SENTENZA N. 158
ANNO 2016
Cesare Mainardis
per g.c. del Forum di Quaderni Costituzionali
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Paolo GROSSI Presidente
- Alessandro CRISCUOLO Giudice
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Mario
Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
- Franco MODUGNO ”
- Augusto
Antonio BARBERA ”
- Giulio PROSPERETTI ”
ha pronunciato la
seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 7 della legge
della Regione Piemonte 24 dicembre 2014, n. 22 (Disposizioni urgenti in materia fiscale e tributaria),
promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso spedito per la
notifica il 27 febbraio 2015, depositato in cancelleria il 9 marzo 2015 ed iscritto
al n. 43 del registro ricorsi 2015.
Visto l’atto di
costituzione della Regione Piemonte;
udito nell’udienza
pubblica del 3 maggio 2016 il Giudice relatore Franco Modugno;
uditi l’avvocato dello
Stato Gabriella Palmieri per il Presidente del Consiglio dei ministri e
l’avvocato Giovanna Scollo per la Regione Piemonte.
Ritenuto in fatto
1.– Con
ricorso notificato il 27 febbraio 2015 e depositato nella cancelleria di questa
Corte il successivo 9 marzo, il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso, ai
sensi dell’art. 127 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale
dell’art. 7 della legge della Regione Piemonte 24 dicembre 2014, n. 22
(Disposizioni urgenti in materia fiscale e tributaria), per violazione dell’art. 117, secondo comma,
lettera e), della Costituzione.
L’Avvocatura
generale dello Stato osserva che con la disposizione censurata la Regione
Piemonte ha stabilito la misura del canone annuo per l’uso di acqua pubblica a
fini energetici e di riqualificazione dell’energia, misura che è diversificata
all’interno dell’utilizzazione idroelettrica in modo decrescente in proporzione
alla potenza media di concessione. Tale disciplina non sarebbe in linea con
quanto previsto dalla legislazione statale all’art. 37 del decreto-legge 22
giugno 2012, n. 83 (Misure urgenti per la crescita del Paese), convertito, con
modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 7 agosto 2012, n. 134.
La
normativa statale – che intende agevolare l’accesso degli operatori economici
al mercato dell’energia secondo condizioni uniformi su tutto il territorio nazionale,
garantendo in tal modo la tutela della concorrenza – ha previsto che «[a]l fine
di assicurare un’omogenea disciplina sul territorio nazionale delle attività di
generazione idroelettrica e parità di trattamento tra gli operatori economici,
con decreto del Ministro dello sviluppo economico, previa intesa in sede di
Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province
autonome di Trento e Bolzano, sono stabiliti i criteri generali per la
determinazione, secondo principi di economicità e ragionevolezza, da parte
delle regioni, di valori massimi dei canoni delle concessioni ad uso
idroelettrico» (art. 37, comma 7, del d.l. n. 83 del 2012). Alla legislazione
regionale sarebbe bensì demandata la fissazione dei canoni di concessione, ma
all’interno ed entro i «valori massimi» stabiliti dallo Stato.
Rileva
l’Avvocatura generale dello Stato che, pertanto, la determinazione dei predetti
canoni sarebbe stata attratta nell’ambito della suddetta disciplina,
espressione della competenza esclusiva statale in materia di «tutela della
concorrenza», ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., come peraltro avrebbe
riconosciuto questa Corte con la sentenza n. 28 del
2014. In tale pronuncia si è affermato, infatti, che le norme di cui
all’art. 37, commi 4, 5, 6, 7 e 8, del d.l. n. 83 del 2012 «rientrano nella
materia “tutela della concorrenza”, di competenza esclusiva dello Stato (art.
117, secondo comma, lettera e, Cost.)».
Secondo la
ricorrente, dunque, la disposizione regionale impugnata – riservando alla
Regione l’attività di approvazione e modulazione del canone per l’uso di acqua
pubblica relativo all’uso energetico e di riqualificazione dell’energia,
attività che la disposizione statale, indicata come norma interposta, ha invece
riservato allo Stato – avrebbe invaso con tutta evidenza la competenza
esclusiva statale in materia di «tutela della concorrenza».
2.– Con memoria depositata il 9 aprile 2015 si è costituita in giudizio la
Regione Piemonte, chiedendo che il ricorso sia dichiarato infondato.
La difesa
regionale – dopo aver sottolineato che il decreto ministeriale di cui all’art.
37, comma 7, del d.l. n. 83 del 2012 non sia ancora stato emanato – osserva, innanzitutto, che la
ricorrente erroneamente sostiene che i canoni di concessione vanno fissati
all’interno ed entro i «valori massimi» stabiliti dallo Stato. Il decreto
ministeriale di cui alla normativa statale dovrebbe invece stabilire, peraltro
d’intesa con le Regioni, i «criteri generali» che le Regioni stesse devono
seguire per la determinazione di «valori massimi» dei canoni di concessione.
Ciò
premesso, la resistente rileva che questa Corte, con la sentenza n. 85 del
2014, ha dichiarato in parte inammissibile e in parte infondata una
questione proposta nei confronti di analoga disposizione prevista da una legge
della Regione Abruzzo. In detta pronuncia questa Corte ha affermato che, per
effetto degli artt. 86 e 88 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112
(Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed
agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59), è
stata demandata alle Regioni competenti per territorio l’intera gestione del
demanio idrico, comprensiva della competenza a determinare i canoni di
concessione, ambito in relazione al quale «l’unico principio fondamentale della
materia è quello della onerosità della concessione e della proporzionalità del
canone alla entità dello sfruttamento della risorsa pubblica e all’utilità
economica che il concessionario ne ricava».
La Regione
Piemonte prosegue poi sottolineando che con altra sentenza, la n. 64 del 2014,
questa Corte aveva precisato che la disciplina statale, già nell’art. 35 del
regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775 (Approvazione del testo unico delle
disposizioni di legge sulle acque e sugli impianti elettrici), e poi nell’art.
18 della legge 5 gennaio 1994, n. 36 (Disposizioni in materia di risorse
idriche), ha definito il canone, confermandone la previsione generale «per ogni
kilowatt di potenza nominale concessa o riconosciuta, per le concessioni di
derivazioni ad uso idroelettrico».
Alla luce
della richiamata giurisprudenza costituzionale, la difesa regionale afferma,
dunque, che, in assenza del d.m. di cui all’art. 37, comma 7, del d.l. n. 83
del 2012, il solo principio della legislazione statale nel cui perimetro deve
essere esercitata la potestà legislativa concorrente in materia di energia
resta e si compendia nella onerosità della concessione e nella determinazione
del canone in base all’effettiva entità dello sfruttamento della risorsa
idrica.
D’altra
parte, continua la resistente, questa Corte nella sentenza n. 64 del
2014 ha affermato che l’esigenza di tutelare la concorrenza, attraverso
l’uniformità della disciplina sull’intero territorio nazionale, è sorta
soltanto con il d.l. n. 83 del 2012. Conseguentemente, si dovrebbe ritenere che
l’operatività dell’art. 37, comma 7, di detto decreto, in quanto demandata ad
un decreto ministeriale concordato con le Regioni, è differita a tale evento.
Nel frattempo, permarrebbe la competenza regionale concorrente, che le Regioni
potrebbero esercitare applicando i criteri previsti dalla normativa vigente e
il cui esercizio sarebbe sindacabile solo sotto il profilo della congruità,
salvo adeguarsi, una volta adottato il suddetto decreto, a quanto in esso
stabilito.
3.– In prossimità dell’udienza, il
Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato memoria, con la quale
insiste per l’accoglimento del proposto ricorso.
Il ricorrente,
dopo aver ripercorso il contenuto normativo della disposizione regionale
impugnata e di quella statale indicata quale parametro interposto, afferma che,
contrariamente a quanto rilevato dalla Regione Piemonte nel proprio atto di
costituzione, la determinazione dei «valori massimi» dei canoni di concessione
da parte delle Regioni dovrebbe avvenire, al fine di rendere omogenea la
disciplina sul territorio nazionale, «all’interno ed entro i criteri generali
stabiliti dallo Stato». Sarebbe pertanto
evidente, in questa prospettiva, che l’art. 7 della legge della Regione
Piemonte n. 22 del 2014 ha invaso la competenza esclusiva statale in materia di
tutela della concorrenza.
L’Avvocatura
generale dello Stato prosegue richiamando la giurisprudenza costituzionale in
materia di «tutela della concorrenza» e rilevando, in particolare, che dato il
suo intrinseco carattere finalistico quest’ultima può influire anche su materie
di competenza legislativa – concorrente o residuale – delle Regioni e che,
quando ciò accada, il legislatore regionale non può prevedere requisiti
ulteriori rispetto a quelli ammessi dalla disciplina statale.
Ciò
premesso, il ricorrente afferma che, a seguito dell’adozione del d.l. n. 83 del
2012, la determinazione dei canoni per l’uso energetico e di riqualificazione
dell’energia è espressione della competenza esclusiva statale in materia di
«tutela della concorrenza». A sostegno di ciò richiama la già citata sentenza n. 28 del
2014 di questa Corte, per poi sottolineare altresì il contrasto della
disposizione censurata con le finalità poste dall’art. 37, comma 7, del d.l. n.
83 del 2012, dal momento che una disciplina dei canoni non omogenea dettata da
parte delle Regioni è in grado di alterare l’equilibrio concorrenziale fra i
vari operatori.
Infine, il
Presidente del Consiglio dei ministri esclude che la sentenza n. 85 del
2014 della Corte costituzionale si attagli al caso in esame, perché è stata
pronunciata con riferimento a una legge regionale adottata prima
dell’emanazione del d.l. n. 83 del 2012. A tal proposito rileva, altresì, che
la sentenza n.
64 del 2014 di questa Corte, già richiamata dalla Regione Piemonte nel suo
atto di costituzione, aveva affermato che è solo con il suddetto d.l. n. 83 del
2012 che lo Stato ha ritenuto di attrarre nell’ambito della tutela della
concorrenza la quantificazione del corrispettivo delle concessioni per
l’utilizzo delle acque a scopo idroelettrico. Conseguentemente, la
determinazione del canone per l’uso di acqua pubblica compiuta dalla Regione
Piemonte con la disposizione censurata risulterebbe in violazione dell’art.
117, secondo comma, lettera e), della
Costituzione.
Considerato in diritto
1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso questione di
legittimità costituzionale dell’art. 7 della legge della Regione Piemonte 24
dicembre 2014, n. 22 (Disposizioni urgenti in materia fiscale e tributaria),
per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione.
La
disposizione regionale censurata – che stabilisce la misura del canone annuo
per l’uso di acqua pubblica a fini energetici e di riqualificazione
dell’energia, misura diversificata all’interno dell’utilizzazione idroelettrica
in modo decrescente in proporzione alla potenza media di concessione – avrebbe
invaso, secondo il ricorrente, la competenza esclusiva statale in materia di
«tutela della concorrenza». Osserva infatti l’Avvocatura generale dello Stato
che l’art. 37, comma 7, del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83 (Misure urgenti
per la crescita del Paese), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma
1, della legge 7 agosto 2012, n. 134, ha previsto che «con decreto del Ministro
dello sviluppo economico, previa intesa in sede di Conferenza permanente per i
rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano,
sono stabiliti i criteri generali per la determinazione, secondo principi di
economicità e ragionevolezza, da parte delle regioni, di valori massimi dei
canoni delle concessioni ad uso idroelettrico». La determinazione dei predetti
canoni sarebbe stata, pertanto, attratta nell’ambito di tale disciplina,
espressione della competenza esclusiva statale in materia di «tutela della
concorrenza».
2.– Per un compiuto inquadramento della proposta questione di legittimità, è
necessario ripercorrere l’evoluzione normativa in materia di derivazioni di
acqua a scopo idroelettrico, con particolare riferimento alla disciplina
concernente la determinazione dei canoni.
2.1.–
L’art. 6 del regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775 (Approvazione del testo unico delle disposizioni di legge sulle
acque e sugli impianti elettrici), tanto nel testo originario quanto in quello
oggi vigente a seguito della sostituzione operata dall’art. 1 del decreto
legislativo 12 luglio 1993, n. 275 (Riordino in materia di concessione di acque
pubbliche), stabilisce che le utenze di acqua pubblica hanno per oggetto grandi
e piccole derivazioni e precisa, per quel che maggiormente rileva ai fini del
presente giudizio, che sono grandi derivazioni quelle che per produzione di
forza motrice eccedono la potenza nominale media annua di kilowatt 3000 e che
per costituzione di scorte idriche a fini di sollevamento a scopo di
riqualificazione di energia superano i 100 litri al minuto secondo.
L’art. 35
del medesimo testo unico stabilisce che le utenze di acqua pubblica sono
sottoposte al pagamento di un canone annuo, ancorato, per quel che qui rileva,
a ogni kilowatt di potenza nominale concessa o riconosciuta.
L’art. 18
della legge 5 gennaio 1994, n. 36 (Disposizioni in materia di risorse idriche),
ha stabilito che i canoni relativi alle utenze di acqua pubblica costituiscono
il corrispettivo per gli usi delle acque prelevate e ne ha fissato l’importo in
relazione ai diversi usi. Per quel che concerne le concessioni di derivazione
ad uso idroelettrico, ha determinato il canone, per ogni kilowatt di potenza
nominale concessa o riconosciuta, in lire 20.467.
2.2.– Con
il decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e
compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in
attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59), è stata conferita alle
regioni competenti per territorio l’intera gestione del demanio idrico (art.
86), specificando che detta gestione comprende, tra le altre, le funzioni
amministrative relative alla determinazione dei canoni di concessione e
all’introito dei relativi proventi (art. 88).
Nel
conferire tali funzioni, il citato decreto ha peraltro fatto temporaneamente
salva la competenza dello Stato in materia di grandi derivazioni, prevedendo
che, fino all’entrata in vigore delle norme di recepimento della direttiva 19
dicembre 1996, n. 96/92/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio
concernente norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica), le
concessioni sono rilasciate dallo Stato d’intesa con la Regione interessata
ovvero, in caso di mancata intesa nel termine di sessanta giorni, dal Ministro
dell’industria, del commercio e dell’artigianato (art. 29, comma 3).
Successivamente, con il decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79 (Attuazione
della direttiva 96/92/CE recante norme comuni per il mercato interno
dell’energia elettrica), è stata data attuazione a tale direttiva e si è
pertanto realizzata la condizione cui la sopracitata disposizione subordinava
il trasferimento delle competenze alle Regioni.
L’art. 12,
comma 11, di questo stesso d.lgs. n. 79 del 1999 prevedeva, inoltre, che con
altro decreto legislativo sarebbero state stabilite le modalità per la
fissazione dei canoni demaniali di concessione.
Infine, con
la riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione è stata attribuita
alle Regioni ordinarie, ai sensi dell’art. 117, terzo comma, la competenza
legislativa concorrente in materia di «produzione, trasporto e distribuzione
nazionale dell’energia».
2.3.– In seguito, con l’art. 154, comma 3, del decreto legislativo 3 aprile
2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), si è disposto che «[a]l fine di
assicurare un’omogenea disciplina sul territorio nazionale, con decreto del
Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dell’ambiente
e della tutela del territorio e del mare, sono stabiliti i criteri generali per
la determinazione, da parte delle regioni, dei canoni di concessione per
l’utenza di acqua pubblica». Con lo stesso decreto legislativo si è proceduto,
nell’art. 175, all’abrogazione della citata legge n. 36 del 1994.
Infine, è
intervenuto il già menzionato art. 37, comma 7, del d.l. n. 83 del 2012, con il
quale, secondo il ricorrente, la disposizione censurata nel presente giudizio
non sarebbe in linea, violando in tal modo l’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.
3.– Tanto premesso, la questione di legittimità dell’art. 7 della legge della
Regione Piemonte n. 22 del 2014 non è fondata.
3.1. – La
giurisprudenza di questa Corte ha espressamente ricondotto la quantificazione
della misura dei canoni idroelettrici, ambito ben diverso da quello afferente
al servizio idrico integrato (sentenza n. 85 del
2014), alla competenza legislativa concorrente in materia di «produzione,
trasporto e distribuzione nazionale dell’energia» di cui all’art. 117, terzo
comma, Cost. (sentenze n. 85
e 64 del 2014),
così come aveva già ascritto al medesimo ambito di competenza la disciplina
inerente alle concessioni di grandi derivazioni d’acqua per uso idroelettrico (sentenze n. 205 del
2011 e n. 1
del 2008).
Il
Presidente del Consiglio dei ministri, come si è visto, assume che, con l’art. 37, comma 7, del d.l.
n. 83 del 2012, la disciplina della determinazione dei canoni delle concessioni
ad uso idroelettrico sia stata attratta nell’ambito della materia «tutela della
concorrenza», come sarebbe stato anche riconosciuto da questa Corte con la sentenza n. 28 del
2014. Il ricorso statale muove, tuttavia, da una affermazione erronea, che
tradisce il senso della disposizione evocata quale parametro interposto. Ne
consegue l’infondatezza della questione (sentenze n. 182 del
2011 e n.
365 del 2006).
Con detta
disposizione, infatti, lo Stato è bensì intervenuto in tema di canoni delle
concessioni ad uso idroelettrico, ma al solo fine di demandare a un successivo
decreto ministeriale, da adottarsi d’intesa con le Regioni, esclusivamente la
definizione dei «criteri generali» per la determinazione dei «valori massimi»
dei suddetti canoni, che deve essere operata, però, dalle Regioni medesime. In
altri termini, è ribadita espressamente la competenza regionale – già prevista
dalla normativa statale pregressa (si veda, specialmente, l’art. 88 del d.lgs.
n. 112 del 1998) – alla determinazione dei canoni, precisando soltanto che essa
deve avvenire nel rispetto dei «criteri generali» stabiliti dal decreto
ministeriale.
È in
relazione a questo contenuto normativo dell’art. 37, comma 7, che si è pronunciata
questa Corte con la sentenza n. 28 del
2014. Pertanto, se è vero che in quella occasione, nel dichiarare non
fondati due ricorsi delle Province autonome di Trento e di Bolzano avverso
diversi commi del citato art. 37, tra cui quello rilevante nel presente
giudizio, si è affermato che tali disposizioni «rientrano nella materia “tutela
della concorrenza”», è del tutto evidente che la riconduzione alla competenza esclusiva statale vale
unicamente per la disciplina ivi dettata: ovvero, per la definizione dei
«criteri generali» cui devono attenersi le Regioni nella determinazione dei
«valori massimi» dei canoni. Altrimenti detto, è ascrivibile alla tutela della
concorrenza non l’intera disciplina della determinazione dei canoni delle
concessioni ad uso idroelettrico – come invece afferma lo Stato nel proprio
ricorso – ma soltanto la definizione dei «criteri generali» che debbono poi
essere seguiti dalle Regioni al momento di stabilire la misura dei canoni: il
che, d’altra parte, è in linea con la costante giurisprudenza di questa Corte
secondo cui la natura di materia trasversale della tutela della concorrenza fa sì che essa possa intersecare
qualsivoglia titolo di competenza legislativa regionale, ma «nei limiti
strettamente necessari per assicurare gli interessi» cui è preposta (sentenze n. 452 del
2007 e n.
272 del 2004).
Alla luce
dell’evoluzione del quadro normativo e della richiamata giurisprudenza
costituzionale, pertanto, si deve precisare che la determinazione e
quantificazione dei canoni idroelettrici è riconducibile alla materia
«produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», salvo che per
la definizione dei «criteri generali» per la determinazione dei loro «valori
massimi», ascrivibile invece alla materia «tutela della concorrenza».
3.2.– La determinazione, da parte delle Regioni, della misura dei canoni delle
concessioni ad uso idroelettrico è dunque condizionata, secondo la normativa
vigente, dai «criteri generali» che devono essere dettati dal decreto
ministeriale, da adottarsi peraltro d’intesa con le Regioni. Quest’ultimo,
difatti, «[fa] corpo con la disposizione legislativa» che ad esso rinvia,
completando il principio in quella contenuto (sentenza n. 11 del
2014).
Il citato
d.m. non risulta, a oggi, ancora essere stato adottato. Questa circostanza non
può portare a considerare paralizzata la competenza regionale alla
determinazione della misura dei canoni idroelettrici, sul presupposto che
altrimenti le Regioni disporrebbero in violazione della competenza esclusiva
statale in materia di «tutela della concorrenza». Da un lato, infatti, se è
vero che il d.m. integra la normativa legislativa, in sua assenza la
disposizione che ad esso rinvia non è ancora pienamente operante ed efficace;
dall’altro, in mancanza del d.m., «il contrasto è solo ipotetico, ben potendo
la normativa statale prevedere modalità del tutto compatibili» con quelle della
normativa regionale (sentenza n. 298 del
2013).
In attesa
che sia adottato il d.m., pertanto, le Regioni possono continuare a determinare
i canoni idroelettrici nel rispetto dei principî fondamentali statali nella materia «produzione, trasporto e distribuzione nazionale
dell’energia». Sotto tale aspetto, la giurisprudenza di questa Corte ha già
escluso che sia qualificabile come principio fondamentale «il criterio di
determinazione del canone in base ad un importo fisso e non progressivo» (sentenza n. 64 del
2014; analogamente anche Corte di cassazione, sezioni unite civili,
sentenza 30 giugno 2009, n. 15234) ed ha invece rilevato come «l’unico
principio fondamentale della materia [sia] quello della onerosità della
concessione e della proporzionalità del canone alla entità dello sfruttamento
della risorsa pubblica e all’utilità economica che il concessionario ne ricava»
(sentenza n. 85
del 2014; nello stesso senso anche Corte di cassazione, sezioni unite
civili, sentenze 11 luglio 2011, n. 15144 e
n. 15234 del 2009 già citata). Lo stesso art. 37, comma 7, del d.l. n.
83 del 2012 prevede espressamente, in linea di continuità coi principî
fondamentali ora richiamati, che la determinazione dei canoni da parte delle
Regioni deve essere effettuata «secondo principi di economicità e
ragionevolezza», i quali, pertanto, già prima della definizione con d.m. dei
«criteri generali», devono essere rispettati quando viene fissata la misura dei
canoni idroelettrici.
Va, infine,
soltanto precisato che, se le Regioni possono, in assenza del d.m., determinare
la misura dei canoni idroelettrici nel rispetto dei principî fondamentali
statali, esse hanno però l’onere – nel rispetto del principio di leale
collaborazione cui peraltro è ispirato l’art. 37, comma 7, del d.l. n. 83 del
2012 – di adeguarsi ai «criteri generali» una volta che essi siano stati
stabiliti dal d.m., come peraltro pianamente riconosce la stessa Regione
Piemonte nell’atto di costituzione.
4.– Ciò posto, ai fini della risoluzione della presente questione di
legittimità, giova innanzitutto rammentare che il Presidente del Consiglio dei
ministri censura l’art. 7 della legge della Regione Piemonte n. 22 del 2014
soltanto sotto il profilo dell’invasione della competenza esclusiva statale in
materia di «tutela della concorrenza». Conseguentemente, è indispensabile
verificare, in considerazione di quanto si è detto sinora, se con la
disposizione censurata la Regione Piemonte ha provveduto esclusivamente a
quantificare i canoni idroelettrici – nell’ambito della propria competenza
nella materia «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia» –
o se, invece, ha definito i «criteri generali» per la determinazione dei loro «valori
massimi» – invadendo in tal modo la competenza esclusiva statale nella materia
«tutela della concorrenza». In altri termini, si deve procedere, nel rispetto
del costante orientamento di questa Corte, all’individuazione dell’ambito
materiale nel quale va ascritta la disposizione censurata «tenendo conto della ratio, della finalità, del contenuto e
dell’oggetto della disciplina» (così, da ultimo, la sentenza n. 245 del
2015).
Ebbene,
l’art. 7 della legge della Regione Piemonte n. 22 del 2014 è riconducibile alla
materia «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia». Con la
sua adozione, difatti, la Regione Piemonte non ha affatto dettato «criteri
generali» per la determinazione dei canoni idroelettrici, che dovranno essere
posti dal d.m. di cui all’art. 37, comma 7, del d.l. n. 83 del 2012, bensì ha
soltanto provveduto a stabilire la misura dei canoni idroelettrici di cui alla
disposizione impugnata. Quest’ultima, infatti, si limita a determinare, a
decorrere dal 1° gennaio 2015 e fino all’adozione di un nuovo regolamento della
Giunta regionale in materia, l’importo unitario del canone annuo per l’uso di
acqua pubblica relativo all’uso energetico e di riqualificazione dell’energia.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità dell’art. 7 della
legge della Regione Piemonte 24 dicembre 2014, n. 22 (Disposizioni urgenti in
materia fiscale e tributaria), promossa, in riferimento all’art. 117, secondo
comma, lettera e), della
Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso
indicato in epigrafe.
Così deciso
in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo
della Consulta, il 3 maggio 2016.
F.to:
Paolo GROSSI,
Presidente
Franco MODUGNO,
Redattore
Roberto MILANA,
Cancelliere
Depositata in
Cancelleria il 7 luglio 2016.