Sentenza n. 197 del 2017

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SENTENZA N. 197

ANNO 2017

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Paolo                          GROSSI                                 Presidente

-           Giorgio                       LATTANZI                             Giudice

-           Aldo                           CAROSI                                        ”

-           Marta                          CARTABIA                                  ”

-           Giancarlo                    CORAGGIO                                 ”

-           Giuliano                      AMATO                                        ”

-           Silvana                        SCIARRA                                     ”

-           Daria                           de PRETIS                                     ”

-           Nicolò                         ZANON                                         ”

-           Franco                        MODUGNO                                  ”

-           Augusto Antonio        BARBERA                                    ”

-           Giulio                         PROSPERETTI                             ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 29, della legge della Regione Lazio 31 dicembre 2015, n. 17 (Legge di stabilità regionale 2016), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri, con ricorso notificato il 29 febbraio-2 marzo 2016, depositato in cancelleria il 7 marzo 2016 ed iscritto al n. 11 del registro ricorsi 2016.

Visto l’atto di costituzione della Regione Lazio;

udito nella udienza pubblica del 4 luglio 2017 il Giudice relatore Silvana Sciarra;

uditi l’avvocato dello Stato Vincenzo Rago per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Massimo Luciani per la Regione Lazio.

Ritenuto in fatto

1.– Con ricorso, notificato il 29 febbraio-2 marzo 2016, depositato il successivo 7 marzo, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 29, della legge della Regione Lazio 31 dicembre 2015, n. 17 (Legge di stabilità regionale 2016), in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera l), e terzo comma, della Costituzione.

1.1.– Il ricorrente premette che la disposizione impugnata stabilisce che «[g]li oneri relativi al trattamento accessorio posti a carico della Regione per il personale temporaneamente assegnato ad altre pubbliche amministrazioni sulla base di protocolli o accordi per lo svolgimento di funzioni di interesse regionale, sono compensati con gli incrementi delle risorse del fondo per le politiche di sviluppo delle risorse umane e per la produttività, o con specifiche indennità, ai sensi dell'art. 15 comma 1 lettera k) del contratto collettivo nazionale di lavoro (CCNL) del 1° aprile 1999, certificati nel rispetto della normativa nazionale vigente in materia di contenimento dei costi della contrattazione collettiva, da utilizzarsi secondo la disciplina dell'articolo 17 del C.C.N.L. del 1° aprile 1999».

Tale previsione – secondo la difesa statale – si porrebbe anzitutto in contrasto con l’art. 15, comma 1, lettera k), del CCNL del 1° aprile 1999, in quanto individuerebbe una destinazione delle risorse del citato fondo diversa da quella ivi prevista, in violazione della competenza legislativa statale esclusiva in materia di «ordinamento civile». Il ricorrente ricorda che è stato ripetutamente riconosciuto dalla giurisprudenza costituzionale che «il trattamento economico dei dipendenti pubblici, il cui rapporto di impiego sia stato privatizzato e disciplinato dalla contrattazione collettiva secondo quanto previsto dal decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), rientra nella competenza legislativa esclusiva statale in materia di ordinamento civile» (sono citate le sentenze n. 286 e n. 36 del 2013).

La medesima norma è, inoltre, impugnata dalla difesa statale in quanto, incidendo sulla quantificazione del trattamento accessorio del personale regionale, violerebbe l’art. 117, terzo comma, Cost., «nell’ottica del coordinamento della finanza pubblica», ponendosi in contrasto con l’art. 1, comma 236, della legge 28 dicembre 2015, n. 208 recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)», secondo cui l’ammontare complessivo delle risorse destinate annualmente al trattamento accessorio del personale, anche di livello dirigenziale, di ciascuna delle amministrazioni pubbliche non può superare il corrispondente importo determinato per l’anno 2015 ed è automaticamente ridotto in misura proporzionale alla riduzione del personale in servizio.

2.– Nel giudizio si è costituita la Regione Lazio, in persona del Presidente pro-tempore della Giunta regionale, e ha chiesto che la Corte dichiari inammissibile e, in subordine, infondato il ricorso in esame.

2.1.– In primo luogo, la Regione deduce l’inammissibilità del ricorso per genericità ed insufficienza della motivazione.

Quanto alla censura di violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., il ricorrente non avrebbe chiarito quale sarebbe la particolare utilizzazione del fondo incompatibile con le previsioni della contrattazione collettiva.

Quanto alla censura di violazione del terzo comma dell’art. 117 Cost., la Regione eccepisce la mancata dimostrazione sia della pretesa violazione, da parte della norma regionale, dell’art. 1, comma 236, della legge n. 208 del 2016 «nell’ottica del coordinamento della finanza pubblica», sia della circostanza che la disposizione di legge statale citata sia effettivamente espressione di un «inderogabile “principio generale” della materia “coordinamento della finanza pubblica”».

Il ricorso sarebbe, inoltre, contraddittorio, considerato che il ricorrente, da un lato, lamenta una decurtazione del fondo per il trattamento accessorio, le cui risorse sarebbero distratte per altre finalità; dall’altro, lamenta una maggiorazione del medesimo fondo tale da violare il limite fissato dalla citata disposizione della legge n. 208 del 2015.

Nel merito, il ricorso sarebbe privo di fondamento.

La Regione anzitutto contesta che la disposizione impugnata contrasti con l’art. 15 del CCNL del 1° aprile 1999, rilevando come essa, viceversa, ne rispetti le finalità istituzionali. Il citato fondo sarebbe destinato proprio all’incentivazione della produttività, cui mirano i trattamenti accessori. Il fatto che questi ultimi siano corrisposti a personale attivo presso la Regione o a personale regionale temporaneamente assegnato ad altre amministrazioni non avrebbe alcuna rilevanza, tanto più che tali amministrazioni sarebbero obbligate a tenere indenni le Regioni dagli oneri sostenuti, sicché il fondo, per questa parte, funzionerebbe come camera di compensazione per lo spatium temporis necessario all’adempimento dell’obbligazione di restituzione da parte delle amministrazioni di destinazione, nella misura prevista dalla legge e dai protocolli e dagli accordi intercorsi fra le amministrazioni stesse. Il fondo, pertanto, servirebbe ad assicurare la corresponsione del trattamento accessorio al personale temporaneamente assegnato ad altre amministrazioni pubbliche, nelle more del rimborso da parte di queste delle somme corrispondenti.

L’art. 9, comma 29, della legge regionale n. 17 del 2015, non sarebbe lesivo della competenza legislativa statale esclusiva in materia di «ordinamento civile», in quanto non inciderebbe in alcun modo sul trattamento economico del lavoratore alle dipendenze della Regione Lazio, né quanto alle voci di cui si compone la retribuzione, né quanto all’ammontare delle medesime voci.

La Regione sostiene anche l’infondatezza della censura di violazione del principio di finanza pubblica di cui all’art. 1, comma 236, della legge n. 208 del 2015. La disposizione impugnata, infatti, prevede espressamente che l’utilizzo delle risorse che transitano per il fondo per le politiche di sviluppo delle risorse umane e per la produttività deve rispettare la «normativa nazionale vigente in materia di contenimento dei costi della contrattazione collettiva». 

Infine, la resistente rileva che l’art. 1, comma 236, della legge n. 208 del 2015 è stato abrogato, a decorrere dal 1° gennaio 2017, dall’art. 23, comma 2, del decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 75, recante «Modifiche e integrazioni al decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, ai sensi degli articoli 16, commi 1, lettera a), e 2, lettere b), c), d) ed e) e 17, comma 1, lettere a), c), e), f), g), h), l) m), n), o), q), r), s) e z), della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche». Quest’ultimo, pur riprendendo la formulazione dell’abrogato comma 236, ha tuttavia inserito nuovi elementi di flessibilità, prevedendo la possibilità che le Regioni a statuto ordinario incrementino l’ammontare della componente variabile dei fondi per la contrattazione integrativa destinata al personale in servizio presso i predetti enti, anche di livello dirigenziale

3.– All’udienza le parti hanno ribadito le conclusioni formulate nelle memorie difensive.

Considerato in diritto

1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato l’art. 9, comma 29, della legge della Regione Lazio 31 dicembre 2015, n. 17 (Legge di stabilità regionale 2016), che stabilisce che «[g]li oneri relativi al trattamento accessorio posti a carico della Regione per il personale temporaneamente assegnato ad altre pubbliche amministrazioni sulla base di protocolli o accordi per lo svolgimento di funzioni di interesse regionale, sono compensati con gli incrementi delle risorse del fondo per le politiche di sviluppo delle risorse umane e per la produttività, o con specifiche indennità, ai sensi dell’art. 15 comma 1 lettera k) del contratto collettivo nazionale di lavoro (CCNL) del 1° aprile 1999, certificati nel rispetto della normativa nazionale vigente in materia di contenimento dei costi della contrattazione collettiva, da utilizzarsi secondo la disciplina dell’articolo 17 del CCNL del 1° aprile 1999».

Secondo il ricorrente tale norma si porrebbe in contrasto, anzitutto, con l’art. 15 del C.C.N.L. del 1° aprile 1999, poichè individuerebbe una destinazione delle risorse del citato fondo diversa da quella ivi prevista, in violazione della competenza esclusiva statale  nella materia «ordinamento civile», di cui all’art. 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione.

Essa, inoltre, incidendo sulla quantificazione del trattamento accessorio del personale regionale, si porrebbe in contrasto anche con l’art. 1, comma 236, della legge 28 dicembre 2015, n. 208 recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)», con conseguente violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost. «nell’ottica del coordinamento della finanza pubblica».

2.– Preliminarmente, occorre esaminare l’eccezione di inammissibilità del ricorso per contraddittorietà dello stesso, proposta dalla difesa regionale.

Quest’ultima ritiene che le doglianze formulate dal ricorrente si pongano in insanabile contraddizione tra loro e rendano il ricorso inammissibile, perché perplesso e ancipite.  Il ricorrente, infatti, da un lato, lamenterebbe una decurtazione del fondo per il trattamento accessorio, le cui risorse sarebbero distratte per altre finalità; dall’altro, denuncerebbe una maggiorazione del medesimo fondo, tale da violare il limite fissato dalla citata disposizione della legge n. 208 del 2015.

2.1.– L’eccezione è priva di fondamento.

La censura di violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., non scaturisce dalla pretesa riduzione del fondo per lo sviluppo delle risorse umane e della produttività (che, viceversa, la censura di violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., assumerebbe “incrementato”), ma dalla ritenuta incompatibilità della destinazione delle risorse del fondo stesso al finanziamento dei trattamenti accessori del personale «temporaneamente assegnato ad altre pubbliche amministrazioni, sulla base di protocolli o accordi per lo svolgimento di funzioni di interesse regionale», rispetto alla destinazione individuata, per le medesime risorse, dalle norme del contratto collettivo nazionale e in particolare dall’art. 15, comma 1, lettera k), e dall’art. 17, comma 2, lettera g), del CCNL del 1° aprile 1999.

3.- Ancora in linea preliminare, devono essere valutate le eccezioni di inammissibilità per genericità ed insufficienza della motivazione, proposte dalla difesa della Regione, in relazione ad entrambe le questioni di legittimità costituzionale promosse nei confronti dell’art. 9, comma 29, della legge regionale n. 17 del 2015.

3.1.– Quanto alla censura di violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., la resistente eccepisce che nel ricorso non sarebbe stato chiarito il motivo per cui l’utilizzazione delle risorse del fondo per le politiche di sviluppo delle risorse umane e per la produttività, delineata dalla norma regionale impugnata, sarebbe incompatibile con le previsioni della contrattazione collettiva nazionale.

3.1.1.– L’eccezione è fondata.

Secondo la giurisprudenza ormai costante di questa Corte, non basta che il ricorso in via principale identifichi esattamente la questione nei suoi termini normativi, indicando le norme costituzionali e ordinarie, la definizione del cui rapporto di compatibilità o incompatibilità costituisce l’oggetto della questione di costituzionalità. Occorre altresì che esso sviluppi un’argomentazione a sostegno dell’impugnazione, necessaria in termini ancora più stringenti che nei giudizi incidentali (ex plurimis, sentenza n. 131 del 2016). Tale argomentazione, a sua volta, «può esigere il confronto con dati normativi ulteriori, rispetto ai termini essenziali della questione» (sentenza n. 265 del 2016). La genericità e l’assertività delle censure implicano l’inammissibilità della questione (ex plurimis, sentenze n. 273, n. 131 e n. 38 del 2016; nonché sentenze n. 184 del 2012, n. 185, n. 129, n. 114 e n. 68 del 2011, n. 278 e n. 45 del 2010).

Nel caso in esame la censura è priva di un’adeguata motivazione.

Il ricorrente si limita ad affermare, apoditticamente, il contrasto fra la norma regionale impugnata e l’art. 15, comma 1, lettera k), del CCNL del 1° aprile 1999, ritenendo che la destinazione delle risorse del fondo per lo sviluppo delle risorse umane e della produttività, istituito dalla Regione, alla copertura degli oneri derivanti dai trattamenti accessori del «personale temporaneamente assegnato ad altre amministrazioni pubbliche sulla base di protocolli o accordi per lo svolgimento di funzioni di interesse regionale» (art. 9, comma 29, della legge regionale n. 17 del 2015), sia diversa e incompatibile con quella delineata dal richiamato art. 15, comma 1, lettera k).

Quest’ultimo statuisce che “[p]resso ciascun ente, a decorrere dal 1.1.1999, sono annualmente destinate […] a sostenere le iniziative rivolte a migliorare la produttività, l’efficienza e l’efficacia dei servizi […] k) le risorse che specifiche disposizioni di legge finalizzano alla incentivazione di prestazioni o di risultati del personale, da utilizzarsi secondo la disciplina dell’art. 17».

3.1.2.– Tale ultima previsione si inserisce in un tessuto normativo complesso, la cui ricognizione è necessaria al fine di coglierne la portata. 

Essa trova il suo fondamento nell’art. 45 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), che demanda alla contrattazione collettiva anche la definizione del trattamento economico accessorio dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni (comma 1). Il medesimo art. 45 precisa che i «trattamenti economici accessori [sono] collegati: a) alla performance individuale; b) alla performance organizzativa con riferimento all’amministrazione nel suo complesso e alle unità organizzative o aree di responsabilità in cui si articola l’amministrazione; c) all’effettivo svolgimento di attività particolarmente disagiate ovvero pericolose e o dannose per la salute» (comma 3). Infine, «[p]er premiare il merito e il miglioramento della performance dei dipendenti, ai sensi delle vigenti disposizioni di legge» (comma 3-bis), il medesimo articolo destina, compatibilmente con i vincoli di finanza pubblica, apposite risorse nell’ambito di quelle previste per il rinnovo del contratto collettivo nazionale di lavoro. 

A quest’ultima disposizione si connette il comma 3-bis dell’art. 40 del medesimo d.lgs. n. 165 del 2001, in cui si stabilisce che «[l]e pubbliche amministrazioni attivano autonomi livelli di contrattazione collettiva integrativa […]». Quest’ultima «assicura adeguati livelli di efficienza e produttività dei servizi pubblici, incentivando l’impegno e la qualità della performance, destinandovi, per l’ottimale perseguimento degli obiettivi organizzativi ed individuali, una quota prevalente delle risorse finalizzate ai trattamenti economici accessori», quota «collegata alle risorse variabili determinate per l’anno di riferimento».  Tali risorse rientrano fra quelle elencate nell’art. 15 del CCNL del 1° aprile 1999, finalizzate, secondo il successivo art. 17, comma 1, «a promuovere effettivi e significativi miglioramenti nei livelli di efficienza e di efficacia degli enti e delle amministrazioni e di qualità dei servizi istituzionali mediante la realizzazione di piani di attività anche pluriennali e di progetti strumentali e di risultato basati su sistemi di programmazione e di controllo quali-quantitativo dei risultati». Esse sono impiegate anche per «incentivare le specifiche attività e prestazioni correlate alla utilizzazione delle risorse indicate nell’art. 15, comma 1, lett. k» (art. 17, comma 2, lettera g, del medesimo CCNL). Si tratta di risorse che l’art. 31, comma 3, del contratto collettivo nazionale di lavoro del 22 gennaio 2004 – che ha ulteriormente precisato la disciplina contenuta nel CCNL del 1999 –  qualifica come “variabili” in quanto corrispondenti a «importi aventi caratteristiche di eventualità e di variabilità», e che derivano dall’applicazione delle discipline contrattuali vigenti, fra le quali c’è, appunto, quella recata dall’art. 15, comma 1, lettera k), del CCNL del 1° aprile 1999 .

Tali risorse devono essere quantificate annualmente dagli enti (art. 31, comma 1, CCNL del 22 gennaio 2004), con una preventiva e specifica allocazione nel proprio bilancio (art. 48, comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001).

Esse, tuttavia, per il loro carattere di incertezza sia nella quantità, sia nel tempo, possono essere utilizzate solo in conformità alle previsioni della contrattazione integrativa, tenuta peraltro a garantire il rispetto dei vincoli di bilancio e di quelli derivanti dall’applicazione delle norme di legge, «con particolare riferimento alle disposizioni inderogabili che incidono sulla misura e sulla corresponsione dei trattamenti accessori» (comma 1 dell’art. 40-bis del d.lgs. n. 165 del 2001), e solo «per interventi di incentivazione salariale che abbiano le caratteristiche tipiche del salario accessorio e quindi contenuti di variabilità ed eventualità nel tempo, con auspicabile, prioritaria attenzione agli incentivi per la produttività» (ARAN, Possibili contenuti di un contratto decentrato integrativo. Indice ragionato. Comparto Regioni e autonomie locali, Personale non dirigente, Serie Manuali operativi, marzo 2013).

3.1.3.– Anche per la norma regionale impugnata è necessario tener conto del contesto in cui la medesima si colloca.

Come emerge dai lavori preparatori, la norma è stata aggiunta al testo dell’art. 9 (rubricato «Disposizioni varie») della legge regionale di stabilità per il 2016 in considerazione del Protocollo d’intesa siglato dalla Regione Lazio il 29 ottobre 2015 con la Corte d’appello di Roma, la Procura generale della Repubblica di Roma, nonché il Ministro della Giustizia, «per l’utilizzo del personale della Regione Lazio presso gli uffici del distretto della Corte d’appello per il “Giubileo straordinario della misericordia”». Con tale accordo la Regione ha inteso «potenziare la formazione professionale del personale dipendente in materie aventi impatto sulla giurisdizione e nel contempo creare […] opportune sinergie per rafforzare l’efficacia e l’efficienza degli uffici regionali con particolare riferimento al governo del territorio». A tal fine ha attivato una forma di collaborazione interistituzionale in attuazione dell’art. 15 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi) e ha disposto la temporanea assegnazione di personale presso altre pubbliche amministrazioni, «per singoli progetti di interesse specifico dell’amministrazione e con il consenso dell’interessato» (art. 23-bis, comma 7, del d.lgs. n. 165 del 2001). Nel Protocollo si è altresì precisato che il personale regionale assegnato agli uffici giudiziari «resta nella dipendenza organica della regione» (art. 3) e che il relativo «trattamento economico complessivo (fondamentale e accessorio, compresa la corresponsione degli eventuali buoni pasto) […] rimane a carico della Regione, nella misura prevista dalla propria contrattazione decentrata» (art. 4).

In considerazione di ciò, il legislatore regionale ha previsto – a seguito di numerosi emendamenti e sub-emendamenti del testo originariamente proposto – la compensazione degli «oneri relativi al trattamento accessorio posti a carico della Regione per il personale temporaneamente assegnato ad altre pubbliche amministrazioni sulla base di protocolli o accordi per lo svolgimento di funzioni di interesse regionale» con «gli incrementi delle risorse del fondo per le politiche di sviluppo delle risorse umane e per la produttività, o con specifiche indennità, ai sensi dell’art. 15 comma 1 lettera k) del contratto collettivo nazionale di lavoro (CCNL) del 1° aprile 1999, certificati nel rispetto della normativa nazionale vigente in materia di contenimento dei costi della contrattazione collettiva, da utilizzarsi secondo la disciplina dell’articolo 17 del C.C.N.L. del 1° aprile 1999».

3.1.4.– Nel denunciare l’illegittimità costituzionale di tale previsione per violazione della disciplina posta dalla contrattazione collettiva, il ricorrente avrebbe dovuto fornire qualche argomento al fine di dimostrare se e come la stessa intervenga a modificare la ripartizione di risorse destinate a incentivare la produttività e le prestazioni del personale (cui si attinge ordinariamente anche per i trattamenti accessori), operata dalla contrattazione collettiva nazionale, in specie dall’art. 15, comma 1, lettera k), e dal connesso art. 17 del CCNL del 1° aprile 1999, che vengono peraltro espressamente richiamati dalla medesima norma impugnata, e/o dalla contrattazione decentrata, quest’ultima neppure evocata nel ricorso.  Avrebbe, poi, dovuto spiegare espressamente, al fine di suffragare la dedotta violazione della sfera di competenza legislativa esclusiva statale in materia di «ordinamento civile», se ciò determini l’effetto di introdurre, mediante i richiamati «incrementi» delle risorse, ulteriori trattamenti accessori per una parte del personale regionale (e cioè di coloro che siano temporaneamente assegnati ad altre pubbliche amministrazioni, «sulla base di protocolli o accordi per lo svolgimento di funzioni di interesse regionale»), ovvero, all’opposto, di escluderli per alcuni (coloro che restino presso l’amministrazione regionale), visto che è prescritto che gli incrementi siano «certificati nel rispetto della normativa nazionale vigente in materia di contenimento dei costi della contrattazione collettiva».

Nel ricorso e nella memoria depositata nell’imminenza dell’udienza pubblica, la difesa statale si limita invece a contestare la legittimità costituzionale della citata norma regionale sulla base della mera asserzione della contrarietà della destinazione delle risorse del fondo per le politiche di sviluppo delle risorse umane e per la produttività, ivi delineata, rispetto a quella prescritta dall’art. 15 del CCNL del 1° aprile 1999, contrarietà che, alla luce del richiamato complesso rapporto esistente fra normativa di legge statale, contrattazione collettiva nazionale, contratti decentrati integrativi e normativa regionale, oltre che della richiamata formulazione testuale della medesima norma regionale, è tutt’altro che evidente.

3.1.5.– Deve, pertanto, essere dichiarata inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 29, della legge reg. Lazio n. 17 del 2015, promossa in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.

3.2.– Occorre, ora, passare a esaminare l’ulteriore eccezione di inammissibilità per genericità e insufficienza della motivazione, proposta dalla difesa della Regione, con riguardo alla censura di violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost.

La resistente eccepisce la mancata dimostrazione sia della pretesa violazione, da parte della norma regionale (che «incide sulla quantificazione del trattamento accessorio del personale regionale»), dell’art. 1, comma 236, della legge n. 208 del 2015 (legge statale di stabilità per il 2016) «nell’ottica del coordinamento della finanza pubblica», sia della circostanza che la disposizione di legge statale citata risulti essere effettiva espressione di un «inderogabile “principio generale” della materia “coordinamento della finanza pubblica”», come tale vincolante per il legislatore regionale.

3.2.1.– Anche tale eccezione è fondata.

Come si è già più volte ricordato, la norma regionale impugnata, nel suo tenore letterale, si limita a prevedere, genericamente, la compensazione degli «oneri relativi al trattamento accessorio posti a carico della Regione per il personale temporaneamente assegnato ad altre pubbliche amministrazioni sulla base di protocolli o accordi per lo svolgimento di funzioni di interesse regionale», con gli «incrementi delle risorse del fondo per le politiche di sviluppo delle risorse umane e per la produttività», incrementi, peraltro, «certificati nel rispetto della normativa nazionale vigente in materia di contenimento dei costi della contrattazione collettiva».

L’art. 1, comma 236, della legge n. 208 del 2015 –  nel frattempo abrogato e sostituito dall’art. 23, comma 2, del decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 75, recante «Modifiche e integrazioni al decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, ai sensi degli articoli 16, commi 1, lettera a), e 2, lettere b), c), d) ed e) e 17, comma 1, lettere a), c), e), f), g), h), l) m), n), o), q), r), s) e z), della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche») – disponeva che «a decorrere dal 1° gennaio 2016, l’ammontare complessivo delle risorse destinate annualmente al trattamento accessorio del personale, anche di livello dirigenziale, di ciascuna delle amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 […], non può superare il corrispondente importo determinato per l’anno 2015 ed è, comunque, automaticamente ridotto in misura proporzionale alla riduzione del personale in servizio, tenendo conto del personale assumibile ai sensi della normativa vigente».

Il ricorrente, a sostegno della censura di violazione del citato principio di coordinamento della finanza pubblica (peraltro neppure qualificato come tale nel ricorso) e tenuto conto della formulazione generica della norma impugnata, avrebbe dovuto dimostrare il preteso superamento, ad opera di quest’ultima, del “tetto” fissato dall’art. 1, comma 236, della legge n. 208 del 2015 ai trattamenti accessori.  Il preteso sforamento, infatti, non risulta di per sé evidente, tanto più ove si consideri che la norma regionale prescrive che gli «incrementi» del citato fondo siano «certificati nel rispetto della normativa nazionale vigente in materia di contenimento dei costi della contrattazione collettiva, da utilizzarsi secondo la disciplina dell'articolo 17 del C.C.N.L. del 1° aprile 1999» e che tale certificazione, secondo l’art. 40-bis del d.lgs. n. 165 del 2001, è preordinata a garantire la «compatibilità dei costi della contrattazione collettiva integrativa con i vincoli di bilancio e quelli derivanti dall’applicazione delle norme di legge, con particolare riferimento alle disposizioni inderogabili che incidono sulla misura e sulla corresponsione dei trattamenti accessori».

3.2.2.– Pertanto, anche la questione di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 29, della legge reg. Lazio n. 17 del 2015, promossa in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost., è inammissibile.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 29, della legge della Regione Lazio 31 dicembre 2015, n. 17 (Legge di stabilità regionale 2016), promosse dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera l), e terzo comma, della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 luglio 2017.

F.to:

Paolo GROSSI, Presidente

Silvana SCIARRA, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 14 luglio 2017.