Ordinanza n. 54 del 2017

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ORDINANZA N. 54

ANNO 2017

 

Commento alla decisione di

 

Enrico Andolfatto

Nuovo giudizio di legittimità costituzionale sulla sospensione del procedimento con messa alla prova: la Consulta respinge tre questioni sollevate dal Tribunale di Prato

 

per g.c. di Diritto Penale Contemporaneo

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-      Paolo                           GROSSI                                           Presidente

-      Giorgio                        LATTANZI                                       Giudice

-      Aldo                            CAROSI                                                   ”

-      Marta                           CARTABIA                                             ”

-      Mario Rosario             MORELLI                                                ”

-      Giancarlo                     CORAGGIO                                            ”

-      Giuliano                       AMATO                                                   ”

-      Silvana                         SCIARRA                                                ”

-      Daria                            de PRETIS                                               ”

-      Nicolò                          ZANON                                                               ”

-      Augusto Antonio       BARBERA                                               ”

-      Giulio                          PROSPERETTI                                        ”

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 168-bis del codice penale e degli artt. 464-bis e seguenti del codice di procedura penale, promosso dal Tribunale ordinario di Prato nel procedimento penale a carico di S.P., con ordinanza del 21 aprile 2015, iscritta al n. 289 del registro ordinanze 2015 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 50, prima serie speciale, dell’anno 2015.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio dell’11 gennaio 2017 il Giudice relatore Giorgio Lattanzi.

Ritenuto che, con ordinanza del 21 aprile 2015 (r.o. n. 289 del 2015), il Tribunale ordinario di Prato ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24 e 27 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale «degli artt. 168 bis c.p. e 464 bis e ss. c.p.p.»;

che il giudice a quo premette di essere investito di un procedimento penale a carico di una persona imputata del reato di cui all’art. 256, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), per avere effettuato uno smaltimento di rifiuti speciali non pericolosi;

che la difesa dell’imputato ha chiesto che venissero sollevate, in riferimento agli artt. 3, 24 e 27 Cost., questioni di legittimità costituzionale degli artt. 168-bis del codice penale e 464-bis e seguenti del codice di procedura penale, relativi alla sospensione del procedimento con messa alla prova;

che le questioni sarebbero rilevanti, in quanto «dal capo di imputazione, dagli atti contenuti nel fascicolo del dibattimento e dalla documentazione prodotta dalla difesa a sostegno della richiesta di sospensione con messa alla prova emerge la ricorrenza, nel caso di specie, di tutti i presupposti oggettivi e soggettivi che consentirebbero l’ammissione alla messa alla prova»;

che l’art. 168-bis cod. pen. violerebbe l’art. 3 Cost., perché «il legislatore, con l’articolo 168 bis c.p., ha riconosciuto la possibilità della sospensione con messa alla prova per un numero cospicuo di reati tra loro molto diversi», e «[c]iò, a norma dell’art. 3 Cost. imporrebbe una diversificazione della disciplina idonea ad impedire che casi tra loro diversi ricevano un identico trattamento»;

che l’omessa indicazione nell’art. 168-bis cod. pen. della durata massima del lavoro di pubblica utilità, dei parametri per determinarla e del soggetto competente alla determinazione violerebbe l’art. 24 Cost., perché impedirebbe all’imputato di conoscere le sanzioni in cui può incorrere;

che la durata massima del lavoro di pubblica utilità non potrebbe essere desunta, né dall’art. 464-quater, comma 5, cod. proc. pen., che si riferisce alla durata massima della sospensione del procedimento, né dall’art. 54 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell’articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468), il quale «trova applicazione solo ove espressamente richiamato»;

che, infine, le questioni di legittimità costituzionale relative al nuovo istituto sarebbero non manifestamente infondate anche con riferimento all’art. 27 Cost., in quanto la messa alla prova, «pur non potendosi considerare formalmente una pena, ne possiede le caratteristiche sostanziali»; pertanto, «la mancata previsione di un limite massimo di durata e l’omessa predeterminazione dei criteri da seguire per la sua predisposizione viol[erebbero] il finalismo rieducativo che la sanzione penale deve indefettibilmente possedere»;

che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, e ha chiesto che le questioni siano dichiarate inammissibili e comunque non fondate;

che la difesa dello Stato ha eccepito l’inammissibilità delle questioni sollevate per omesso esperimento del previo tentativo di interpretare le norme censurate in senso conforme alla Costituzione;

che, nel merito, le questioni sarebbero infondate, perché un’interpretazione sistematica degli artt. 168-bis cod. pen. e 464-quater cod. proc. pen. indurrebbe a ritenere che l’ammissione dell’imputato alla prova non è automatica, ma è «frutto di una valutazione discrezionale dell’autorità giudiziaria fondata sulla considerazione della gravità e della natura del reato, della capacità a delinquere dell’imputato e della sua personalità»;

che, di conseguenza, l’eterogeneità dei reati a cui è applicabile il nuovo istituto non lo renderebbe incompatibile con l’art. 3 Cost.;

che le norme censurate non violerebbero neanche gli artt. 24 e 27 Cost., in quanto «la durata della messa alla prova e dunque del termine entro il quale l’imputato deve conformarsi alle prescrizioni riparatorie e risarcitorie, nonché la prestazione del lavoro di pubblica utilità» sono stabilite sulla base del programma di trattamento elaborato d’intesa con l’ufficio di esecuzione penale esterna e sottoposto al giudizio di idoneità da parte del giudice;

che peraltro l’art. 464-quater, comma 5, cod. proc. pen. prevede che la durata della sospensione, e conseguentemente quella del lavoro di pubblica utilità, non può essere superiore a un anno per i reati puniti con la sola pena pecuniaria e a due anni per i reati puniti con la pena detentiva;

che inoltre i «criteri cui il giudice deve attenersi nel vaglio di congruità della durata e dell’intensità del lavoro di pubblica utilità» potrebbero essere desunti, in via analogica, dall’art. 133 cod. pen., tenendo conto, sia della gravità concreta del reato, sia del grado di colpevolezza dell’imputato e delle sue esigenze di risocializzazione.

Considerato che, con ordinanza del 21 aprile 2015 (r.o. n. 289 del 2015), il Tribunale ordinario di Prato ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24 e 27 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale «degli artt. 168 bis c.p. e 464 bis e ss. c.p.p.»;

che l’Avvocatura generale dello Stato ha eccepito l’inammissibilità delle questioni sollevate per l’omesso esperimento del tentativo di interpretare le norme censurate in senso conforme alla Costituzione;

che l’eccezione è priva di fondamento perché è argomentata facendo riferimento alle ragioni che secondo l’Avvocatura generale dovrebbero determinare il rigetto delle questioni di legittimità costituzionale;

che queste ragioni non possono riverberarsi sull’ammissibilità delle questioni, sotto il profilo del mancato tentativo di un’interpretazione costituzionalmente conforme, ma attengono al merito e come tali vanno considerate;

che le questioni di legittimità costituzionale, pur essendo state, nelle premesse e nel dispositivo dell’ordinanza, genericamente riferite agli «artt. 168 bis c.p. e 464 bis e ss. c.p.p.», sono specificate e motivate solo in rapporto all’art. 168-bis del codice penale;

che le questioni relative agli artt. 464-bis e seguenti del codice di procedura penale sono manifestamente inammissibili, sia perché le norme censurate, indicate con l’espressione “e seguenti”, sono indeterminate, sia perché non sono espresse le ragioni della loro denunciata illegittimità costituzionale;

che il giudice rimettente ritiene che l’art. 168-bis cod. pen. contrasti con l’art. 3 Cost., perché la possibilità di accedere all’istituto della messa alla prova è prevista per numerosi reati, molto diversi tra loro «per tipo e per trattamento sanzionatorio», sicché solo una diversificazione della disciplina, che nella specie manca, sarebbe stata «idonea ad impedire che casi tra loro diversi ricevano un identico trattamento»;

che la sospensione del procedimento con messa alla prova costituisce un istituto che ha «effetti sostanziali, perché dà luogo all’estinzione del reato, ma è connotato da un’intrinseca dimensione processuale, in quanto consiste in un nuovo procedimento speciale, alternativo al giudizio» (sentenza n. 240 del 2015);

che normalmente un procedimento speciale è destinato a trovare applicazione rispetto, se non a tutti i reati (come nel caso del giudizio abbreviato), almeno a molti di essi, nell’ambito di determinati limiti di categoria o di pena, e la differenziazione nel trattamento dei singoli casi avviene ad opera del giudice, con riferimento a parametri di carattere generale indicati dal legislatore;

che, come ha precisato la Corte di cassazione, la normativa sulla sospensione del procedimento con messa alla prova comporta una diversificazione dei contenuti, prescrittivi e di sostegno, del programma di trattamento, con l’affidamento al giudice di «un giudizio sull’idoneità del programma, quindi sui contenuti dello stesso, comprensivi sia della parte “afflittiva” sia di quella “rieducativa”, in una valutazione complessiva circa la rispondenza del trattamento alle esigenze del caso concreto, che presuppone anche una prognosi di non recidiva» (Sezioni unite, 31 marzo 2016, n. 33216);

che questo giudizio deve svolgersi «in base ai parametri di cui all’articolo 133 del codice penale», richiamati dall’art. 464-quater, comma 3, cod. proc. pen.;

che il trattamento dell’imputato nei diversi casi oggetto del procedimento speciale in questione risulta perciò necessariamente diverso;

che quindi è manifestamente priva di ogni fondamento la tesi del giudice rimettente, secondo cui la norma impugnata sarebbe in contrasto con l’art. 3 Cost. perché non sarebbe «idonea ad impedire che casi tra loro diversi ricevano un identico trattamento»;

che, secondo il giudice a quo, l’art. 168-bis cod. pen. sarebbe in contrasto anche con l’art. 24 Cost., perché l’omessa indicazione della durata massima del lavoro di pubblica utilità, dei parametri per determinarla e del soggetto competente a questa determinazione impedirebbe all’imputato di conoscere le sanzioni in cui può incorrere;

che, benché non espressamente indicata, la durata massima risulta indirettamente dall’art. 464-quater, comma 5, cod. proc. pen. perché, in mancanza di una sua diversa determinazione, corrisponde necessariamente alla durata della sospensione del procedimento, la quale non può essere: «a) superiore a due anni quando si procede per reati per i quali è prevista una pena detentiva, sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria; b) superiore a un anno quando si procede per reati per i quali è prevista la sola pena pecuniaria»;

che infatti, al termine del periodo di sospensione, il giudice, a norma dell’art. 464-septies cod. proc. pen., deve valutare l’esito della messa alla prova, «tenuto conto del comportamento dell’imputato e del rispetto delle prescrizioni stabilite», tra le quali vi sono anche quelle relative al lavoro di pubblica utilità, che alla cessazione della sospensione deve essere terminato;

che per determinare in concreto tale durata il giudice deve tenere conto dei criteri previsti dall’art. 133 cod. pen. e delle caratteristiche che dovrà avere la prestazione lavorativa, considerato che questa potrà svolgersi in giorni anche non continuativi, con una durata giornaliera da stabilire, nel limite massimo di otto ore, e che dovrà avvenire «con modalità che non pregiudichino le esigenze di lavoro, di studio, di famiglia e di salute dell’imputato» (art. 168-bis, terzo comma, cod. pen.);

che quindi è priva di ogni fondamento l’affermazione del giudice rimettente che le norme impugnate omettono «di indicare termine massimo di durata del lavoro di pubblica utilità, parametri e soggetto competente a determinarne l’entità»;

che, peraltro, la censura di violazione dell’art. 24 Cost., oltre che manifestamente infondata, è anche non pertinente, perché l’eventuale indeterminatezza normativa del trattamento, in cui consiste il programma di messa alla prova, attiene al profilo sostanziale e non a quello processuale dell’istituto in questione, e in particolare al diritto di difesa, che non è in alcun modo pregiudicato dalla norma censurata;

che infine sarebbe violato pure l’art. 27 Cost., in quanto, secondo il Tribunale rimettente, la messa alla prova, «pur non potendosi considerare formalmente una pena, ne possiede le caratteristiche sostanziali»; pertanto, «la mancata previsione di un limite massimo di durata e l’omessa predeterminazione dei criteri da seguire per la sua predisposizione viol[erebbero] il finalismo rieducativo che la sanzione penale deve indefettibilmente possedere»;

che anche questa censura è manifestamente infondata perché, come si è visto, sono ben determinati, sia la durata massima della sospensione del procedimento, e correlativamente del trattamento di messa alla prova, sia i criteri da seguire per stabilirla.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 1, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara manifestamente inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 464-bis e seguenti del codice di procedura penale, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 24 e 27 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Prato, con l’ordinanza indicata in epigrafe;

2) dichiara manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 168-bis del codice penale, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 24 e 27 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Prato, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l’11 gennaio 2017.

F.to:

Paolo GROSSI, Presidente

Giorgio LATTANZI, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 10 marzo 2017.