Sentenza n. 140 del 2017

SENTENZA N. 140

ANNO 2017

 

Commento alla decisione di

Roberto Di Maria

La Regione siciliana davanti alla Corte:

lo scrutinio “sistematico” di legittimità costituzionale e la “arte” di ricorrere e resistere in giudizio

(brevi note a Corte cost., sentt. n. 133 e n. 140/2017)

 

in questa Rivista, Studi 2017/II

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Paolo                             GROSSI                                             Presidente

-           Giorgio                          LATTANZI                                          Giudice

-           Aldo                              CAROSI                                                      ”

-           Marta                            CARTABIA                                                ”

-           Mario Rosario               MORELLI                                                   ”

-           Giancarlo                      CORAGGIO                                               ”

-           Giuliano                        AMATO                                                      ”

-           Silvana                          SCIARRA                                                   ”

-           Daria                             de PRETIS                                                  ”

-           Nicolò                           ZANON                                                      ”

-           Franco                           MODUGNO                                               ”

-           Augusto Antonio          BARBERA                                                 ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 61, 65, 66, 67, 68, 69 e 638, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)», promosso dalla Regione siciliana con ricorso notificato il 29 febbraio 2016, depositato in cancelleria l’8 marzo 2016 ed iscritto al n. 15 del registro ricorsi 2016.

 

Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

udito nell’udienza pubblica del 10 maggio 2017 il Giudice relatore Aldo Carosi;

 

uditi l’avvocato Beatrice Fiandaca per la Regione siciliana e l’avvocato dello Stato Andrea Fedeli per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1.– La Regione siciliana, con ricorso iscritto al n. 15 del registro ricorsi 2016, ha impugnato, tra gli altri, l’art. 1, commi 61, 65, 66, 67, 68, 69, anche in combinato disposto con il comma 638, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)», per violazione degli artt. 36 e 37 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana), in relazione all’art. 2 del decreto del Presidente della Repubblica 26 luglio 1965, n. 1074 (Norme di attuazione dello Statuto della Regione siciliana in materia finanziaria), nonché del principio di leale collaborazione.

 

1.1.– Premette la ricorrente che la legge di stabilità del 2016 imporrebbe alla Regione siciliana ulteriori sacrifici che andrebbero a sommarsi alle precedenti riduzioni di risorse subite dalla Regione negli ultimi anni. La somma di tali riduzioni avrebbe superato, secondo la Regione siciliana, la soglia di legittimità stabilita da questa Corte, in quanto le suddette manovre avrebbero reso impossibile lo svolgimento delle funzioni regionali.

 

Evidenzia, inoltre, che la giurisprudenza costituzionale ha più volte ammesso che la legge dello Stato può, nell’ambito di manovre di finanza pubblica, anche determinare riduzioni nella disponibilità finanziaria delle Regioni, purché non sia alterato il rapporto tra i complessivi bisogni regionali ed i mezzi finanziari per farvi fronte (sentenze n. 307 del 1983, n. 123 del 1992, n. 370 del 1993 e n. 138 del 1999).

 

Rammenta che al bilancio regionale affluisce solo una ridotta parte del gettito tributario riscosso in Sicilia, come si evincerebbe dai dati richiamati dalla Corte dei conti in sede di parifica del rendiconto per l’esercizio finanziario 2014 (3 luglio 2015 – sezioni riunite in sede di controllo per la Regione siciliana – delibera n. 2/2015/PARI), secondo la quale «Nel corso del 2014, la Struttura di gestione dell’Agenzia delle entrate ha “trattenuto” le entrate riscosse nella Regione per complessivi 585,5 milioni di euro, riversandole direttamente al bilancio dello Stato a titolo di accantonamenti tributari e, per di più, in assenza di qualsiasi comunicazione formale alla Regione. Quest’ultima, in tal modo, non ha potuto “accertare” la medesima somma in entrata e, conseguentemente in uscita a titolo di concorso alla finanza pubblica atteso che, nell’ordinamento contabile della Regione, le entrate erariali sono accertate all’atto del versamento». Le sezioni riunite della Corte dei conti siciliana avrebbero pertanto evidenziato «come l’operato degli anzidetti Uffici statali, che hanno posto in essere una sostanziale “compensazione per cassa”, abbia realizzato una procedura unilaterale e poco trasparente, che non consente un corretto riscontro al livello di banca dati SIOPE e che mal si concilia con il principio di “leale collaborazione” che deve presidiare i rapporti istituzionali tra Stato e Regione».

 

Tale prassi avrebbe prodotto un duplice ordine di criticità: «da una parte non ha consentito alla Regione di operare in termini di corretta contabilizzazione delle entrate, di talché risulta fuorviante e di difficile comprensione, attraverso il rendiconto, non solo la modalità con la quale la Regione ha contribuito al risanamento della finanza pubblica, ma anche l’analisi della “serie storica” degli accertamenti, ai fini di un confronto omogeneo con i dati degli esercizi precedenti; dall’altra, si è generato un disallineamento tra le scritture contabili dello Stato e quelle della Regione, atteso che la quietanza in entrata al bilancio dello Stato del 31 dicembre 2014, è stata successivamente rettificata in diminuzione per l’importo di 585,5 milioni, già trattenuto alla Regione, con effetti sul consuntivo 2014 dello Stato, mentre, nel rendiconto della Regione, le medesime entrate, restituite nel primo trimestre 2015, sono state necessariamente contabilizzate in conto competenza 2015, non potendo incidere in diminuzione del disavanzo di fine esercizio». Dal testo della relazione di parifica del 2015 risulterebbe quindi con tutta evidenza il peso gravoso che la Regione sarebbe costretta annualmente a sostenere per effetto delle varie disposizioni che nel tempo si sono succedute, a partire dalla legge di stabilità 2012, e che le impongono oneri sempre più gravosi a vario titolo.

 

1.2.– Sulla scorta di tali premesse la Regione siciliana impugna l’art. 1, comma 61, della legge n. 208 del 2015, per violazione degli artt. 36 e 37 dello statuto, nonché dell’art. 2 delle relative norme di attuazione in materia finanziaria, oltreché del principio di leale collaborazione.

 

Espone la ricorrente che la norma dispone la riduzione dell’aliquota dell’imposta regionale sulle attività produttive (IRES) a decorrere dal 2017 (dal 27,5 per cento al 24 per cento) e produce un minor gettito stimato pari a 3.970 milioni di euro l’anno, solo parzialmente compensato da un recupero dell’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) (comprensivo di addizionali) pari a 114 milioni di euro in ragione d’anno, dovuto alla maggiore imponibilità di dividendi e plusvalenze da partecipazioni qualificate.

 

La somma dei due effetti finanziari determinerebbe quindi, a regime, una minore entrata per l’erario, pari a 3.856 milioni di euro l’anno.

 

Al riguardo, osserva la Regione che, considerato che la norma impugnata si applica anche all’IRES riscossa in Sicilia, la disposta riduzione dell’aliquota violerebbe l’assetto finanziario stabilito dagli artt. 36 e 37 dello statuto, in base ai quali spettano alla Regione siciliana, oltre alle entrate tributarie da essa direttamente deliberate, tutte le entrate tributarie erariali riscosse nell’ambito del suo territorio, dirette o indirette, comunque denominate, ad eccezione di quelle espressamente riservate allo Stato e di quelle che rispondano ai requisiti di cui all’art. 2 delle norme di attuazione in materia finanziaria, per darsi luogo alla prevista deroga.

 

Né, secondo la ricorrente, sarebbe presente una clausola di salvaguardia che preveda l’inapplicabilità delle disposizioni in esame alle Regioni ad autonomia speciale, ove siano in contrasto con gli statuti e le relative norme di attuazione.

 

Osserva, inoltre, la ricorrente che tale riduzione sarebbe stata unilateralmente disposta in assenza di ogni intesa con lo Stato e non sarebbe stata prevista alcuna misura compensativa idonea a bilanciare la disposta riduzione.

 

1.3.– La Regione siciliana impugna inoltre l’art. 1, commi da 65 a 69, della legge di stabilità 2016 «anche in combinato disposto con il comma 638», per violazione degli artt. 36 e 37 dello statuto, nonché dell’art. 2 delle norme di attuazione, oltre che del principio di leale collaborazione.

 

Espone la ricorrente che le disposizioni in rubrica introducono una addizionale IRES del 3,5 per cento per gli enti creditizi e finanziari.

 

In particolare, il comma 65 stabilisce che detta addizionale opera per «gli enti creditizi e finanziari di cui al decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 87, e per la Banca d’Italia».

 

Il comma 66 chiarisce le modalità di applicazione dell’addizionale per i soggetti che hanno optato per la tassazione di gruppo ovvero per il regime della trasparenza.

 

Il comma 67, poi, modificando l’art. 96, comma 5-bis, del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, recante «Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi» (TUIR), rende deducibili dall’IRES gli interessi passivi sostenuti dalle imprese di assicurazione e dalle società capogruppo di gruppi assicurativi.

 

Il comma 68 ne dispone la deducibilità anche a fini dell’imposta regionale sulle attività produttive (IRAP).

 

Il comma 69 dispone l’applicazione delle norme introdotte a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2016.

 

Sostiene inoltre la ricorrente che il maggior gettito derivante dalle norme introdotte sarebbe destinato ad incrementare il rifinanziamento, previsto al comma 638, del Fondo per interventi strutturali di politica economica (FISPE), istituito dall’art. 10, comma 5, del decreto-legge 29 novembre 2004, n. 282 (Disposizioni urgenti in materia fiscale e di finanza pubblica), convertito, con modificazioni, dalla legge 27 dicembre 2004, n. 307.

 

La destinazione di tale maggior gettito tributario al FISPE risulterebbe dalla relazione tecnica al Senato – Atti Senato 2111-B – allegata alla legge n. 208 del 2015.

 

Rammenta al riguardo la Regione siciliana, che questa Corte ha più volte precisato che «L’evocato art. 36, primo comma, dello statuto, in combinato disposto con l’art. 2, primo comma, del d.P.R. n. 1074 del 1965, indica le seguenti tre condizioni per l’eccezionale riserva allo Stato del gettito delle entrate erariali: a) la natura tributaria dell’entrata; b) la novità di tale entrata; c) la destinazione del gettito “con apposite leggi alla copertura di oneri diretti a soddisfare particolari finalità contingenti o continuative dello Stato specificate nelle leggi medesime”» (sono citate le sentenze n. 273 del 2015, n. 176 del 2015, n. 145 del 2014 e n. 241 del 2012).

 

Obietta la ricorrente che, pur non essendo contestabile né la natura tributaria né la novità dell’entrata in questione, sarebbe invece carente il requisito della specificità della destinazione che «non si riscontra […] per finalità contingenti o continuative dello Stato» e che non sarebbe integrato dalla sola destinazione del maggior gettito al FISPE (è richiamata la sentenza n. 246 del 2015).

 

Inoltre, prosegue la Regione, l’art. 1, comma 67, laddove prevede l’integrale deducibilità dall’IRES degli interessi passivi in favore dei soggetti destinatari della maggiorazione IRES, inciderebbe ulteriormente sul bilancio regionale in quanto verrebbe a sottrarre gettito tributario alla Regione, in assenza dei presupposti previsti dalle norme in rubrica. Anche tale riduzione sarebbe stata unilateralmente disposta in assenza di ogni intesa con lo Stato e non sarebbe stata prevista alcuna misura compensativa idonea a bilanciare la disposta riduzione del gettito in favore della ricorrente.

 

2.– Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, deducendo l’inammissibilità e comunque l’infondatezza del ricorso.

 

Ad avviso del resistente la reiterata doglianza svolta dalla Regione in ordine al grave vulnus arrecato all’esercizio delle proprie funzioni a seguito della carenza di risorse finanziarie derivante dalla norme impugnate dovrebbe ritenersi inammissibile, in quanto la ricorrente non avrebbe assolto l’onere probatorio concernente la dimostrazione dell’effettiva incidenza negativa delle norme in questione – che peraltro trovano applicazione dal 2017 – bensì si sarebbe limitata ad allegarla apoditticamente alla stregua di un fatto notorio.

 

Rammenta la difesa statale che, come spesso ribadito da questa Corte (di recente dalla sentenza n. 26 del 2014), a seguito di manovre di finanza pubblica, ben possono anche «determinarsi riduzioni nella disponibilità finanziaria delle Regioni, purché esse non siano tali da comportare uno squilibrio incompatibile con le complessive esigenze di spesa regionale e, in definitiva, rendano insufficienti i mezzi finanziari dei quali la Regione stessa dispone per l’adempimento dei propri compiti (sentenze n. 97 del 2013, n. 241 del 2012, n. 298 del 2009 e n. 256 del 2007)».

 

2.1.– Nel merito, il Presidente del Consiglio ritiene comunque che tutte le censure proposte dalla Regione Siciliana siano palesemente infondate.

 

Con riferimento all'impugnazione dell’art. 1, comma 61, della legge 208 del 2015 lo Stato, nell’esercizio delle proprie facoltà, avrebbe legittimamente e correttamente operato su tributi che appartengono alla propria competenza esclusiva, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., e che consentirebbe al legislatore statale di variarne la disciplina incidendo sulle aliquote, e persino di sopprimerli (è richiamata la sentenza n. 97 del 2013).

 

Quindi, nella modulazione del prelievo fiscale non potrebbe ritenersi che ogni intervento su un tributo che, in ragione di siffatta modificazione, comporti un minor gettito per le Regioni, debba «essere accompagnato da misure compensative per la finanza regionale, la quale – diversamente – verrebbe ad essere depauperata» (sentenza n. 431 del 2004). Ciò in quanto, come ribadito dalla Corte nella citata sentenza n. 26 del 2014, deve escludersi «da un lato, che possa essere effettuata una atomistica considerazione di isolate disposizioni incidenti sul tributo, senza valutare nel suo complesso la manovra fiscale entro la quale esse trovano collocazione, ben potendosi verificare che, per effetto di plurime disposizioni contenute nella stessa legge oggetto di impugnazione principale, o in altre leggi dirette a governare la medesima manovra finanziaria, il gettito complessivo destinato alla finanza regionale non subisca riduzioni (sentenze n. 298 del 2009, n. 155 del 2006 e n. 431 del 2004)»; e, dall’altro lato, che dalla previsione statutaria «sia desumibile un principio di invarianza del gettito per la Regione in caso di modifica di tributi erariali, che si traduca in una rigida garanzia “quantitativa” di disponibilità di entrate tributarie non inferiori a quelle ottenute in passato (sentenza n. 241 del 2012)».

 

Identiche considerazioni, secondo la difesa statale, dovrebbero valere anche con riferimento alle eccezioni sollevate dalla ricorrente avverso la disposizione del comma 67 dell’art. 1 della legge n. 208 del 2015, il quale dispone che gli interessi passivi sostenuti dalle imprese di assicurazione e dalle società capogruppo di gruppi assicurativi sono deducibili nei limiti del 96 per cento del loro ammontare.

 

Relativamente all’impugnazione dell’art. 1, commi 65, 66, 68 e 69 della legge n. 208 del 2015, il Presidente del Consiglio dei ministri evidenzia che né le disposizioni impugnate, né le altre norme della legge di stabilità per il 2016, stabilirebbero la destinazione al FISPE delle maggiori entrate derivanti dalle norme censurate, per cui dovrebbe escludersi che si tratti di una riserva statale, in quanto non vi sarebbe, in sostanza, alcun dato testuale che possa suffragare le lamentate lesioni alle prerogative regionali.

 

Infine, secondo la difesa statale, parimenti infondato sarebbe il correlato profilo di doglianza riguardante la dedotta violazione della norma in ragione del mancato raggiungimento di un’intesa con lo Stato. Rammenta, al riguardo, che questa Corte avrebbe ripetutamente e costantemente escluso (da ultimo con la citata sentenza n. 26 del 2014) che le procedure collaborative fra Stato e Regioni (salvo che l’osservanza delle stesse sia imposta direttamente o indirettamente da norme costituzionali) trovino applicazione nell’attività legislativa esclusiva dello Stato, per la quale non vi è concorso di competenze diversamente allocate, né ricorrono i presupposti per la chiamata in sussidiarietà (sono richiamate le sentenze n. 121 e n. 8 del 2013 e n. 207 del 2011).

 

2.2.– Con successiva memoria, presentata in vista dell’udienza pubblica, il Presidente del Consiglio ha rammentato che questa Corte, anche con la recente sentenza n. 280 del 2016, ha ulteriormente confermato il proprio costante orientamento in ragione del quale, dalla prevista spettanza alla Regione di quote fisse di entrate tributarie erariali riscosse nel territorio della stessa, non sarebbe desumibile un principio di invarianza del gettito per la Regione medesima in caso di modifica di tributi erariali, che si traduca in una rigida garanzia quantitativa di disponibilità di entrate tributarie non inferiori a quelle ottenute in passato.

 

Relativamente all’impugnazione dell’art. 1, commi 65, 66, 68 e 69, della legge n. 208 del 2015, evidenzia ulteriormente che né le disposizioni impugnate, né le altre norme della legge di stabilità per il 2016, stabiliscono la destinazione delle maggiori entrate al FISPE, dovendosi quindi escludere che si tratti di una riserva statale.

 

Considerato in diritto

 

1.– Con il ricorso indicato in epigrafe la Regione siciliana ha impugnato, tra gli altri, l’art. 1, commi 61, 65, 66, 67, 68 e 69, «anche in combinato disposto con il comma 638», della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)», in riferimento agli artt. 36 e 37 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana), in relazione all’art. 2 del decreto del Presidente della Repubblica 26 luglio 1965, n. 1074 (Norme di attuazione dello Statuto della Regione siciliana in materia finanziaria), nonché al principio di leale collaborazione.

 

1.1.– Va riservata a separate pronunce la decisione delle questioni vertenti sulle altre disposizioni contenute nella legge n. 208 del 2015 impugnate dalla Regione siciliana con il medesimo ricorso.

 

1.2.– L’art. 1, comma 61, della legge n. 208 del 2015 dispone una riduzione dell’aliquota dell’imposta regionale sulle attività produttive (IRES) dal 27,5 per cento al 24 per cento, a decorrere dal 1º gennaio 2017, con effetto per i periodi d’imposta successivi a quello in corso al 31 dicembre 2016; l’art. 1, comma 67, della medesima legge modifica l’art. 96, comma 5-bis, del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, recante «Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi» (TUIR), disponendo la deducibilità dall’IRES degli interessi passivi sostenuti dalle imprese di assicurazione e dalle società capogruppo di gruppi assicurativi.

 

Successivamente alla proposizione del ricorso, l’art. 1, comma 49, lettera b), della legge 11 dicembre 2016, n. 232, recante «Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2017 e bilancio pluriennale per il triennio 2017-2019», ha esteso la predetta deducibilità anche alle «società di gestione dei fondi comuni d’investimento di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, ai sensi degli articoli 8 e 21 della legge 6 febbraio 1996, n. 52)».

 

1.3.– Secondo la Regione siciliana tali disposizioni, non previamente concertate con la medesima, produrrebbero delle riduzioni di entrata destinate a ripercuotersi negativamente anche sul bilancio della ricorrente, in ragione della sua compartecipazione al gettito dei tributi erariali, prevista dagli artt. 36 e 37 dello statuto di autonomia e dall’art. 2 delle relative disposizioni di attuazione in materia finanziaria, considerato anche che lo Stato non avrebbe al contempo previsto adeguate misure compensative in favore della Regione.

 

La ricorrente evidenzia che tali previsioni andrebbero a sommare i propri effetti negativi a quelli recati da altre precedenti riduzioni di risorse subite dalla Regione negli ultimi anni, rendendo impossibile lo svolgimento delle funzioni ad essa affidate. A riprova di ciò richiama alcuni dati esposti dalla Corte dei conti, sezioni riunite in sede di controllo per la Regione siciliana, in sede di giudizio di parifica del rendiconto per l’esercizio finanziario 2014, laddove si darebbe conto del fatto che lo Stato trattiene a titolo di accantonamenti parte delle entrate di competenza della Regione medesima.

 

La Regione siciliana impugna altresì l’art. 1, commi da 65 a 69, della legge n. 208 del 2015. Tali disposizioni introducono un’addizionale all’IRES del 3,5 per cento per gli enti creditizi e finanziari di cui al decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 87 (Attuazione della direttiva n. 86/635/CEE, relativa ai conti annuali ed ai conti consolidati delle banche e degli altri istituti finanziari, e della direttiva n. 89/117/CEE, relativa agli obblighi in materia di pubblicità dei documenti contabili delle succursali, stabilite in uno Stato membro, di enti creditizi ed istituti finanziari con sede sociale fuori di tale Stato membro) e per la Banca d’Italia, dettandone la disciplina specifica.

 

Successivamente alla proposizione del ricorso, l’art. 1, comma 49, lettera a), della legge n. 232 del 2016, ha escluso dall’applicabilità della predetta addizionale all’IRES le «[…] società di gestione dei fondi comuni d’investimento di cui al d.lgs. n. 58 del 1998».

 

La ricorrente sostiene che – come sarebbe riscontrabile anche dal successivo art. 1, comma 638, della medesima legge n. 208 del 2015 – tale maggior gettito sarebbe stato riservato allo Stato in quanto destinato ad incrementare il finanziamento del Fondo per interventi strutturali di politica economica (FISPE), istituito dall’art. 10, comma 5, del decreto-legge 29 novembre 2004, n. 282 (Disposizioni urgenti in materia fiscale e di finanza pubblica), convertito, con modificazioni, dalla legge 27 dicembre 2004, n. 307.

 

Al riguardo, la ricorrente deduce l’illegittimità di detta riserva, in quanto difetterebbe la previsione di una specifica destinazione con apposita legge del maggior gettito «[...] alla copertura di oneri diretti a soddisfare particolari finalità contingenti o continuative dello Stato specificate nelle leggi medesime», secondo quanto disposto dall’art. 2 del d.P.R. n. 1074 del 1965.

 

2.– Le modifiche recate, successivamente alla proposizione del ricorso, dall’art. 1, comma 49, lett. a) e b), della l. n. 232 del 2016, ai commi 65 e 67 della l. n. 208 del 2015, variando unicamente la platea dei destinatari delle misure fiscali, hanno contenuto marginale, non alterano il portato precettivo rilevante ai fini del decidere, lasciano immutato il loro orientamento in senso non satisfattivo alle richieste della ricorrente e quindi consentono il trasferimento delle questioni sul nuovo testo delle disposizioni impugnate.

 

2.1.– Deve essere preliminarmente disattesa l’eccezione del Presidente del Consiglio dei ministri in ordine all’ammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale proposte dalla Regione siciliana nei confronti dell’art. 1, commi 61 e 67, della legge n. 208 del 2015, in riferimento agli artt. 36 e 37 dello statuto di autonomia, nonché all’art. 2 del d.P.R. n. 1074 del 1965. Secondo il resistente, sussisterebbe carenza di interesse della ricorrente ad ottenere la caducazione di tali disposizioni. Al contrario, non v’è dubbio, sul piano astratto, che le disposizioni impugnate possano produrre, seppur con decorrenza dall’anno 2017, una complessiva riduzione del gettito di determinati tributi erariali e ciò è sufficiente per riconoscere, nella prospettazione regionale, la potenzialità di un effetto lesivo di dette previsioni sul bilancio regionale, in ragione della compartecipazione al gettito controverso, inerente ad un tributo contemplato dalle previsioni statutarie (sentenze n. 97 del 2013 e n. 241 del 2012).

 

3.– Nel merito, tuttavia, le suddette questioni non sono fondate.

 

In ordine alle leggi produttive di una riduzione del gettito di tributi erariali di competenza regionale, questa Corte ha affermato che lo Stato può legittimamente variare la disciplina dei tributi erariali, incidere sulle aliquote e persino sopprimerli, in quanto essi rientrano nell’ambito della sua sfera di competenza esclusiva, secondo quanto previsto dall’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. (ex multis, sentenze n. 29 del 2016, n. 89 del 2015, n. 97 del 2013, n. 241 del 2012 e n. 298 del 2009). Occorre in proposito ribadire che «lo statuto di autonomia non assicura alla Regione Siciliana una garanzia quantitativa di entrate, cosicché il legislatore statale può sempre modificare, diminuire o persino sopprimere i tributi erariali, senza che ciò comporti una violazione dell’autonomia finanziaria regionale» (sentenza n. 97 del 2013).

 

Ciò, tuttavia, non deve comportare una riduzione di entità tale da rendere impossibile lo svolgimento delle funzioni regionali o da produrre uno squilibrio incompatibile con le esigenze complessive della spesa regionale (sentenze n. 241 del 2012, n. 298 del 2009, n. 256 del 2007, n. 155 del 2006, n. 138 del 1999).

 

In tema di federalismo fiscale è stato peraltro rilevato il ritardo del legislatore nell’assicurare «“un sistema di finanziamento che non è mai stato interamente e organicamente coordinato con il riparto delle funzioni, così da far corrispondere il più possibile, come sarebbe necessario, esercizio di funzioni e relativi oneri finanziari da un lato, disponibilità di risorse, in termini di potestà impositiva (correlata alla capacità fiscale della collettività regionale), o di devoluzione di gettito tributario, o di altri meccanismi di finanziamento, dall’altro” (sentenza n. 138 del 1999, nonché, da ultimo, sentenza n. 241 del 2012)» (sentenza n. 97 del 2013).

 

Pertanto, se lo Stato esercita legittimamente una propria prerogativa esclusiva che, come tale, sfugge anche alle procedure di leale collaborazione, la dimostrazione della lesività delle rimodulazioni delle entrate tributarie rimane a carico della Regione ricorrente. Quest’ultima deve fornirne prova in concreto, attraverso l’analisi globale delle componenti del proprio bilancio. Nel caso in esame, la ricorrente non ha dimostrato che la riduzione delle risorse fiscali introdotte dalla novella statale e la loro interrelazione con misure di contenimento della spesa abbiano gravemente pregiudicato lo svolgimento delle proprie funzioni.

 

Non sono sufficienti a tal fine le osservazioni contenute nella pronuncia della Corte dei conti, sezioni riunite in sede di giudizio di parifica del rendiconto per l’esercizio finanziario 2014, in quanto tale atto si riferisce ad un periodo ben antecedente (di tre anni) rispetto a quello di entrata in vigore delle disposizioni impugnate e, per di più, riguarda la gestione degli accantonamenti da parte dello Stato, ascrivibile piuttosto ad opinabili modalità esecutive che ad un effetto congiunto delle manovre finanziarie recenti.

 

È vero che in precedente fattispecie relativa al contenzioso tributario tra Stato e autonomie speciali – nell’occasione, la Regione Friuli-Venezia Giulia – questa Corte aveva ritenuto idonea fonte probatoria della lesione agli equilibri del bilancio regionale gli accertamenti compiuti dalla  Corte dei conti, sezione regionale di controllo in sede di parifica del relativo rendiconto regionale. Tuttavia, in quel caso tali accertamenti valevano a provare la lesione, avendo rilevato anomalie nei meccanismi di accreditamento delle entrate tributarie della Regione e sottolineato «il perdurare (rispetto all’esercizio 2013 egualmente inciso) “di ‘variabili ingovernabili dalla Regione’ dipendenti dalle misure di finanza pubblica statale che, con contenuti finanziari talvolta non immediatamente quantificabili, producevano effetti diretti sull’ammontare delle compartecipazioni regionali, condizionando la programmazione [nonché l’esistenza di] ulteriori variabili ingovernabili, o quanto meno imprevedibili, connesse al sistema normativo di quantificazione e riscossione del gettito tributario spettante alla Regione […]. Per tale motivo anche le vicende connesse al tempo e al luogo del mero versamento delle imposte (ad es. anticipi delle scadenze di pagamento, mobilità dei contribuenti versanti) influiscono direttamente sulla quantificazione del gettito annuale spettante alla Regione” (delibera n. 95 del 2015)» (sentenza n. 188 del 2016).

 

In quel caso dalla decisione di parifica è stato assunto che «l’accertamento delle entrate non opera in conformità alla nozione giuridica propria della contabilità finanziaria, bensì esprime le ‘somme finalizzate’ e cioè l’importo dell’effettivo accredito sul conto di tesoreria della Regione delle somme ripartite e cioè incassate». Inoltre, «dagli stessi dati comunicati dall’Avvocatura generale dello Stato, in ottemperanza alla richiesta istruttoria di questa Corte, appare una progressiva espansione nel triennio 2012-2014 degli accantonamenti a carico della Regione […]. Indipendentemente dalle plurime variabili che incidono su tali quantificazioni, la progressione degli incrementi appare inequivocabile sintomo dell’accentuata contrazione delle risorse fiscali a disposizione della Regione in assenza di qualsiasi meccanismo compensativo fondato su accertamenti in contraddittorio con lo Stato» (sentenza n. 188 del 2016).

 

In definitiva nel richiamato precedente era stato accertato il diniego statale «di un consapevole contraddittorio, finalizzato ad assicurare la cura di interessi generali quali l’equilibrio dei reciproci bilanci, la corretta definizione delle responsabilità politiche dei vari livelli di governo in relazione alle scelte e alle risorse effettivamente assegnate e la sostenibilità degli interventi pubblici in relazione alle possibili utilizzazioni alternative delle risorse contestate, nel tessuto organizzativo delle amministrazioni concretamente interessate al riparto del gettito fiscale» (sentenza n. 188 del 2016).

 

Tali elementi non sono presenti nella fattispecie in esame, caratterizzata da un’asserita riduzione del gettito di un singolo tributo e dall’assenza di qualsiasi riscontro probatorio circa l’impatto della pretesa riduzione sull’equilibrio complessivo del bilancio regionale. È utile a tal proposito ribadire che le manovre statali sulla disciplina dei tributi il cui gettito sia di spettanza regionale possono incidere in modo costituzionalmente rilevante sugli equilibri del bilancio delle autonomie territoriali. Detta incidenza tuttavia deve essere dimostrata attraverso un raffronto complessivo, su base quantitativa e temporalmente adeguata, tra le risorse disponibili ed il fabbisogno di copertura delle passività, che vanno in scadenza nei pertinenti esercizi.

 

4.– Parimenti non fondata, per erroneità del presupposto interpretativo, è la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi da 65 a 69, in combinato disposto con il comma 638, della legge n. 208 del 2015, proposta in riferimento ai medesimi parametri.

 

Al riguardo, giova rammentare che secondo il Presidente del Consiglio dei ministri tale normativa non realizza una riserva erariale di gettito tributario.

 

L’assunto deve essere condiviso; invero, né l’art. 1, commi da 65 a 69, dispone in merito alla spettanza del gettito dell’addizionale prevista, né una particolare destinazione di detto gettito è prevista espressamente dall’art. 1, comma 638, pure richiamato dalla ricorrente, dato che esso si limita a variare per gli anni 2016 e 2017 la complessiva consistenza del FISPE.

 

D’altra parte, la ricorrente non chiarisce in alcun modo i motivi del suo convincimento, ma si limita a richiamare un passo della relazione tecnica al disegno di legge AS 2111 B, che non trova riscontro nel testo normativo.

 

Si deve pertanto concludere che le disposizioni impugnate non introducono in favore dello Stato una specifica riserva del maggior gettito spettante alla Regione siciliana per effetto dell’aumento dell’aliquota IRES del 3,5 per cento. Tale maggior gettito, quindi, andrà utilmente computato ai fini della quota spettante alla Regione siciliana a titolo di compartecipazione ai tributi erariali, secondo le previsioni statutarie.

 

per questi motivi

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

riservata a separate pronunce la decisione delle altre questioni di legittimità costituzionale, promosse dalla Regione siciliana con il ricorso indicato in epigrafe;

 

1) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 61 e 67, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)», promosse, in riferimento agli artt. 36 e 37 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana), in relazione all’art. 2 del decreto del Presidente della Repubblica 26 luglio 1965, n. 1074 (Norme di attuazione dello Statuto della Regione siciliana in materia finanziaria), nonché al principio di leale collaborazione, dalla Regione siciliana con il ricorso indicato in epigrafe;

 

2) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi da 65 a 69, in combinato disposto con l’art. 1, comma 638, della legge n. 208 del 2015, promossa, in riferimento agli artt. 36 e 37 del r.d.lgs. n. 455 del 1946, in relazione all’art. 2 del d.P.R. n. 1074 del 1965, nonché al principio di leale collaborazione, dalla Regione siciliana con il ricorso indicato in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 maggio 2017.

 

F.to:

 

Paolo GROSSI, Presidente

 

Aldo CAROSI, Redattore

 

Roberto MILANA, Cancelliere

 

Depositata in Cancelleria il 14 giugno 2017.