SENTENZA N. 28
ANNO 2017
REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME DEL
POPOLO ITALIANO
LA CORTE
COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Paolo GROSSI Presidente
- Giorgio LATTANZI Giudice
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Mario
Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
- Franco MODUGNO ”
- Augusto
Antonio BARBERA ”
- Giulio PROSPERETTI ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di ammissibilità, ai sensi dell’articolo
2, primo comma, della legge
costituzionale 11 marzo 1953, n. 1 (Norme integrative della Costituzione
concernenti la Corte costituzionale), della richiesta di referendum
popolare per l’abrogazione degli artt. 48, 49 (come modificato, al comma 3, dal
d.lgs. n. 185/2016) e 50, del decreto
legislativo 15 giugno 2015, n. 81, recante «Disciplina organica dei contratti
di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a norma dell’art. 1,
comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183 (voucher)», giudizio iscritto
al n. 171 del registro referendum.
Vista l’ordinanza
del 9 dicembre 2016 con la quale l’Ufficio centrale per il referendum,
costituito presso la Corte di cassazione ha dichiarato conforme a legge la
richiesta e la successiva ordinanza del 14 dicembre 2016, di correzione di
alcuni errori materiali;
udito nella camera di consiglio dell’11 gennaio 2017 il Giudice relatore Giulio
Prosperetti;
uditi gli avvocati Amos Andreoni e
Vittorio Angiolini per Camusso Susanna Lina Giulia e Baseotto Giovanni Marco Mauro nella qualità di componenti
del Comitato promotore del referendum e l’avvocato dello Stato Vincenzo
Nunziata per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza del 6 dicembre 2016,
depositata il successivo 9 dicembre, l’Ufficio centrale per il referendum,
costituito presso la Corte di cassazione, ai sensi dell’art. 12 della legge 25
maggio 1970, n. 352 (Norme sui referendum previsti dalla Costituzione e sulla
iniziativa legislativa del popolo), e successive modificazioni, ha dichiarato
conforme alle disposizioni di legge la richiesta di referendum popolare
abrogativo, promossa da quattordici cittadini italiani (con annuncio pubblicato
nella Gazzetta Ufficiale del 23 marzo 2016, serie generale, n. 69), sul quesito
così inizialmente formulato: «Volete voi l’abrogazione degli articoli 48, 49 e
50 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, recante “Disciplina organica
dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a
norma dell’art. 1, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183”?».
2.− L’Ufficio centrale, con la stessa
ordinanza, ha ritenuto opportuno, per maggior chiarezza e tenuto conto delle
osservazioni espresse dallo stesso Comitato promotore, ascoltato all’udienza
del 6 dicembre 2016, di integrare sia il testo che la sua denominazione,
aggiungendo, al termine di essi, la seguente espressione: (voucher), con cui si
indica, nel linguaggio comune, l’istituto di cui si chiede l’abrogazione.
L’Ufficio centrale per il referendum, inoltre, ha constatato che, nelle more
della procedura di richiesta referendaria, il terzo comma dell’art. 49 del
decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81 è stato modificato ad opera dell’art.
1, comma 1, lettera b), del decreto legislativo n. 185 del 24 settembre 2016
(Disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi 15 giugno 2015,
n. 81 e 14 settembre 2015, nn. 148, 149, 150 e 151, a
norma dell’articolo 1, comma 13, della legge 10 dicembre 2014, n. 183). Il
Comitato promotore ha, tuttavia, dichiarato la persistenza dell’interesse
all’iniziativa referendaria, in quanto intesa ad abrogare nella sua interezza
l’istituto, che, invece, per effetto della disposizione normativa sopravvenuta,
ha subito solo la modifica di alcuni limitati aspetti concernenti modalità
applicative. Per effetto di tali modifiche e per garantire maggiore
trasparenza, l’Ufficio centrale per il referendum ha, quindi, ritenuto di
integrare il quesito proposto aggiungendo, come richiesto dal Comitato
promotore, dopo il numero 49, la seguente locuzione «(come modificato al suo
terzo comma dal d.lgs. n. 185/2016)». L’Ufficio centrale per il referendum ha,
quindi, disposto di attribuire alla terza richiesta referendaria la seguente
denominazione «abrogazione disposizioni sul lavoro accessorio (voucher)» ed ha
dichiarato conforme a legge la richiesta del terzo quesito nella seguente
formulazione: «Volete voi l’abrogazione degli artt. 48, 49 (come modificato al
suo terzo comma dal d.lgs. n. 185/2016) e 50 del decreto legislativo 15 giugno
2015, n. 81, recante “Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione
della normativa in tema di mansioni, a norma dell’art. 1, comma 7, della legge
10 dicembre 2014, n. 183 (voucher)”?».
Con ordinanza presidenziale del 14
dicembre 2016, l’Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte
di cassazione, ha proceduto alla correzione di alcuni errori materiali.
3.− Il Presidente della Corte
costituzionale, ricevuta comunicazione dell’ordinanza dell’Ufficio centrale per
il referendum, ha fissato, per la conseguente deliberazione, la camera di
consiglio dell’11 gennaio 2017, disponendo che ne fosse data comunicazione ai
presentatori ed al Presidente del Consiglio dei ministri, ai sensi dell’art.
33, secondo comma, della legge 25 maggio 1970, n. 352 (Norme sui referendum
previsti dalla Costituzione e sulla iniziativa legislativa del popolo).
4.− In prossimità della camera di consiglio
dell’11 gennaio 2017, sono state presentate memorie dai comitati promotori
della richiesta referendaria e dal Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato.
Nella memoria presentata per i promotori
della richiesta referendaria, sono state illustrate le ragioni del quesito
volto ad ottenere l’integrale abrogazione dell’attuale normativa ed è stata
affermata la sussistenza dei requisiti per l’ammissibilità del quesito, in
quanto conforme al disposto dell’art. 75 della Costituzione e perché omogeneo
completo e chiaro.
La Presidenza del Consiglio dei ministri
ha, per contro, chiesto di dichiarare inammissibile il referendum abrogativo,
in particolare sul presupposto della necessità di una regolamentazione del
lavoro accessorio, in quanto di interesse costituzionale, per essere la
normativa in oggetto contraddistinta dal proposito di tutelare la dignità del
lavoratore, il cui venir meno pregiudicherebbe la tutela enunciata dai principi
recati dagli artt. 1, 4, 35 e 36 Cost. In tal senso l’Avvocatura erariale ha
concluso rappresentando l’esigenza di preservare la disciplina di cui agli
artt. 48 e ss. del d.lgs. n. 81 del 2015, assumendo che ciò rende «senz’altro
possibili interventi modificativi della stessa, ma ad opera del legislatore e
non già con una secca abrogazione ad opera referendaria».
Considerato in diritto
1.– Preliminarmente, va esclusa
l’irritualità dell’intervento, in questo giudizio, dell’Avvocatura generale
dello Stato: irritualità che i promotori del referendum hanno prospettato per
il profilo della provenienza della correlativa richiesta da parte del
Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri e non dal Presidente
di detto Consiglio, come invece prescritto dalla legge 23 agosto 1988, n. 400
(Disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della Presidenza del
Consiglio dei Ministri).
È pur vero, infatti, che, come dedotto
dalla difesa dei promotori, ai sensi dell’art. 5, comma 1, lettera f), della
richiamata legge n. 400 del 1988, «le attribuzioni di cui alla legge 11 marzo
1953, n.87», relative all’intervento o alla costituzione nei giudizi di
legittimità costituzionale, sono direttamente assegnate dal Presidente del
Consiglio dei ministri, che le esercita a nome del Governo.
Questa disposizione, però, non rileva
nel presente giudizio, sia perché l’intervento dell’Avvocatura erariale è in
questo caso richiesto con delibera del Consiglio dei ministri adottata ai sensi
(non già del citato art. 5 della legge 400 del 1988, ma) dell’art. 33 della
legge 25 marzo 1970, n. 352 (Norme sui referendum previsti dalla Costituzione e
sulla iniziativa legislativa del popolo), in materia, quindi, ricompresa nella
delega generale di firma al Sottosegretario (perché non rientrante tra le
ipotesi di correlativa esclusione), sia perché l’atto sottoscritto dal
Sottosegretario, del quale qui si discute, non altro è che la mera
comunicazione all’Avvocatura (che al Sottosegretario comunque compete) del
contenuto della delibera del Consiglio dei ministri «favorevole alla
presentazione di memoria in merito alla inammissibilità del referendum abrogativo»
in questione.
2.– La Corte è chiamata a pronunciarsi
sull’ammissibilità della richiesta di referendum popolare per l’abrogazione
degli artt. 48, 49 (come modificato, al comma 3, dal d.lgs. n. 185/2016) e 50,
del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, recante «Disciplina organica dei
contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a norma
dell’art. 1, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183 (voucher)». La
richiesta è stata dichiarata legittima, con ordinanza del 6-9 dicembre 2016,
dall’Ufficio centrale per il referendum costituito presso la Corte di
cassazione, che ha provveduto, in esito alla modifica normativa dell’art. 49
del citato d.lgs. n. 81 del 2015 ad opera dell’art. 1 del decreto legislativo
n. 185 del 24 settembre 2016 (Disposizioni integrative e correttive dei decreti
legislativi 15 giugno 2015, n. 81 e 14 settembre 2015, nn.
148, 149, 150 e 151, a norma dell’articolo 1, comma 13, della legge 10 dicembre
2014, n. 183).
3.– Le disposizioni oggetto del quesito referendario
disciplinano l’istituto del «lavoro accessorio», introdotto nell’ordinamento
dagli artt. da 70 a 73 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276
(Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di
cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30).
In particolare, l’art. 70, comma 1, del
citato d.lgs. n. 276 del 2003 definiva le prestazioni occasionali di tipo
accessorio, come «attività lavorative di natura meramente occasionale rese da
soggetti a rischio di esclusione sociale o comunque non ancora entrati nel
mercato del lavoro, ovvero in procinto di uscirne, nell’ambito: a) dei piccoli
lavori domestici a carattere straordinario, compresa l’assistenza domiciliare a
bambini e alle persone anziane, ammalate o con handicap; b) dell’insegnamento
privato supplementare; c) dei piccoli lavori di giardinaggio, pulizia e
manutenzione di edifici e monumenti; d) della realizzazione di manifestazioni
sociali, sportive, culturali o caritatevoli; e) della collaborazione con enti
pubblici e associazioni di volontariato per lo svolgimento di lavori di
emergenza, come quelli dovuti a calamità o eventi naturali improvvisi, o di
solidarietà».
Il comma 2 dello stesso art. 70
disponeva poi che la durata di tali attività lavorative non dovesse superare
trenta giorni nel corso dell’anno solare e comunque dar luogo nello stesso anno
a compensi superiori a 3 mila euro, sempre nel corso di un anno solare.
A sua volta l’art. 71 stabiliva le
caratteristiche soggettive dei prestatori di lavoro accessorio, individuandoli:
nei disoccupati da oltre un anno, nelle casalinghe, studenti e pensionati, nei
disabili e soggetti in comunità di recupero, nei lavoratori extracomunitari
regolarmente soggiornanti in Italia, nei sei mesi successivi alla perdita del
lavoro.
L’art. 72 introduceva innovative
modalità di pagamento, prevedendo un carnet di buoni per prestazioni di lavoro
accessorio del valore nominale di 7,50 euro, con un onere contributivo a fini
previdenziali pari a 1 euro da versare alla Gestione separata Inps di cui
all’art. 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335 (Riforma del sistema
pensionistico obbligatorio e complementare), e di 0,50 euro all’Inail per fini
assicurativi contro gli infortuni sul lavoro. La disposizione prevedeva
l’esenzione fiscale del compenso corrisposto al lavoratore e la sua non
incidenza sullo stato di disoccupato o inoccupato del lavoratore medesimo.
Infine, l’art. 73 del medesimo d.lgs. n.
276 del 2003 dettava disposizioni in tema di coordinamento informativo ai fini
previdenziali, prevedendo modalità per la verifica dell’andamento delle
prestazioni di carattere previdenziale e delle relative entrate contributive,
«conseguenti allo sviluppo delle attività di lavoro accessorio».
L’istituto in esame ha subíto nel tempo numerose, profonde, modifiche quali, in
particolare, quelle recate dall’art. 16, comma 1, del decreto legislativo 6
ottobre 2004, n. 251 (Disposizioni correttive del D.Lgs.
10 settembre 2003, n. 276, in materia di occupazione e mercato del lavoro),
dall’art. 22 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per
lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione
della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito in legge
dall’art. 1, comma 32, lettera a), della legge 28 giugno 2012, n. 92
(Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva
di crescita), dall’art. 7 del decreto-legge 28 giugno 2013, n. 76, recante
«Primi Interventi urgenti per la promozione dell’occupazione, in particolare
giovanile, della coesione sociale, nonché in materia di Imposta sul valore
aggiunto (IVA) e altre misure finanziarie urgenti», convertito, con
modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 9 agosto 2013, n. 99, e,
infine, dagli artt. 48, 49 e 50 del d.lgs. n. 81 del 2015, oggetto della
richiesta referendaria, che hanno integralmente riscritto la disciplina delle
disposizioni degli artt. 70, 71, 72, e 73 del d.lgs. n. 276 del 2003, abrogate
espressamente dall’art. 55, comma 1, lettera d), del medesimo d.lgs. n. 81 del
2015.
4.– La richiesta referendaria in esame
risulta ammissibile.
Nel caso in esame, questa Corte rileva
innanzitutto che il quesito non è riconducibile, né direttamente né indirettamente,
a materie sottratte dall’art. 75 Cost. al vaglio
referendario.
Ai fini del giudizio di ammissibilità, a
partire dalla sentenza
n. 16 del 1978, questa Corte ha individuato quattro distinti complessi di
ragioni di inammissibilità del referendum abrogativo. In particolare, sono
ritenute inammissibili: 1) le richieste che incorrono in una delle cause di
inammissibilità testualmente indicate dal secondo comma dell’art. 75 Cost.
(leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a
ratificare trattati internazionali), la cui interpretazione però non deve
limitarsi a quella letterale ma deve, invece, essere integrata con quella
logico-sistematica, affinché siano sottratte al referendum anche «le
disposizioni produttive di effetti collegati in modo così stretto all’ambito di
operatività delle leggi espressamente indicate dall’art. 75, che la preclusione
debba ritenersi sottintesa» (sentenza n. 16 del
1978); 2) quelle aventi ad oggetto una pluralità di domande eterogenee e
carenti di una matrice razionalmente unitaria; 3) quelle aventi ad oggetto non
un atto avente forza di legge ordinaria, ma la Costituzione, le leggi di
revisione costituzionale, le altre leggi costituzionali di cui all’art. 138
Cost.; 4) quelle aventi ad oggetto le disposizioni legislative ordinarie a
contenuto costituzionalmente obbligato.
Il quesito, inoltre, contrariamente
all’assunto della Presidenza del Consiglio dei ministri, non inerisce a
disposizioni cui possa essere attribuito il carattere di norma costituzionalmente
necessaria, in quanto relativa alla materia del lavoro occasionale, che deve
trovare obbligatoriamente una disciplina normativa. L’evoluzione dell’istituto,
nel trascendere i caratteri di occasionalità dell’esigenza lavorativa cui era originariamente
chiamato ad assolvere, lo ha reso alternativo a tipologie regolate da altri
istituti giuslavoristici e quindi non necessario.
Invero, attraverso i ricordati
interventi normativi, la originaria disciplina del lavoro accessorio, quale
attività lavorativa di natura meramente occasionale, limitata, sotto il profilo
soggettivo, a particolari categorie di prestatori, e, sotto il profilo
oggettivo, a specifiche attività, ha modificato la sua funzione di strumento
destinato, per le sue caratteristiche, a corrispondere ad esigenze marginali e
residuali del mercato del lavoro. Tale modifica appare già emblematicamente
attestata dal cambiamento della denominazione della rubrica del Capo II del
d.lgs. n. 276 del 2003 in cui risultano inserite le originarie previsioni
normative («Prestazioni occasionali di tipo accessorio rese da particolari
soggetti») rispetto a quella recata dal Capo VI del d.lgs. n. 81 del 2015,
(«Lavoro accessorio»), nel quale sono inseriti gli articoli di cui si chiede
l’abrogazione referendaria, in quanto viene a mancare qualsiasi riferimento
alla occasionalità della prestazione lavorativa quale requisito strutturale
dell’istituto.
Nemmeno ci si può rifare a un diverso
carattere «costituzionalmente rilevante», in quanto una tale criterio non
assurge a valore discriminante in sede di vaglio di ammissibilità di un quesito
referendario.
Il quesito, infine, rispetta anche le
indicazioni della giurisprudenza costituzionale relative alla chiarezza,
omogeneità e univocità desumibile «esclusivamente dalla finalità “incorporata
nel quesito”, cioè dalla finalità obiettivamente ricavabile in base alla sua
formulazione ed all’incidenza del referendum sul quadro normativo di
riferimento» (così sentenza n. 24 del
2011).
Sotto tale profilo, non vi sono dubbi in
ordine al fatto che la domanda proposta, nel chiedere di eliminare le ricordate
disposizioni del d.lgs. n. 81 del 2015, sia espressione di una matrice
razionalmente unitaria, essendo l’intento referendario quello di abrogare nella
sua interezza l’attuale disciplina del «lavoro accessorio».
Il quesito, difatti, ha una finalità
autenticamente abrogativa, così da comportare, in caso di esito positivo della
consultazione, l’eliminazione dall’ordinamento della disciplina in esame.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara ammissibile
la richiesta di referendum popolare per l’abrogazione degli artt. 48, 49 (come
modificato, al comma 3, dal d.lgs. n. 185/2016) e 50, del decreto legislativo
15 giugno 2015, n. 81, recante «Disciplina organica dei contratti di lavoro e
revisione della normativa in tema di mansioni, a norma dell’art. 1, comma 7,
della legge 10 dicembre 2014, n. 183 (voucher)»; richiesta dichiarata legittima
con ordinanza del 6-9 dicembre 2016 dall’Ufficio centrale per il referendum
costituito presso la Corte di cassazione.
Così deciso in Roma, nella sede della
Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l’11 gennaio 2017.
F.to:
Paolo GROSSI, Presidente
Giulio PROSPERETTI, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 27 gennaio
2017.