ORDINANZA N. 165
ANNO 2016
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO
ITALIANO
composta dai signori:
- Paolo GROSSI Presidente
-
Alessandro CRISCUOLO Giudice
-
Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Mario
Rosario MORELLI ”
-
Giancarlo CORAGGIO ”
-
Giuliano AMATO ”
-
Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
-
Nicolò ZANON ”
- Franco MODUGNO ”
-
Giulio PROSPERETTI ”
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei giudizi di legittimità
costituzionale degli artt. 12, comma 9, 21, comma 1, numeri 1) e 3), e 22,
commi 2 e 3, della legge
24 gennaio 1979, n. 18 (Elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti
all’Italia), come modificati dalla legge 20 febbraio 2009, n. 10 (Modifiche
alla legge 24 gennaio 1979, n. 18, concernente l’elezione dei membri del
Parlamento europeo spettanti all’Italia), promossi dal Tribunale ordinario
di Cagliari, con ordinanza del 12 maggio 2014, iscritta
al n. 173 del registro ordinanze 2014, e dal Tribunale ordinario di
Trieste, seconda sezione civile, con ordinanza del 12 agosto 2014, iscritta
al n. 31 del registro ordinanze 2015, e rispettivamente pubblicate nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 44, prima serie speciale, dell’anno 2014
e n. 11, prima serie speciale, dell’anno 2015.
Visti gli atti di costituzione di C.F. ed altri, di C.M.
ed altri, di S.F. ed altri nonché gli atti di intervento del Presidente del
Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 14 giugno 2016 il Giudice relatore Nicolò
Zanon;
uditi gli avvocati Felice Carlo Besostri per C.F. ed
altri, C.M. ed altri, Felice Carlo Besostri e Enrico Bulfone per S.F. ed altri, e l’avvocato della Stato Massimo
Salvatorelli per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto che il Tribunale ordinario di Cagliari, con
ordinanza del 12 maggio 2014, ha sollevato questioni di legittimità
costituzionale degli artt. 12, comma 9, 21, comma 1, numeri 1) e 3), e 22,
commi 2 e 3, della legge 24 gennaio 1979, n. 18 (Elezione dei membri del
Parlamento europeo spettanti all’Italia), nel testo risultante dalle modifiche
introdotte dalla legge 20 febbraio 2009, n. 10 (Modifiche alla legge 24 gennaio
1979, n. 18, concernente l’elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti
all’Italia), in riferimento agli artt. 3, 48, secondo comma, e
51, primo comma,
della Costituzione;
che il giudice rimettente premette che,
nell’ambito di un giudizio promosso con ricorso ai sensi dell’art. 702-bis del
codice di procedura civile, alcuni cittadini iscritti nelle liste elettorali di
Comuni appartenenti alla circoscrizione europea V insulare della Sardegna e
della Sicilia per le elezioni dei rappresentanti italiani al Parlamento
europeo, hanno convenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri e
il Ministro dell’interno, affinché sia accertato il loro diritto all’esercizio
del voto libero, eguale, personale e diretto nelle consultazioni elettorali;
che i ricorrenti hanno assunto che tale
diritto non potrebbe essere esercitato nelle forme e nei limiti previsti e
garantiti dal combinato disposto degli artt. 1, 2, 3, 48, 49, 51, 56, 58 e 117,
primo comma, Cost.; dell’art. 3 della Convenzione europea per la salvaguardia
dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4
novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848
(Ratifica ed esecuzione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti
dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 e del
Protocollo addizionale alla Convenzione stessa, firmato a Parigi il 20 marzo
1952); degli artt. 20, 22, 223 e 224 del Trattato sul funzionamento dell’Unione
europea; degli artt. 2, 6, 9, 10 e 14 del Trattato dell’Unione europea; del
preambolo, secondo capoverso, e degli artt. 10, 12, 20, 21 e 39 della Carta dei
diritti fondamentali dell’Unione europea; della decisione 25 giugno 2002 e 23
settembre 2002, n. 2002/772/CE/Euratom del Consiglio dell’Unione europea, che
ha modificato l’atto relativo all’elezione dei rappresentanti al Parlamento
europeo a suffragio universale diretto, allegato alla decisione 20 settembre
1976, n. 76/787/CECA/CEE/Euratom del Consiglio; infine, della sentenza
della Corte di giustizia 23 aprile 1986 (Parti écologiste
«Les Verts» contro Parlamento
europeo, in causa-294/83);
che, in relazione a tutti i parametri ricordati, i
ricorrenti hanno dedotto plurime eccezioni di illegittimità costituzionale e di
non conformità al diritto dell’Unione europea di varie disposizioni contenute
nella legge n. 18 del 1979, come modificata dalla legge n. 10 del 2009;
che il rimettente, dopo aver illustrato
le ragioni per le quali non ha accolto larga parte delle doglianze prospettate
dalle parti, solleva questioni di legittimità costituzionale degli artt. 12,
comma 9, 21, comma 1, numeri 1) e 3), e 22, commi 2 e 3, della legge n. 18 del
1979, nel testo risultante dalle modifiche introdotte dalla legge n. 10 del
2009, i quali consentono solo alle liste di candidati eventualmente presentate
da partiti o gruppi politici espressi dalle minoranze di lingua francese della
Valle d’Aosta, di lingua tedesca della Provincia autonoma di Bolzano e di
lingua slovena del Friuli-Venezia Giulia, di sottrarsi al limite della soglia
di sbarramento del quattro per cento, se coalizzate con altra lista della
stessa circoscrizione presente in tutte le circoscrizioni;
che egli ritiene che tali disposizioni sarebbero lesive
degli artt. 3, 48, secondo comma, e 51, primo comma, Cost., in quanto
discriminerebbero, favorendole, le liste espresse dalle tre ricordate minoranze
linguistiche rispetto alle liste eventualmente presentate da altre minoranze
linguistiche riconosciute e tutelate da una legge dello Stato o da convenzioni
internazionali ratificate dall’Italia;
che, quanto alla rilevanza delle
questioni così prospettate, il rimettente – nel rigettare un’eccezione
dell’Avvocatura generale dello Stato – richiama «l’autorevole precedente
rappresentato dalle pronunzie della Corte di cassazione di cui alla ordinanza
interlocutoria n. 12060/2013 del 21.3.2013 e dalla sentenza n. 8878/2014 del 4
aprile 2014» e afferma che le questioni prospettate sarebbero rilevanti «al
fine dell’accoglimento dell’azione di accertamento-costitutiva proposta dai
ricorrenti»;
che, quanto alla non manifesta infondatezza, il giudice
a quo premette che l’art. 6 Cost. tutela le minoranze linguistiche; che l’art.
2 della legge 15 dicembre 1999, n. 482 (Norme in materia di tutela delle
minoranze linguistiche storiche) prevede che «[i]n attuazione dell’articolo 6
della Costituzione e in armonia con i principi generali stabiliti dagli
organismi europei e internazionali, la Repubblica tutela la lingua e la cultura
delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e
quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino,
l’occitano e il sardo»; e che la «normativa comunitaria» riconosce, accanto
alla tutela delle lingue regionali o minoritarie di cui alla Carta europea
delle lingue regionali o minoritarie, fatta a Strasburgo il 5 novembre 1992,
«la protezione delle minoranze nazionali e dei diritti e delle libertà delle
persone appartenenti a queste minoranze» e garantisce «ad ogni persona
appartenente ad una minoranza nazionale il diritto all’eguaglianza di fronte
alla legge e ad una eguale protezione dalla legge» attraverso l’adozione di
«misure adeguate in vista di promuovere, in tutti i settori della vita
economica, sociale, politica e culturale una eguaglianza piena ed effettiva tra
le persone appartenenti ad una minoranza nazionale e quelle appartenenti alla
maggioranza» (sono richiamati gli artt. 1 e 2 della Convenzione-quadro per la
protezione delle minoranze nazionali, fatta a Strasburgo il 1° febbraio 1995,
ratificata e resa esecutiva dall’Italia con legge 28 agosto 1997, n. 302);
che egli ricorda, inoltre, che gli Stati
europei hanno predisposto vari strumenti per garantire la rappresentanza
politica delle minoranze etniche e linguistiche in materia elettorale e, in
particolare, per limitare gli effetti conseguenti alla previsione di soglie di
sbarramento: o introducendo deroghe a tali soglie proprio per le liste espresse
da minoranze etniche o linguistiche (come previsto dall’art. 87, primo comma,
numero 3, del d.P.R. 20 marzo 1957, n. 361, recante «Approvazione del testo unico
delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati»), ovvero
consentendo loro il collegamento con altre liste;
che tale ultima soluzione, adottata con
le disposizioni censurate dal rimettente, non contrasterebbe con il principio
di eguaglianza, poiché non mirerebbe a garantire una rappresentanza alle
minoranze in quanto tali, ma sarebbe diretta a creare un’effettiva eguaglianza
nel procedimento elettorale sia tra tali minoranze e il resto della
popolazione, sia tra le diverse minoranze (sul punto richiamando i punti 22 e
23 del Codice di buona condotta in materia elettorale, adottato dalla
Commissione di Venezia nel corso della 52a sessione – Venezia, 18-19 ottobre
2002);
che la stessa Corte costituzionale, nella sentenza n. 159 del
2009, avrebbe affermato che la tutela delle minoranze linguistiche
costituisce un principio fondamentale dell’ordinamento costituzionale;
che, in tale contesto, le disposizioni censurate si
porrebbero in contrasto con il principio di eguaglianza, con le garanzie
riconosciute dall’art. 48 Cost. al diritto di voto e
dall’art. 51 Cost. per l’accesso in condizioni di
eguaglianza alle cariche elettive, poiché la previsione di «correttivi» a
tutela delle minoranze linguistiche ed etniche non sarebbe rivolta in eguale
misura e con identica efficacia nei confronti di tutti i gruppi espressione
delle minoranze linguistiche riconosciute espressamente nel nostro ordinamento;
che la riserva dei correttivi ricordati alle sole liste
di candidati delle tre minoranze individuate all’art. 12, comma 9, della legge
n. 18 del 1979 lascerebbe senza valida giustificazione il trattamento deteriore
delle altre minoranze – quelle albanesi, catalane, greche, croate e quelle
parlanti il francese e il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l’occitano
e il sardo – pure riconosciute dalla legislazione nazionale;
che il Tribunale ordinario di Trieste, seconda sezione
civile, con ordinanza del 12 agosto 2014, ha sollevato questioni di legittimità
costituzionale degli artt. 12, comma 9, 21, comma 1, numeri 1) e 3), e 22,
commi 2 e 3, della legge n. 18 del 1979, nel testo vigente in seguito alle
modificazioni apportate dalla legge n. 10 del 2009, in riferimento agli artt. 2, 3, 48, secondo comma, e
51, primo comma, Cost.;
che il giudice a quo premette che, nell’ambito di un
giudizio promosso con ricorso ai sensi dell’art. 702-bis cod. proc. civ.,
alcuni cittadini, residenti in Comuni «friulianofoni»,
ai sensi dell’art. 3 della legge n. 482 del 1999, ed iscritti nelle liste
elettorali di Comuni appartenenti alla circoscrizione europea II nord orientale
per le elezioni dei rappresentanti italiani al Parlamento europeo, hanno
convenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri e il Ministro
dell’interno, affinché sia accertato il loro diritto all’esercizio del voto
libero, eguale, personale e diretto nelle consultazioni elettorali;
che i ricorrenti assumono che tale
diritto non potrebbe essere esercitato nelle forme e nei limiti previsti e
garantiti dal combinato disposto degli artt. 1, 2, 3, 48, 49, 51, 56, 58 e 117,
primo comma, Cost.; dell’art. 3 della Convenzione europea per la salvaguardia
dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4
novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848;
degli artt. 20, 22, 223 e 224 del Trattato sul funzionamento dell’Unione
europea; degli artt. 2, 6, 9, 10 e 14 del Trattato dell’Unione europea; del
preambolo, secondo capoverso, e degli artt. 10, 12, 20, 21 e 39 della Carta dei
diritti fondamentali dell’Unione europea; della decisione 25 giugno 2002 e 23
settembre 2002, n. 2002/772/CE/Euratom del Consiglio dell’Unione europea, che
ha modificato l’atto relativo all’elezione dei rappresentanti al Parlamento
europeo a suffragio universale diretto, allegato alla decisione 20 settembre
1976, n. 76/787/CECA/CEE/Euratom del Consiglio; infine, della sentenza
della Corte di giustizia 23 aprile 1986 (Parti écologiste
«Les Verts» contro
Parlamento europeo, in causa-294/83), e che, perciò, denunciano «la
lesività delle modifiche della L. 18/79 introdotte dalla L. 10/09 in materia di
elezioni europee, e dichiarando quindi di agire ai sensi degli artt. 24, comma
1 e 2, e 111, comma 1 e 2, Cost., nonché 99, 100 e 102 c.p.c.»;
che il rimettente afferma che «lo strumento adottato ex
art. 702 bis c.p.c.» sarebbe «rituale», in quanto
«avente ad oggetto una questione di esercizio di diritti, sia pure di natura
pubblica, che si assume leso»;
che egli osserva che sussisterebbe, in
capo ai ricorrenti, l’interesse ad agire, richiamando, sul punto, le decisioni
della Corte di cassazione, prima sezione civile – ordinanza 21 marzo-17 maggio
2013, n. 12060 e sentenza 4-16 aprile 2014, n. 8878 – nelle quali sarebbe stata
fornita risposta affermativa in relazione ad analoga domanda di accertamento
svolta da alcuni elettori circa la lesione del rispettivo esercizio del voto in
modo libero, diretto e conforme alle previsioni, sia della Costituzione, sia
delle fonti europee;
che, secondo il rimettente, il fatto che le elezioni
dei membri del Parlamento europeo spettanti all’Italia si siano svolte nel
maggio 2014 non potrebbe porre in dubbio la concretezza ed attualità di tale
interesse, giacché il medesimo problema potrebbe ragionevolmente riproporsi in
occasione delle prossime elezioni, previste nel 2019;
che, dopo aver illustrato le ragioni per
le quali ritiene di non accogliere varie censure prospettate dalle parti, il
Tribunale ordinario di Trieste solleva questioni di legittimità costituzionale
degli artt. 12, comma 9, 21, comma 1, numeri 1) e 3), e 22, commi 2 e 3, della
legge n. 18 del 1979, nel testo risultante dalle modifiche introdotte dalla
legge n. 10 del 2009, in riferimento agli artt. 2, 3, 48, secondo comma, e 51,
primo comma, Cost., poiché tali disposizioni, contenendo «norme speciali e di
deroga» rispetto alla soglia di sbarramento solo per le minoranze linguistiche
«che hanno uno Stato di riferimento» (le minoranze di lingua francese della
Valle d’Aosta, di lingua tedesca della Provincia di Bolzano e di lingua slovena
del Friuli-Venezia Giulia), determinerebbero, per queste ultime, un trattamento
differenziato rispetto alle altre minoranze linguistiche pure riconosciute
dalla legge n. 482 del 1999 (in particolare, all’art. 2);
che il rimettente, a sostegno delle
censure proposte, menziona la Carta europea delle lingue regionali o
minoritarie, fatta a Strasburgo il 5 novembre 1992, e la Convenzione-quadro per
la protezione delle minoranze nazionali, fatta a Strasburgo il 1° febbraio
1995, ratificata e resa esecutiva dall’Italia con legge n. 302 del 1997, dalle
quali emergerebbe il pieno riconoscimento dei principi di protezione ed
eguaglianza delle minoranze nazionali, anche attraverso l’adozione di misure
adeguate a promuovere, in tutti i settori della vita economica, sociale,
politica e culturale, una eguaglianza piena ed effettiva tra le persone
appartenenti ad una minoranza nazionale e quelle appartenenti alla maggioranza;
che il giudice rimettente afferma, inoltre, che gli
Stati europei avrebbero predisposto vari strumenti di tutela delle minoranze
etniche e linguistiche, anche in materia elettorale;
che la stessa Corte costituzionale
avrebbe più volte ribadito l’esistenza di un principio fondamentale di tutela
delle minoranze linguistiche, richiamando, in particolare, la sentenza n. 215 del
2013, in cui sarebbe stata affermata l’«effettiva eguaglianza tra tutte le
comunità linguistiche regionali riconosciute, anche se prive di uno Stato
straniero di riferimento, quali la comunità linguistica friulanofona,
cui appartengono appunto gli odierni istanti»;
che, sulla base di tali considerazioni, il rimettente
assume che le norme censurate, le quali determinerebbero una disparità di
trattamento non sorretta da una razionale giustificazione, si porrebbero in
contrasto con gli artt. 2 e 3 Cost., come pure con la «libertà di voto ed
elettorale ex artt. 48 e 51 Cost.»;
che le questioni così prospettate – afferma infine il
rimettente – sarebbero rilevanti in ordine all’azione di accertamento proposta
dai ricorrenti, anche alla luce della loro documentata, e pacifica,
appartenenza alla comunità friulanofona (con la sola
eccezione di uno degli otto ricorrenti);
che, con atti di analogo tenore, depositati in data 11
novembre 2014 nel giudizio instaurato dal Tribunale ordinario di Cagliari e in
data 7 aprile 2015 in quello instaurato dal Tribunale ordinario di Trieste, è
intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano
dichiarate inammissibili e, comunque, infondate;
che l’Avvocatura generale dello Stato solleva plurime
eccezioni di inammissibilità;
che essa osserva, anzitutto, che le ordinanze di
rimessione sarebbero assolutamente carenti sotto il profilo dell’esatta
individuazione delle domande proposte nei giudizi pendenti dinanzi al Tribunale
ordinario di Cagliari e al Tribunale ordinario di Trieste, limitandosi a
riportare le conclusioni contenute negli atti introduttivi, e che l’omessa
descrizione delle fattispecie concrete impedirebbe di valutare la rilevanza
delle questioni;
che, in secondo luogo, i giudici rimettenti non
indicherebbero i principi espressi dalle disposizioni costituzionali che
assumono lese, omettendo, altresì, di fornire un’interpretazione
costituzionalmente conforme delle disposizioni censurate;
che, in terzo luogo, i rimettenti non
avrebbero indicato «una concreta motivazione» in ordine alla rilevanza della
questione, sottolineando l’Avvocatura generale dello Stato che le parti private
non agiscono dinanzi al giudice amministrativo con gli strumenti previsti in
tema di impugnazione dei risultati elettorali a tutela di un diritto attuale e
asseritamente leso in concreto, bensì, di fronte al giudice civile, a tutela di
un astratto diritto al voto libero, eguale, personale e diretto, così che le
norme oggetto del giudizio di costituzionalità verrebbero in buona sostanza
direttamente censurate per una (allo stato del tutto ipotetica e astratta) loro
errata applicazione;
che i rimettenti, inoltre, non si sarebbero preoccupati
di verificare la reale appartenenza dei ricorrenti ad una o più delle minoranze
in ipotesi discriminate;
che, infine, l’Avvocatura generale dello
Stato eccepisce l’inammissibilità delle questioni, poiché i giudici a quibus prospetterebbero vizi di illegittimità
costituzionale a fronte dei quali non sarebbe possibile individuare un’univoca
modalità di intervento, tale da rimuovere la (presunta) discriminazione tra le
varie minoranze, introducendo un regime che, in caso di sentenza di
accoglimento, consenta lo svolgimento delle elezioni senza che nel sistema si
verifichino insanabili aporie (viene ricordata la sentenza della
Corte costituzionale n. 271 del 2010);
che, quanto al merito delle questioni
sollevate dai giudici a quibus, l’Avvocatura generale
dello Stato premette che, in tema di tutela delle minoranze linguistiche, il
legislatore avrebbe apprestato una disciplina generale, contenuta nella legge
n. 482 del 1999, «per tutte le minoranze linguistiche storiche», e una
disciplina specifica per alcune minoranze «tipiche» (quelle di lingua francese
della Valle d’Aosta, di lingua tedesca del Trentino Alto-Adige, e di lingua
slovena del Friuli-Venezia Giulia), quale è quella, di rango costituzionale,
contenuta negli statuti delle Regioni ad autonomia speciale, nelle relative
disposizioni di attuazione, e in leggi ordinarie di riforma di particolari
settori;
che, secondo l’Avvocatura generale dello Stato, tale
differente regime di tutela sarebbe pienamente giustificato, sia dalla diversa
natura e consistenza delle minoranze linguistiche storiche rispetto alle altre
tre menzionate minoranze linguistiche, sia dalle differenze intercorrenti tra
le stesse minoranze storiche;
che la stessa legge n. 482 del 1999
regolerebbe, infatti, in via generale, e indistintamente, piccole lingue
d’enclave e lingue regionali nazionali, limitandosi a stabilire che tale
generica tutela debba poi essere precisata in interventi specifici e
differenziati, e che essa stessa prevederebbe, per le
minoranze di lingua francese, tedesca e slovena, un grado di tutela diverso, in
particolare attribuendo a tali lingue il carattere della «coufficialità»,
così che siano pienamente parificate alla lingua italiana, secondo i due
modelli del cosiddetto «bilinguismo integrale» e della «separazione»;
che, in tale quadro normativo, non sarebbe
irragionevole – secondo l’Avvocatura generale dello Stato – prevedere per
quelle minoranze, «“qualificate” dalla previsione degli Statuti regionali
speciali», una particolare tutela anche in materia elettorale, al fine di
limitare gli effetti conseguenti alla previsione di soglie di sbarramento;
che, sul punto, l’Avvocatura generale
dello Stato richiama la sentenza n. 159 del
2009, ove la Corte costituzionale avrebbe affermato che il principio
fondamentale di garanzia delle minoranze linguistiche sarebbe norma
programmatica di portata generale, che può condurre a differenze in forza di
norme interne di pari rango costituzionale, ovvero attuative di specifici
accordi internazionali: pertanto, se la protezione di idiomi alloglotti deve
trovare spazio, senza intaccare il ruolo privilegiato della lingua ufficiale,
sarebbe tuttavia necessario tutelare riservatamente gli ambiti in cui, in forza
di norme anche di rango costituzionale, vige il bilinguismo;
che, per tali ragioni, sarebbe pienamente giustificato
un regime differenziato tra minoranze linguistiche, in conseguenza della
discrezionale scelta del legislatore di regolare in modo diverso situazioni tra
loro disomogenee (viene menzionata la sentenza della
Corte costituzionale n. 213 del 1998);
che l’Avvocatura generale dello Stato, nell’atto di
costituzione nel giudizio instaurato dal Tribunale ordinario di Cagliari,
evidenzia, a titolo esemplificativo, che mancherebbe la stessa individuazione
di una lingua sarda unificata, risultando la stessa articolata in più dialetti
dotati di significativa identità propria;
che, nell’atto di costituzione nel giudizio instaurato
dal Tribunale ordinario di Trieste, essa osserva, invece, come sia del tutto
ragionevole (e rientri nella libera scelta del legislatore) che alla minoranza
linguistica slovena sia riconosciuto anche in materia elettorale (nazionale e
regionale) uno status particolare;
che, per tutte le ragioni illustrate, l’Avvocatura
generale dello Stato chiede, in entrambe le memorie, che le questioni
prospettate in relazione all’art. 3 Cost. siano
dichiarate non fondate;
che non sarebbero violati neppure gli
artt. 48 e 51 Cost., i quali riguarderebbero l’astratta possibilità di
esercitare il diritto di elettorato attivo e passivo in condizioni di parità ed
eguaglianza, e che tale diritto non sarebbe «minimamente inciso dalle
disposizioni di cui si tratta, discendendo il differente regime relativo alla
soglia di sbarramento dalla necessità proprio di fare corretta applicazione del
principio di uguaglianza a fronte di obblighi costituzionali che riguardano
solo talune minoranze linguistiche»;
che gli artt. 48 e 51 Cost. non
riguarderebbero, in ogni caso, il diritto di voto in sé, ma, in via del tutto
ipotetica ed eventuale, la possibilità che, a voto espletato, il candidato e la
lista prescelta dall’elettore non conseguano il seggio: ciò rientrerebbe, però,
«nel “gioco” elettorale», e potrebbe verificarsi con qualunque sistema
elettorale, proporzionale o maggioritario, in presenza o meno di soglie di
sbarramento;
che, infine, l’Avvocatura generale dello
Stato osserva che nessuna delle disposizioni di rango internazionale richiamate
dai giudici a quibus sarebbe idonea a sostenere le
argomentazioni esposte nell’ordinanza di rimessione, in quanto la Carta europea
delle lingue regionali o minoritarie non è mai stata ratificata dallo Stato
italiano, mentre la Convenzione-quadro per la protezione delle minoranze
nazionali, non dettando una definizione di minoranze nazionali, conterrebbe
affermazioni di principio difficilmente applicabili;
che, nell’imminenza dell’udienza pubblica, in data 24
maggio 2016, l’Avvocatura generale dello Stato ha depositato memorie in
entrambi i giudizi, anch’esse di analogo tenore, in cui insiste per
l’inammissibilità e, in subordine, per l’infondatezza delle questioni
prospettate dal Tribunale ordinario di Cagliari e dal Tribunale ordinario di
Trieste;
che, quanto all’ammissibilità delle
questioni sollevate, l’Avvocatura generale dello Stato, oltre a ribadire le
eccezioni già esposte nell’atto di costituzione, rileva che le ordinanze di
rimessione sarebbero carenti in punto di motivazione sulla rilevanza, poiché si
limiterebbero a prospettare l’esistenza di un interesse all’accertamento,
astratto e pro futuro, di un diritto che si assume leso dalle stesse previsioni
normative censurate, e che, senza offrire una motivazione «ampia, articolata ed
approfondita», prospetterebbero questioni di legittimità costituzionale che
difettano del requisito dell’incidentalità;
che si tratterebbe, invero, di una lis
ficta, ossia di un’impugnazione diretta della legge
della cui costituzionalità si dubita, che la giurisprudenza della Corte costituzionale
sarebbe ferma nel ritenere inammissibile;
che, per tali ragioni – ad avviso dell’Avvocatura
generale dello Stato – non vi sarebbero motivi per discostarsi dal precedente
rappresentato dalla sentenza della
Corte costituzionale n. 110 del 2015;
che tale giurisprudenza potrebbe, infatti, risultare
inconferente solo laddove altro rimedio non fosse consentito (è richiamata la sentenza della
Corte costituzionale n. 1 del 2014), ma che non sarebbe questo il caso,
essendo prospettabili altre vie d’azione più consone;
che, nel merito, oltre a ribadire quanto
già esposto nell’atto di costituzione, l’Avvocatura generale dello Stato
sottolinea che la scelta compiuta dal legislatore non sarebbe discriminatoria, in
quanto la stessa legge n. 482 del 1999, attribuendo alle lingue francese,
tedesca e slovena carattere di «coufficialità» –
ossia di equiparazione alla lingua italiana – evidenzierebbe il particolare
riconoscimento accordato a queste tre minoranze e che tale distinzione si
fonderebbe, ragionevolmente, sulla differente natura e consistenza di tali
minoranze rispetto alle altre, e sarebbe preordinata a bilanciare la tutela di
speciali e specifiche minoranze linguistiche con l’esigenza di non frammentare
eccessivamente la rappresentanza;
che, secondo l’Avvocatura generale dello Stato, non vi
sarebbe, inoltre, alcuna violazione degli artt. 48 e 51 Cost., in riferimento
all’astratta possibilità di esercitare il diritto di elettorato attivo e
passivo in condizioni di eguaglianza: al contrario, il differente regime della
soglia di sbarramento risponderebbe proprio alla corretta applicazione del
principio di eguaglianza a fronte di obblighi costituzionali che riguardano
solo talune minoranze linguistiche;
che nel giudizio instaurato dal Tribunale ordinario di
Cagliari si sono costituiti – con due distinti atti, di identico tenore,
depositati in data 11 novembre 2014 – alcuni dei ricorrenti nel giudizio
principale;
che, in particolare, un primo atto di intervento è
stato spiegato da C.F., G.S. e P.A. e un secondo atto di intervento da C.M.,
Z.P.F. e M.P.;
che le difese delle parti private chiedono
l’accoglimento delle questioni sollevate dal rimettente;
che le medesime parti, in data 24 maggio 2016, hanno
depositato ulteriore memoria, in cui viene, anzitutto, approfondito il profilo
dell’ammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale, sollevate
nell’ambito di azioni di accertamento, aventi ad oggetto la disciplina
legislativa in materia elettorale;
che, a tal fine, sono ricostruite le
vicende processuali che hanno condotto la Corte di cassazione a sollevare le
questioni di legittimità costituzionale decise dalla Corte costituzionale con
la sentenza n. 1
del 2014, nonché le analoghe vicende che hanno indotto alcuni giudici
ordinari a promuovere questioni di legittimità costituzionale su disposizioni
della legge per l’elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti
all’Italia;
che le parti ricordano che uno di questi
giudizi di legittimità costituzionale è già stato deciso dalla Corte
costituzionale con la sentenza n. 110 del
2015, che ha dichiarato l’inammissibilità di questioni sollevate
nell’ambito di azioni di accertamento, in quanto le vicende elettorali relative
all’elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti all’Italia ben
possono, a differenza di quelle relative al Parlamento nazionale, essere
oggetto di ricorso di fronte all’autorità giudiziaria, la quale può, in quella
sede, sollevare questioni di legittimità costituzionale;
che, rispetto alla decisione della Corte costituzionale
da ultimo citata, esse assumono che i rimedi giudiziari ordinari esperibili
prima e dopo le consultazioni elettorali non sarebbero adeguati a tutelare
pienamente la libertà di voto rispetto a norme asseritamente incostituzionali
contenute nella disciplina per l’elezione dei membri del Parlamento europeo
spettanti all’Italia;
che esse ritengono, inoltre, che la
Corte costituzionale, con la sentenza n. 110 del
2015, si sarebbe «sostituita alla Corte di cassazione» nel decidere una
questione di giurisdizione, poiché – ritenendo non possibile, nell’ambito di
un’azione di accertamento del diritto di voto instaurata di fronte al giudice
ordinario, sollevare questioni di legittimità costituzionale – avrebbe implicitamente
demandato la garanzia di tale diritto soggettivo al giudice amministrativo, di
fronte al quale sono impugnabili gli atti del procedimento elettorale;
che, più in generale, osservano – ancora richiamando
criticamente quanto statuito dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 110 del
2015 – che «[s]e esiste un diritto di votare secondo Costituzione e questo
è stato accertato e dichiarato con la sentenza n. 8878/2014 questo deve valere
in tutti i casi in cui è prevista una elezione»;
che una disparità di tutela a seconda del tipo di
elezione non sarebbe giustificabile, poiché l’art. 48 Cost. non
consentirebbe di differenziare a seconda che il diritto di voto sia esercitato
per eleggere un organo rappresentativo ovvero un altro;
che, nel giudizio originato dall’ordinanza di
rimessione del Tribunale ordinario di Trieste, si sono costituiti, con atto
depositato il 1° aprile 2015, le parti del giudizio principale, chiedendo
l’accoglimento delle questioni sollevate dal rimettente;
che le parti assumono che le disposizioni censurate dal
rimettente contrasterebbero con «parametri di giudizio comunitari», menzionando
una pluralità di disposizioni contenute nel Trattato sul funzionamento
dell’Unione europea, e con «parametri di costituzionalità del sistema CEDU»;
che esse ricordano poi le disposizioni costituzionali
poste a tutela delle minoranze linguistiche – gli artt. 2, 3 e 6 Cost. – e come
tali disposizioni siano ulteriormente rafforzate sul territorio della Regione
autonoma Friuli-Venezia Giulia dall’art. 3 della legge costituzionale 31
gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia), e
dal decreto legislativo 12 settembre 2002, n. 223 (Norme di attuazione dello
statuto speciale della regione Friuli-Venezia Giulia per il trasferimento di
funzioni in materia di tutela della lingua e della cultura delle minoranze
linguistiche storiche nella regione);
che gli evocati principi costituzionali
avrebbero «fatto sentire la loro influenza, anche a favore della lingua
friulana», conducendo a ritenere non applicabile la legislazione statale nel
territorio della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia (è citata la sentenza n. 215 del
2013), e che le questioni di legittimità costituzionale all’esame della
Corte costituzionale prenderebbero «le mosse proprio dal fatto che le attuali
clausole legislative di tutela linguistica, riservate alle cosiddette minoranze
linguistiche forti o con stato» non sarebbero più compatibili con la
giurisprudenza costituzionale più recente, la quale avrebbe riconosciuto
l’ormai pacifico rilievo, ad ogni effetto, anche delle minoranze linguistiche
«deboli o senza stato» (anche sul punto è citata la sentenza della
Corte costituzionale n. 215 del 2013);
che una minoranza linguistica riconosciuta, quale è
quella friulanofona, non potrebbe vedersi
discriminata da parte dell’ordinamento italiano solamente «in quanto priva di
stato estero di riferimento»;
che l’art. 3 dello statuto speciale della Regione
Friuli-Venezia Giulia pone sullo stesso piano tutti i gruppi linguistici
presenti nel territorio regionale;
che tali principi dovrebbero applicarsi a tutte le
materie, ed anche a quella elettorale, tant’è – assumono le parti private – che
la stessa legislazione elettorale statale darebbe rilievo agli ordinamenti
speciali per l’applicabilità delle formule di favore di volta in volta
previste;
che, nell’imminenza dell’udienza pubblica, in data 20
maggio 2016, le parti costituite nel giudizio di fronte al Tribunale ordinario
di Trieste hanno depositato un’ulteriore memoria, in cui replicano alle
osservazioni dell’Avvocatura generale dello Stato;
che, quanto alle eccezioni di
inammissibilità sollevate dall’Avvocatura generale dello Stato, le parti
osservano che delle disposizioni censurate non sarebbe possibile dare un’interpretazione
costituzionalmente conforme e che solo l’accoglimento delle questioni sollevate
dal giudice a quo consentirebbe di dare effettiva parità di trattamento,
garantita dagli artt. 2, 3 e 6 Cost., alle minoranze linguistiche riconosciute
dalla legge n. 482 del 1999 e tutelate dall’art. 3 dello statuto speciale della
Regione Friuli-Venezia Giulia e dalla relativa disciplina di attuazione;
che sussisterebbe, inoltre, l’interesse delle parti ad
agire nel giudizio principale, in quanto il ricorso sarebbe stato promosso
prima dello svolgimento della consultazione elettorale del 2014, allo scopo di
potere esercitare il diritto di voto sotto la vigenza di una legislazione
elettorale «costituzionalmente compatibile», anziché dover attendere l’esito
finale dell’applicazione di leggi elettorali incostituzionali per impugnarne,
in un momento successivo, i risultati;
che, quanto alla concretezza dell’interesse ad agire,
le parti evidenziano che il ricorso è stato promosso in relazione ad una
legislazione elettorale che, nel 2009, aveva già trovato applicazione;
che i ricorrenti – in qualità di
appartenenti alla minoranza friulanofona –
vanterebbero anche un interesse all’affermazione dell’eguaglianza tra minoranze
linguistiche (sono menzionate le sentenze della Corte
costituzionale n. 215 del 2013 e n. 159 del 2009)
e, infatti, l’accertamento richiesto nel giudizio pendente avanti al Tribunale
civile di Trieste risulterebbe riferito non soltanto alle questioni elettorali,
ma all’affermazione di fondamentali principi di parità di trattamento tra tutte
le comunità linguistiche autoctone legislativamente riconosciute;
che, quanto al merito delle censure sollevate dal
giudice rimettente, le parti ribadiscono – anche attraverso il richiamo alle
già menzionate decisioni della Corte costituzionale – la necessità di garantire
l’eguaglianza tra minoranze linguistiche, in particolare ricordando i caratteri
e la diffusione della comunità linguistica friulanofona;
che, infine, esse, in via subordinata,
chiedono alla Corte costituzionale di operare un rinvio pregiudiziale alla
Corte di giustizia, ai sensi dell’art. 267 del Trattato sul funzionamento
dell’Unione europea, in merito alla «compatibilità della legislazione
elettorale interna per il Parlamento Europeo rispetto all’ordinamento
comunitario», in relazione al mantenimento in vigore nell’ordinamento interno
di uno Stato membro delle discriminazioni legislative tendenti ad escludere, o
comunque a trattare in maniera deteriore, ai fini dell’elezione dei
rappresentanti dei propri cittadini comunitari in seno al Parlamento europeo,
le minoranze linguistiche che non siano «collegate a uno Stato estero».
Considerato che il Tribunale ordinario di Cagliari, con
ordinanza del 12 maggio 2014, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale
degli artt. 12, comma 9, 21, comma 1, numeri 1) e 3), e 22, commi 2 e 3, della
legge 24 gennaio 1979, n. 18 (Elezione dei membri del Parlamento europeo
spettanti all’Italia), nel testo risultante dalle modifiche introdotte dalla
legge 20 febbraio 2009, n. 10 (Modifiche alla legge 24 gennaio 1979, n. 18,
concernente l’elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti all’Italia),
in riferimento agli artt. 3, 48, secondo comma, e 51, primo comma, della
Costituzione;
che il Tribunale ordinario di Trieste, seconda sezione
civile, con ordinanza del 12 agosto 2014, ha sollevato questioni di legittimità
costituzionale degli artt. 12, comma 9, 21, comma 1, numeri 1) e 3), e 22,
commi 2 e 3, della legge n. 18 del 1979, nel testo risultante dalle modifiche
apportate dalla legge n. 10 del 2009, in riferimento agli artt. 2, 3, 48,
secondo comma, e 51, primo comma, Cost.;
che entrambi i rimettenti lamentano che
le disposizioni censurate tratterebbero in modo diseguale le liste di candidati
eventualmente presentate da partiti o gruppi politici espressi dalle minoranze
di lingua francese della Valle d’Aosta, di lingua tedesca della Provincia
autonoma di Bolzano, di lingua slovena del Friuli-Venezia Giulia, favorendole
rispetto alle liste eventualmente presentate da altre minoranze linguistiche
«riconosciute e tutelate da una legge dello Stato o da Convenzioni
internazionali sottoscritte e ratificate dall’Italia» e, in particolare,
dall’art. 2 della legge 15 dicembre 1999, n. 482 (Norme in materia di tutela
delle minoranze linguistiche storiche);
che i giudizi, avendo ad oggetto le medesime
disposizioni, e in parte gli stessi parametri costituzionali, devono essere
riuniti per essere decisi con un’unica pronuncia;
che le questioni prospettate sono manifestamente
inammissibili, per le ragioni già evidenziate da questa Corte nella sentenza n. 110 del
2015;
che, infatti, entrambi i giudici rimettenti, quanto
all’interesse ad agire dei ricorrenti nei due giudizi, si limitano a
richiamare, con un rinvio per relationem, i contenuti
delle decisioni della Corte di cassazione, prima sezione civile, 21 marzo-17
maggio 2013, n. 12060 e 4-16 aprile 2014, n. 8878, e a citare il petitum delle domande rispettivamente presentate da
costoro, relative all’accertamento della conformità a Costituzione del loro
diritto di voto;
che, così facendo, entrambi i giudici a quibus non argomentano, sul punto, in modo sufficiente e
non implausibile, così da esimere questa Corte da un riesame della motivazione
in ordine alla rilevanza delle questioni prospettate (ex multis,
sentenze n. 110
del 2015, n.
200 del 2014, n.
91 del 2013 e n.
41 del 2011);
che, in particolare, in relazione alle questioni di
legittimità costituzionale sollevate, i rimettenti non offrono un’adeguata motivazione
sull’appartenenza dei ricorrenti alle specifiche minoranze linguistiche,
asseritamente discriminate, limitandosi ad affermare, il solo Tribunale
ordinario di Trieste, che essi sono di lingua friulanofona,
nulla invece essendo esposto dal Tribunale ordinario di Cagliari;
che, inoltre, le disposizioni di legge regolanti
l’elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti all’Italia possono
pervenire al vaglio di legittimità costituzionale secondo l’ordinaria via
incidentale, in un giudizio avente ad oggetto una controversia concretamente
originatasi nel procedimento elettorale (sentenza n. 110 del
2015);
che, in particolare, contrariamente a
quanto affermato dalla difesa delle parti costituite, il diritto costituzionale
di voto, nelle elezioni dei membri del Parlamento europeo spettanti all’Italia,
può trovare tutela non solo successivamente alle elezioni, attraverso
l’impugnazione dei risultati elettorali, ma anche nell’ambito del procedimento
elettorale preparatorio, nelle ipotesi previste dall’art. 129 del decreto
legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell’art. 44 della legge 18
giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo
amministrativo), in ossequio al principio per cui il sindacato su atti
immediatamente lesivi del diritto a partecipare alle elezioni rappresenta una
garanzia fondamentale dei cittadini e deve svolgersi attraverso una tutela
giurisdizionale piena e tempestiva (sentenza n. 236 del
2010);
che tali possibilità di tutela di fronte al giudice comune
giustificano il differente trattamento delle questioni di legittimità
costituzionale ora in esame, rispetto a quelle sollevate nell’ambito di azioni
volte all’accertamento della pienezza del diritto di voto in relazione alle
elezioni per il rinnovo del Parlamento nazionale, diritto che, invece, non può
trovare tutela giurisdizionale, in virtù di quanto disposto dall’art. 66 Cost.
e dall’art. 87 del d.P.R. 30 marzo 1957, n. 361 (Approvazione del testo unico
delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati), quali
interpretati dai giudici comuni e dalle Camere in sede di verifica delle
elezioni (sentenza
n. 259 del 2009 e ordinanza n. 512
del 2000), anche alla luce della mancata attuazione della delega contenuta
nell’art. 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69 (Disposizioni per lo sviluppo
economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo
civile), nella parte in cui autorizzava il Governo ad introdurre la
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo nelle controversie
concernenti atti del procedimento elettorale preparatorio, oltre che per le
elezioni amministrative ed europee, anche per quelle per il rinnovo della
Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara manifestamente inammissibili le questioni di
legittimità costituzionale degli artt. 12, comma 9, 21, comma 1, numeri 1) e
3), e 22, commi 2 e 3, della legge 24 gennaio 1979, n. 18 (Elezione dei membri
del Parlamento europeo spettanti all’Italia), come modificati dalla legge 20
febbraio 2009, n. 10 (Modifiche alla legge 24 gennaio 1979, n. 18, concernente
l’elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti all’Italia), promossi,
in riferimento agli artt. 2, 3, 48, secondo comma, e 51, primo comma, della
Costituzione, dal Tribunale ordinario di Cagliari e dal Tribunale ordinario di
Trieste, seconda sezione civile, con le ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della
Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 giugno 2016.
F.to:
Paolo GROSSI, Presidente
Nicolò ZANON, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 7 luglio
2016.