Sentenza n. 186 del 2016

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SENTENZA N. 186

ANNO 2016

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-    Paolo                                GROSSI                                              Presidente

-    Alessandro                       CRISCUOLO                                     Giudice  

-    Giorgio                             LATTANZI                                                ”

-    Aldo                                 CAROSI                                                     ”

-    Marta                                CARTABIA                                               ”

-    Mario Rosario                   MORELLI                                                  ”

-    Giancarlo                          CORAGGIO                                              ”

-    Giuliano                            AMATO                                                      ”

-    Silvana                              SCIARRA                                                  ”

-    Daria                                 de PRETIS                                                  ”

-    Nicolò                               ZANON                                                      ”

-    Franco                              MODUGNO                                               ”

-    Augusto Antonio             BARBERA                                                 ”

-    Giulio                               PROSPERETTI                                          ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 50, comma 4, della legge della Regione Calabria 13 giugno 2008, n. 15, recante «Provvedimento generale di tipo ordinamentale e finanziario (collegato alla manovra di finanza regionale per l’anno 2008 ai sensi dell’art. 3, comma 4, della legge regionale 4 febbraio 2002, n. 8)», promosso dalla Corte d’appello di Reggio Calabria nel procedimento vertente tra l’Azienda sanitaria provinciale di Reggio Calabria e S. F., con ordinanza del 27 novembre 2015, iscritta al n. 33 del registro ordinanze 2016 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 9, prima serie speciale, dell’anno 2016.

Udito nella camera di consiglio del 6 luglio 2016 il Giudice relatore Aldo Carosi.

Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza del 27 novembre 2015, la Corte d’appello di Reggio Calabria, sezione lavoro, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 50, comma 4, della legge della Regione Calabria 13 giugno 2008, n. 15 – recante «Provvedimento generale di tipo ordinamentale e finanziario (collegato alla manovra di finanza regionale per l’anno 2008 ai sensi dell’art. 3, comma 4, della legge regionale 4 febbraio 2002, n. 8)» – in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione.

Il rimettente riferisce che, con ricorso ai sensi dell’art. 414 del codice di procedura civile depositato il 21 ottobre 2010, un medico di medicina generale in rapporto di convenzione a tempo indeterminato con l’Azienda sanitaria provinciale (ASP) di Reggio Calabria e prima ancora con l’Azienda sanitaria locale (ASL) n. 9 di Locri, successivamente confluita nell’ASP, aveva adito il Tribunale ordinario di Locri in funzione di giudice del lavoro, lamentando che nel mese di dicembre del 2009 l’ASP gli aveva richiesto la restituzione di euro 4.111,59 relativi a quote di assistiti deceduti o trasferiti, sottraendogliela dal credito vantato a titolo di arretrati contrattuali per gli anni 2008-2009. Il ricorrente aveva chiesto che fosse dichiarata l’illegittimità del recupero e comunque della compensazione operata dall’ASP, con condanna di quest’ultima a restituire la somma sopra indicata ed a risarcire i danni ulteriori anche a titolo di perdita di chance. Il Tribunale ordinario di Locri ha accolto parzialmente la domanda, condannando l’ASP a restituire alla controparte le somme trattenute in misura superiore alle dodici quote – così come previsto dall’art. 12, punto 3, dell’Accordo integrativo regionale dei medici di medicina generale (AIR) approvato con delibera di Giunta regionale 8 agosto 2006, n. 580, pubblicata sul Bollettino ufficiale della Regione Calabria del 16 settembre 2016, che impedisce all’amministrazione, in caso di comunicazione avvenuta oltre l’anno del trasferimento, decesso o duplicazione degli assistiti, di ripetere più di dodici quote mensili – e dichiarando inammissibile la domanda risarcitoria. Il rimettente riferisce che contro tale decisione l’ASP ha proposto appello, al quale ha resistito l’originario ricorrente.

Tanto premesso, il giudice a quo sostiene che le fonti che vengono in rilievo nella fattispecie al suo esame sono, oltre all’art. 12, punto 3, dell’AIR, l’art. 42 dell’Accordo collettivo nazionale per la disciplina dei rapporti con i medici di medicina generale ai sensi del d.lgs. n. 502 del 1992 e successive modificazioni e integrazioni (ACN), reso esecutivo con intesa del 23 marzo 2005 in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, e l’art. 50 della legge reg. Calabria n. 15 del 2008, oggetto di censura.

L’art. 42, comma 4, dell’ACN del 23 marzo 2005 prevede la revoca d’ufficio della scelta in caso di morte dell’assistito, onerando l’ASP di comunicare la cancellazione entro un anno dall’evento senza applicare alcuna sanzione in caso di superamento del termine.

L’art. 50, comma 4, della legge reg. Calabria n. 15 del 2008, stabilendo che «[p]er il recupero delle quote tuttora rimaste insolute inerenti gli assistiti deceduti, trasferiti o irreperibili, trovano applicazione le disposizioni di cui al citato accordo (A.I.R) del 2006. Le relative modalità per la conseguente applicazione da parte delle Aziende sanitarie provinciali sono definite dal Dipartimento regionale “Tutela della Salute e Politiche Sanitarie”». Tale norma estenderebbe l’efficacia nel tempo dell’art. 12, punto 3, dell’AIR del 2006, specificando che essa si applica a tutte le quote insolute, senza che rilevi, pertanto, se l’evento morte sia avvenuto prima o dopo l’entrata in vigore dell’ACN e dell’AIR.

1.1.– In punto di rilevanza della questione di legittimità costituzionale del citato art. 50, il giudice a quo osserva quanto segue.

L’art. 8, comma 1, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), prevede che il rapporto tra il Servizio sanitario nazionale (SSN) ed i medici di medicina generale è disciplinato da convenzioni di durata triennale «conformi agli accordi collettivi nazionali stipulati, ai sensi dell’art. 4, comma 9, della legge 30 dicembre 1991, n. 412 [...]»; norma, quest’ultima, che, a sua volta, nel testo vigente, richiama esplicitamente, fra gli altri, l’art. 40 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), in base al quale (comma 3) la contrattazione collettiva nazionale disciplina anche i limiti di quella integrativa e «[l]e pubbliche amministrazioni non possono sottoscrivere in sede decentrata contratti collettivi integrativi in contrasto con vincoli risultanti dai contratti collettivi nazionali o che comportino oneri non previsti negli strumenti di programmazione annuale e pluriennale di ciascuna amministrazione. Le clausole difformi sono nulle e non possono essere applicate».

Il rimettente osserva che le conseguenze derivanti dal ritardo della comunicazione del decesso o del trasferimento dell’assistito non rientrano nell’ambito di quanto 1’ACN del 23 marzo 2005 delega in via generale alla contrattazione decentrata; e che l’art. 42, comma 5, dello stesso ACN si limita a demandare alla contrattazione regionale «modalità di tutela dei medici massimalisti dalla indisponibilità alla acquisizione di nuove scelte dovuta a ritardo nella comunicazione delle cancellazioni per morte di assistiti del proprio elenco».

Ad avviso del rimettente, pertanto, il divieto di recupero di quote mensili oltre la dodicesima, previsto dall’art. 12 dell’AIR del 2006, non rientrerebbe nell’ambito della predetta «tutela» demandata alla contrattazione regionale.

L’art. 12 dell’AIR del 2006 risulterebbe, infatti, applicabile a tutti i medici convenzionati di medicina generale, a prescindere dal fatto che siano o meno massimalisti, e lo scopo della previsione di cui all’art. 42, comma 5, dell’ACN del 23 marzo 2005 – come del resto lo stesso appellato ha sostenuto in primo grado – sarebbe semmai quello di consentire al medico di conoscere con precisione e senza ritardo il numero di assistiti, onde potere organizzare al meglio la propria attività, e non solo di consentire di aprire la scelta a nuovi assistiti in luogo di quelli deceduti. Inoltre, tale disposizione, nel limitare la facoltà di recupero, introdurrebbe evidentemente un onere aggiuntivo per l’amministrazione, rendendo inesigibili i compensi maturati oltre l’anno, altrimenti non erogabili al medico convenzionato.

In quanto non oggetto di delega da parte dell’ACN del 23 marzo 2005 ed, altresì, in palese contrasto con l’art. 40 del d.lgs. n. 165 del 2001, la pretesa della parte appellata non potrebbe trovare fondamento nell’art. 12, punto 3, dell’AIR del 2006, da disapplicare in quanto clausola affetta da nullità, ma soltanto nell’art. 50 della legge reg. Calabria n. 15 del 2008, che avrebbe recepito e fatto propria la disciplina contrattuale regionale altrimenti viziata. Da quanto sin qui esposto discenderebbe la rilevanza della questione sollevata.

1.2.– Dopo aver escluso la possibilità di offrire un’interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione censurata, il rimettente ritiene che l’art. 50 della legge reg. Calabria n. 15 del 2008 violi l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., che riserva alla potestà legislativa esclusiva dello Stato la materia dell’«ordinamento civile». In proposito richiama la costante giurisprudenza di questa Corte che avrebbe ricondotto a tale ambito la disciplina del trattamento economico del dipendente pubblico regionale, cui potrebbe accomunarsi, secondo il giudice a quo, per evidente identità di ratio, quella del trattamento dei medici in convenzione, il cui rapporto sarebbe a fortiori da considerare di natura civilistica, così come ritenuto dalla giurisprudenza di legittimità.

Con riferimento al medico in convenzione con il Servizio sanitario regionale (SSR), il rimettente evidenzia che, in base al diritto vivente nell’interpretazione consolidata della giurisprudenza di legittimità, gli accordi collettivi nazionali per la disciplina dei rapporti con i medici convenzionati non costituirebbero fonte negoziale diretta di regolamentazione, in quanto di per sé inidonei ad inserirsi nell’ordinamento con propria forza cogente, ma rappresenterebbero soltanto la fase consensuale di un complesso procedimento di produzione normativa destinato a concludersi con l’intervento pubblico – nella forma del decreto presidenziale – che avrebbe contenuto ed efficacia giuridica di fonte di normazione secondaria statale, destinata a valere uniformemente nell’intero territorio nazionale, in un ambito precluso al legislatore regionale.

Diversamente, la Corte rimettente ritiene che non si potrebbe fare nessun riferimento alla potestà legislativa concorrente delle Regioni in materia di «tutela della salute», prevista dall’art. 117, terzo comma, Cost., in quanto, a prescindere dall’ovvio rispetto dei principi fondamentali posti dalla legislazione dello Stato anche in tale materia, la controversia rientrerebbe a pieno titolo in un ambito diverso, ossia nell’ordinamento civile.

2.– Secondo il giudice a quo la disposizione impugnata violerebbe, altresì, il principio di eguaglianza di cui all’art. 3, primo comma, Cost., in quanto pregiudicherebbe l’uniformità di trattamento sull’intero territorio nazionale della disciplina posta dall’ACN del 23 marzo 2005, che prevedrebbe la ripetibilità illimitata, ai sensi dell’art. 2033 del codice civile, a prescindere dal ritardo nella comunicazione della variazione.

Considerato in diritto

1.– La Corte d’appello di Reggio Calabria, sezione lavoro, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 50, comma 4, della legge della Regione Calabria 13 giugno 2008, n. 15 recante «Provvedimento generale di tipo ordinamentale e finanziario (collegato alla manovra di finanza regionale per l’anno 2008 ai sensi dell’art. 3, comma 4, della legge regionale 4 febbraio 2002, n. 8)», in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione.

Il rimettente riferisce che un medico di medicina generale in rapporto di convenzione a tempo indeterminato con l’Azienda sanitaria provinciale (ASP) di Reggio Calabria aveva adito il Tribunale ordinario di Locri, in funzione di giudice del lavoro, lamentando che nel mese di dicembre del 2009 l’ASP gli aveva richiesto la restituzione di euro 4.111,59 relativi a quote di assistiti deceduti o trasferiti, deducendola dal credito vantato a titolo di arretrati contrattuali per gli anni 2008-2009. Il ricorrente aveva chiesto che fosse dichiarata l’illegittimità del recupero e comunque della compensazione operata dall’ASP, con condanna di quest’ultima a restituire la somma indicata ed a risarcire i danni ulteriori anche a titolo di perdita di chance. Il Tribunale ordinario di Locri ha accolto parzialmente la domanda, condannando l’ASP a restituire alla controparte le somme trattenute in misura superiore alle dodici quote – così come previsto dall’art. 12, punto 3, dell’Accordo integrativo regionale dei medici di medicina generale (AIR) approvato con delibera di Giunta regionale 8 agosto 2006, n. 580, pubblicata sul Bollettino ufficiale della Regione Calabria del 16 settembre 2016, che impedisce all’amministrazione, in caso di comunicazione avvenuta oltre l’anno del trasferimento, decesso o duplicazione degli assistiti, di ripetere più di dodici quote mensili – e dichiarando inammissibile la domanda risarcitoria. Contro tale decisione l’ASP ha proposto appello, al quale ha resistito l’originario ricorrente.

1.1.– Espone il giudice a quo che le fonti venute in rilievo nella fattispecie al suo esame sono, oltre all’art. 12, punto 3, dell’AIR del 2006, l’art. 42 dell’Accordo collettivo nazionale per la disciplina dei rapporti con i medici di medicina generale ai sensi del d.lgs. n. 502 del 1992 e successive modificazioni e integrazioni (ACN), reso esecutivo con intesa del 23 marzo 2005 in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, e l’art. 50 della legge reg. Calabria n. 15 del 2008, oggetto di censura.

L’art. 42, comma 4, dell’ACN prevede la revoca d’ufficio della scelta in caso di morte dell’assistito, onerando l’ASP di comunicare la cancellazione entro un anno dall’evento senza applicare alcuna sanzione in caso di superamento del termine.

L’art. 50, comma 4, della legge reg. Calabria n. 15 del 2008 stabilisce che «[p]er il recupero delle quote tuttora rimaste insolute inerenti gli assistiti deceduti, trasferiti o irreperibili, trovano applicazione le disposizioni di cui all’accordo (A.I.R.) del 16 settembre 2006. Le relative modalità per la conseguente applicazione da parte delle Aziende sanitarie provinciali sono definite dal Dipartimento regionale “Tutela della Salute e Politiche Sanitarie”». Tale norma estenderebbe l’efficacia nel tempo dell’art. 12, punto 3, dell’AIR, specificando che essa si applica a tutte le quote insolute, senza che rilevi, pertanto, se l’evento morte sia avvenuto prima o dopo l’entrata in vigore dell’ACN e dell’AIR.

Il rimettente osserva che le conseguenze derivanti dal ritardo della comunicazione del decesso o del trasferimento dell’assistito non rientrano nell’ambito di quanto l’ACN delega in via generale alla contrattazione decentrata e che l’art. 42, comma 5, dello stesso ACN si limita a demandare alla contrattazione regionale «modalità di tutela dei medici massimalisti dalla indisponibilità alla acquisizione di nuove scelte dovuta a ritardo nella comunicazione delle cancellazioni per morte di assistiti del proprio elenco».

Ad avviso del rimettente, pertanto, il divieto di recupero di quote mensili oltre la dodicesima, previsto dall’art. 12 dell’AIR, non rientrerebbe nell’ambito della predetta “tutela” demandata alla contrattazione regionale.

Al riguardo, rammenta il giudice a quo che l’art. 8, comma 1, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), prevede che il rapporto tra il Servizio sanitario nazionale (SSN) ed i medici di medicina generale è disciplinato da convenzioni di durata triennale «conformi agli accordi collettivi nazionali stipulati, ai sensi dell’art. 4, comma 9, della legge 30 dicembre 1991, n. 412 [...]»; norma, quest’ultima, che, a sua volta, nel testo al tempo vigente, richiama esplicitamente, fra gli altri, l’art. 40 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), in base al quale (comma 3) la contrattazione collettiva nazionale disciplina anche i limiti di quella integrativa e «[l]e pubbliche amministrazioni non possono sottoscrivere in sede decentrata contratti collettivi integrativi in contrasto con vincoli risultanti dai contratti collettivi nazionali o che comportino oneri non previsti negli strumenti di programmazione annuale e pluriennale di ciascuna amministrazione. Le clausole difformi sono nulle e non possono essere applicate».

Pertanto, secondo il rimettente, poiché non oggetto di delega da parte dell’ACN del 23 marzo 2005 ed, altresì, in palese contrasto con l’art. 40 del d.lgs. n. 165 del 2001, la pretesa della parte appellata non potrebbe trovare fondamento nell’art. 12, punto 3, dell’AIR del 2006, da disapplicare in quanto clausola affetta da nullità, ma soltanto nell’art. 50 della legge reg. Calabria n. 15 del 2008, che avrebbe recepito e fatto propria la disciplina contrattuale regionale altrimenti viziata. Da quanto sin qui esposto discenderebbe la rilevanza della questione sollevata.

1.2.– Nel merito, il giudice a quo ritiene che l’art. 50 della legge reg. Calabria n. 15 del 2008 violi l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., che riserva alla potestà legislativa esclusiva dello Stato la materia dell’«ordinamento civile». In proposito richiama la costante giurisprudenza di questa Corte, che avrebbe ricondotto a tale ambito la disciplina del trattamento economico del dipendente pubblico regionale, cui potrebbe accomunarsi, secondo il rimettente, per evidente identità di ratio, quella del trattamento dei medici in convenzione, il cui rapporto sarebbe a fortiori da considerare di natura civilistica, così come ritenuto dalla giurisprudenza di legittimità.

Il rimettente sostiene, altresì, che non si potrebbe fare nessun riferimento alla potestà legislativa concorrente delle Regioni in materia di «tutela della salute», prevista dall’art. 117, terzo comma, Cost., in quanto, a prescindere dall’ovvio rispetto dei principi fondamentali posti dalla legislazione dello Stato anche in tale materia, la controversia rientrerebbe a pieno titolo in un ambito diverso, ossia nell’«ordinamento civile».

Secondo il giudice a quo, la disposizione impugnata violerebbe altresì il principio di eguaglianza di cui all’art. 3, primo comma, Cost., in quanto pregiudicherebbe l’uniformità di trattamento sull’intero territorio nazionale della disciplina posta dall’ACN del 23 marzo 2005, che prevedrebbe la ripetibilità illimitata, ai sensi dell’art. 2033 del codice civile, a prescindere dal ritardo nella comunicazione della variazione.

2.– Ai fini della presente decisione è utile una ricognizione del quadro normativo che regola il rapporto convenzionale dei medici di medicina generale con il Servizio sanitario nazionale.

L’art. 8 del d.lgs. n. 502 del 1992 (sotto la rubrica «Disciplina dei rapporti per l’erogazione delle prestazioni assistenziali») prevede al comma 1 che «[i]l rapporto tra il Servizio sanitario nazionale, i medici di medicina generale e i pediatri di libera scelta è disciplinato da apposite convenzioni di durata triennale conformi agli accordi collettivi nazionali stipulati, ai sensi dell’articolo 4, comma 9, della legge 30 dicembre 1991, n. 412, con le organizzazioni sindacali di categoria maggiormente rappresentative in campo nazionale […]».

L’art. 40 del d.lgs. n. 165 del 2001 (alla rubrica «Contratti collettivi nazionali e integrativi»), nel testo vigente sino al 14 novembre 2009, antecedente alle modifiche apportate dal decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150 (Attuazione della legge 4 marzo 2009, n. 15, in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni), stabilisce al comma 3 che «[l]a contrattazione collettiva disciplina, in coerenza con il settore privato, la durata dei contratti collettivi nazionali e integrativi, la struttura contrattuale e i rapporti tra i diversi livelli. Le pubbliche amministrazioni attivano autonomi livelli di contrattazione collettiva integrativa, nel rispetto dei vincoli di bilancio risultanti dagli strumenti di programmazione annuale e pluriennale di ciascuna amministrazione».

Quanto alla contrattazione collettiva integrativa, la medesima disposizione dispone che essa «si svolge sulle materie e nei limiti stabiliti dai contratti collettivi nazionali, tra i soggetti e con le procedure negoziali che questi ultimi prevedono; essa può avere ambito territoriale e riguardare più amministrazioni. Le pubbliche amministrazioni non possono sottoscrivere in sede decentrata contratti collettivi integrativi in contrasto con vincoli risultanti dai contratti collettivi nazionali o che comportino oneri non previsti negli strumenti di programmazione annuale e pluriennale di ciascuna amministrazione. Le clausole difformi sono nulle e non possono essere applicate».

L’art. 4 (in tema di «Assistenza sanitaria») della legge 30 dicembre 1991, n. 412 (Disposizioni in materia di finanza pubblica), al comma 9 – nel testo modificato dall’art. 52, comma 27, della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2003) – a sua volta istituisce la struttura tecnica interregionale per la disciplina dei rapporti con il personale convenzionato con il SSN e stabilisce che, «[c]on accordo in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, è disciplinato il procedimento di contrattazione collettiva relativo ai predetti accordi tenendo conto di quanto previsto dagli articoli 40, 41, 42, 46, 47, 48 e 49 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165».

Infine, il decreto-legge 29 marzo 2004, n. 81 (Interventi urgenti per fronteggiare situazioni di pericolo per la salute pubblica), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 26 maggio 2004, n. 138, all’art. 2-nonies prevede che «Il contratto del personale sanitario a rapporto convenzionale è garantito sull’intero territorio nazionale da convenzioni conformi agli accordi collettivi nazionali stipulati mediante il procedimento di contrattazione collettiva definito con l’accordo in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano previsto dall’articolo 4, comma 9, della legge 30 dicembre 1991, n. 412, e successive modificazioni. Tale accordo nazionale è reso esecutivo con intesa nella citata Conferenza permanente, di cui all’articolo 3 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281».

In attuazione di tale previsione, nella seduta del 23 marzo 2005 della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano è stata sancita l’intesa sull’ipotesi di ACN per la disciplina dei rapporti con i medici di medicina generale.

L’ACN del 23 marzo 2005 prevede in particolare nella «parte prima» (che disciplina l’«Inquadramento generale»), all’art. 2 (Livelli di contrattazione), comma 3, che «Il livello di negoziazione regionale definisce obiettivi di salute, modelli organizzativi e strumenti operativi per attuarli, in coerenza con le strategie e le finalità del Servizio Sanitario Regionale, integrando elencazione, incentivazione e remunerazione di compiti con il perseguimento di obiettivi e risultati».

Nella «parte seconda» (che regola la «Disciplina del rapporto convenzionale dei medici di medicina generale»), l’art. 42 («Revoche d’ufficio») prevede, tra l’altro, che «[…] 4. La revoca della scelta da operarsi d’ufficio per morte dell’assistito ha effetto dal giorno del decesso. L’Azienda è tenuta a comunicare al medico interessato la cancellazione per decesso tempestivamente e comunque entro un anno dall’evento. 5. Nell’ambito degli Accordi regionali possono essere concordate modalità di tutela dei medici massimalisti dalla indisponibilità alla acquisizione di nuove scelte dovuta a ritardo nella comunicazione delle cancellazioni per morte di assistiti del proprio elenco. 6. […] Le Aziende che aggiornano l’archivio assistiti utilizzando le informazioni anagrafiche dei Comuni, possono procedere, nei casi di trasferimento ad altre Aziende, alla revoca d’ufficio. 7. L’Azienda è tenuta a comunicare detta revoca al medico ed al cittadino interessati tempestivamente e comunque entro 3 mesi dall’evento. […] 9. Le revoche conseguenti ai cambiamenti di residenza all’interno della Azienda e tra aziende limitrofe sono disciplinate con accordi regionali. […] 11. Ai fini degli effetti economici relativi alle revoche d’ufficio di cui al presente articolo, l’Azienda è tenuta ad inviare al medico interessato, in uno con la comunicazione del previsto importo da ripetere, il tabulato nominativo relativo ai pazienti oggetto di revoca completo della causa e della decorrenza della revoca medesima. 12. Avverso alla richiesta di ripetizione il medico interessato può opporre motivato e documentato ricorso entro 15 giorni dalla sua comunicazione ed il Direttore Generale assume la propria deliberazione in merito entro 30 giorni dal ricevimento del ricorso. 13. Qualora l’importo complessivo richiesto dalla Azienda sia superiore al 20% dell’ammontare degli emolumenti mensili, l’Azienda può dare corso a conguaglio negativo solo in presenza di accordo in tal senso con il medico interessato. 14. La ripetizione delle somme o l’applicazione del conguaglio negativo hanno corso nella misura massima del 20% dei compensi mensili, al netto delle ritenute fiscali e previdenziali, fatto salvo eventuale differente accordo, in merito alla modalità di ripetizione delle somme, tra il medico interessato e l’Azienda».

Il successivo art. 43 (alla rubrica «Scelta, revoca, ricusazione. Effetti economici») stabilisce che «1. Ai fini della corresponsione dei compensi la scelta, la ricusazione e la revoca decorrono dal primo giorno del mese in corso o dal primo giorno del mese successivo a seconda che intervengano entro il 15° giorno o dal 16° giorno del mese. […] 4. Le operazioni di aggiornamento dell’elenco degli assistiti rispetto alla scelta e alla revoca sono svolte in tempo reale, qualora sia realizzabile in base alla possibilità di utilizzo di procedure informatiche. 5. Modalità differenti di gestione delle operazioni di scelta e revoca e di aggiornamento degli elenchi degli assistiti e delle comunicazioni ai medici sono oggetto di contrattazione regionale».

2.1.– Al quadro generale della materia poc’anzi descritto si è aggiunto il già citato Accordo integrativo regionale dei medici di medicina generale (AIR), il quale stabilisce all’art. 12, punto 3 (Scelta-revoca-ricusazione), che «La revoca della scelta da operarsi d’ufficio per trasferimento, decesso o doppioni ha effetto dal giorno successivo al verificarsi dell’evento. L’Azienda è tenuta a comunicare la cancellazione al medico interessato tempestivamente e comunque entro un anno dall’evento. Ove dette comunicazioni fossero effettuate oltre il termine dei 12 mesi, non potranno essere ripetute somme superiori a 12 quote. Il danno derivante dai ritardi nella comunicazione dei dati sopra specificati sarà fatto valere dal medico nei confronti dell’Azienda».

Il censurato art. 50, comma 4, della legge reg. Calabria n. 15 del 2008 stabilisce che «Per il recupero delle quote tuttora rimaste insolute inerenti gli assistiti deceduti, trasferiti o irreperibili, trovano applicazione le disposizioni di cui all’accordo (A.I.R) del 16 settembre 2006. Le relative modalità per la conseguente applicazione da parte delle Aziende sanitarie provinciali sono definite dal Dipartimento regionale “Tutela della Salute e Politiche Sanitarie”».

3.– Il descritto contesto normativo corrobora il giudizio di rilevanza effettuato dal giudice a quo, il quale osserva che l’art. 12, punto 3, dell’AIR del 16 settembre 2006, che prevede la limitata ripetibilità delle quote erogate al medico, sarebbe affetto da nullità in quanto contrastante con la contrattazione nazionale (l’ACN del 23 marzo 2005) e con l’art. 40 del d.lgs. n. 165 del 2001, che delimita gli ambiti della contrattazione collettiva ed i rapporti tra il livello di contrattazione nazionale ed i corrispondenti livelli regionali ed aziendali.

Al riconoscimento delle ragioni della ASL osterebbe, tuttavia, la disposizione censurata, che ha conferito rango legislativo alle norme dell’AIR contestate dall’appellante del giudizio a quo.

Infatti, l’accertamento della nullità della norma contrattuale integrativa consentirebbe l’applicazione dell’art. 2033 del codice civile e sarebbe dirimente nel giudizio a quo, poiché la contrattazione collettiva nazionale non detta limiti alla ripetibilità delle quote e quindi non consente deroghe alla generale disciplina dell’indebito oggettivo. Solamente la norma regionale impugnata, riproduttiva del precetto contenuto nell’art. 12, punto 3, dell’AIR del 16 settembre 2006, si frapporrebbe, dunque, alla applicazione di detta disciplina.

4.– Alla luce di quanto premesso, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 50, comma 4, della legge reg. Calabria n. 15 del 2008, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. è fondata.

La giurisprudenza di questa Corte ha in più occasioni affermato, con riguardo ai rapporti di pubblico impiego, che rientra nella materia dell’«ordinamento civile» la disciplina del trattamento economico dei dipendenti pubblici (sentenze n. 211 del 2014, n. 36 del 2013, n. 19 del 2013, n. 77 del 2011 e n. 332 del 2010). In quelle occasioni, si è precisato che, essendo stato il rapporto di impiego di tali lavoratori contrattualizzato dal d.lgs n. 165 del 2001, la sua disciplina (ivi inclusa quella delle varie componenti della retribuzione) rientra nella materia «ordinamento civile», riservata alla competenza esclusiva statale (sentenze n. 290 del 2012, n. 339 e n. 77 del 2011). Infatti, il rapporto di lavoro pubblico «[…] essendo stato “privatizzato” ai sensi dell’art. 2 del decreto legislativo n. 165 del 2001, è retto dalla disciplina generale dei rapporti di lavoro tra privati ed è, perciò, soggetto alle regole che garantiscono l’uniformità di tale tipo di rapporti» (sentenza n. 95 del 2007; nello stesso senso sentenza n. 189 del 2007).

In tale ambito rientra nell’«ordinamento civile» la disciplina della fase dell’adempimento del rapporto di lavoro, cui si applicano gli istituti uniformi del diritto privato, senza che la legge regionale possa disciplinare in difformità istituti incidenti sul diritto delle obbligazioni (sentenza n. 265 del 2013).

Ebbene, la disposizione impugnata si pone in patente contrasto con il parametro invocato, in quanto essa incide su un punto fondamentale della fase esecutiva del rapporto in convenzione, ridisegnando i diritti ed i doveri delle parti relativamente alla percezione (ed al trattenimento) di compensi non dovuti, relativi ad assistiti nel frattempo deceduti o trasferiti in altra sede.

4.1.– Non vi è dubbio, infatti, che il rapporto convenzionale dei medici di medicina generale con il Servizio sanitario nazionale trovi la sua disciplina innanzi tutto nell’art. 8 del d.lgs. n. 502 del 1992, che individua, tra l’altro, i limiti e gli ambiti della contrattazione collettiva, i cui esiti sono destinati ad essere attualmente recepiti da “intese” assunte in sede di Conferenza permanente Stato-Regioni, secondo il meccanismo disciplinato dal d.l. n. 81 del 2004.

Il citato art. 8 del d.lgs. n. 502 del 1992, unitamente all’art. 40 del d.lgs. n. 165 del 2001, individua le competenze della contrattazione collettiva di “secondo livello”. In particolare, l’art. 40, nel testo vigente ratione temporis, prima delle modifiche recate dal d.lgs. n. 150 del 2009, stabiliva che gli autonomi livelli di contrattazione collettiva integrativa si potevano svolgere solamente sulle materie e nei limiti stabiliti dai contratti collettivi nazionali. L’articolo pone il divieto alle pubbliche amministrazioni di sottoscrivere in sede decentrata contratti collettivi integrativi in contrasto con i vincoli risultanti dai contratti collettivi nazionali o comportanti oneri non previsti negli strumenti di programmazione annuale e pluriennale di ciascuna amministrazione, stabilendo la nullità e la “disapplicazione” delle clausole eventualmente adottate in violazione di tale divieto.

La stessa contrattazione collettiva nazionale in materia di personale sanitario a rapporto convenzionale, fondata sull’espressa previsione delle norme statali precedentemente richiamate, è certamente parte dell’ordinamento civile. Essa difatti si inserisce nel peculiare sistema integrato delle fonti cui la legge statale pone un forte presidio per garantirne la necessaria uniformità.

Recuperare l’inapplicabile clausola dell’AIR, affetta da nullità, attraverso una prescrizione legislativa regionale, assunta in assoluta carenza di competenza legislativa, determina di per sé l’illegittimità costituzionale della norma.

Rispetto alla richiamata giurisprudenza costituzionale in materia di impiego pubblico non esistono, sotto il profilo del presente giudizio, apprezzabili differenze per il rapporto convenzionale dei medici di medicina generale con il Servizio sanitario nazionale, ascrivibile alla cosiddetta “parasubordinazione”.

Infatti, vengono parimenti in evidenza le medesime esigenze di regolazione uniforme dei rapporti convenzionali dei medici con il Servizio sanitario nazionale giacché la disciplina specifica è costituita da una forte integrazione tra la normativa statale e la contrattazione collettiva nazionale (con una rigorosa delimitazione degli ambiti dell’ulteriore contrattazione decentrata) con un limitato rinvio – ma solo per ambiti e materie ben delineati – alla legislazione regionale, secondo schemi comuni agli altri settori del pubblico impiego.

Né, di contro, pur trattandosi di professioni sanitarie, può ritenersi emergere per il caso di specie un concorso di materie con quella concorrente della «tutela della salute» a mente dell’art. 117, terzo comma, Cost., in quanto la disciplina dei limiti ai recuperi delle quote corrisposte sine titulo ai medici di medicina generale non involge in alcun modo l’organizzazione del servizio sanitario o delle sue strutture.

5.– In definitiva, la norma regionale censurata, avendo introdotto nei rapporti dei medici convenzionati con il Servizio sanitario nazionale un meccanismo derogatorio del generale istituto dell’indebito civile (art. 2033 cod. civ.), si pone in contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., che riserva allo Stato la competenza legislativa in materia di «ordinamento civile».

Restano assorbite le censure formulate in riferimento all’art. 3, primo comma, Cost.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 50, comma 4, della legge della Regione Calabria 13 giugno 2008, n. 15, recante «Provvedimento generale di tipo ordinamentale e finanziario (collegato alla manovra di finanza regionale per l’anno 2008 ai sensi dell’art. 3, comma 4, della legge regionale 4 febbraio 2002, n. 8)».

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 luglio 2016.

F.to:

Paolo GROSSI, Presidente

Aldo CAROSI, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 20 luglio 2016.