tesoreria mista, il confronto con questa specifica seconda disciplina non risulta comunque necessario, poiché essa non modifica la regolamentazione della gestione delle liquidità spettanti alle Regioni che derivino direttamente o indirettamente dal bilancio dello Stato. Anche nel sistema a tesoreria cosiddetta "mista”, infatti, tali liquidità devono essere versate nelle contabilità speciali infruttifere intestate alle Regioni presso le sezioni di tesoreria provinciale dello Stato, su conti tenuti dalla Banca d’Italia (solo le entrate proprie delle Regioni, tributarie ed extratributarie – e soltanto quelle – sono escluse dal riversamento nella tesoreria erariale, per affluire direttamente sui conti dei singoli tesorieri regionali, tenuti da istituti bancari diversi dalla Banca d’Italia).

Si deve quindi ribadire, secondo la costante giurisprudenza costituzionale, che la disciplina legislativa in tema di tesoreria unica, strumento essenziale per assicurare il contenimento del fabbisogno finanziario dello Stato ordinamento, appartiene ai principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica (sentenza n. 256 del 2013), da applicarsi sia alle Regioni a statuto ordinario sia a quelle a statuto speciale, esistendo tra esse, sotto questo profilo, «una piena equiparazione» (sentenza n. 311 del 2012).

La disposizione impugnata è perciò costituzionalmente illegittima, in primo luogo, per violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost.

Inoltre, la stessa disposizione – pur dichiarando di rispettare le modalità di attribuzione delle quote delle entrate erariali spettanti alla Regione, quali disciplinate dalle norme di attuazione dello statuto speciale di autonomia ed in particolare dall’art. 2 del d.lgs. n. 114 del 2016 – disegna un assetto normativo che tradisce le finalità di quest’ultimo articolo.

L’art. 2, appena citato, si limita a prevedere che, con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, adottato d’intesa con la Regione autonoma Sardegna, siano individuati tempi, procedure e modalità volti a garantire il riversamento diretto nelle casse regionali del gettito spettante alla Regione.

Ciò significa che, secondo tale art. 2, le somme spettanti alla Regione autonoma Sardegna non dovranno più essere previamente incamerate dalla Ragioneria generale dello Stato, prima di essere destinate alle casse regionali (ovvero ai ricordati conti infruttiferi).

Dunque, nella logica della norma di attuazione statutaria, non sono in alcun modo incise le modalità di tenuta dei conti regionali, nel perdurante rispetto della disciplina prevista dalla legge statale sulla tesoreria unica.

La disposizione regionale impugnata, invece, prevedendo la diretta affluenza all’ASE (e non alle casse regionali, ossia ai conti infruttiferi presso la tesoreria) delle entrate di spettanza regionale, introduce un passaggio intermedio che contrasta con la previsione del riversamento diretto di tali risorse dallo Stato alle casse regionali disposto dalla norma di attuazione statutaria. In tal modo, quest’ultima, lungi dall’essere rispettata, come testualmente proclamato dalla disposizione censurata, risulta invece disattesa.

Né vale obiettare – come fa la Regione resistente – che l’ASE potrà essere, a sua volta, assoggettata, con atto statale, al sistema di tesoreria unica.

In primo luogo, infatti, una tale determinazione non risulta intervenuta e, in ogni caso, il Governo, generalmente, assoggetta a tesoreria unica gli enti che ricevono trasferimenti a carico del bilancio dello Stato, mentre gli oneri derivanti dall’applicazione della legge regionale istitutiva dell’ASE sono ovviamente a carico del bilancio regionale (come si desume dall’art. 15 legge reg. Sardegna n. 25 del 2016).

In secondo luogo, e conclusivamente, per costante giurisprudenza di questa Corte, il giudizio di legittimità costituzionale promosso in via principale è condizionato solo alla pubblicazione della legge che si presume illegittima. È la mera pubblicazione di una legge regionale potenzialmente lesiva della ripartizione di competenze a giustificarne l’impugnativa davanti a questa Corte, a prescindere dagli effetti che essa abbia o non abbia prodotto (ex multis, sentenze n. 262 del 2016 e n. 118 del 2015): dunque, e a maggior ragione, il giudizio in via principale non è condizionato da successive, eventuali e discrezionali determinazioni del potere esecutivo che su tali effetti possano incidere, nel senso di escluderli o limitarli.

La dichiarazione di illegittimità costituzionale del primo periodo del comma 5 dell’art. 1 della legge regionale n. 25 del 2016 non può che coinvolgere anche l’ultimo periodo del medesimo comma, al primo indissolubilmente legato.

Invero, anche accedendo alla lettura che di tale disposizione offre la Regione resistente – nel senso che la norma si limiterebbe ad assegnare alla Giunta regionale il potere di regolare i rapporti tra l’ASE e l’amministrazione regionale, e dunque le modalità e i tempi di riversamento nelle casse regionali, successivamente alla liquidazione, da parte dello Stato, delle quote di compartecipazione regionale ai tributi erariali – tale comma presuppone appunto il preventivo afflusso diretto di tali somme all’ASE, in contrasto, come si è detto, con il sistema di tesoreria unica, con conseguente violazione, altresì, dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.

7.– L’art. 9, comma 3, lettera a), della legge reg. Sardegna n. 25 del 2016, non impugnato con il ricorso statale, così dispone: «[l]’ASE: a) riversa nelle casse regionali le entrate di competenza, con le modalità e i tempi stabiliti con deliberazione della Giunta regionale adottata su proposta dell’Assessore competente in materia di entrate».

Si tratta, evidentemente, della disciplina dell’esecuzione, da parte dell’ASE, di quanto la Giunta regionale sarebbe autorizzata a deliberare in forza dell’art. 1, comma 5, della legge reg. Sardegna n. 25 del 2016.

Pertanto, alla luce del rapporto di stretta ed esclusiva dipendenza funzionale che lega le due proposizioni normative (da ultimo, sentenza n. 36 del 2017), ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), la dichiarazione d’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 5, della legge reg. Sardegna n. 25 del 2016 comporta, in via conseguenziale, l’estensione della dichiarazione anche all’art. 9, comma 3, lettera a), della medesima legge.

8.– Residuano, infine, le questioni di legittimità costituzionale proposte avverso l’art. 3, comma 3, della legge reg. Sardegna n. 25 del 2016 – per violazione degli artt. 81, terzo comma, e 117, secondo comma, lettera g), Cost. – nella parte in cui prevede che l’ASE operi «un raccordo continuo con la struttura statale», allo scopo di verificare l’esattezza dei dati e dei calcoli (anche) da questa effettuati, in vista di garantire l’esatta determinazione di quanto spettante a titolo di compartecipazione regionale alle quote erariali.

8.1.– Inammissibile, in primo luogo, è la questione che il ricorrente solleva sulla disposizione citata, per violazione dell’art. 81, terzo comma, Cost.

Sostiene in proposito l’Avvocatura generale dello Stato che essa provocherebbe un incremento di attività amministrativa sull’apparato statale e quindi maggiori oneri, senza copertura finanziaria, in lesione dell’art. 81, terzo comma, Cost.

La censura è presentata in modo apodittico. Il ricorso, infatti, non espone le ragioni per le quali il raccordo dell’ASE con la struttura finanziaria statale provocherebbe, come conseguenza dell’incremento di attività amministrativa a carico dell’apparato statale, maggiori oneri finanziari: mentre avrebbe dovuto essere quantomeno dimostrata l’impossibilità di svolgere l’attività amministrativa di raccordo con le risorse umane e materiali già a disposizione.

Essendo del tutto mancante una «specifica e congrua indicazione» (sentenza n. 32 del 2017) delle ragioni per le quali sussisterebbe il contrasto con il parametro evocato, la censura non raggiunge quella soglia minima di chiarezza cui la giurisprudenza di questa Corte subordina l’ammissibilità delle impugnative proposte nei giudizi di legittimità costituzionale in via principale (ex multis, sentenze n. 105 e n. 50 del 2017).

8.2.– Sostiene inoltre il ricorrente che l’incremento di attività amministrativa indotto dalla disposizione impugnata si porrebbe in contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera g), Cost., che riserva alla legislazione esclusiva statale l’«ordinamento e l’organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali». La norma regionale, priva di competenza al riguardo, infatti, imporrebbe necessariamente, in capo all’amministrazione statale, una diversa ed ulteriore regolamentazione della propria organizzazione.

La questione non è fondata.

Questa Corte ha già chiarito che, fermo restando il principio per cui le Regioni non possono porre a carico di organi o amministrazioni dello Stato compiti e attribuzioni ulteriori rispetto a quelli individuati con legge statale, deve nondimeno essere esclusa «la configurabilità di un vulnus delle competenze statali nel caso di semplice acquisizione di informazioni, trattandosi di strumento con il quale si esplica, ad un livello minimo, la leale cooperazione tra Stato e Regioni, in vista dell’esigenza di garantire il più efficiente esercizio delle attribuzioni tanto statali, quanto regionali (sentenza n. 327 del 2003, con richiamo alla sentenza n. 412 del 1994)» (sentenza n. 104 del 2010).

Nella stessa direzione, la sentenza n. 10 del 2008 ha affermato che «l’acquisizione, l’elaborazione e lo scambio di informazioni non determinano, di regola, alcuna lesione di attribuzioni, rispettivamente statali o regionali, ma rappresentano, in realtà, strumenti con i quali si esplica, ad un livello minimo, la leale cooperazione tra Stato e Regioni (sentenza n. 42 del 2006)».

Tali conclusioni sono ulteriormente confermate dal fatto che la stessa legislazione statale si orienta nel senso del rafforzamento dello scambio di informazioni, in materie omogenee a quelle oggetto della legge reg. Sardegna n. 25 del 2016: l’art. 70 del decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118 (Disposizioni in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle Regioni, degli enti locali e dei loro organismi, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 5 maggio 2009, n. 42), infatti, dispone che «[g]li organi statali e le regioni sono tenuti a fornirsi, reciprocamente e a richiesta, ogni notizia utile allo svolgimento delle proprie funzioni nella materia di cui al presente decreto, nonché a concordare le modalità di utilizzazione comune dei rispettivi sistemi informativi e le altre forme di collaborazione».

Questa Corte non può, inoltre, esimersi dall’osservare che, nei rapporti tra Stato e Regione autonoma Sardegna, proprio l’impossibilità, per la Regione, di giovarsi della precisa (e preventiva) conoscenza delle risorse finanziarie disponibili, allo scopo di redigere puntualmente il bilancio regionale, è stata alla base della cosiddetta "vertenza entrate”.

Del resto, la stessa delibera che autorizza la proposizione del ricorso statale qui deciso riconosce la sussistenza di «giuste istanze informative» in capo alla Regione.

Giova, infine, ribadire quanto di recente affermato da questa Corte, proprio in materia di relazioni finanziarie tra lo Stato e le autonomie speciali: «[è] utile ricordare come il sistema tributario regionale sia caratterizzato, quasi per intero, dall’eteronomia della struttura dei tributi (propri derivati, addizionali, compartecipazioni al gettito di quelli erariali) e dalla centralizzazione dei meccanismi di riscossione e riparto tra gli enti territoriali, soluzioni giustificate dall’interrelazione con più parametri costituzionali di primaria importanza, tra i quali spiccano il coordinamento della finanza pubblica ed il rispetto dei vincoli comunitari ex art. 117, primo comma, Cost., e come tale "supremazia normativa” sia giustificata sul piano funzionale da inderogabili istanze unitarie che permeano la Costituzione. Tuttavia, aggiungere a questa fondamentale prerogativa del legislatore statale anche l’esonero per lo Stato dall’obbligo di rendere ostensibili e confrontabili i dati necessari per una corretta attuazione del precetto costituzionale, inerente alla salvaguardia delle risorse spettanti all’autonomia speciale, costituisce un’ingiustificata compressione dell’autonomia stessa» (sentenza n. 188 del 2016).

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 5, della legge della Regione autonoma Sardegna 28 ottobre 2016, n. 25, recante «Istituzione dell’Agenzia sarda delle entrate (ASE)»;

2) dichiara, in via conseguenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), l’illegittimità costituzionale dell’art. 9, comma 3, lettera a), della legge reg. Sardegna n. 25 del 2016;

3) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 5, della legge reg. Sardegna n. 25 del 2016, promossa, in riferimento all’art. 97, primo comma, della Costituzione, con il ricorso indicato in epigrafe;

4) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 12, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 25 del 2016, promossa, in riferimento all’art. 119, secondo comma, Cost., con il ricorso indicato in epigrafe;

5) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 3, della legge reg. Sardegna n. 25 del 2016, promossa, in riferimento all’art. 81, terzo comma, Cost., con il ricorso indicato in epigrafe;

6) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 4, lettera d), della legge reg. Sardegna n. 25 del 2016, promosse, in riferimento agli artt. 117, secondo comma, lettera e), Cost. e 9 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna), con il ricorso indicato in epigrafe;

7) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 25 del 2016, promosse, in riferimento agli artt. 117, secondo comma, lettera e), Cost. e 9 dello statuto Reg. Sardegna, con il ricorso indicato in epigrafe;

8) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 3, della legge reg. Sardegna n. 25 del 2016, promossa, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera g), Cost., con il ricorso indicato in epigrafe;

9) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 12, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 25 del 2016, promosse, in riferimento agli artt. 117, secondo comma, lettera e), Cost. e 9 dello statuto Reg. Sardegna, con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 ottobre 2017.

F.to:

Paolo GROSSI, Presidente

Nicolò ZANON, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 29 novembre 2017.