Sentenza n. 51 del 2017

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SENTENZA N. 51

ANNO 2017

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-      Paolo                           GROSSI                                           Presidente

-      Alessandro                  CRISCUOLO                                     Giudice

-      Giorgio                        LATTANZI                                              ”

-      Aldo                            CAROSI                                                   ”

-      Marta                           CARTABIA                                             ”

-      Mario Rosario             MORELLI                                                ”

-      Giancarlo                     CORAGGIO                                            ”

-      Giuliano                       AMATO                                                   ”

-      Silvana                         SCIARRA                                                ”

-      Daria                            de PRETIS                                               ”

-      Franco                         MODUGNO                                             ”

-      Augusto Antonio       BARBERA                                               ”

-      Giulio                          PROSPERETTI                                        ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 23, comma 3, e 43, comma 1, del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28 (Attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE), promossi dal Consiglio di Stato con quattro ordinanze del 9 luglio, una del 27 agosto, una del 20 ottobre ed una del 9 ottobre 2014, rispettivamente iscritte ai nn. 199, 200, 203, 233 e 241 del registro ordinanze 2014 e ai nn. 68 e 69 del registro ordinanze 2015 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 47 e 53, prima serie speciale, dell’anno 2014 e nn. 1 e 18 prima serie speciale, dell’anno 2015.

Visti gli atti di costituzione di T. G. in proprio e nella qualità di amministratore unico della Società Pollenza Sole srl, di Nicotra Energia srl, di Cirio Agricola srl, di MMP Power srl ed altri, di Ecopower II srl ed altri, di Megasolare Società Agricola srl in liquidazione, nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 21 febbraio 2017 il Giudice relatore Mario Rosario Morelli;

uditi gli avvocati Maria Alessandra Sandulli per MMP Power srl ed altri e per Ecopower II srl ed altri, Luca Forte per T. G. e per la Società Pollenza Sole srl, Salvatore Bellomia per Nicotra Energia srl, Alessandro Pallottino per Cirio Agricola srl, Orazio Abbamonte per Megasolare Società Agricola srl in liquidazione e l’avvocato dello Stato Marina Russo per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.− Nel corso di sei giudizi promossi da varie società e imprenditori individuali attivi nel settore del fotovoltaico, i quali chiedevano l’annullamento di provvedimenti sanzionatori adottati, nei loro confronti, dal Gestore dei servizi energetici (da ora: GSE) ai sensi e in applicazione della disposizione di cui all’art. 43, comma 1, del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28 (Attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE), il Consiglio di Stato, sezione sesta – adito in sede di appello avverso sentenze di primo grado favorevoli ai ricorrenti – premessane la rilevanza al fine della decisione in ordine alle concrete fattispecie sottoposte al suo esame – ha sollevato, con altrettante ordinanze di pressoché identico contenuto, questione incidentale di legittimità costituzionale del predetto art. 43, comma 1, del d.lgs. n. 28 del 2011, in riferimento agli artt. 3, 25, 76 e 117, primo comma, della Costituzione, in relazione (quest’ultimo) anche all’art. 7 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848 (CEDU).

1.1.− La norma denunciata si riferisce agli impianti fotovoltaici ai quali l’art. 2-sexies del decreto-legge 25 gennaio 2010, n. 3 (Misure urgenti per garantire la sicurezza di approvvigionamento di energia elettrica nelle isole maggiori), convertito, con modificazioni, dalla legge 22 marzo 2010, n. 41, ha esteso lo speciale regime incentivante previsto dal cosiddetto “secondo conto energia” (decreto del Ministero dello Sviluppo economico 19 febbraio 2007) a condizione che «abbiano concluso, entro il 31 dicembre 2010, l’installazione dell’impianto […] ed entrino in esercizio entro il 30 giugno 2011». E, a tal riguardo, dispone che fatte salve le norme penali – qualora, in sede di esame della domanda di incentivazione, sia stato accertato che i lavori di installazione dell’impianto, contrariamente a quanto dichiarato dal richiedente, non siano stati conclusi alla data suddetta – «il GSE rigetta l’istanza di incentivo e dispone contestualmente l’esclusione dagli incentivi degli impianti che utilizzano anche in altri siti le componenti dell’impianto non ammesso all’incentivazione. Con lo stesso provvedimento il GSE dispone l’esclusione dalla concessione di incentivi per la produzione di energia elettrica di sua competenza, per un periodo di dieci anni dalla data dell’accertamento della persona fisica o giuridica che ha presentato la richiesta» e degli altri soggetti ivi elencati.

1.2.– Secondo il Consiglio rimettente, la riferita disposizione si porrebbe, appunto, in contrasto:

con l’art. 76 Cost. «nella parte in cui ha introdotto una sanzione interdittiva e non pecuniaria senza, peraltro, graduarne l’applicazione nel rispetto delle modalità predeterminate» dalla legge 4 giugno 2010, n. 96 (Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee – Legge comunitaria 2009), disciplinando un «oggetto privo di copertura da parte della legge di delegazione»;

con l’art. 25 Cost., «prevedendo una misura afflittiva finalizzata a sanzionare comportamenti posti in essere prima della entrata in vigore del decreto stesso»;

con l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 7 della CEDU, in quanto «l’assegnazione alla “materia penale” di un significato ampio conduce a ritenere che anche il potere amministrativo sanzionatorio deve essere esercitato nel rispetto […] dei principi sanciti dal citato art. 7», per il quale non può essere inflitta una pena più grave di quella applicabile al momento in cui il reato è stato commesso;

con l’art. 3 Cost., «contemplando un sistema sanzionatorio rigido applicabile indistintamente a tutte le fattispecie senza che l’autorità amministrativa competente possa modulare l’irrogazione della sanzione a seconda della valenza degli elementi oggettivi e soggettivi della fattispecie stessa»;

con l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione ai, non rispettati, vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario, per il quale le autorità preposte all’irrogazione delle sanzioni, in materie di rilevanza europea, quale quella in esame, debbono rispettare il principio di proporzionalità.

1.3.– Nei giudizi relativi alle ordinanze di rimessione nn. 199, 200, 203 e 233 del 2014, si sono costituite talune delle parti appellate nei procedimenti a quibus, le quali hanno tutte, del pari, auspicato una declaratoria di illegittimità costituzionale della disposizione impugnata.

Nel giudizio relativo all’ordinanza n. 68 del 2015, le tre società ricorrenti, costituitesi con unica memoria, hanno chiesto, in via principale, una dichiarazione di non fondatezza della questione, sollevata sulla base di una interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 43 del d.lgs. n. 28 del 2011 che valorizzi, ai fini dell’applicabilità della sanzione ivi prevista, «non la mera intempestività della fine dei lavori entro il dichiarato termine del 31 dicembre 2010, ma l’esplicita volontà, manifestata dopo l’entrata in esercizio dell’impianto, di voler usufruire dei benefici di cui al d.m. 19 febbraio 2007»; e, in subordine, hanno concluso anch’esse per la fondatezza delle censure prospettate dal giudice rimettente.

In nessuno dei suddetti giudizi si è costituito il GSE, né è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri.

2.– In altro giudizio, nel quale formavano oggetto di impugnazione il provvedimento di decadenza dai benefici previsti dal decreto del Ministero dello Sviluppo economico 5 maggio 2011 (“quarto conto energia”) e il successivo provvedimento applicativo della «sanzione interdittiva» decennale di cui all’art. 23, comma 3, del medesimo d.lgs. n. 28 del 2011, la stessa sezione sesta del Consiglio di Stato – premessane la rilevanza e la non manifesta infondatezza in riferimento (in questo caso) ai soli artt. 3, 76 e 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 7 della CEDU – ha sollevato, con l’ordinanza n. 241 del 2014, questione di legittimità costituzionale del predetto art. 23, comma 3, del d.lgs. n. 28 del 2011.

Tale norma prevede, a regime, che «non hanno titolo a percepire gli incentivi per la produzione di energia da fonti rinnovabili, da qualsiasi fonte normativa previsti, i soggetti per i quali le autorità e gli enti competenti abbiano accertato che, in relazione alla richiesta di qualifica degli impianti o di erogazione degli incentivi, hanno fornito dati o documenti non veritieri, ovvero hanno reso dichiarazioni false o mendaci». Ed, a sua volta, aggiunge che «fermo restando il recupero delle somme indebitamente percepite, la condizione ostativa alla percezione degli incentivi ha durata di dieci anni dalla data dell’accertamento e si applica alla persona fisica o giuridica che ha presentato la richiesta» ed agli altri soggetti ivi indicati.

2.1.– In questo giudizio si è costituita una delle società ricorrenti, aderendo totalmente all’ordinanza di rimessione; ed è intervenuto, altresì, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per la non fondatezza della questione, sul presupposto che la disposizione censurata non preveda una sanzione accessoria, bensì «rispond[a] alla diversa finalità di individuare i requisiti per l’accesso agli incentivi».

Considerato in diritto

1.– Con le sei ordinanze, di pressoché identico contenuto, di cui si è detto nel Ritenuto in fatto, il Consiglio di Stato, sezione sesta, solleva questione di legittimità costituzionale dell’art. 43, comma 1, del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28 (Attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE), in riferimento agli artt. 3, 25, 76 e 117, primo comma, della Costituzione, in relazione (quest’ultimo) anche all’art. 7 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848 (da ora: CEDU).

1.1.– Con altra ordinanza (reg. ord. n. 241 del 2014), lo stesso giudice a quo sottopone a scrutinio di legittimità l’art. 23, comma 3, dello stesso decreto legislativo, in riferimento ai medesimi parametri di cui sopra, fatta eccezione per quello di cui all’art. 25 Cost.

2.– I sette riferiti giudizi – in sei dei quali vi è stata costituzione di parti private, e, solo in quello relativo all’ordinanza n. 241 del 2014, è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri – per identità, o connessione dei rispettivi oggetti, possono riunirsi per essere decisi con unica sentenza.

3.– Il d.lgs. n. 28 del 2011 – oggetto di impugnazione relativamente alle disposizioni di cui ai suoi artt. 23, comma 3, e 43, comma 1 – si inserisce in un articolato quadro normativo in tema di supporto alle fonti energetiche rinnovabili, che – in consonanza con le linee di indirizzo di fonte internazionale ed europea – ha preso avvio, nel mercato interno, con le misure di incentivazione introdotte dal decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 (Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità).

L’art. 7 del citato d.lgs. n. 387 del 2003 – rubricato «Disposizioni specifiche per il solare» – prende in considerazione la produzione di elettricità mediante conversione fotovoltaica della fonte solare e demanda a «uno o più decreti» interministeriali (del Ministro delle attività produttive, di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e d’intesa con la Conferenza unificata) la definizione dei criteri di incentivazione.

I decreti adottati in base a detto art. 7 sono noti con la denominazione di “conti energia” e sono identificati con numero ordinale progressivo in relazione alle versioni via via succedutesi, con le quali sono state avviate cinque diverse procedure di accesso alle incentivazioni.

Il decreto del Ministero dello Sviluppo economico 19 febbraio 2007 (“secondo conto energia”) ha introdotto gli incentivi per gli impianti entrati in esercizio in data successiva alla deliberazione dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas n. 90/2007 e fino al 31 dicembre 2010. E, in coerenza a tale previsione, l’art. 2-sexies del decreto-legge 25 gennaio 2010, n. 3 (Misure urgenti per garantire la sicurezza di approvvigionamento di energia elettrica nelle isole maggiori), convertito, con modificazioni, dalla legge 22 marzo 2010, n. 41, ha esteso tali incentivi a tutti i soggetti che avessero concluso l’installazione dell’impianto fotovoltaico entro il 31 dicembre 2010.

Poiché, peraltro, l’entrata in esercizio restava subordinata all’autorizzazione del gestore di rete alla connessione e alla realizzazione dell’impianto, per la quale occorrevano tempi lunghi e non preventivabili, sottratti alla disponibilità del richiedente, l’art. 1-septies del decreto-legge 8 luglio 2010, n. 105 (Misure urgenti in materia di energia), convertito, con modificazioni, dalla legge 13 agosto 2010, n. 129, modificando il predetto art. 2-sexies, ha esteso la possibilità di usufruire delle tariffe previste dal “secondo conto energia” a tutti gli impianti che alla data del 31 dicembre 2010 avessero completato i lavori di realizzazione e fossero poi entrati in esercizio entro il 30 giugno 2011, ponendo quale condizione, oltre a quelle già previste dall’art. 5 del citato d.m. 19 febbraio 2007 (tra le quali la presentazione della richiesta del beneficio entro sessanta giorni dalla data di entrata in esercizio dell’impianto), la comunicazione al gestore della rete e al Gestore dei servizi energetici (GSE) della fine dei lavori entro la suddetta data del 31 dicembre 2010, asseverata dalla dichiarazione di un professionista.

Per il caso di false dichiarazioni, l’art. 11 del d.m. del 2007 prevedeva la decadenza dal diritto alla tariffa incentivante mentre il d.l. n. 105 del 2010 non conteneva alcuna disposizione al riguardo.

Solo con il d.lgs. n. 28 del 2011, adottato dal Governo in attuazione della legge delega 4 giugno 2010, n. 96 (Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee – Legge comunitaria 2009), la condotta dei soggetti che forniscono documenti non veritieri o rendono false dichiarazioni per ottenere gli incentivi in questione è stata puntualmente disciplinata, con riguardo sia agli impianti sottoposti al nuovo regime che a quelli assoggettati alla normativa precedente.

Tale disciplina si rinviene, appunto, negli artt. 23, comma 3, e 43, comma 1, del suddetto decreto, che vengono qui in esame, oltre che nell’art. 42, comma 3, del decreto stesso.

In particolare, nel sistema a regime, l’art. 42, comma 3, non raggiunto da censura in alcuna delle ordinanze di rimessione, prevede che, in caso di accertate violazioni rilevanti ai fini dell’erogazione degli incentivi, «il GSE dispone il rigetto dell’istanza ovvero la decadenza dagli incentivi, nonché il recupero delle somme già erogate, e trasmette all’Autorità l’esito degli accertamenti effettuati per l’applicazione delle sanzioni [pecuniarie da euro 2.500 ad euro 150.000] di cui all’art. 2, comma 20, lettera c), della legge 14 novembre 1995, n. 481».

Inoltre – ai sensi dell’art. 23, comma 3, censurato con l’ordinanza n. 241 del 2014 – i soggetti che, in relazione alla richiesta di qualifica degli impianti o di erogazione degli incentivi, abbiano fornito dati o documenti non veritieri, ovvero reso dichiarazioni false o mendaci «non hanno titolo a percepire gli incentivi per la produzione di energia da fonti rinnovabili, da qualsiasi fonte normativa previste». E tale «condizione ostativa» «ha durata di dieci anni dalla data dell’accertamento» e «si applica alla persona fisica o giuridica che ha presentato la richiesta, nonché ai seguenti soggetti: a) il legale rappresentante che ha sottoscritto la richiesta; b) il soggetto responsabile dell’impianto; c) il direttore tecnico; d) i soci, se si tratta di società in nome collettivo; e) i soci accomandatari, se si tratta di società in accomandita semplice; f) gli amministratori con potere di rappresentanza, se si tratta di altro tipo di società o consorzio».

A sua volta, la norma transitoria di cui all’art. 43, comma 1, dello stesso d.lgs. n. 28 del 2011 (oggetto delle censure sollevate con le altre sei ordinanze di rimessione del Consiglio di Stato) – con riferimento alle dichiarazioni mendaci attinenti alle richieste di accesso agli incentivi per gli impianti rientranti nel regime tariffario previsto dall’art. 2-sexies del precedente d.l. n. 3 del 2010 – dispone che «il GSE rigetta l’istanza di incentivo e dispone contestualmente l’esclusione dagli incentivi degli impianti che utilizzano anche in altri siti le componenti dell’impianto non ammesso all’incentivazione. Con lo stesso provvedimento il GSE dispone l’esclusione dalla concessione di incentivi per la produzione di energia elettrica di sua competenza, per un periodo di dieci anni dalla data dell’accertamento, della persona fisica o giuridica che ha presentato la richiesta» nonché dei medesimi altri soggetti elencati sub lettere da a) a f) del precedente art. 23, comma 3.

4.– Sia l’art. 43, comma 1, che l’art. 23, comma 3, sono raggiunti (nella coincidente motivazione di tutte le ordinanze in epigrafe) da censure di violazione dell’art. 76 Cost., per aver introdotto una sanzione interdittiva non rispondente ai principi della legge di delega (n. 96 del 2010) ed anzi in contrasto con gli stessi; dell’art. 3 Cost., per violazione dei principi di ragionevolezza e proporzionalità nell’esercizio della discrezionalità legislativa; e dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione al “vincolo derivante dall’ordinamento comunitario”, in tema di proporzionalità nella irrogazione di sanzioni.

4.1.– L’art. 43, comma 1 (nelle sei ordinanze che lo denunciano), è sospettato anche di contrasto con l’art. 25 Cost., per il carattere retroattivo della introdotta sanzione afflittiva; e di violazione, per tal stesso profilo, dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 7 della CEDU.

5.– È pregiudiziale l’esame della censura di violazione dell’art. 76 Cost., identicamente riferita dai rimettenti agli artt. 43, comma 1, e 23, comma 3, del d.lgs. n. 28 del 2011.

5.1.– La legge di delega – alla quale ha dato attuazione il decreto recante le due disposizioni della cui legittimità costituzionale si dubita – si identifica, come già anticipato, con la legge n. 96 del 2010, i cui «principi e criteri direttivi generali» sono specificamente contenuti nell’art. 2 (in vigore dal 10 luglio 2010), anche con riguardo all’individuazione, in sede attuativa, delle disposizioni contemplanti sanzioni, penali o amministrative, per la violazione degli obblighi prescritti dalla normativa europea oggetto di recepimento nell’ordinamento interno.

I criteri direttivi che vengono in rilievo con riguardo alle questioni in esame si rinvengono sub lettera c) del richiamato art. 2, ove si dispone che, al di là dei casi previsti dalle norme penali in vigore, nei decreti legislativi attuativi possono essere stabilite discipline contenenti trattamenti sanzionatori amministrativi e penali «per le infrazioni alle disposizioni dei decreti stessi». E, con riguardo specifico alle sanzioni amministrative, si stabilisce che esse possono consistere «nel pagamento di una somma non inferiore a 150 euro e non superiore a 150.000 euro»; ed ulteriormente si prescrive che, nell’ambito dei limiti minimi e massimi previsti, le sanzioni […] sono determinate nella loro entità, «tenendo conto della diversa potenzialità lesiva dell’interesse protetto che ciascuna infrazione presenta in astratto, di specifiche qualità personali del colpevole, comprese quelle che impongono particolari doveri di prevenzione, controllo o vigilanza, nonché del vantaggio patrimoniale che l’infrazione può recare al colpevole ovvero alla persona o all’ente nel cui interesse egli agisce».

5.2.− Alle puntuali indicazioni come sopra fornite dalla legge di delega non si è certamente attenuto il legislatore delegato, introducendo – sia sub comma 1 dell’art. 43, sia sub comma 3 dell’art. 23 del decreto in esame – la misura interdittiva censurata.

La quale – a prescindere dal problema qualificatorio della sua natura giuridica (prospettato dalla difesa dello Stato con riferimento, in particolare, alla formulazione che se ne rinviene nell’art. 23, comma 1) – è misura eccentrica rispetto al perimetro dell’intervento disegnato dalla legge di delega che, in tema di infrazioni, ha previsto unicamente l’esercizio del potere di irrogare sanzioni penali o amministrative, limitando queste ultime solo a quelle di tipo pecuniario.

Per di più, tale misura interdittiva – incidendo sull’esercizio della libertà di iniziativa economica privata imprenditoriale (in un settore di attività particolarmente legato al sostegno di incentivi), nei confronti di un’ampia platea di soggetti e per un periodo di tempo particolarmente rilevante, in termini di rigido automatismo e di non graduabilità in rapporto al pur variabile contenuto lesivo delle violazioni cui la misura stessa consegue – contraddice manifestamente i principi di proporzionalità ed adeguatezza ai quali il legislatore delegante voleva, viceversa, conformata la risposta alle infrazioni alle disposizioni dei decreti attuativi commesse dagli operatori del settore.

5.3.– La rilevata violazione dell’art. 76 Cost. comporta l’illegittimità costituzionale, per tal profilo, dei denunciati artt. 43, comma 1, e 23, comma 3, del d.lgs. n. 28 del 2011.

6.– Resta assorbita ogni altra censura e, conseguentemente, anche la verifica della prospettata interpretabilità della disposizione di cui all’art. 43, comma 1, in termini costituzionalmente conformi a parametri diversi dall’art. 76 Cost.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara l’illegittimità costituzionale degli artt. 23, comma 3, e 43, comma 1, del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28 (Attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE).

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 febbraio 2017.

F.to:

Paolo GROSSI, Presidente

Mario Rosario MORELLI, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 10 marzo 2017.