Sentenza n. 149 del 2017

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SENTENZA N. 149

ANNO 2017

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-   Paolo                     GROSSI                                              Presidente

-   Alessandro            CRISCUOLO                                        Giudice

-   Giorgio                  LATTANZI                                                

-   Aldo                       CAROSI                                                     

-   Marta                     CARTABIA                                               

-   Mario Rosario       MORELLI                                                 

-   Giancarlo               CORAGGIO                                              

-   Giuliano                AMATO                                                    

-   Silvana                  SCIARRA                                                  

-   Daria                      de PRETIS                                                 

-   Nicolò                    ZANON                                                     

-   Franco                   MODUGNO                                              

-   Augusto Antonio   BARBERA                                                

-   Giulio                    PROSPERETTI                                         

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 29, commi 1, 2, lettera a), e 3, del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185 (Misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale), convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, promossi dalla Corte di cassazione, sezione sesta civile, con ordinanza del 23 febbraio 2015 e dalla Commissione tributaria regionale del Veneto con ordinanza dell’8 giugno 2016, rispettivamente iscritte al n. 100 del registro ordinanze 2015 e al n. 251 del registro ordinanze 2016 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 22, prima serie speciale, dell’anno 2015 e n. 50, prima serie speciale, dell’anno 2016.

Visti gli atti di costituzione della Dallan spa (incorporante la Dalcos spa), della Eurometalnova srl in liquidazione, nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 4 aprile 2017 il Giudice relatore Giancarlo Coraggio;

uditi gli avvocati Stefano Zunarelli per la Dallan spa, Gabriele Escalar per la Eurometalnova srl in liquidazione e l’avvocato dello Stato Gianni De Bellis per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.− Con ordinanza iscritta al n. 100 del reg. ord. 2015 la Corte di cassazione, sezione sesta civile, ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 29, comma 1, del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185 (Misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale), convertito, con modificazioni dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, nella parte in cui, nell’introdurre un tetto massimo di stanziamento e una procedura per la selezione dei crediti d’imposta previsti dall’art. 1, commi da 280 a 283, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007)», «non fa salvi i diritti e le aspettative sorti […] in relazione ad attività di ricerca e sviluppo avviate prima del 29/11/2008» (data di entrata in vigore del d.l. n. 185 del 2008).

2.− La Corte di cassazione ha poi sollevato, in via subordinata e sempre con riferimento all’art. 3 Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 29, commi 2, lettera a), e 3, del d.l. n. 185 del 2008, nella parte in cui, anche per i crediti d’imposta relativi a costi sostenuti per attività di ricerca avviate prima del 29 novembre 2008, prevedono una procedura di ammissione al beneficio fiscale basata sul criterio cronologico di ricezione telematica delle domande dei contribuenti.

3.− Il rimettente motiva ampiamente sulla situazione di fatto e sulle norme di diritto applicabili alla fattispecie sottoposta al suo giudizio.

3.1.− Sotto il primo profilo, espone di essere stato adito dalla società Dalcos spa per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale dellAbruzzo di rigetto del ricorso avverso il provvedimento con cui il Centro operativo di Pescara aveva negato, per «esaurimento delle risorse finanziarie», il nulla-osta alla fruizione del credito dimposta previsto dall’art. 1, commi 280 e seguenti, della legge n. 296 del 2006, richiesto dalla contribuente in relazione ai costi sostenuti per attività di ricerca e sviluppo avviate prima del 29 novembre 2008.

3.2. Circa il quadro normativo di riferimento, il rimettente ricorda che:

− i commi da 280 a 283 dell’art. 1 della legge n. 296 del 2006 − successivamente abrogati ma applicabili ratione temporis alla fattispecie in esame − avevano attribuito alle imprese, a decorrere dal periodo d’imposta 2007 e fino alla chiusura di quello relativo al 2009, un credito d’imposta fruibile in compensazione in sede di dichiarazione dei redditi, pari al 10 per cento dei costi sostenuti per attività di ricerca e sviluppo; in caso di costi riferiti a contratti stipulati con università ed enti pubblici, la percentuale saliva al 15 per cento, poi aumentata al 40 per cento dall’art. 1, comma 66, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2008)»;

− i costi in questione non potevano superare, ai sensi del comma 281, l’importo di 15 milioni di euro per ciascun periodo dimposta (poi elevato a 50 milioni dal citato art. 1, comma 66, della legge n. 244 del 2007) e per ciascuna impresa;

− la legge non fissava alcun «tetto globale» alla erogazione dei crediti d’imposta, né prevedeva limiti di copertura del minor gettito fiscale derivante dalla loro fruizione; conseguentemente, il contribuente non era tenuto alla presentazione di alcuna istanza preventiva di ammissione al beneficio, bastando che indicasse il credito nella dichiarazione dei redditi;

− in seguito, con l’art. 29, commi 1 e 2, del d.l. n. 185 del 2008, adottato nell’intento di fronteggiare l’eccezionale situazione di crisi internazionale, il legislatore aveva esteso ai crediti di imposta in esame la disciplina sul monitoraggio dettata dai commi 1 e 2 dell’art. 5 del decreto-legge 8 luglio 2002, n. 138 (Interventi urgenti in materia tributaria, di privatizzazioni, di contenimento della spesa farmaceutica e per il sostegno dell’economia anche nelle aree svantaggiate), convertito, con modificazioni dalla legge 8 agosto 2002, n. 178, e conseguentemente aveva previsto un tetto massimo di erogazione, definendo i relativi stanziamenti nel bilancio dello Stato;

− ciò aveva comportato l’individuazione di una procedura di selezione delle imprese destinate a fruire concretamente dei crediti d’imposta di cui alla legge n. 296 del 2006, al dichiarato «fine di garantire congiuntamene la certezza delle strategie di investimento, i diritti quesiti, nonché l’effettiva copertura finanziaria»;

− i commi in questione avevano stabilito che, a decorrere dall’anno 2009: a) per la fruizione del credito d’imposta le imprese dovevano inoltrare per via telematica all’Agenzia delle entrate un apposito formulario, valevole come «prenotazione dell’accesso»; b) la prenotazione del credito per le attività di ricerca avviate dopo la data di entrata in vigore del d.l. n. 185 del 2008 doveva considerarsi «successiva» rispetto a quella relativa ad attività avviate prima di tale data; c) i formulari venivano acquisiti ed evasi dall’Agenzia delle entrate rispettando rigorosamente il loro ordine cronologico di arrivo; d) l’Agenzia provvedeva, in via telematica, a rispondere alle imprese che avevano presentato il formulario, comunicando alle stesse, ove si trattasse di attività già avviate prima del 29 novembre 2008, «esclusivamente un nulla-osta, ai soli fini della copertura finanziaria» e, ove, invece, si trattasse di attività avviate dopo tale data, il ricevimento della prenotazione e «nei successivi novanta giorni leventuale diniego, in ragione della capienza»;

− il quinto comma dell’art. 29 citato, infine, aveva previsto che la procedura per la trasmissione telematica delle richieste andava attivata entro 30 giorni dalla data di adozione del provvedimento dell’Agenzia delle entrate di approvazione del formulario.

3.3.− Aggiunge la Corte di cassazione che:

− con provvedimento del 21 aprile 2009, il direttore dell’Agenzia delle entrate aveva stabilito che i formulari per i progetti d’investimento in attività di ricerca e sviluppo già avviati al 29 novembre 2008 (il cui modello era stato approvato con precedente decreto direttoriale del 24 marzo 2009) andavano presentati, a pena di decadenza dal contributo, dalle ore 10:00 del 16 maggio 2009 (cosiddetto click day) alle ore 24:00 del 5 giugno 2009;

− la capienza degli stanziamenti si era esaurita con i formulari pervenuti nei primi minuti successivi all’apertura della procedura e numerose imprese erano rimaste escluse, al pari della ricorrente, dalla fruizione dei crediti d’imposta per i costi sostenuti «e sostenendi» in relazione ad attività di ricerca avviate prima dell’entrata in vigore del d.l. n. 185 del 2008;

− in tal modo si erano determinate, con riferimento a tali crediti, le seguenti situazioni: a) quelli maturati negli anni 2007 e 2008, utilizzati in compensazione mediante il modello F24 entro il 31 dicembre 2008, non erano stati toccati dal d.l. n. 185 del 2008 ed erano stati validamente fruiti; b) quelli maturati negli anni 2007, 2008 e 2009, che non erano stati utilizzati entro la data del 31 dicembre 2008, ma di cui era stata autorizzata la fruizione da parte dellAgenzia delle entrate, erano parimenti rimasti validamente fruibili; c) quelli maturati negli anni 2007, 2008 e 2009, non utilizzati entro la data del 31 dicembre 2008 e di cui non era stata autorizzata la fruizione per esaurimento dei fondi disponibili, erano rimasti non fruibili. 

3.4.− Per queste ultime situazioni, l’art. 2, comma 236, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2010)» aveva successivamente autorizzato un ulteriore stanziamento poi ridotto dallart. 4, comma 1, del decreto-legge 25 marzo 2010, n. 40 (Disposizioni urgenti tributarie e finanziarie in materia di contrasto alle frodi fiscali internazionali e nazionali operate, tra l’altro, nella forma dei cosiddetti «caroselli» e «cartiere», di potenziamento e razionalizzazione della riscossione tributaria anche in adeguamento alla normativa comunitaria, di destinazione dei gettiti recuperati al finanziamento di un Fondo per incentivi e sostegno della domanda in particolari settori), convertito, con modificazioni dalla legge 22 maggio 2010, n. 73 − le cui modalità di utilizzo erano state definite con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 4 marzo 2011 (Modalità di utilizzo dell’ulteriore stanziamento disposto dal comma 236 dell’articolo 2 della legge 23 dicembre 2009, n. 191, per le finalità di cui all’articolo 29, comma 1, del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185): il nuovo intervento normativo aveva quindi consentito la fruizione del 47,53 per cento di quei crediti d’imposta relativi ad attività di ricerca avviate prima del 29 novembre 2008 che non erano stati riconosciuti per esaurimento delle risorse disponibili.

4. Nel merito, la Corte di cassazione ritiene non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dellart. 29, comma 1, del d.l. n. 185 del 2008, con riferimento all’art. 3 Cost.

Dal tenore letterale dell’art. 1, comma 280, della legge n. 296 del 2006 emergerebbe che il credito dimposta in esame aveva la consistenza di un diritto soggettivo perfetto, il cui fatto costitutivo era indicato dalla legge nel mero sostenimento dei costi per attività di ricerca e sviluppo nei periodi di imposta 2007, 2008 e 2009.

Non sarebbe condivisibile la tesi della difesa statale secondo cui il credito, nel tempo intercorrente tra la maturazione (con il sostenimento dei costi) e l’utilizzo in compensazione dei debiti tributari tramite il modello F24, avrebbe avuto la consistenza di un diritto condizionato alla sussistenza della copertura finanziaria, assunto che si fonderebbe sul disposto dell’art. 5 del d.l. n. 138 del 2002, che, in realtà, fino all’entrata in vigore del d.l. n. 185 del 2008, riguardava esclusivamente i crediti d’imposta vigenti nel 2002.

4.1.L’art. 29, comma 1, del d.l. n. 185 del 2008, secondo la Corte di cassazione, avrebbe dunque inciso sotto due profili sulla posizione dei contribuenti che, avendo già avviato attività di ricerca industriale e sviluppo precompetitivo, erano stati esclusi dalla fruizione del beneficio fiscale: per costoro, infatti, essa avrebbe «abolito», in primo luogo, il diritto di credito già maturato in relazione ai costi già sostenuti e, in secondo luogo, laspettativa del credito maturando in relazione ai costi da sostenere per attività già avviate.

La norma censurata violerebbe, pertanto, il principio di tutela dell’affidamento del cittadino nella certezza delle situazioni giuridiche, principio definito dalla Corte costituzionale «essenziale elemento dello Stato di diritto», che non può essere leso da disposizioni retroattive, le quali trasmodino in un regolamento irrazionale di situazioni sostanziali fondate su leggi precedenti.

4.2. Il rimettente solleva poi, in via subordinata alla prima, questione di legittimità costituzionale dell’art. 29, commi 2, lettera a), e 3, del d.l. n. 185 del 2008, sempre con riferimento all’art. 3 Cost.

Essa investe le norme regolanti la procedura introdotta dalla legge per selezionare (nellambito della platea dei contribuenti che al 29 novembre 2008 avevano già avviato attivi di ricerca e sviluppo precompetitivo) i destinatari del credito d’imposta sulla base dell’ordine cronologico di arrivo delle istanze telematiche.

Osserva il rimettente che, se, in linea generale, non può ritenersi irrazionale il ricorso al criterio selettivo prior in tempore potior in iure, nel caso di specie in cui la selezione si svolge tra una platea vastissima di concorrenti e si fonda sul momento di arrivo al destinatario di atti trasmessi per via telematica, tale criterio conduce a risultati completamente scollegati non solo dal merito delle ragioni di credito ma anche dalla solerzia nel loro esercizio.

La risultante di fattori quali la sproporzione tra risorse disponibili e domande, l’elevato numero di concorrenti e la velocità dei meccanismi di trasmissione informatica determinerebbe, infatti, una selezione sostanzialmente casuale, che si esaurisce in un tempo brevissimo e produce risultati dipendenti prevalentemente «dalla potenza e sofisticatezza delle apparecchiature informatiche, di cui dispongono i singoli contribuenti o i professionisti che li assistono». Ciò determinerebbe una disparità di trattamento tra contribuenti tutti egualmente titolari di crediti di imposta derivanti da attività già avviate al 29 novembre 2008.

Tale criterio di selezione sarebbe stato del resto abbandonato in sede di definizione delle modalità di distribuzione del finanziamento disposto dalla legge n. 191 del 2009, per le quali il d.m. 4 marzo 2011 avrebbe fatto ragionevolmente ricorso a un criterio tipicamente concorsuale, assegnando a ciascun contribuente una percentuale del proprio credito.

Precisa il rimettente che il vulnus al principio di ragionevolezza non discende dalle modalità attuative di presentazione dei formulari prescritte dal direttore dellAgenzia delle entrate con i provvedimenti del 24 marzo e del 21 aprile 2009, ma deriva direttamente dalle norme censurate.

5. Quanto alla rilevanza della questione sollevata in via principale, osserva la Corte di cassazione che il giudizio a quo ha ad oggetto l’impugnativa di un provvedimento (il diniego di nulla-osta per esaurimento delle risorse finanziarie), che si fonda sulle norme indubbiate, e che quindi la declaratoria di illegittimità costituzionale delle seconde imporrebbe l’annullamento del primo.

Quanto alla rilevanza della questione sollevata in via subordinata, poi, l’eventuale declaratoria di illegittimità costituzionale delle disposizioni che prevedono che la copertura disponibile venga assegnata ai contribuenti in base allordine cronologico di presentazione telematica delle prenotazioni travolgerebbe lintero meccanismo che ha condotto al diniego del nulla-osta, sicché non sarebbe determinante l’individuazione del momento in cui lodierna ricorrente ebbe a inviare il proprio formulario.

6.Aggiunte il rimettente che identiche questioni di  legittimità costituzionale erano già state sollevate dalla stessa sezione con l’ordinanza n. 9026 del 2013, ma la Corte costituzionale, con la sentenza n. 236 del 2014, le aveva dichiarate inammissibili sul rilievo che il rimettente, pur citando lo ius superveniens introdotto dallart. 2, comma 236, della legge n. 191 del 2009, e dall’art. 4, comma 1, del d.l. n. 40 del 2010, aveva omesso di esaminare il suo impatto sul quadro normativo di riferimento.

Ritiene tuttavia il giudice a quo che lo ius superveniens non dissipi il dubbio sulla sussistenza del denunciato vulnus costituzionale, né elida la rilevanza delle questioni sollevate, atteso che:

1) con riguardo al profilo legato alla mancata salvezza dei diritti e delle aspettative già sorti, la violazione del parametro costituzionale sussisterebbe per il solo fatto che un credito di imposta già entrato nel patrimonio del contribuente venga significativamente pregiudicato per effetto di una disposizione retroattiva; il bilanciamento con l’art. 81 Cost. non potrebbe far ritenere ragionevole l’obiettivo di perseguire la salvaguardia dell’equilibrio di bilancio mediante una disposizione che riduca di oltre il 50 per cento crediti e aspettative di credito già entrati nel patrimonio del contribuente sulla base di scelte imprenditoriali operate alla luce delle norme all’epoca vigenti;

2) quanto al profilo della irragionevolezza della disciplina della selezione, esso, incentrandosi sulla asserita casualità del meccanismo predisposto dal legislatore, non verrebbe meno per il fatto che i crediti e le aspettative di credito non subiscono la totale elisione ma una rilevante «falcidia» (del 52,47 per cento).

7. Con memoria depositata il 18 giugno 2015 si è costituita in giudizio la Dallan spa (incorporante per fusione la Dalcos spa, parte del giudizio a quo), eccependo in punto di fatto che, confidando nel quadro normativo vigente, aveva posto in essere investimenti e sopportato costi che avevano originato un credito d’imposta per il 2008 pari ad euro 13.665,00; e che, in data 6 maggio 2009, alle ore 10:06, aveva inviato in via telematica il proprio formulario.

Ricostruita la vicenda processuale del giudizio a quo, la parte privata ha svolto nel merito argomentazioni adesive alle tesi sviluppate nell’ordinanza di rimessione.

In particolare, secondo la Dallan spa,  nella giurisprudenza della Corte costituzionale la tutela dell’affidamento, i princìpi di parità di trattamento e di ragionevolezza, in quanto princìpi fondamentali, prevarrebbero anche sulle necessità derivanti dal rispetto del principio di equilibrio di bilancio.

Né andrebbe dimenticato che l’equilibrio della spesa pubblica viene valutato di anno in anno, principalmente a mezzo della legge finanziaria, e proprio la finanziaria del 2007 aveva previsto l’agevolazione fiscale in questione.

Un eventuale bilanciamento di valori costituzionali, poi, vedrebbe in gioco non solo l’art. 3 Cost. ma anche l’art. 9, primo comma, Cost., secondo cui la Repubblica promuove lo sviluppo della cultura scientifica e tecnica.

La procedura di selezione, infine, sarebbe incostituzionale per la manifesta irragionevolezza ed arbitrarietà del sistema di selezione dei crediti da ammettere al beneficio fiscale.

8. Con memoria depositata il 23 giugno 2015 è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, eccependo l’inammissibilità e la non fondatezza delle questioni sollevate.

8.1.Il Presidente del Consiglio dei ministri ha osservato che la stessa ordinanza di rimessione dà atto che: 1) fino al d.l. n. 185 del 2008 la normativa non fissava alcun tetto all’erogazione dei crediti d’imposta, né prevedeva limiti di copertura del minor gettito fiscale derivante dalla loro fruizione; 2) l’art. 29, che aveva posto fine a tale anomala situazione, era inserito nel cosiddetto "decreto anticrisi” adottato nell’intento di fronteggiare l’eccezionale situazione di crisi internazionale e al fine di potenziare le misure fiscali e finanziarie occorrenti per garantire il rispetto degli obiettivi fissati dal programma di stabilità e crescita approvato in sede europea; 3) con la successiva legge n. 191 del 2009 era stato autorizzato, per i crediti d’imposta maturati negli anni 2007, 2008 e 2009 e di cui non era stata autorizzata la fruizione, un ulteriore stanziamento pari al 47,53 per cento del loro ammontare.

Pertanto, la normativa in questione, da un lato, avrebbe posto un limite quantitativo a un beneficio inizialmente sprovvisto di tetto e senza copertura finanziaria (imposta dall’art. 81 Cost.); dall’altro, in relazione alle agevolazioni in corso, avrebbe integralmente riconosciuto i costi a una parte dei beneficiari individuati all’esito di una procedura basata sulla priorità di invio delle domande, e per circa metà agli altri.

Essa, dunque, tenuto conto della situazione economica in cui erano maturate le scelte del legislatore, non potrebbe dirsi irragionevole, poiché sarebbe volta ad assicurare l’equilibrio dei conti pubblici e il contenimento del debito pubblico entro le soglie stabilite a livello comunitario.

Dall’ammontare degli stanziamenti previsti nel censurato art. 29 per gli anni 2008 e 2009 (rispettivamente 375,2 e 533,6 milioni di euro) e dei benefici rimasti insoddisfatti (pari a euro 736.137.096) per effetto del tetto introdotto con il medesimo articolo si evincerebbe che la mancata copertura di spesa della legge del 2006 era pari a oltre 1,6 miliardi di euro.

Il legislatore sarebbe quindi intervenuto dapprima stanziando 900 milioni di euro con l’art. 29 indubbiato e, in seguito, altri 350 milioni con la legge n. 191 del 2009, essendo quindi rimasti senza copertura circa 386 milioni.

Il Presidente del Consiglio dei ministri fa presente quindi che, secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale, il legislatore può dettare norme retroattive, purché la retroattività trovi adeguata giustificazione nell’esigenza di tutelare princìpi, diritti e beni di rilievo costituzionale. L’intervento in questione, proprio perché diretto a rimuovere un profilo di incostituzionalità della normativa del 2006, ossia la violazione dell’art. 81 Cost., sarebbe dunque legittimo.

Sottolinea ancora l’Avvocatura generale dello Stato che difficilmente può ritenersi che le scelte imprenditoriali di effettuare o meno le spese per attività di ricerca sarebbero state diverse se non ci fosse stata l’agevolazione in questione, tenuto conto che quell’aspettativa è stata riconosciuta quanto meno per metà.

8.2. Anche la questione prospettata in via subordinata, con cui si lamenta l’illegittimità costituzionale delle norme che hanno regolato la procedura di ammissione al beneficio fiscale, è, secondo il Presidente del Consiglio, inammissibile e infondata. 

Un primo profilo di inammissibilità sarebbe dato dall’omessa motivazione sulla rilevanza della questione, non avendo la Corte di cassazione indicato il momento in cui la ricorrente aveva presentato la propria istanza: essendo state ammesse solo le domande presentate nei primi minuti, sarebbe evidente che, se l’invio fosse avvenuto dopo un notevole lasso di tempo, non vi sarebbe alcun interesse alla censura dedotta.

La questione sarebbe poi inammissibile per difetto di rilevanza.

Il giudice a quo ritiene che il criterio cronologico non sia di per sé illegittimo e che siano state invece le modalità seguite a ingenerare una gara illegittima: il problema, allora, non starebbe nella norma che quel criterio pone ma esclusivamente nella sua realizzazione esecutiva, e quindi nel provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate del 24 marzo 2009, che avrebbe dovuto essere oggetto di impugnazione davanti al giudice amministrativo.

La questione sarebbe anche infondata nel merito.

Posto che le risorse a disposizione erano limitate, un criterio di selezione andava comunque adottato. L’avere previsto l’ordine di invio telematico delle richieste non sarebbe irrazionale, tenuto conto della vasta platea dei beneficiari, delle esigenze di celerità e della difficoltà di una procedura concorsuale alternativa legata a criteri di più complessa valutazione.

Quand’anche l’effetto pratico della gara fosse stato quello di una scelta meramente casuale, per ciò solo non si potrebbe ritenere la norma in contrasto con la Costituzione.

9. Con memoria depositata il 1° marzo 2017 la parte privata ha ulteriormente illustrato le difese già svolte in sede di costituzione.

In relazione alle eccezioni d’inammissibilità sollevate del Presidente del Consiglio dei ministri, la Dallan spa afferma di avere inoltrato la propria istanza alle ore 10:06 del 6 maggio 2009 (come risulterebbe dall’attestazione di presentazione del formulario F24 rilasciata dall’Agenzia delle entrate), ossia soli 6 minuti dopo l’apertura del click day.

Osserva l’interveniente, poi, che contrariamente a quanto asserito dal Presidente del Consiglio dei ministri, l’art. 1, commi da 280 a 283, della legge n. 296 del 2006 era pienamente rispettoso del principio di copertura finanziaria di cui all’art. 81 Cost.

La relazione tecnica del Ministero del tesoro sulla finanziaria 2007 aveva, infatti, chiaramente quantificato l’impatto dell’attribuzione del credito d’imposta in termini di riduzione di gettito. La stessa relazione indicava le variazioni annue di gettito di cassa calcolate, ipotizzando che il credito trovasse capienza nell’IRES e nell’IRAP dovute per l’esercizio. Il comma 1361 dell’art. 1 della legge in questione, ancora, rimandava per la copertura, anche delle riduzioni di entrata, al prospetto allegato («Prospetto di copertura»), riportante, tra le altre, le voci relative a «Sviluppo e ricerca» e «Misure per lo sviluppo».

La norma censurata, dunque, lungi dal rispondere all’esigenza di rimediare a una pregressa incostituzionalità della disciplina, risponderebbe a «mere esigenze di natura finanziaria contingente».

10.Con ordinanza iscritta al reg. ord. n. 251 del 2016, la Commissione tributaria regionale del Veneto ha sollevato questioni di legittimità costituzionale sostanzialmente identiche, per parametri e norme censurate, a quelle sollevate dalla Corte di cassazione, con la differenza che esse non sono prospettate in una relazione di subordinazione.

11.Con memoria depositata nella cancelleria di questa Corte il 2 gennaio 2017 è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, eccependo l’inammissibilità e la non fondatezza delle questioni sollevate.

11.1. Quanto alla prima, l’Avvocatura generale dello Stato afferma che l’ordinanza di rimessione sarebbe incorsa nel medesimo vizio motivazionale già censurato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 236 del 2014.

Come in quel caso, infatti, il rimettente avrebbe omesso di valutare l’impatto sul quadro normativo di riferimento dell’art. 2, comma 236, dalla legge n. 191 del 2009 e dell’art. 4, comma 1, del d.l. n. 40 del 2010.

11.2. Il Presidente del Consiglio dei ministri ha eccepito, poi, l’inammissibilità della questione sollevata in via subordinata e l’infondatezza di entrambe per le medesime ragioni già illustrate nella memoria depositata nel giudizio iscritto al reg. ord. n. 100 del 2015.

12. Si è costituita la Eurometalnova srl, ricorrente nel giudizio a quo, chiedendo in via preliminare la riunione del giudizio a quello iscritto al reg. ord. n. 100 del 2015, avendo entrambi ad oggetto le medesime questioni di costituzionalità, e nel merito aderendo alle prospettazioni del rimettente.

Con memoria depositata fuori termine la parte privata ha ribadito le argomentazioni già svolte nella memoria di costituzione.

Considerato in diritto

1.− La sesta sezione civile della Corte di cassazione ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 29, comma 1, del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185 (Misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale), convertito, con modificazioni dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, nella parte in cui, nell’introdurre un tetto massimo di stanziamento e una procedura per la selezione dei crediti d’imposta regolati dall’art. 1, commi 280-283, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007)», «non fa salvi i diritti e le aspettative sorti in relazione ad attività di ricerca e sviluppo avviate prima del 29/11/2008» (data di entrata in vigore del d.l. n. 185 del 2008).

Secondo il giudice rimettente, la norma censurata, "abolendo” i diritti di credito maturati in relazione ai costi già sostenuti e l’aspettativa dei crediti maturandi in relazione ai costi da sostenere per attività già avviate prima della sua entrata in vigore, avrebbe leso l’affidamento dei contribuenti che avevano intrapreso iniziative economiche confidando nel quadro normativo vigente.

2.− La Corte di cassazione ha poi sollevato, in via subordinata, e sempre con riferimento all’art. 3 Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 29, commi 2, lettera a), e 3, del d.l. n. 185 del 2008, nella parte in cui, anche per i crediti d’imposta relativi a costi sostenuti per attività di ricerca avviate prima del 29 novembre 2008, prevedono una procedura di ammissione al beneficio fiscale basata sul criterio cronologico di ricezione delle domande telematiche dei contribuenti.

Difatti, se, in linea generale, non sarebbe irrazionale il ricorso al criterio selettivo prior in tempore potior in iure, nel caso di specie, in cui la selezione si svolge tra una vasta platea di concorrenti e si fonda sul momento di arrivo al destinatario di atti trasmessi per via telematica, esso condurrebbe a risultati del tutto casuali e scollegati non solo dal merito delle ragioni di credito ma anche dalla solerzia nel loro esercizio, così ingenerando una disparità di trattamento tra contribuenti tutti egualmente titolari di crediti di imposta derivanti da attività già avviate alla data del 29 novembre 2008.

3.− La Commissione tributaria regionale del Veneto ha sollevato questioni di legittimità costituzionale sostanzialmente identiche, per censure e parametri, a quelle sollevate dalla Corte di cassazione, con l’unica differenza che esse non sono prospettate in una relazione di subordinazione ma cumulativamente.

4.− In considerazione della identità delle questioni proposte, i giudizi vanno riuniti per essere decisi congiuntamente.

5.− È opportuno, prima di esaminare tanto l’ammissibilità quanto il merito delle questioni sollevate, ricostruire l’articolato quadro normativo regolante i crediti d’imposta richiesti dalle contribuenti nei giudizi a quibus.

L’art. 1, comma 280, della legge n. 296 del 2006 – abrogato per il disposto dell’art. 23, comma 7, e del numero 42 dell’Allegato 1 del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83 (Misure urgenti per la crescita del Paese), convertito, con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, ma applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame – aveva attribuito alle imprese, a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2006 e fino alla chiusura del periodo d’imposta in corso alla data del 31 dicembre 2009, un credito d’imposta pari al 10 per cento dei costi sostenuti per attività di ricerca industriale e sviluppo precompetitivo, percentuale che – per come modificata dall’art. 1, comma 66, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2008)» – era pari al 40 per cento per i costi riferiti a contratti stipulati con università ed enti pubblici di ricerca.

Questi costi, ai sensi del comma 281, non potevano superare per ciascuna impresa e per ciascun periodo d’imposta l’importo di 15 milioni di euro (poi elevato a 50 dal citato art. 1, comma 66, della legge n. 244 del 2007).

Successivamente, con l’art. 29, comma 1, del d.l. n. 185 del 2008 (la prima delle disposizioni censurate), il legislatore aveva disposto l’assoggettamento di tutti i crediti di imposta vigenti alla data di entrata in vigore del medesimo d.l. − ivi compresi, quindi, quelli introdotti dalla legge n. 296 del 2006 − alla disciplina recata dal decreto-legge 8 luglio 2002, n. 138 (Interventi urgenti in materia tributaria, di privatizzazioni, di contenimento della spesa farmaceutica e per il sostegno dell’economia anche nelle aree svantaggiate), convertito, con modificazioni dalla legge 8 agosto 2002, n. 178.

Con riferimento a questi ultimi crediti d’imposta, era stato conseguentemente previsto, al secondo comma, un tetto massimo fruibile dalle imprese, mediante definizione dei relativi stanziamenti nel bilancio dello Stato (375,2 milioni di euro per l’anno 2008, 533,6 milioni di euro per l’anno 2009, 654 milioni di euro per l’anno 2010 e 65,4 milioni di euro per l’anno 2011).

Ciò aveva comportato la necessità di prevedere una procedura di selezione dei contribuenti da ammettere al beneficio fiscale in relazione (anche) alle attività di ricerca avviate prima del 29 novembre 2008.

I commi 2 e 3 dello stesso art. 29 (le altre disposizioni censurate), per quanto qui rileva, avevano stabilito che, a decorrere dall’anno 2009, per la fruizione del credito d’imposta le imprese dovevano inoltrare per via telematica all’Agenzia delle entrate un apposito formulario, valevole come «prenotazione dell’accesso», e che l’Agenzia delle entrate provvedeva ad esaminare le domande secondo l’ordine cronologico di arrivo, comunicando alle imprese medesime – per le attività già avviate prima del 29 novembre 2008 – «esclusivamente un nulla-osta ai soli fini della copertura finanziaria».

Nel quinto comma del citato art. 29, infine, si era previsto che la procedura doveva essere attivata entro 30 giorni dalla data di adozione del formulario medesimo da parte del direttore dell’Agenzia delle entrate.

Quest’ultimo, con provvedimento del 21 aprile 2009, aveva stabilito che i formulari relativi ad attività di ricerca e sviluppo già avviate alla data del 29 novembre 2008 dovevano essere presentati, a pena di decadenza dal contributo, dalle ore 10:00 del 6 maggio 2009 (cosiddetto click day) alle ore 24:00 del 5 giugno 2009.

Di fatto, la capienza degli stanziamenti si era esaurita nei primi minuti successivi all’apertura della procedura telematica e numerose imprese erano state escluse dalla fruizione del credito di imposta in relazione ad attività di ricerca avviate prima dell’entrata in vigore del d.l. n. 185 del 2008.

Per i crediti d’imposta maturati negli anni 2007, 2008 e 2009, di cui non era stata autorizzata la fruizione da parte dell’Agenzia delle entrate per esaurimento dei fondi disponibili, l’art. 2, comma 236, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2010)», aveva autorizzato un ulteriore stanziamento di 200 milioni di euro per ciascuno degli anni 2010 e 2011, la cui entità era stata successivamente ridotta di 50 milioni di euro per l’anno 2010 dall’art. 4, comma 1, del decreto-legge 25 marzo 2010, n. 40 (Disposizioni urgenti tributarie e finanziarie in materia di contrasto alle frodi fiscali internazionali e nazionali operate, tra l’altro, nella forma dei cosiddetti «caroselli» e «cartiere», di potenziamento e razionalizzazione della riscossione tributaria anche in adeguamento alla normativa comunitaria, di destinazione dei gettiti recuperati al finanziamento di un Fondo per incentivi e sostegno della domanda in particolari settori), convertito, con modificazioni dalla legge 22 maggio 2010, n. 73.

Le modalità di utilizzo di tale stanziamento erano state definite con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 4 marzo 2011 (Modalità di utilizzo dell’ulteriore stanziamento disposto dal comma 236 dell’articolo 2 della legge 23 dicembre 2009, n. 191, per le finalità di cui all’articolo 29, comma 1, del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185), che aveva autorizzato la fruizione dei crediti in questione nella misura massima del 20,37 per cento dell’importo complessivamente richiesto per gli anni 2007, 2008 e 2009 a decorrere dalla data di pubblicazione del medesimo decreto, e dell’ulteriore 27,16 per cento a decorrere dal 2011.

6.− L’Avvocatura generale dello Stato ha eccepito l’inammissibilità delle questioni sollevate dalla Commissione tributaria regionale del Veneto, poiché il rimettente avrebbe omesso di valutare l’impatto sul quadro normativo di riferimento delle disposizioni successive a quelle censurate, e in particolare dell’art. 2, comma 236, della legge n. 191 del 2009 e dell’art. 4, comma 1, del d.l. n. 40 del 2010.

6.1.− L’eccezione è fondata.

Questa Corte, con la sentenza n. 236 del 2014, ha dichiarato inammissibili identiche questioni sollevate dalla Corte di cassazione e dalla Commissione tributaria provinciale di Treviso, poiché le ordinanze di rimessione, pur citandole, non avevano preso in considerazione le disposizioni sopravvenute.

In quell’occasione si è affermato che «La nuova disciplina introduce novità non marginali nel complesso normativo in esame e quindi la prospettazione della questione di legittimità costituzionale non poteva prescindere dalla verifica del suo impatto sulle situazioni soggettive e sui valori che venivano in gioco. Ciò tanto più ove si consideri che tale disciplina è sensibilmente più favorevole al contribuente-creditore, cosicché occorreva spiegare perché la si sia ritenuta irrilevante, e quindi tale da non far venire meno il vulnus costituzionale denunciato, e ciò nonostante non meritevole di impugnazione. Anche nella prospettiva dei rimettenti, che in effetti hanno delineato in maniera completa il quadro normativo, sarebbe stato dunque necessario vagliare, e non solo citare, le norme sopravvenute».

L’ordinanza della Commissione tributaria regionale del Veneto è affetta dallo stesso vizio, sicché anche le questioni da essa sollevate devono essere dichiarate inammissibili.

7.− La Corte di cassazione ha sollevato, in via principale, questione di legittimità costituzionale dell’art. 29, comma 1, del d.l. n. 185 del 2008, per violazione del principio dell’affidamento tutelato dall’art. 3 Cost.

Secondo il rimettente, la disposizione censurata avrebbe inciso sotto due profili sulla posizione dei contribuenti che, pur avendo già avviato attività di ricerca industriale e sviluppo precompetitivo alla data di entrata in vigore della disposizione medesima, sono stati esclusi dalla fruizione del credito d’imposta: per costoro, infatti, essa avrebbe «abolito», in primo luogo, il diritto di credito già maturato in relazione ai costi già sostenuti e, in secondo luogo, l’aspettativa del credito maturando in relazione ai costi da sostenere.

Incidendo su diritti e aspettative che erano già entrati nel patrimonio dei contribuenti, l’art. 29, comma 1, del d.l. n. 185 del 2008 avrebbe violato il principio dell’affidamento del cittadino nella certezza delle situazioni giuridiche.

Aggiunge la Corte di cassazione che il vulnus al principio costituzionale dell’affidamento non potrebbe essere escluso alla luce della normativa sopravvenuta alle disposizioni censurate, normativa che − con riferimento ai crediti per attività di ricerca avviate prima del 29 novembre 2008 e rimasti priva di copertura finanziaria − ha previsto ulteriori stanziamenti fino a coprire il 47,53 per cento del loro ammontare.

Le norme in questione si sarebbero limitate a trasformare la "ablazione” del credito in «falcidia», ma la violazione sussisterebbe per il solo fatto che un credito già entrato nel patrimonio del contribuente sia stato significativamente pregiudicato per effetto di una disposizione retroattiva.

8.− La questione non è fondata.

9.− Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, «il valore del legittimo affidamento, il quale trova copertura costituzionale nell’art. 3 Cost., non esclude che il legislatore possa assumere disposizioni che modifichino in senso sfavorevole agli interessati la disciplina di rapporti giuridici "anche se l’oggetto di questi sia costituito da diritti soggettivi perfetti”, ma esige che ciò avvenga alla condizione "che tali disposizioni non trasmodino in un regolamento irrazionale, frustrando, con riguardo a situazioni sostanziali fondate sulle leggi precedenti, l’affidamento dei cittadini nella sicurezza giuridica (sentenze n. 56 del 2015, n. 302 del 2010, n. 236 e n. 206 del 2009). Solo in presenza di posizioni giuridiche non adeguatamente consolidate, dunque, ovvero in seguito alla sopravvenienza di interessi pubblici che esigano interventi normativi diretti a incidere peggiorativamente su di esse, ma sempre nei limiti della proporzionalità dell’incisione rispetto agli obiettivi di interesse pubblico perseguiti, è consentito alla legge di intervenire in senso sfavorevole su assetti regolatori precedentemente definiti (ex plurimis, sentenza n. 56 del 2015)» (sentenza n. 216 del 2015; si vedano anche, tra le tante, le sentenze n. 160 e n. 103 del 2013, n. 416 del 1999).

L’intervento retroattivo del legislatore, dunque, può incidere sull’affidamento dei cittadini a condizione che: 1) trovi giustificazione in «principi, diritti e beni di rilievo costituzionale” (ex multis, sentenza n. 308 del 2013), e dunque abbia una "causa normativa adeguata» (sentenze n. 203 del 2016, n. 34 del 2015 e n. 92 del 2013), quale un interesse pubblico sopravvenuto (sentenze n. 16 del 2017, n. 216 e n. 56 del 2015) o una «inderogabile esigenza» (sentenza n. 349 del 1985); 2) sia comunque rispettoso del principio di ragionevolezza (fra le tante, sentenza n. 16 del 2017) inteso, anche, come proporzionalità (sentenze n. 203 e n. 108 del 2016; n. 216 e n. 56 del 2015).

In altri termini, il principio dell’affidamento è sottoposto al normale bilanciamento proprio di tutti i diritti e valori costituzionali (sentenze n. 16 del 2017, n. 203 del 2016, n. 264 del 2012).

10.− Nel caso di specie, per valutare l’esistenza di una causa normativa adeguata, è opportuno prendere le mosse dall’osservazione dell’Avvocatura generale dello Stato, secondo cui la disposizione censurata sarebbe stata introdotta per eliminare un’anomalia genetica della legge n. 296 del 2006, la quale sarebbe stata priva di copertura finanziaria e non avrebbe previsto alcun tetto massimo di stanziamento: l’intervento retroattivo del legislatore, quindi, risponderebbe, in primo luogo, all’esigenza di porre rimedio a un vulnus arrecato all’art. 81 Cost.

11.− In realtà, come eccepito dalle parti private intervenienti, l’art. 1, commi  da 280 a 283, della legge n. 296 del 2006, nel prevedere i crediti d’imposta per le attività di ricerca svolte negli anni dal 2007 al 2009, recava una copertura finanziaria.

Il comma 1361 dell’art. 1 della legge in questione, infatti, rimandava per la copertura, anche delle riduzioni di entrata, al prospetto allegato («Prospetto di copertura»), riportante, tra le altre, le voci (e gli importi) relativi a «Sviluppo e ricerca» e «Misure per lo sviluppo» (pagina 269).

La relazione tecnica sulla finanziaria 2007 aveva, poi, quantificato l’impatto del credito d’imposta (pari a circa 2.008.000 euro per gli anni dal 2007 al 2010), ipotizzando che la conseguente riduzione di gettito fiscale trovasse capienza, quanto all’anno in corso, nell’IRES e nell’IRAP dovute per l’esercizio (pagine 68 e 69).

È vero, tuttavia, che la disciplina originaria non prevedeva un tetto massimo, che è stato appunto introdotto dalla disposizione censurata.

Essa ha esteso a tutti i «crediti d’imposta vigenti alla data di entrata in vigore del presente decreto», compresi quelli per attività di ricerca, la disciplina sul monitoraggio prevista dall’art. 5, commi 1 e 2, del d.l. 138 del 2002, alla cui stregua il riconoscimento dei crediti d’imposta è condizionato al non esaurimento dei relativi «stanziamenti di bilancio, delle autorizzazioni di spesa, ovvero delle previsioni di minori entrate» (così il citato art. 5, comma 1), e ciò al fine di garantire la parità di trattamento tra i soggetti titolari dei medesimi e l’effettivo rispetto del principio costituzionale di copertura della spesa.

Tale ultima esigenza, del resto, era già codificata, per le spese, dall’art. 11-ter, comma 1, della legge 5 agosto 1978, n. 468 (Riforma di alcune norme di contabilità generale dello Stato in materia di bilancio), il cui contenuto precettivo è stato poi ribadito dall’art. 17, comma 1, della legge 31 dicembre 2009, n. 196 (Legge di contabilità e finanza pubblica).

11.1.− L’introduzione di un tetto massimo di stanziamento ha comportato la necessità di prevedere una procedura di selezione (anche) dei contribuenti da ammettere al beneficio fiscale in relazione alle attività di ricerca avviate prima del 29 novembre 2008.

All’esito di tale selezione, disciplinata dai commi 2 e 3 dello stesso art. 29 (sui cui si tornerà in seguito), alcuni di questi contribuenti (cosiddetti "perdenti”) si sono visti negare il riconoscimento dei loro diritti di credito, nonostante il legislatore con il d.l. n. 185 del 2008 avesse previsto, per gli anni dal 2008 al 2011, stanziamenti complessivamente superiori a quelli originariamente previsti dalla legge n. 296 del 2006.

Il legislatore, tuttavia, è nuovamente intervenuto con la legge n. 191 del 2009, prevedendo per i soli "perdenti” un ulteriore finanziamento di 400 milioni, poi ridotti a 350 dal d.l. n. 40 del 2010.

12.− Nell’indicata prospettiva di valutare l’adeguatezza dell’intervento normativo censurato è poi di fondamentale importanza il rilievo che esso è stato effettuato con il «decreto anticrisi», intitolato «Misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale», volto a «fronteggiare l’eccezionale situazione di crisi internazionale» e «potenziare le misure fiscali e finanziarie occorrenti per garantire il rispetto degli obiettivi fissati dal programma di stabilità e crescita approvato in sede europea» (così il preambolo al d.l. n. 185 del 2008).

Il decreto rappresenta il primo tentativo legislativo di fare fronte alla crisi economica internazionale del 2008 che contagiò l’Italia. Esso prevedeva un pacchetto di misure di assistenza alle famiglie e ai lavoratori, volto, nelle intenzioni del Governo, anche al rilancio dell’economia.

La manovra era stata concepita a saldi nulli (art. 35), sicché, per fronteggiare le maggiori uscite, il decreto prevedeva nuove entrate e riduzioni di spesa. Il comma successivo a quello censurato dal rimettente, pur disponendo, in relazione ai crediti in parola, coperture nel tempo complessivamente superiori rispetto a quelle previste dal legislatore del 2006, stanziava minori somme per il biennio 2008 e 2009 e creava quindi, per tale periodo, disponibilità finanziarie per fronteggiare il contagio della crisi economica internazionale e redistribuire risorse secondo un preciso disegno perequativo.

12.1.− In questo quadro, si deve dunque ritenere che la disposizione censurata abbia una «"causa” normativa adeguata» (sentenze n. 203 del 2016, n. 34 del 2015 e n. 92 del 2013), perché trova giustificazione nei «principi, diritti e beni di rilievo costituzionale» (sentenze n. 308, n. 170 e n. 103 del 2013, n. 264 e n. 78 del 2012) tutelati dagli artt. 2, 3 e 81 Cost.

12.2.− Essa poi, sempre alla luce delle sue finalità e del contesto economico che ne ha visto la genesi, non viola i princìpi di ragionevolezza e proporzionalità.

Difatti, a seguito dei successivi interventi normativi, la posizione dei titolari di crediti "perdenti” non è stata incisa in maniera assoluta, poiché gli ulteriori stanziamenti previsti per costoro hanno permesso la copertura di circa metà (47,53 per cento) dei loro crediti.

Inoltre, per quanto la riduzione sia consistente, va ricordato che i crediti d’imposta originariamente riconosciuti andavano a coprire il 10 per cento dei costi delle attività di ricerca (il 40 per cento nel caso di contratti stipulati con università ed enti pubblici di ricerca), cosicché l’ablazione retroattiva nei confronti dei soggetti non ammessi al beneficio fiscale è stata del solo 5 per cento circa dei costi sostenuti (20 per cento per le attività convenzionate con università ed enti pubblici): il venir meno di tale posta non può, dunque, aver avuto una incidenza decisiva sul complessivo andamento economico delle imprese.

Non è irrilevante, infine, che il diritto in questione abbia ad oggetto il riconoscimento di un beneficio e non sia espressione di una pretesa fondata su un rapporto convenzionale; beneficio, per di più, di natura fiscale, e quindi maturato in un ambito in cui il tasso di politicità delle scelte legislative è massimo, come riconosciuto dalla stessa giurisprudenza della Corte EDU (sentenze 31 marzo 2009, Faccio contro Italia; 12 luglio 2001, Ferrazzini contro Italia, paragrafo 29).

13.− La Corte di cassazione ha poi sollevato, in via subordinata, questione di legittimità costituzionale dell’art. 29, commi 2, lettera a), e 3, del d.l. n. 185 del 2008 per violazione dell’art. 3 Cost.

Il rimettente censura queste disposizioni nella parte in cui, anche per i crediti d’imposta relativi ad attività di ricerca avviate prima del 29 novembre 2008, prevedono una procedura di ammissione al beneficio basata sul criterio cronologico di ricezione delle domande telematiche dei contribuenti.

Secondo la Corte di cassazione, se, in linea generale, non può ritenersi irrazionale il criterio selettivo prior in tempore potior in iure, nel caso di specie, in cui la selezione si svolge tra una platea vastissima di concorrenti e si fonda sul momento di arrivo al destinatario di atti trasmessi per via telematica, tale criterio condurrebbe a risultati completamente scollegati non solo dal merito delle ragioni di credito ma anche dalla solerzia nel loro esercizio.

La risultante di fattori quali la sproporzione tra risorse disponibili e domande, l’elevato numero dei concorrenti e la velocità dei meccanismi di trasmissione informatica determinerebbe, infatti, una selezione sostanzialmente casuale che si esaurisce in un tempo brevissimo e produce risultati dipendenti prevalentemente «dalla potenza e sofisticatezza delle apparecchiature informatiche, di cui dispongono i singoli contribuenti o i professionisti che li assistono».

Ciò comporterebbe una irragionevole disparità di trattamento tra contribuenti tutti egualmente titolari di crediti di imposta. Non a caso questo tipo di procedura sarebbe stato abbandonato in sede di definizione delle modalità di distribuzione del rifinanziamento disposto dalla legge n. 191 del 2009, per le quali il d.m. 4 marzo 2011 avrebbe fatto ricorso, più ragionevolmente, a un criterio concorsuale, assegnando a ciascun contribuente una percentuale del credito.

14.− L’Avvocatura generale dello Stato ha eccepito l’inammissibilità della questione, osservando che la censura, pur essendo rivolta alle disposizioni di legge che hanno previsto la procedura telematica, in realtà si appunterebbe sulle modalità esecutive previste a valle dal decreto del direttore dell’Agenzia delle entrate del 24 marzo 2009, sicché le pretese dei contribuenti andrebbero fatte valere non in questa sede, bensì davanti al giudice amministrativo.

14.1.− L’eccezione non è fondata.

Oggetto della censura del rimettente sono proprio le norme legislative che hanno disciplinato la procedura, la quale «si compendia nell’inoltro per via telematica all’Agenzia delle entrate di un formulario valevole come prenotazione e nell’acquisizione ed evasione, da parte della predetta Agenzia, dei formulari alla stessa pervenuti, secondo l’ordine cronologico di arrivo».

La rilevanza, dunque, sussiste perché, in caso di declaratoria di illegittimità costituzionale delle disposizioni censurate, verrebbe travolto l’intero meccanismo che ha condotto al diniego del nulla-osta.

15.− Quest’ultima considerazione comporta anche la non fondatezza della seconda eccezione d’inammissibilità sollevata dall’Avvocatura generale dello Stato per difetto di motivazione sulla rilevanza, e incentrata sull’omessa indicazione nell’ordinanza di rimessione del momento in cui la contribuente avrebbe presentato la sua istanza telematica: il travolgimento dell’intera procedura, come conseguenza diretta dell’eventuale pronuncia di incostituzionalità, rende irrilevante il momento di inoltro della richiesta da parte della contribuente.

16.− La questione è tuttavia inammissibile sotto altro profilo.

Un eventuale accoglimento, infatti, determinerebbe un assetto normativo caratterizzato da iniquità e irragionevolezza, poiché coloro che sono risultati vincitori nella procedura telematica, non solo perderebbero il beneficio ottenuto, ma non potrebbero neanche concorrere alla distribuzione del successivo finanziamento previsto dall’art. 2, comma 236, della legge n. 191 del 2009, finanziamento che è riservato ai "perdenti”.

Né a tale irrazionalità si potrebbe ovviare con un intervento di questa Corte, che, attesa la pluralità delle soluzioni ipotizzabili, nessuna delle quali costituzionalmente obbligata (tra le tante, sentenze n. 223 del 2015 e n. 81 del 2014), finirebbe con il sovrapporre la propria valutazione discrezionale a quella del legislatore (tra le tante, ordinanza n. 46 del 2016).

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

1) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 29, commi 1, 2, lettera a), e 3, del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185 (Misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 28 gennaio 2009, n. 2, sollevate, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dalla Commissione tributaria regionale del Veneto, con l’ordinanza indicata in epigrafe;

2) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 29, commi 2, lettera a), e 3, del d.l. n. 185 del 2008, sollevata, in riferimento all’art. 3 Cost., dalla Corte di cassazione, sezione sesta civile, con l’ordinanza indicata in epigrafe;

3) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 29, comma 1, del d.l. n. 185 del 2008, sollevata, in riferimento all’art. 3 Cost., dalla Corte di cassazione, sezione sesta civile, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 aprile 2017.

F.to:

Paolo GROSSI, Presidente

Giancarlo CORAGGIO, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 27 giugno 2017.