Sentenza n. 114 del 2017

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SENTENZA N. 114

ANNO 2017

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-      Paolo                             GROSSI                                               Presidente

-      Giorgio                         LATTANZI                                          Giudice

-      Aldo                              CAROSI                                                     

-      Marta                            CARTABIA                                                

-      Mario Rosario              MORELLI                                                  

-      Giancarlo                      CORAGGIO                                               

-      Giuliano                        AMATO                                                     

-      Silvana                          SCIARRA                                                   

-      Daria                             de PRETIS                                                  

-      Nicolò                           ZANON                                                      

       Franco                           MODUGNO                                               

-      Augusto Antonio          BARBERA                                                 

-      Giulio                           PROSPERETTI                                          

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 239, 240, lettere b) e c), e 241, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)», promossi dalla Regione Veneto e dalla Regione Puglia con tre ricorsi notificati il 29 febbraio ed il 27 febbraio - 3 marzo 2016, depositati in cancelleria l’8 ed il 10 marzo 2016 e rispettivamente iscritti ai nn. 17, 18 e 19 del registro ricorsi 2016.

Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica dell’11 aprile 2017 il Giudice relatore Aldo Carosi;

uditi gli avvocati Luca Antonini e Andrea Manzi per la Regione Veneto, Stelio Mangiameli per la Regione Puglia e l’avvocato dello Stato Vincenzo Nunziata per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.– Con ricorso notificato il 29 febbraio 2016, depositato l’8 marzo e iscritto al reg. ric. n. 17 del 2016 la Regione Veneto ha impugnato, tra le altre disposizioni, l’art. 1, comma 241, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)», in riferimento agli artt. 117, terzo e quarto comma, e 118 della Costituzione, nonché al principio di leale collaborazione.

La disposizione censurata incide sull’art. 57, comma 3-bis, del decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5 (Disposizioni urgenti in materia di semplificazione e di sviluppo) – convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 4 aprile 2012, n. 35 – sopprimendo il richiamo ivi originariamente contenuto alle modalità previste dall’art. 1, comma 8-bis, della legge 23 agosto 2004, n. 239 (Riordino del settore energetico, nonché delega al Governo per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di energia), in caso di mancato raggiungimento dell’intesa con la regione per il rilascio dell’autorizzazione per infrastrutture energetiche strategiche.

Secondo la ricorrente, la soppressione operata dalla norma eliminerebbe un meccanismo procedimentale diretto ad assicurare il coinvolgimento della regione nell’ipotesi di difetto di intesa nel settore delle infrastrutture ed insediamenti energetici strategici e delle opere necessarie al trasporto, stoccaggio e trasferimento degli idrocarburi, rientrante nella materia concorrente «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia».

Ne conseguirebbe l’illegittimità della norma per violazione dei parametri costituzionali evocati.

2.– Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, deducendo l’infondatezza della questione di legittimità costituzionale proposta.

Ad avviso del resistente, il mantenimento, nell’ambito dell’art, 57, comma 3-bis, del d.l. n. 5 del 2012, del residuo richiamo alle modalità di cui all’art. 14-quater, comma 3, della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi) – nel tenore risultante a seguito della sentenza n. 179 del 2012 di questa Corte – consentirebbe di assicurare comunque il ruolo partecipativo della regione, prevedendo la reiterazione di trattative volte a superare le divergenze insorte con lo Stato nella ricerca dell’intesa imposta dal principio di leale collaborazione.

3.– Con memoria depositata in prossimità dell’udienza la Regione Veneto rileva come nelle more del giudizio sia intervenuto l’art. 1, comma 1, del decreto legislativo 30 giugno 2016, n. 127 (Norme per il riordino della disciplina in materia di conferenza di servizi, in attuazione dell’articolo 2 della legge 7 agosto 2015, n. 124), che, sostituendo gli artt. 14-quater e 14-quinquies della legge n. 241 del 1990, avrebbe introdotto una tempistica dimezzata rispetto alla precedente per lo svolgimento delle trattative volte alla composizione delle divergenze tra Stato e regioni, depotenziando eccessivamente i meccanismi di coinvolgimento regionale.

In via subordinata, in caso di mancato accoglimento della questione, la ricorrente sollecita questa Corte a sollevare innanzi a sé questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 2, della legge 7 agosto 2015, n. 124 (Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche), e dell’art. 1, comma 1, del d.lgs. n. 127 del 2016, in riferimento agli artt. 76 e 117, terzo e quarto comma, Cost. nonché al principio di leale collaborazione, nella parte in cui modificano in termini più restrittivi la procedura di raggiungimento dell’intesa con le regioni.

Con memoria depositata in prossimità dell’udienza il Presidente del Consiglio dei ministri, dopo aver ricostruito le vicende normative e giurisprudenziali relative all’art. 14-quater della legge n. 241 del 1990, ribadisce come, anche alla stregua delle sostituzioni operate dall’art. 1, comma 1, del d.lgs. n. 127 del 2016, i meccanismi di coinvolgimento regionale nella ricerca dell’intesa risultino rispettosi del principio di leale collaborazione, con conseguente cessazione della materia del contendere in ordine alla questione proposta o, comunque, infondatezza della stessa.

4.– Con ricorso notificato il 27 febbraio, depositato il 10 marzo e iscritto al reg. ric. n. 18 del 2016, la Regione Puglia ha impugnato l’art. 1, commi 239 e 240, lettere b) e c), della legge n. 208 del 2015 in riferimento agli artt. 3, 97, 117, primo comma – in relazione agli artt. 2, paragrafo 1, e 3, paragrafi 2 e 3, della direttiva 30 maggio 1994, n. 94/22/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alle condizioni di rilascio e di esercizio delle autorizzazioni alla prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi)secondo comma, lettera s), e terzo comma, e 118 Cost. nonché ai principi di ragionevolezza e di leale collaborazione.

4.1.– L’art. 1, comma 239, della legge n. 208 del 2015 sostituisce il secondo ed il terzo periodo dell’art. 6, comma 17, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale) stabilendo che il divieto delle attività di ricerca, di prospezione nonché di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in mare, di cui agli articoli 4, 6 e 9 della legge 9 gennaio 1991, n. 9 (Norme per l’attuazione del nuovo Piano energetico nazionale: aspetti istituzionali, centrali idroelettriche ed elettrodotti, idrocarburi e geotermia, autoproduzione e disposizioni fiscali), all’interno del perimetro delle aree marine e costiere a qualsiasi titolo protette per scopi di tutela ambientale «è altresì stabilito nelle zone di mare poste entro dodici miglia dalle linee di costa lungo l’intero perimetro costiero nazionale e dal perimetro esterno delle suddette aree marine e costiere protette. I titoli abilitativi già rilasciati sono fatti salvi per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale. Sono sempre assicurate le attività di manutenzione finalizzate all'adeguamento tecnologico necessario alla sicurezza degli impianti e alla tutela dell'ambiente, nonché le operazioni finali di ripristino ambientale».

Ad avviso della ricorrente, la norma di dettaglio, prevalentemente riconducibile alla materia di competenza concorrente «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», si porrebbe in contrasto con gli artt. 117, terzo comma, e 118, primo comma, Cost., nonché con il principio di leale collaborazione, in quanto prorogherebbe l’efficacia di titoli abilitativi già rilasciati senza che sia intervenuta alcuna intesa in senso forte con la regione interessata, nonostante tale modalità di partecipazione sia imposta dall’attrazione in sussidiarietà realizzata nella fattispecie.

La disposizione sarebbe dunque illegittima «nella parte in cui non prevede che i titoli abilitativi rilasciati siano fatti salvi, previa intesa con le Regioni poste in un raggio di dodici miglia dalle aree marine e costiere protette e dalla linea di costa».

In secondo luogo, la proroga ex lege dei titoli abilitativi, realizzando una commistione tra legislazione ed amministrazione, precluderebbe una nuova ponderazione degli interessi coinvolti e l’esercizio del potere di autotutela, in contrasto con i principi di buon andamento ed imparzialità della pubblica amministrazione di cui all’art. 97 Cost., nonché, sotto un ulteriore profilo, con i già evocati parametri rappresentati dagli artt. 117, terzo comma, e 118, primo comma, Cost. e dal principio di leale collaborazione, determinandosi in re ipsa l’estromissione della regione nonostante la proroga configuri, alla stregua della giurisprudenza amministrativa, un nuovo provvedimento.

La disposizione sarebbe pertanto illegittima anche «nella parte in cui non prevede che i titoli abilitativi già rilasciati possano sì essere oggetto di provvedimenti proroga, ma conformemente ai procedimenti previsti dalla legge n. 9 [del 1991]». Peraltro, ove si intendesse che la proroga debba comunque avvenire attraverso l’esperimento dei citati procedimenti, residuerebbe l’illegittimità derivante dalla mancata previsione dell’intesa con la regione.

Inoltre, la legificazione della proroga dei titoli abilitativi determinerebbe la violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), e terzo comma, Cost. Ciò in quanto la regione, nell’ambito della propria competenza in materia di energia, ben potrebbe dolersi della violazione degli interessi ambientali funzionalmente collegati all’esercizio di detta competenza e la proroga dell’efficacia dei titoli abilitativi non determinerebbe la rinnovazione della procedura di valutazione di impatto ambientale – altrimenti prevista dalla legislazione statale in conformità al diritto europeo – che potrebbe anche essere originariamente mancata in ragione della risalenza nel tempo dei titoli medesimi.

La disposizione sarebbe dunque illegittima anche «nella parte in cui non prevede che i titoli abilitativi già esistenti siano fatti salvi, a condizione che siano stati oggetto di valutazione di impatto ambientale in sede di rilascio e che, comunque, questa venga rinnovata in sede di proroga».

Infine, la norma violerebbe il principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., che ridonderebbe nella violazione della competenza regionale in materia di energia e governo del territorio per l’incidenza che le attività di ricerca, prospezione e coltivazione degli idrocarburi avrebbero in detti ambiti.

In particolare, prorogando tutti i titoli abilitativi – dunque, non solo le concessioni di coltivazione, ma anche i permessi di prospezione e ricerca, ad esse funzionali, già rilasciati – la norma frustrerebbe irragionevolmente l’affidamento del soggetto che, quand’anche rinvenisse un giacimento suscettibile di coltivazione a termini di legge, non potrebbe vedersi riconosciuta la concessione che tanto legittimi, visto che non possono comunque essere rilasciati "nuovi” titoli abilitativi. Dunque, sarebbe inutile prorogare i permessi di prospezione e ricerca per la durata di vita utile del giacimento, peraltro non ancora accompagnati, diversamente dalle concessioni di coltivazione, da significativi investimenti e da concreto sfruttamento del giacimento che abbiano altrimenti alimentato un legittimo affidamento del beneficiario.

La disposizione, quindi, sarebbe illegittima «nella parte in cui fa salvi tutti i titoli abilitativi, anziché le sole concessioni di coltivazione».

4.2.– L’art. 1, comma 240, lettera b), della legge n. 208 del 2015 abroga l’art. 38, comma 1-bis, del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133 (Misure urgenti per l’apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l’emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 11 novembre 2014, n. 164, secondo cui «Il Ministro dello sviluppo economico, con proprio decreto, sentito il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, predispone un piano delle aree in cui sono consentite le attività di cui al comma 1. Il piano, per le attività sulla terraferma, è adottato previa intesa con la Conferenza unificata. In caso di mancato raggiungimento dell’intesa, si provvede con le modalità di cui all’articolo 1, comma 8-bis, della legge 23 agosto 2004, n. 239. Nelle more dell’adozione del piano i titoli abilitativi di cui al comma 1 sono rilasciati sulla base delle norme vigenti prima della data di entrata in vigore della presente disposizione».

Secondo la ricorrente, l’abrogazione della disposizione in considerazione si porrebbe anzitutto in contrasto con l’art. 117, primo comma, Cost. in relazione agli artt. 2, paragrafo 1, e 3, paragrafi 2 e 3, della direttiva n. 94/22/CE del 1994, che imporrebbero agli Stati membri l’obbligo della preventiva pianificazione delle aree aperte alle attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi. La soppressione del cosiddetto piano delle aree oggetto della disposizione abrogata ad opera di quella censurata violerebbe dunque detti parametri, ridondando sulla competenza concorrente in materia di energia, visto che, in ragione di essa, la regione avrebbe dovuto essere coinvolta nella predisposizione del piano.

Inoltre, ad avviso della ricorrente, l’abrogazione violerebbe gli artt. 117, terzo comma, e 118, primo comma, Cost., nonché il principio di leale collaborazione, atteso che le attività di prospezione, ricerca e coltivazione degli idrocarburi sulla terraferma avrebbero potuto eseguirsi solo nelle aree individuate dal piano da adottarsi previa intesa con la Conferenza unificata quale momento di raccordo con le regioni, ora viceversa private del relativo coinvolgimento.

4.3.– L’art. 1, comma 240, lettera c), della legge n. 208 del 2015 sostituisce l’art. 38, comma 5, del d.l. n. 133 del 2014, statuendo che «Le attività di ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi sono svolte con le modalità di cui alla legge 9 gennaio 1991, n. 9, o a seguito del rilascio di un titolo concessorio unico, sulla base di un programma generale di lavori articolato in una prima fase di ricerca, per la durata di sei anni, a cui seguono, in caso di rinvenimento di un giacimento tecnicamente ed economicamente coltivabile, riconosciuto dal Ministero dello sviluppo economico, la fase di coltivazione della durata di trent’anni, salvo l’anticipato esaurimento del giacimento, nonché la fase di ripristino finale».

Ad avviso della ricorrente, la norma in considerazione, richiamando il regime previsto dalla legge n. 9 del 1991 e quello, originariamente destinato a sostituirlo, del cosiddetto titolo concessorio unico, violerebbe gli artt. 117, terzo comma, e 118, primo comma, Cost. nonché il principio di leale collaborazione, in quanto non prevederebbe che i titoli abilitativi inerenti a prospezione, ricerca e coltivazione degli idrocarburi in mare siano adottati d’intesa con le regioni interessate, così come disposto per la terraferma, non potendosi escludere – in via di principio e conformemente a quanto ritenuto dalla giurisprudenza amministrativa – l’interessamento della fascia di tutela delle dodici miglia marine anche quando le attività in questione si svolgano oltre la stessa.

Dunque, la disposizione sarebbe illegittima «nella parte in cui non prevede che anche per il mare i titoli abilitativi di cui alla legge n. 9 del 1991 oppure i titoli concessori unici debbano essere preceduti dall’intesa con la Regione (prospiciente) interessata».

Inoltre, secondo la ricorrente, la norma violerebbe il principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost. – con ridondanza nella lesione della competenza regionale in materia di energia – in quanto, a seguito della modifica apportata alla disposizione al fine di inertizzare le richieste referendarie avanzate da dieci Consigli regionali e volte a colpire la prorogabilità del titolo concessorio unico, introdurrebbe, senza ragione, un regime di efficacia temporale diversificato a seconda della tipologia di titolo abilitativo: i titoli di cui alla legge n. 9 del 1991 avrebbero durata prorogabile a differenza di quello concessorio unico.

La disposizione sarebbe quindi costituzionalmente illegittima «nella parte in cui non prevede [che] il limite temporale ivi stabilito (6 anni per la ricerca e 30 anni per la coltivazione) si applichi anche ai titoli abilitativi di cui alla legge n. 9 del 1991».

La descritta differenza, infine, indurrebbe ad optare sempre per la tipologia di atti da ultimo citata, frustrando, a fronte dell’attrazione in sussidiarietà, l’interlocuzione regionale, ammessa solo in occasione del primo rilascio per quanto riguarda le attività sulla terraferma, con conseguente violazione del principio di leale collaborazione.

In via subordinata, pertanto, la disposizione sarebbe costituzionalmente illegittima «nella parte in cui non prevede che la proroga del titolo abilitativo ai sensi della legge n. 9 del 1991 avvenga previa (nuova) intesa con la Regione».

5.– Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni proposte siano dichiarate infondate.

Quanto alle censure rivolte all’art. 1, comma 239, della legge n. 208 del 2015, il resistente evidenzia anzitutto che la disposizione andrebbe ricondotta alla materia «tutela dell’ambiente» di cui alla competenza esclusiva del legislatore statale ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., da considerarsi comunque prevalente nelle ipotesi in cui si sovrapponga con altri ambiti competenziali. Inoltre, la norma si sarebbe limitata a riformulare in senso più restrittivo la precedente, mai censurata, senza minimamente innovare la disciplina relativa al rilascio dei titoli abilitativi all’esercizio delle attività minerarie – anche riguardo alla proroga, non disposta ex lege, ma destinata ad intervenire nel rispetto delle procedure altrimenti previste in ossequio al principio costituzionale della tutela del legittimo affidamento che la normativa in materia fonderebbe – ed al loro svolgimento. Alla luce di tali considerazioni non sarebbe configurabile alcuna lesione delle competenze regionali e del principio di leale collaborazione, considerato peraltro che, in ogni caso, alla luce della giurisprudenza costituzionale (si citano le sentenze n. 112 del 2011 e n. 21 del 1968), dovrebbe escludersi qualsivoglia competenza regionale in ordine a ricerca e coltivazione degli idrocarburi in mare.

In ordine all’impugnativa dell’art. 1, comma 240, lettera b), della legge n. 208 del 2015, il Presidente del Consiglio dei ministri nega che la direttiva n. 94/22/CE del 1994 – recepita dal decreto legislativo 25 novembre 1996, n. 625 (Attuazione della direttiva 94/22/CEE relativa alle condizioni di rilascio e di esercizio delle autorizzazioni alla prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi) – imponga la preventiva pianificazione delle aree disponibili per le attività di prospezione, ricerca e coltivazione degli idrocarburi, rimettendo agli Stati membri la scelta in tal senso. Lo Stato italiano – nei cui confronti non sarebbe stata promossa alcuna procedura di infrazione ad opera della Commissione europea per mancato corretto recepimento della direttiva – avrebbe quindi legittimamente optato per l’individuazione preventiva delle aree solo con riferimento al mare e non anche per quelle insistenti sulla terraferma.

Infine, in merito alle censure mosse all’art. 1, comma 240, lettera c), della legge n. 208 del 2015, la norma non avrebbe capacità innovativa se non limitatamente all’eliminazione delle possibilità di proroga per il titolo concessorio unico ed alla previsione della coesistenza con i titoli abilitativi singoli, precedentemente contemplati. Il coinvolgimento delle regioni sarebbe previsto dalla normativa altrimenti vigente e, comunque, la rilevanza dei valori coinvolti nel settore energetico giustificherebbe l’assunzione delle funzioni regionali in capo allo Stato, cui andrebbe riconosciuto un ruolo fondamentale, a maggior ragione nel caso in cui le attività minerarie riguardino il mare territoriale e la piattaforma continentale.

Né la norma sarebbe irragionevole, essendo finalizzata a mettere ordine in un contesto normativo in cui, per effetto dell’eliminazione del piano delle aree, potevano insorgere dubbi sulla disciplina applicabile, con la conseguente esigenza di chiarire la coesistenza di entrambe le tipologie di titoli abilitativi, la cui diversa durata – che non aveva dato adito a dubbi di legittimità neppure prima della modifica introdotta dalla norma censurata – si spiegherebbe alla stregua dell’ontologica differenza tra dette tipologie di provvedimento quanto a regime giuridico.

6.– Con memoria depositata in prossimità dell’udienza la Regione Puglia replica alle difese erariali, evidenziando come l’art. 1, comma 239, della legge n. 208 del 2015 vada ricondotto prevalentemente alla materia energetica e non a quella esclusiva dello Stato, atteso che derogherebbe al generale divieto di attività minerarie entro le dodici miglia marine posto a tutela dell’ambiente. Inoltre, la ricorrente nega che a livello costituzionale si possa ravvisare una differenza tra le attività energetiche sulla terraferma e quelle in mare e rimarca che la norma avrebbe determinato una proroga automatica dei titoli abilitativi già rilasciati. Infine, la ricorrente richiama gli argomenti addotti a sostegno delle censure rivolte all’art. 1, comma 240, lettere b) e c), della legge n. 208 del 2015, sottolineando l’irragionevolezza della mancanza di una preventiva pianificazione generale delle aree disponibili per le attività di ricerca e coltivazione degli idrocarburi.

Con memoria depositata in prossimità dell’udienza il Presidente del Consiglio dei ministri ribadisce la riconducibilità dell’art. 1, comma 239, della legge n. 208 del 2015 alla competenza esclusiva dello Stato in materia di ambiente, escludendo conseguentemente la configurabilità di un’ipotesi di chiamata in sussidiarietà e l’esigenza di coinvolgere le regioni attraverso l’intesa. Evidenzia, inoltre, che la disposizione andrebbe ragionevolmente interpretata nel senso di consentire sia la ricerca mineraria che, in caso di esito favorevole, la coltivazione del giacimento rinvenuto. Rileva, infine, che, pur in assenza del piano delle aree, il coinvolgimento regionale sarebbe garantito dall’istituto della conferenza dei servizi, attivabile in tutte le ipotesi in cui la decisione riguardi una molteplicità di interessi riconducibili ad una pluralità di soggetti.

7.– Con un secondo ricorso, notificato il 3 marzo 2016, depositato il 10 marzo 2016 e iscritto al reg. ric. n. 19 del 2016, la Regione Veneto ha impugnato anche l’art. 1, commi 239 e 240, lettere b) e c), della legge n. 208 del 2015 in riferimento agli artt. 3, 9, 97, 117, primo comma – in relazione agli artt. 2, paragrafo 1, e 3, paragrafi 2 e 3, della direttiva n. 94/22/CE del 1994secondo comma, lettera s), terzo e quarto comma, e 118 Cost. nonché ai principi di ragionevolezza e leale collaborazione.

Le censure proposte coincidono con quelle rivolte alle medesime norma dalla Regione Puglia, con la sola precisazione che l’art. 1, comma 240, lettera c), della legge n. 208 del 2015 viene impugnato anche perché, confermando la disciplina del titolo concessorio unico, attribuirebbe i poteri concessori antecedentemente alla scoperta del giacimento e perché il programma dei lavori da predisporre prima dell’attività di ricerca difficilmente potrebbe specificare le aree da essa interessate. Ciò dimostrerebbe l’irragionevolezza della disciplina, in contrasto con gli artt. 3, 9 e 97 Cost., che ridonderebbe nella violazione dell’art. 117, terzo e quarto comma, Cost., incidendo in materia di protezione civile, governo del territorio, produzione dell’energia e valorizzazione dei beni culturali e ambientali.

8.– Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dal’Avvocatura generale dello Stato, proponendo argomentazioni difensive coincidenti con quelle svolte in merito al ricorso della Regione Puglia.

9.– Con memoria depositata in prossimità dell’udienza la Regione Veneto replica alle difese del Presidente del Consiglio dei ministri, svolgendo argomenti coincidenti con quelli sviluppati nella memoria illustrativa della Regione Puglia.

Con memoria depositata in prossimità dell’udienza il Presidente del Consiglio dei ministri ha svolto argomentazioni coincidenti con quelle sviluppate nella memoria depositata in relazione al ricorso della Regione Puglia.

Considerato in diritto

1.– Con tre distinti ricorsi (iscritti al reg. ric. n. 17, n. 18 e n. 19 del 2016) la Regione Veneto e la Regione Puglia hanno impugnato l’art. 1, commi 239, 240, lettere b) e c), e 241, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)», in riferimento agli artt. 3, 9, 97, 117, primo comma – in relazione agli artt. 2, paragrafo 1, e 3, paragrafi 2 e 3, della direttiva 30 maggio 1994, n. 94/22/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alle condizioni di rilascio e di esercizio delle autorizzazioni alla prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi) – secondo comma, lettera s), terzo e quarto comma, e 118, primo comma, della Costituzione, nonché ai principi di ragionevolezza e di leale collaborazione.

1.1.– Secondo le ricorrenti, l’art. 1, comma 239, della legge n. 208 del 2015 – stabilendo che i già rilasciati titoli abilitativi all’esercizio delle attività di ricerca, prospezione e coltivazione di idrocarburi entro le dodici miglia dalle linee di costa e dal perimetro esterno delle aree marine e costiere protette sono fatti salvi per la durata di vita utile del giacimento – violerebbe gli artt. 117, terzo comma, e 118, primo comma, Cost., nonché il principio di leale collaborazione. Ciò in quanto prorogherebbe automaticamente l’efficacia dei provvedimenti senza intesa con la regione interessata, nonostante tale modalità di partecipazione sia imposta dall’attrazione in sussidiarietà realizzata nella fattispecie. La norma contrasterebbe anche con i principi di buon andamento ed imparzialità di cui all’art. 97 Cost., realizzando una commistione tra legislazione ed amministrazione e precludendo una nuova ponderazione degli interessi coinvolti, nonché l’esercizio del potere di autotutela. Infine, il comma 239 violerebbe l’art. 117, secondo comma, lettera s), e terzo comma, Cost. – in quanto la proroga dell’efficacia dei titoli minerari impedirebbe la rinnovazione della procedura di valutazione di impatto ambientale (VIA), che potrebbe anche essere originariamente mancata in ragione della loro risalenza nel tempo – ed il principio di ragionevolezza, in quanto prorogherebbe pure i permessi di prospezione e ricerca, sebbene, ove fosse rinvenuto un giacimento, non potrebbe rilasciarsi la concessione di coltivazione.

1.2.– Le Regioni Puglia e Veneto impugnano anche l’art. 1, comma 240, lettera b), della legge n. 208 del 2015, il quale, abrogando l’art. 38, comma 1-bis, del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133 (Misure urgenti per l’apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l’emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 11 novembre 2014, n. 164 – e, dunque, sopprimendo il piano delle aree, ivi previsto, in cui consentire le attività minerarie – violerebbe l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 2, paragrafo 1, e 3, paragrafi 2 e 3, della direttiva n. 94/22/CE del 1994, che imporrebbero agli Stati membri l’obbligo della preventiva pianificazione delle aree disponibili per le citate attività. Inoltre, la norma contrasterebbe con gli artt. 117, terzo comma, e 118, primo comma, Cost., nonché con il principio di leale collaborazione, atteso che, sulla terraferma, dette attività avrebbero potuto svolgersi solo nelle zone individuate dal piano da adottarsi previa intesa con la Conferenza unificata quale momento di raccordo con le regioni, ora private di ogni coinvolgimento.

1.3.– Le ricorrenti impugnano altresì la lettera c) del medesimo comma 240, secondo cui le attività minerarie in considerazione possono svolgersi o con le modalità di cui alla legge 9 gennaio 1991, n. 9 (Norme per l’attuazione del nuovo Piano energetico nazionale: aspetti istituzionali, centrali idroelettriche ed elettrodotti, idrocarburi e geotermia, autoproduzione e disposizioni fiscali), o a seguito del rilascio di un titolo concessorio unico, sulla base di un programma generale di lavori articolato in una fase di ricerca, per la durata di sei anni, cui segue, in caso di rinvenimento di un giacimento coltivabile, la fase di coltivazione della durata di trent’anni. La norma violerebbe anzitutto gli artt. 117, terzo comma, e 118, primo comma, Cost., nonché il principio di leale collaborazione, in quanto non prevederebbe che, con riguardo al mare, i titoli abilitativi siano adottati d’intesa con le regioni interessate. Inoltre, la disposizione contrasterebbe con il principio di ragionevolezza – introducendo senza giustificazione un regime di efficacia temporale diversificato a seconda della tipologia di titolo minerario – nonché, in via subordinata, con il principio di leale collaborazione, in quanto il diverso regime di prorogabilità indurrebbe ad optare sempre per gli atti prorogabili, frustrando, a fronte dell’attrazione in sussidiarietà, l’interlocuzione regionale, ammessa solo in occasione dell’originario rilascio per le attività sulla terraferma. Infine, secondo la Regione Veneto, la norma violerebbe gli artt. 3, 9, 97 e 117, terzo e quarto comma, Cost., perché, confermando la disciplina del titolo concessorio unico, attribuirebbe i poteri concessori ancora prima della scoperta del giacimento e perché il programma dei lavori da predisporre antecedentemente all’attività di ricerca difficilmente potrebbe specificare le aree interessate.

1.4.– In ultimo, la Regione Veneto impugna, tra le altre disposizioni, l’art. 1, comma 241, della legge n. 208 del 2015, che, espungendo dall’art. 57, comma 3-bis, del decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5 (Disposizioni urgenti in materia di semplificazione e di sviluppo) – convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 4 aprile 2012, n. 35 – il richiamo ivi originariamente contenuto alle modalità di cui all’art. 1, comma 8-bis, della legge 23 agosto 2004, n. 239 (Riordino del settore energetico, nonché delega al Governo per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di energia), per superare l’inerzia regionale nell’addivenire all’intesa, violerebbe gli artt. 117, terzo e quarto comma, e 118 Cost., nonché il principio di leale collaborazione, escludendo il meccanismo procedimentale diretto ad assicurare il coinvolgimento della regione in un ambito materiale rientrante nella materia concorrente «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia».

2.– I tre ricorsi hanno parzialmente ad oggetto le stesse disposizioni e, comunque, avanzano censure identiche o analoghe, onde l’opportunità di riunione dei relativi giudizi, riservando a separate pronunce la decisione delle questioni di legittimità costituzionale relative alle altre disposizioni della legge n. 208 del 2015 impugnate dalla Regione Veneto con il ricorso iscritto al reg. ric. n. 17 del 2015.

3.– L’art. 1, comma 239, della legge n. 208 del 2015 concerne il divieto di ricerca, prospezione e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in alcune zone di mare – vale a dire all’interno del perimetro delle aree marine e costiere protette e nelle zone di mare poste entro dodici miglia dalle linee di costa lungo l’intero perimetro costiero nazionale e dal perimetro esterno delle suddette aree protette – contenuto nell’art. 6, comma 17, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale). In particolare, sostituendone il secondo ed il terzo periodo, la norma censurata impedisce le deroghe al menzionato divieto originariamente previste al fine di far salvi alcuni procedimenti concessori in corso (nonché quelli conseguenti e connessi anche ai fini di eventuali proroghe), confermando solo la parte della disposizione che mantiene fermi i titoli abilitativi già rilasciati, con la precisazione, però, che essi sono fatti salvi per la durata di vita utile del giacimento e comunque nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale.

Le doglianze delle ricorrenti si appuntano specificamente sulla sostanziale proroga automatica dei titoli minerari già rilasciati, prevista dalla norma e riscontrata dall’Ufficio centrale per il referendum della Corte di cassazione (Corte di cassazione – Ufficio centrale per il referendum, ordinanza del 7 gennaio 2016) nel disporre il trasferimento dell’originaria richiesta referendaria relativa all’art. 6, comma 17, del d.lgs. n. 152 del 2006, cosiddetto codice dell’ambiente, sulla versione della disposizione quale risultante a seguito della sostituzione operata dall’art. 1, comma 239, della legge n. 208 del 2015.

3.1.– Preliminarmente, va dichiarata l’inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 239, della legge n. 208 del 2015 in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), e terzo comma, Cost.

Quanto al primo parametro, «non è concesso alla Regione di dedurre, a fondamento di un proprio ipotetico titolo di intervento, una competenza primaria riservata in via esclusiva allo Stato, neppure quando essa si intreccia con distinte competenze di sicura appartenenza regionale: saranno, semmai, queste ultime a poter essere dedotte a fondamento di un ricorso di legittimità costituzionale in via principale promosso da una Regione» (sentenza n. 116 del 2006; nello stesso senso, sentenza n. 202 del 2016).

Quanto alla dedotta violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., la censura è inammissibile per difetto di adeguata motivazione. La ricorrente, infatti, deducendo l’elusione della VIA attraverso la legificazione della proroga, si limita ad argomentare l’asserito contrasto della norma con il parametro attributivo della competenza statale, lasciando sostanzialmente sguarnita di motivazione la pretesa violazione di quello regionale.

3.2.– Le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 239, della legge n. 208 del 2015 in riferimento agli artt. 117, terzo comma, e 118, primo comma, Cost., nonché al principio di leale collaborazione, non sono fondate.

Le ricorrenti sostengono che la norma, prorogando ex lege i titoli abilitativi già rilasciati, integri una fattispecie di chiamata in sussidiarietà, attraendo a sé e regolando una funzione amministrativa nella materia concorrente «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia» senza al contempo prevedere l’intesa con la regione interessata.

Secondo il costante orientamento di questa Corte, lo Stato può ricorrere alla chiamata in sussidiarietà al fine di allocare e disciplinare una funzione amministrativa «quando la materia, secondo un criterio di prevalenza, appartenga alla competenza regionale concorrente, ovvero residuale» (ex plurimis, sentenza n. 7 del 2016), mentre ne difettano i presupposti quando si verta in materia di competenza esclusiva statale, anche solo prevalente (sentenze n. 62 del 2013 e n. 80 del 2012).

È dunque dirimente identificare l’ambito materiale cui ricondurre la norma censurata, rammentando che a ciò si deve procedere alla stregua della ratio che ispira la disciplina, del suo contenuto precettivo e dell’oggetto specifico della regolamentazione adottata (sentenze n. 175 del 2016 e n. 245 del 2015). Tenuto conto della complessità del fenomeno sociale su cui interviene il legislatore, in fattispecie come la presente, nella quale l’intervento riguarda una fitta trama di relazioni ove è difficile isolare un singolo interesse, «questa Corte non si può esimere dal valutare, anzitutto, se una materia si imponga alle altre con carattere di prevalenza (sentenze n. 50 del 2005 e n. 370 del 2003), ove si tenga presente che, per mezzo di una simile espressione, si riassume sinteticamente il proprium del giudizio, ovvero l’individuazione della competenza di cui la disposizione è manifestazione» (sentenza n. 278 del 2010).

Alla luce di tale premessa, a differenza di altre occasioni in cui disposizioni relative a prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi sono state ascritte alla materia concorrente «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia» di cui all’art. 117, terzo comma, Cost. (tra le altre, sentenze n. 39 del 2017 e n. 117 del 2013), la norma censurata deve ritenersi riconducibile in via prevalente, per più ordini di ragioni, alla competenza esclusiva dello Stato in materia di «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema».

Anzitutto, dal punto di vista sistematico è utile osservare come l’art. 1, comma 239, della legge n. 208 del 2015 incida proprio sulla normativa contenuta nel codice dell’ambiente ed in particolare sull’art. 6, che concorre a dettare la disciplina in tema di VIA e di valutazione ambientale strategica (VAS), riconducibile alla materia della tutela ambientale (ex plurimis, sentenze 117 del 2015 e n. 197 del 2014).

In secondo luogo, la norma impugnata riguarda una disposizione che vieta le attività minerarie in determinate aree – quelle marine e costiere a qualsiasi titolo protette «per scopi di tutela ambientale», nonché quelle poste entro dodici miglia dalle linee di costa lungo l’intero perimetro costiero nazionale e dal perimetro esterno delle suddette aree – «[a]i fini di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema».

Infine, anche l’ambivalente formulazione del comma in esame – il quale, da un lato, inasprisce il menzionato divieto e dall’altro, tuttavia, proroga l’efficacia dei titoli abilitativi già rilasciati – è espressione dell’esercizio in via prevalente della competenza riservata allo Stato in materia di «tutela dell’ambiente», in quanto realizza un bilanciamento non implausibile tra la sua salvaguardia, precludendo l’adozione di nuovi titoli minerari, ed il soddisfacimento di altri interessi rilevanti ‒ quali la piena valorizzazione delle iniziative imprenditoriali in essere, ancora economicamente utili, ed il generale beneficio in termini occupazionali, finanziari e fiscali da esse derivante ‒ attraverso la proroga per la durata di vita utile del giacimento.

Poiché, dunque, l’art. 1, comma 239, della legge n. 208 del 2015 va ricondotto prevalentemente alla competenza esclusiva statale di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., difettano gli estremi dell’attrazione in sussidiarietà, con conseguente infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale proposte in riferimento ai parametri che la presidiano.

3.3.– Quanto alle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 239, della legge n. 208 del 2015, in riferimento all’art. 97 Cost., non sussistono dubbi circa l’ammissibilità delle censure per contrasto con un parametro di legittimità costituzionale diverso da quelli che sovrintendono al riparto delle competenze tra Stato e regioni. La ridondanza su tali attribuzioni, esplicitamente indicate dalle ricorrenti, non è impedita bensì si correla alla natura "trasversale” della materia cui è riconducibile in via prevalente la norma, in quanto, «[d]ata l’ampiezza e la complessità delle tematiche afferenti alla tutela dell’ambiente, i principi e le regole elaborati dallo Stato in subiecta materia coinvolgono altri beni giuridici, aventi ad oggetto componenti o aspetti del bene ambiente, ma concernenti diversi interessi giuridicamente tutelati nell’ambito di altre competenze legislative ripartite secondo i canoni dell’art. 117 Cost.» (sentenza n. 278 del 2012), interessi di cui sono portatrici anche le regioni.

Nel merito, tuttavia, le questioni non sono fondate.

La norma impugnata proroga i titoli minerari già rilasciati ed integra così una fattispecie di legge-provvedimento, atteso che, con una previsione di contenuto particolare e concreto, incide su un numero limitato di destinatari, attraendo alla sfera legislativa quanto normalmente affidato all’autorità amministrativa (sulla nozione di legge-provvedimento, ex plurimis, sentenza n. 214 del 2016).

Dunque, la denunciata impossibilità di concreta ponderazione degli interessi coinvolti e di esercizio del potere di autotutela da parte dell’amministrazione è effetto consustanziale proprio della natura legislativa rivestita dalla disposizione di proroga.

Poiché questa Corte ha più volte ribadito «la compatibilità della legge provvedimento con l’assetto dei poteri stabilito dalla Costituzione, in quanto nessuna disposizione costituzionale comporta una riserva agli organi amministrativi o esecutivi degli atti a contenuto particolare e concreto (sentenze n. 275 del 2013, n. 85 del 2013 e n. 143 del 1989), pur ribadendo, al contempo, che le leggi provvedimento devono soggiacere ad uno scrutinio stretto di costituzionalità, sotto i profili della non arbitrarietà e della non irragionevolezza della scelta del legislatore (sentenze n. 20 del 2012, n. 429 del 2002 e n. 2 del 1997)» (ex multis, sentenze n. 64 del 2014), si deve escludere che la norma contrasti con l’art. 97 Cost. sotto i profili nella fattispecie dedotti dalle ricorrenti, non ravvisandosi i vizi che in passato avevano consentito di dichiarare l’illegittimità costituzionale di disposizioni di analoga natura provvedimentale.

3.4.– Le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 239, della legge n. 208 del 2015 in riferimento al principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost. non sono fondate, nei sensi e nei limiti di seguito precisati.

Prima dell’entrata in vigore della norma censurata, l’art. 6, comma 17, del d.lgs. n. 152 del 2006 faceva «salvi i procedimenti concessori di cui agli articoli 4, 6 e 9 della legge n. 9 del 1991 in corso alla data di entrata in vigore del decreto legislativo 29 giugno 2010, n. 128 ed i procedimenti autorizzatori e concessori conseguenti e connessi, nonché l’efficacia dei titoli abilitativi già rilasciati alla medesima data, anche ai fini della esecuzione delle attività di ricerca, sviluppo e coltivazione da autorizzare nell’ambito dei titoli stessi, delle eventuali relative proroghe e dei procedimenti autorizzatori e concessori conseguenti e connessi». L’ampia portata normativa consentiva non solo il rilascio dei permessi e delle concessioni di coltivazione in esito ai procedimenti pendenti alla data indicata, ma anche che al titolare del permesso, che avesse rinvenuto un giacimento di idrocarburi tecnicamente ed economicamente suscettibile di sviluppo, fosse accordata la concessione di coltivazione, così come previsto dall’art. 9, comma 1, della legge n. 9 del 1991.

Per effetto della sostituzione operata dalla norma censurata, l’art. 6, comma 17, del d.lgs. n. 152 del 2006 dispone che «I titoli abilitativi già rilasciati sono fatti salvi per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale».

Dal raffronto tra le due versioni normative si evince che non è più consentito il rilascio dei titoli minerari di cui alla legge n. 9 del 1991 all’esito dei procedimenti in corso, mentre il testo della disposizione come sostituita non è chiaro quanto alla sorte dei permessi di prospezione e ricerca già rilasciati.

Se la locuzione «titoli abilitativi» è sufficientemente ampia da includere anche tali permessi tra quelli prorogati, deve tuttavia concludersi che l’art. 6, comma 17, del d.lgs. n. 152 del 2006 si riferisca ora esclusivamente alle concessioni di coltivazione.

Anzitutto, si deve evidenziare come la norma impugnata, sopprimendo anche il riferimento ai procedimenti concessori di cui all’art. 9 della legge n. 9 del 1991 in corso, abbia precluso il rilascio delle concessioni di coltivazione a seguito dell’esaurimento dell’attività di ricerca utilmente eseguita, evenienza in cui il grado di affidamento ingeneratosi nel titolare del permesso è particolarmente elevato, visto che il comma 1 del citato art. 9 gli riconosce un accesso privilegiato, se non addirittura un diritto alla concessione in caso di invenzione del giacimento.

Se, dunque, è precluso il rilascio di titoli abilitativi alla coltivazione anche nel caso di avvenuto rinvenimento di idrocarburi, sarebbe evidentemente irragionevole interpretare la disposizione censurata nel senso che, di contro, essa abbia inteso mantenere in vita i permessi che semplicemente consentono prospezione e ricerca – allo stato ancora infruttuose e potenzialmente destinate a rimanere tali, dunque fondanti un affidamento meno intenso – i quali hanno senso logico ed economico solo se potenzialmente suscettibili di condurre al rilascio della concessione di coltivazione.

D’altra parte, la più ampia dizione precedentemente utilizzata, che permetteva il completo sviluppo della sequenza provvedimentale permesso di prospezione e ricerca-concessione di coltivazione, non è stata riprodotta in occasione della sostituzione normativa.

Infine, l’interpretazione restrittiva della disposizione trova conforto nel dato letterale, laddove la proroga viene accordata «per la durata di vita utile del giacimento», termine ultimo che si attaglia specificamente solo alla concessione di coltivazione, sia perché le attività di prospezione e ricerca ad essa funzionali sono scollegate dall’effettiva esistenza di un giacimento – che potrebbe anche non essere rinvenuto – sia perché appaiono di per sé inidonee ad incidere significativamente sulla consistenza dello stesso, erodendolo.

Alla luce delle considerazioni che precedono, si deve concludere che l’art. 1, comma 239, della legge n. 208 del 2015 si riferisca alle sole concessioni di coltivazione. Ne consegue l’infondatezza della questione di legittimità costituzionale della norma «nella parte in cui fa salvi tutti i titoli abilitativi, anziché le sole concessioni di coltivazione».

4.– L’art. 1, comma 240, lettera b), della legge n. 208 del 2015 abroga l’art. 38, comma 1-bis, del d.l. n. 133 del 2014, il quale prevedeva che «Il Ministro dello sviluppo economico, con proprio decreto, sentito il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, predispone un piano delle aree in cui sono consentite le attività di cui al comma 1. Il piano, per le attività sulla terraferma, è adottato previa intesa con la Conferenza unificata. In caso di mancato raggiungimento dell’intesa, si provvede con le modalità di cui all’articolo 1, comma 8-bis, della legge 23 agosto 2004, n. 239. Nelle more dell'adozione del piano i titoli abilitativi di cui al comma 1 sono rilasciati sulla base delle norme vigenti prima della data di entrata in vigore della presente disposizione».

L’abrogazione ha determinato la soppressione del piano – peraltro, mai concretamente adottato – delle aree disponibili per le attività minerarie.

4.1.– Le censure relative all’asserita violazione del riparto interno, tra Stato e regioni, delle competenze legislative assumono carattere pregiudiziale, sotto il profilo logico-giuridico, rispetto alle censure intese a denunciare la violazione dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario, che investono i contenuti delle scelte legislative concretamente operate (ex plurimis, sentenza n. 209 del 2013). Le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 240, lettera b), della legge n. 208 del 2015 in riferimento agli artt. 117, terzo comma, e 118, primo comma, Cost., nonché al principio di leale collaborazione, non sono fondate.

Secondo le ricorrenti, in base alla norma abrogata le attività di prospezione, ricerca e coltivazione degli idrocarburi sulla terraferma avrebbero potuto eseguirsi solo nelle aree individuate dal piano da adottarsi previa intesa con la Conferenza unificata quale momento di raccordo con le regioni, ora private di ogni interlocuzione.

La censura è destituita di fondamento in quanto, abrogando l’art. 38, comma 1-bis, del d.l. n. 133 del 2014 e sopprimendo il piano delle aree ivi previsto, nonché la disciplina per la sua adozione ed il regime transitorio da applicarsi ai titoli minerari fino a tale momento, il legislatore statale ha sostanzialmente rinunciato all’attrazione in sussidiarietà – presidiata dai parametri evocati dalle ricorrenti – che la norma realizzava, presupposto per il coinvolgimento regionale attraverso l’intesa.

D’altra parte, la disposizione censurata non ha prodotto l’effetto di estromettere le regioni da ogni decisione afferente alle attività minerarie sulla terraferma, atteso che, per il rilascio dei relativi titoli abilitativi, sia, in generale, l’art. 1, comma 7, lettera n), della legge n. 239 del 2004, sia, con specifico riguardo al titolo concessorio unico, l’art. 38, comma 6, lettera b), del d.l. n. 133 del 2014 richiedono l’intesa con la regione interessata.

4.2.– Le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 240, lettera b), della legge n. 208 del 2015, in riferimento all’artt. 117, primo comma, Cost. ed in relazione agli artt. 2, paragrafo 1, e 3, paragrafi 2 e 3, della direttiva n. 94/22/CE del 1994, non sono fondate.

Diversamente da quanto dedotto dalle ricorrenti, dalle evocate disposizioni della citata direttiva non si evince affatto l’esistenza di un obbligo in capo allo Stato di preventiva pianificazione delle aree aperte alle attività di prospezione, ricerca e coltivazione degli idrocarburi, di certo non esplicitamente affermato, nemmeno nei "considerando”.

In particolare, l’art. 2, paragrafo 1, della direttiva prevede che «Gli Stati membri mantengono il diritto di determinare, all’interno del loro territorio, le aree da rendere disponibili per le attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi».

Sia che la disposizione si intenda nel senso che gli Stati membri sono liberi di stabilire dove consentire l’esercizio delle attività minerarie – «considerando che gli Stati membri hanno sovranità e diritti sovrani sulle risorse di idrocarburi che si trovano nel loro territorio» (IV considerando della direttiva n. 94/22/CE del 1994) – sia, a maggior ragione, che la si legga nel senso di riconoscere loro la facoltà di determinare preventivamente o meno le aree da rendere disponibili, la pianificazione non risulta implicitamente imposta dalla disposizione in considerazione.

Peraltro, l’impiego del verbo «mantengono» dimostra che sul punto la direttiva non ha inteso alterare la situazione precedente, come si verificherebbe con l’introduzione dell’obbligo di pianificazione che le ricorrenti pretendono di ricondurre al suo intervento.

Non depone nel senso da esse invocato nemmeno l’art. 3 della direttiva, il quale si occupa dei procedimenti autorizzatori.

In particolare, il paragrafo 2 di detto articolo prevede che il procedimento sia avviato mediante avviso – frutto di iniziativa delle autorità competenti (lettera a) o di un soggetto («ente») che abbia presentato domanda (lettera b) – che indichi «l’area o le aree geografiche che sono o possono essere, in parte o interamente, oggetto di domanda».

Tale previsione non implica necessariamente la precedente e generale determinazione delle aree disponibili per le attività minerarie, ammettendo che esse vengano identificate di volta in volta – d’altra parte, l’avviso potrebbe riguardare anche solo una singola area o una sua porzione – a seguito dell’autonoma iniziativa dell’amministrazione o della domanda dell’interessato, salvo comunque, in quest’ultimo caso, che lo Stato individui la zona interessata come disponibile per le attività minerarie in considerazione («fatto salvo l’articolo 2, paragrafo 1»).

Indiretto avallo a quanto fin qui illustrato deriva dal paragrafo 3 del medesimo art. 3, il quale, nel disciplinare un procedimento autorizzatorio alternativo a quello del paragrafo 2, prevede sì, nei casi indicati dalle lettere a), b) e c), un’individuazione generale e preventiva delle aree disponibili per le quali manifestare interesse, disponendo la «pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee di un avviso» avente tale contenuto. Tuttavia, il rilievo che nella fattispecie vi sia una prescrizione espressa, viceversa non rinvenibile con riferimento a quelle contemplate dal paragrafo 2, e la circostanza che l’applicazione del paragrafo 3 sia rimessa all’intenzione in tal senso dello Stato membro – «Uno Stato membro che intenda applicare il presente paragrafo provvede […] alla pubblicazione […]» – dimostrano ulteriormente l’insussistenza dell’obbligo di pianificazione dedotto dalle ricorrenti.

Sebbene la pianificazione appaia strumento capace di favorire il buon andamento dell’amministrazione, alla luce delle considerazioni svolte le disposizioni della direttiva evocate a parametro interposto non impongono un siffatto obbligo, con conseguente infondatezza delle questioni proposte.

Gli argomenti illustrati impediscono l’insorgenza di dubbi circa la corretta esegesi della normativa europea, onde l’insussistenza degli estremi per un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia (sentenza n. 110 del 2015; ordinanze n. 207 del 2013 e n. 103 del 2008).

5.– L’art. 1, comma 240, lettera c), della legge n. 208 del 2015 ha sostituito l’art. 38, comma 5, del d.l. n. 133 del 2014, statuendo che «Le attività di ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi sono svolte con le modalità di cui alla legge 9 gennaio 1991, n. 9, o a seguito del rilascio di un titolo concessorio unico, sulla base di un programma generale di lavori articolato in una prima fase di ricerca, per la durata di sei anni, a cui seguono, in caso di rinvenimento di un giacimento tecnicamente ed economicamente coltivabile, riconosciuto dal Ministero dello sviluppo economico, la fase di coltivazione della durata di trent’anni, salvo l’anticipato esaurimento del giacimento, nonché la fase di ripristino finale».

In tal modo, da un lato, ha previsto la coesistenza delle due tipologie di titoli abilitativi e, dall’altro, ha escluso la prorogabilità del titolo concessorio unico – come si desume dal raffronto con il precedente testo della disposizione, che la consentiva – viceversa possibile per i titoli abilitativi rilasciati ai sensi della legge n. 9 del 1991.

5.1.– Le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 240, lettera c), della legge n. 208 del 2015, in riferimento agli artt. 117, terzo comma, e 118, primo comma, Cost., nonché al principio di leale collaborazione, non sono fondate.

Sebbene la disposizione sia astrattamente riconducibile alla materia concorrente «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», occupandosi dei titoli che abilitano alle attività minerarie nel settore degli idrocarburi, non si ravvisano i presupposti per la chiamata in sussidiarietà, la quale implica, come detto, la sussistenza di una competenza regionale. Le regioni, infatti, non hanno alcuna competenza con riguardo alle attività di prospezione, ricerca e coltivazione degli idrocarburi in mare (di recente, sentenza n. 39 del 2017). Ne consegue l’infondatezza della pretesa delle ricorrenti di coinvolgimento regionale, attraverso l’intesa, nel rilascio dei titoli abilitativi a dette attività che ivi dovrebbero svolgersi.

5.2.– Le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 240, lettera c), della legge n. 208 del 2015 in riferimento al principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost. sono inammissibili.

La circostanza che le attività minerarie nel settore degli idrocarburi siano suscettibili di proroga o meno se poste in essere, rispettivamente, sulla base dei titoli abilitativi di cui alla legge n. 9 del 1991 ovvero del titolo concessorio unico non rende l’addizione richiesta dalle ricorrenti – vale a dire l’estensione del regime di improrogabilità di quest’ultimo ai primi – costituzionalmente obbligata (ex plurimis, sentenza n. 30 del 2014), visto che la possibilità di proroga non è di per sé costituzionalmente illegittima e le ricorrenti non spendono alcun argomento al riguardo (sentenza n. 134 del 2016).

5.3.– Le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 240, lettera c), della legge n. 208 del 2015 in riferimento al principio di leale collaborazione – proposte in via subordinata rispetto a quelle di cui al punto precedente – sono inammissibili.

Le ricorrenti non spiegano la ragione per cui, nonostante l’art. 1, comma 7, lettera n), della legge n. 239 del 2004 preveda che «le determinazioni» inerenti alla prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi siano adottate, per la terraferma, di intesa con le regioni interessate, ritengono che il provvedimento di proroga dei titoli abilitativi di cui alla legge n. 9 del 1991 non la richieda. La mancata considerazione del contesto normativo in cui si colloca la norma censurata determina una carenza argomentativa che inficia l’ammissibilità delle questioni per oscurità della motivazione (ex multis, sentenza n. 40 del 2016).

5.4.– La questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 240, lettera c), della legge n. 208 del 2015 promossa dalla sola Regione Veneto in riferimento agli artt. 3, 9, 97 e 117, terzo e quarto comma, Cost. è in parte inammissibile ed in parte infondata.

Sono inammissibili le censure con le quali la ricorrente denuncia la violazione degli artt. 9, 97 e 117, terzo e quarto comma, Cost. senza offrire adeguata motivazione a supporto dell’asserita illegittimità, limitandosi ad evocare i relativi parametri.

Quanto alla dedotta violazione del principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., la questione non è fondata.

Dalla lettura della disposizione risulta evidente come i poteri afferenti alla coltivazione, che trovano fondamento nel titolo concessorio unico, siano esercitabili subordinatamente alla scoperta del giacimento coltivabile, visto che l’art. 38, comma 5, del d.l. n. 133 del 2014 espressamente prevede che la fase di coltivazione segua solo «in caso di rinvenimento di un giacimento tecnicamente ed economicamente coltivabile, riconosciuto dal Ministero dello sviluppo economico». Con la conseguenza che, in un’ottica acceleratoria e semplificatoria, non è di per sé irragionevole – né la ricorrente spende particolari argomenti al riguardo – attribuire i poteri ex ante solo per il caso in cui effettivamente sia scoperto un giacimento suscettibile di sviluppo, situazione in cui potranno essere concretamente esercitati. Ciò rende infondato il primo profilo di censura.

Quanto al secondo, giova rilevare come qualunque attività di prospezione e ricerca degli idrocarburi postuli necessariamente l’identificazione delle zone in cui svolgerla, a prescindere dalla tipologia di provvedimento che a ciò abiliti. Dunque, l’eventuale difficoltà di specificazione delle aree interessate dal programma generale di lavori, sulla base del quale rilasciare il titolo concessorio unico secondo la norma censurata, non è esclusivamente correlata alla modalità ivi prevista bensì connaturata alle attività minerarie in sé. Ne consegue che la denunciata difficoltà, preteso indice di irragionevolezza, costituisce un mero inconveniente di fatto, «che secondo la giurisprudenza di questa Corte non è idoneo ad introdurre il giudizio di legittimità di una norma (sentenza n. 117 del 2012 e ordinanza n. 362 del 2008)» (ordinanza n. 158 del 2014) in quanto non direttamente riferibile alla previsione normativa, ma ricollegabile, invece, «a circostanze contingenti attinenti alla sua concreta applicazione (sentenza n. 270 del 2012), non involgenti, per ciò, un problema di costituzionalità (sentenza n. 295 del 1995)» (sentenza n. 157 del 2014).

6.– L’art. 1, comma 241, della legge n. 208 del 2015 ha soppresso nell’art. 57, comma 3-bis, del d.l. n. 5 del 2012 il richiamo all’art. 1, comma 8-bis, della legge n. 239 del 2004, con la conseguenza che, per le autorizzazioni relative alle infrastrutture strategiche ed alle opere di cui, rispettivamente, ai commi 1 e 2 del menzionato art. 57, «[i]n caso di mancato raggiungimento delle intese si provvede con le modalità di cui all’articolo 14-quater, comma 3, della legge 7 agosto 1990, n. 241».

Sia l’art. 1, comma 8-bis, della legge n. 239 del 2004 che l’art. 14-quater, comma 3, della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi) – art. 14-quinquies della legge n. 241 del 1990, come sostituito dall’art. 1, comma 1, del decreto legislativo 30 giugno 2016, n. 127 (Norme per il riordino della disciplina in materia di conferenza di servizi, in attuazione dell’articolo 2 della legge 7 agosto 2015, n. 124) – dettano procedure volte a superare l’eventuale stallo nel raggiungimento dell’intesa tra Stato e regioni; tuttavia, la prima disposizione «disciplina gli effetti di "condotte meramente passive delle amministrazioni regionali, concretanti esse stesse ipotesi di mancata collaborazione” (sentenza n. 239 del 2013), mentre l’art. 14-quater, comma 3, della legge n. 241 del 1990 trova applicazione quando la Regione non si è sottratta alle trattative ma l’intesa ugualmente non è stata raggiunta, a causa di un motivato dissenso» (sentenza n. 142 del 2016).

6.1.– Tanto premesso, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 241, della legge n. 208 del 2015 promossa dalla Regione Veneto in riferimento agli artt. 117, terzo e quarto comma, e 118 Cost., nonché al principio di leale collaborazione, è inammissibile.

La ricorrente, infatti, oltre ad evocare l’art. 117, quarto comma, Cost. senza addurre alcuna motivazione – considerato che, a suo stesso dire, la norma andrebbe ricondotta alla competenza concorrente in materia di «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia» – non spiega la ragione per cui, pur permanendo la necessità dell’intesa (art. 57, comma 2, del d.l. n. 5 del 2012), l’eliminazione della procedura che consente di superare l’inerzia della regione in ordine al suo raggiungimento ne pregiudichi il coinvolgimento, indebolendone la posizione piuttosto che rafforzarla.

Quand’anche la ricorrente intenda dolersi del fatto che l’eliminazione del richiamo all’art. 1, comma 8-bis, della legge n. 239 del 2004 determinerebbe l’estensione della procedura di cui all’art. 14-quater, comma 3, della legge n. 241 del 1990 anche alle ipotesi di inerzia regionale, non solo non illustra il percorso esegetico che supporta tale conclusione, ma omette completamente di indicare le ragioni per le quali la procedura dettata dall’art. 14-quater, comma 3 – vigente prima di essere sostituita da quella di cui all’art. 14-quinquies della legge n. 241 del 1990 per effetto del d.lgs. n. 127 del 2016 – sarebbe costituzionalmente illegittima.

Il riscontrato difetto argomentativo non può essere colmato dalla memoria illustrativa depositata dalla Regione in prossimità dell’udienza, con la quale non è possibile ovviare a precedenti carenze motivazionali (sentenze n. 202 del 2016, n. 423 e n. 286 del 2004).

Infine, non può essere accolta la richiesta (contenuta nella memoria regionale) con cui la ricorrente sollecita questa Corte a rimettere dinanzi a sé la questione di legittimità costituzionale degli artt. 1, comma 1, del d.lgs. n. 127 del 2016 e 2, comma 2, della legge 7 agosto 2015, n. 124 (Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche). Per scrutinare le questioni proposte, infatti, questa Corte non è chiamata a fare applicazione della disciplina dettata dalle due disposizioni, l’una relativa alla nuova procedura per superare il dissenso regionale in sede di intesa, l’altra afferente alle modalità procedimentali di adozione del decreto delegato che la introduce, le quali non contemplano l’intesa con le Regioni ma solo il parere della Conferenza unificata.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riservata a separate pronunce la decisione delle ulteriori questioni di legittimità costituzionali promosse con il ricorso iscritto al reg. ric. n. 17 del 2016;

riuniti i giudizi,

1) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 239, della legge 28 dicembre 2015, n. 208 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge di stabilità 2016), promosse, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), e terzo comma, della Costituzione, dalle Regioni Puglia e Veneto rispettivamente con i ricorsi n. 18 del 2016 e n. 19 del 2016 indicati in epigrafe;

2) dichiara non fondate le questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 239, della legge n. 208 del 2015, promosse, in riferimento agli artt. 97, 117, terzo comma, e 118, primo comma, Cost., nonché al principio di leale collaborazione, dalle Regioni Puglia e Veneto rispettivamente con i ricorsi n. 18 del 2016 e n. 19 del 2016 indicati in epigrafe;

3) dichiara non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 239, della legge n. 208 del 2015, promosse, in riferimento al principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., dalle Regioni Puglia e Veneto rispettivamente con i ricorsi n. 18 del 2016 e n. 19 del 2016 indicati in epigrafe;

4) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 240, lettera b), della legge n. 208 del 2015, promosse, in riferimento agli artt. 117, primo comma – in relazione agli artt. 2, paragrafo 1, e 3, paragrafi 2 e 3, della direttiva 30 maggio 1994, n. 94/22/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alle condizioni di rilascio e di esercizio delle autorizzazioni alla prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi) – e terzo comma, e 118, primo comma, Cost., nonché al principio di leale collaborazione, dalle Regioni Puglia e Veneto rispettivamente con i ricorsi n. 18 del 2016 e n. 19 del 2016 indicati in epigrafe;

5) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 240, lettera c), della legge n. 208 del 2015, promosse, in riferimento agli artt. 117, terzo comma, e 118, primo comma, Cost., nonché al principio di leale collaborazione, dalle Regioni Puglia e Veneto rispettivamente con i ricorsi n. 18 del 2016 e n. 19 del 2016 indicati in epigrafe;

6) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 240, lettera c), della legge n. 208 del 2015, promosse, in riferimento al principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., dalle Regioni Puglia e Veneto rispettivamente con i ricorsi n. 18 del 2016 e n. 19 del 2016 indicati in epigrafe;

7) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 240, lettera c), della legge n. 208 del 2015, promosse, in riferimento principio di leale collaborazione, dalle Regioni Puglia e Veneto rispettivamente con i ricorsi n. 18 del 2016 e n. 19 del 2016 indicati in epigrafe;

8) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 240, lettera c), della legge n. 208 del 2015 promossa, in riferimento agli artt. 9, 97 e 117, terzo e quarto comma, Cost., dalla Regione Veneto con il ricorso n. 19 del 2016 indicato in epigrafe;

9) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 240, lettera c), della legge n. 208 del 2015 promossa, in riferimento al principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., dalla Regione Veneto con il ricorso n. 19 del 2016 indicato in epigrafe;

10) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 241, della legge n. 208 del 2015, promossa, in riferimento agli artt. 117, terzo e quarto comma, e 118 Cost., nonché al principio di leale collaborazione, dalla Regione Veneto con il ricorso n. 17 del 2016 indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l’11 aprile 2017.

F.to:

Paolo GROSSI, Presidente

Aldo CAROSI, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 19 maggio 2017.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: Roberto MILANA