Ordinanza n. 130 del 2017

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ORDINANZA N. 130

ANNO 2017

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-          Paolo                           GROSSI                                           Presidente

-          Alessandro                  CRISCUOLO                                     Giudice

-          Giorgio                        LATTANZI                                             ”

-          Aldo                            CAROSI                                                   ”

-          Marta                          CARTABIA                                            ”

-          Mario Rosario             MORELLI                                               ”

-          Giancarlo                     CORAGGIO                                            ”

-          Silvana                         SCIARRA                                                ”

-          Daria                           de PRETIS                                               ”

-          Nicolò                         ZANON                                                   ”

-          Franco                         MODUGNO                                           ”

-          Augusto Antonio       BARBERA                                              ”

-          Giulio                          PROSPERETTI                                       ”

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 371-bis, secondo comma, e 372 del codice penale, promosso dal Tribunale ordinario di Verona, nel procedimento penale a carico di R. R., con ordinanza del 23 settembre 2015, iscritta al n. 50 del registro ordinanze 2016 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 11, prima serie speciale, dell’anno 2016.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio dell’8 marzo 2017 il Giudice relatore Franco Modugno.

Ritenuto che, con ordinanza del 23 settembre 2015, il Tribunale ordinario di Verona ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, e 110 [recte: 111] della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale «dell’art. 372 c.p., nella parte in cui non contiene una disposizione identica a quella dettata dal comma 2 dell’art. 371-bis c.p. o, in alternativa, […] dell’art. 371-bis, comma 2, c.p., nella parte in cui non si applica anche ai reati di cui all’art. 372 c.p.»;

che il giudice a quo premette di essere investito del processo penale nei confronti di una persona imputata del reato previsto dall’art. 372 del codice penale, per aver reso una falsa testimonianza in un giudizio civile;

che, esaurita la discussione dibattimentale, il processo penale è giunto ad una fase immediatamente prodromica alla decisione, mentre il processo civile nel quale la falsa testimonianza sarebbe stata resa risulta ancora in corso;

che, ciò premesso, il rimettente rileva che il secondo comma dell’art. 371-bis ed il secondo comma dell’art. 371-ter cod. pen. prevedono che in caso di false dichiarazioni rese, rispettivamente, al pubblico ministero o al difensore nella fase delle indagini preliminari, il relativo procedimento penale rimane sospeso fino a quando non sia definito, con sentenza di primo grado (oppure con archiviazione o con sentenza di non luogo a procedere), il procedimento nel quale le false dichiarazioni sono state rese;

che analoga sospensione non è prevista, di contro, in rapporto al reato di falsa testimonianza, con la conseguenza che il giudice penale può trovarsi a dover decidere – come nel caso di specie – anche quando il processo nell’ambito del quale sono state rese le dichiarazioni oggetto di imputazione sia ancora in corso;

che, ad avviso del giudice a quo, tale disparità di trattamento risulterebbe del tutto ingiustificata;

che le disposizioni dei citati artt. 371-bis, secondo comma, e 371-ter, secondo comma, cod. pen. trovano, infatti, la loro evidente ratio nell’esigenza di evitare che la libertà di autodeterminazione della persona informata sui fatti possa essere condizionata dal timore della sottoposizione a procedimento penale per le dichiarazioni rese: esigenza ravvisabile anche – e a più forte ragione – rispetto alla persona chiamata a rendere testimonianza;

che a giustificare ragionevolmente la censurata differenza, a parere del giudice a quo, non varrebbe neppure il richiamo alla sentenza [recte: ordinanza] n. 61 del 1998, nella quale questa Corte ebbe a specificare che la sospensione processuale stabilita dal secondo comma dell’art. 371-bis cod. pen. mira essenzialmente ad evitare forme di condizionamento psicologico esercitabili dal «pubblico ministero nel momento in cui nel procedimento principale l’organo dell’accusa è “processualmente” interessato alla formazione della prova»: e ciò, sia per la considerazione che la sospensione della immediata procedibilità si applica anche alle dichiarazioni rese al difensore (art. 371-ter, secondo comma, cod. pen.), sia perché a denunciare il dichiarante per il reato di cui all’art. 371-bis cod. pen. potrebbe essere tanto l’imputato quanto la persona offesa, sia, infine, per la ragione che, se la ratio della sospensione fosse legata al condizionamento esercitabile dall’organo inquirente, tale vincolo psicologico dovrebbe ritenersi sciolto con l’esercizio dell’azione penale, mentre la sospensione prevista nella disciplina richiamata perdura fino alla pronuncia della sentenza di primo grado;

che il reale intento del legislatore – di evitare ogni forma di pressione sul dichiarante – sarebbe rivelato anche dal divieto di arresto in flagranza per le false dichiarazioni rese al pubblico ministero, sancito dall’art. 381, comma 4-bis, del codice di procedura penale: divieto che trova, peraltro, piena corrispondenza, quanto alla falsa testimonianza, nell’art. 476, comma 2, cod. proc. pen., a dimostrazione della piena parificabilità, sotto il profilo considerato, delle posizioni del testimone e del dichiarante al pubblico ministero;

che la disparità di trattamento censurata verrebbe, d’altra parte, ad incidere anche sull’esercizio della facoltà di ritrattazione del falso, pure prevista, per entrambe le fattispecie, dall’art. 376 cod. pen.;

che invero – argomenta ancora il rimettente – tale ultima disposizione consente sia al testimone sia al dichiarante dinnanzi al pubblico ministero (o al difensore) di evitare la punizione attraverso la ritrattazione del falso e la manifestazione del vero, fissando, quale termine ultimo per tale condotta riparativa, la chiusura del dibattimento quanto alle dichiarazioni rese in un processo penale e la pronuncia di una sentenza definitiva, «anche se non irrevocabile», quanto a quelle rese nel corso di un giudizio civile;

che lo svolgimento immediato del procedimento per la falsa testimonianza determinerebbe, di conseguenza, la compressione, in capo al testimone, dello spatium deliberandi per esercitare la facoltà di ritrattare, posto che il processo a suo carico «potrebbe definirsi anche prima dello scadere del suo termine ultimo per effettuare una ritrattazione»: il che non può mai accadere, invece – stante la prevista sospensione – per la persona che ha reso dichiarazioni al pubblico ministero o al difensore;

che, dunque, il rimettente ritiene irragionevole che le fattispecie di cui all’art. 372 cod. pen. e agli artt. 371-bis e 371-ter cod. pen. – regolate in modo identico, oltre che per i profili già posti in evidenza, anche con riguardo alle aggravanti (art. 375 cod. pen. nel testo vigente alla data dell’ordinanza di rimessione) e ai casi di non punibilità (art. 384 cod. pen.) – siano poi trattate in modo difforme in rapporto alla sola disciplina dell’istituto processuale della sospensione della procedibilità immediata;

che in conseguenza, a parere del giudice a quo, risulterebbe violato il principio di eguaglianza (art. 3 Cost.): sotto un primo profilo, per l’irragionevole «difformità radicale di posizione», quanto alla sospensione della immediata procedibilità, tra il soggetto imputato di falsa testimonianza e quello chiamato a rispondere di aver reso false dichiarazioni al pubblico ministero o al difensore, nonostante l’intiera disciplina sostanziale delle tre ipotesi di reato sia, per il resto, del tutto omologa; e sotto un ulteriore profilo, per la «difformità radicale di posizione» che viene a realizzarsi tra gli stessi imputati del reato di falsa testimonianza in relazione al «casuale andamento del procedimento nel quale hanno reso la testimonianza, rispetto al procedimento nel quale sono accusati»;

che, inoltre, la disciplina censurata si porrebbe in contrasto con l’art. 24, secondo comma, Cost., in quanto, potendo la condanna del testimone intervenire prima che nel giudizio in cui è stata resa la falsa testimonianza sia decorso il termine previsto per effettuare la ritrattazione, risulterebbe leso il diritto di difesa dell’imputato, il quale si vedrebbe preclusa la possibilità di utilizzare tutti gli strumenti ed istituti sostanziali e processuali idonei ad evitare la condanna;

che, infine, sarebbe violato l’art. 110 [recte: 111] Cost., in quanto il possibile condizionamento della libertà di autodeterminazione del testimone comprometterebbe l’affidabilità della decisione e, dunque, «la natura “giusta” del processo»;

che le questioni sarebbero, altresì, rilevanti, giacché nel caso di loro accoglimento dovrebbe disporsi l’immediata sospensione del giudizio a quo, in luogo della deliberazione finale cui invece il rimettente è tenuto in forza dell’attuale disciplina;

che è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili o, in subordine, infondate;

che, ad avviso della difesa dell’interveniente, il quesito del giudice a quo è posto in forma alternativa «tra due distinte soluzioni» e, come tale, risulta non suscettibile di scrutinio, posto che il rimettente richiede alla Corte costituzionale una pronuncia additiva che consenta al giudice di applicare la sospensione della immediata procedibilità anche all’ipotesi di reato di cui all’art. 372 cod. pen., caducando tale ultima disposizione nella parte in cui non contempla tale meccanismo, «ovvero» di dichiarare costituzionalmente illegittimo l’art. 371-bis cod. pen., nella parte in cui non estende il regime della sospensione della procedibilità stabilito per le dichiarazioni rese al pubblico ministero anche al reato di falsa testimonianza;

che, in ogni caso, nel merito le questioni sarebbero infondate, non avendo il rimettente considerato che, ai fini della esclusione della punibilità per il reato di falsa testimonianza, la ritrattazione della dichiarazione può essere effettuata anche nel processo penale avente ad oggetto l’accertamento del reato in questione, purché intervenga prima della pronuncia della sentenza civile definitiva, anche se non irrevocabile.

Considerato che il Tribunale ordinario di Verona ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, e 110 [recte: 111] della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale «dell’art. 372 c.p., nella parte in cui non contiene una disposizione identica a quella dettata dal comma 2 dell’art. 371-bis c.p. o, in alternativa, […] dell’art. 371-bis, comma 2, c.p., nella parte in cui non si applica anche ai reati di cui all’art. 372 c.p.», dolendosi del fatto che, mentre il secondo comma dell’art. 371-bis del codice penale dispone che, in caso di false dichiarazioni rese al pubblico ministero, il relativo procedimento penale rimane sospeso fino a quando non sia definito con sentenza di primo grado (oppure con archiviazione o con sentenza di non luogo a procedere) il procedimento nel quale le false dichiarazioni sono state rese, analoga previsione non è contemplata per l’ipotesi di imputazione di falsa testimonianza (art. 372 cod. pen.);

che l’eccezione di inammissibilità delle questioni formulata dall’Avvocatura generale dello Stato è fondata;

che – a prescindere da ogni possibile rilievo in ordine alla reale equiparabilità delle due fattispecie incriminatrici sotto il profilo considerato – le questioni sono formulate in modo ancipite;

che il giudice a quo, per rimediare ai vulnera denunciati, chiede infatti a questa Corte, in forma alternativa, l’innesto sulla norma sostanziale che punisce la falsa testimonianza di una previsione omologa a quella del secondo comma dell’art. 371-bis cod. pen., oppure un intervento additivo su quest’ultima disposizione, inteso ad estenderne l’ambito applicativo, oltre che alle dichiarazioni false rese dalla persona informata sui fatti al pubblico ministero, anche alle dichiarazioni false rese dal testimone al giudice;

che tale modalità di formulazione del petitum – formalmente espressa nel dispositivo dell’ordinanza di rimessione – vale a rendere le questioni manifestamente inammissibili, poiché le due soluzioni vengono prospettate in rapporto di alternatività irrisoluta ed in assenza di un rapporto di subordinazione, ciò che devolverebbe a questa Corte l’impropria competenza di scegliere tra esse (ex plurimis, sentenze n. 22 del 2016, n. 248 e n. 198 del 2014; ordinanze n. 18 e n. 4 del 2016).

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 1, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 371-bis, secondo comma, e dell’art. 372 del codice penale, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, e 111 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Verona con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l’8 marzo 2017.

F.to:

Paolo GROSSI, Presidente

Franco MODUGNO, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 26 maggio 2017.