Sentenza n. 111 del 2016

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SENTENZA N. 111

ANNO 2016

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Paolo                             GROSSI                                    Presidente

-           Giuseppe                       FRIGO                                         Giudice

-           Alessandro                    CRISCUOLO                                    ”

-           Giorgio                          LATTANZI                                       ”

-           Aldo                              CAROSI                                            ”

-           Marta                            CARTABIA                                      ”

-           Mario Rosario               MORELLI                                         ”

-           Giancarlo                      CORAGGIO                                     ”

-           Giuliano                        AMATO                                            ”

-           Silvana                          SCIARRA                                         ”

-           Daria                             de PRETIS                                         ”

-           Nicolò                           ZANON                                             ”

-           Franco                           MODUGNO                                      ”

-           Augusto Antonio          BARBERA                                        ”

-           Giulio                            PROSPERETTI                                 ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 11, comma 2, della legge 30 dicembre 1991, n. 413 (Disposizioni per ampliare le basi imponibili, per razionalizzare, facilitare e potenziare l’attività di accertamento; disposizioni per la rivalutazione obbligatoria dei beni immobili delle imprese, nonché per riformare il contenzioso e per la definizione agevolata dei rapporti tributari pendenti; delega al Presidente della Repubblica per la concessione di amnistia per reati tributari; istituzioni dei centri di assistenza fiscale e del conto fiscale), e dell’art. 2, comma 5, del decreto-legge 23 gennaio 1993, n. 16 (Disposizioni in materia di imposte sui redditi, sui trasferimenti di immobili di civile abitazione, di termini per la definizione agevolata delle situazioni e pendenze tributarie, per la soppressione della ritenuta sugli interessi, premi ed altri frutti derivanti da depositi e conti correnti interbancari, nonché altre disposizioni tributarie), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 24 marzo 1993, n. 75, promosso dalla Commissione tributaria regionale del Lazio nel procedimento vertente tra Marigliano Eugenia e l’Agenzia delle entrate – Direzione provinciale di Roma 1 ed altro, con ordinanza del 10 novembre 2014, iscritta al n. 191 del registro ordinanze 2015 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 39, prima serie speciale, dell’anno 2015.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 20 aprile 2016 il Giudice relatore Daria de Pretis.

Ritenuto in fatto

1.– La Commissione tributaria regionale del Lazio, con ordinanza del 10 novembre 2014, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 11, comma 2, della legge 30 dicembre 1991, n. 413 (Disposizioni per ampliare le basi imponibili, per razionalizzare, facilitare e potenziare l’attività di accertamento; disposizioni per la rivalutazione obbligatoria dei beni immobili delle imprese, nonché per riformare il contenzioso e per la definizione agevolata dei rapporti tributari pendenti; delega al Presidente della Repubblica per la concessione di amnistia per reati tributari; istituzioni dei centri di assistenza fiscale e del conto fiscale), e dell’art. 2, comma 5, del decreto-legge 23 gennaio 1993, n. 16 (Disposizioni in materia di imposte sui redditi, sui trasferimenti di immobili di civile abitazione, di termini per la definizione agevolata delle situazioni e pendenze tributarie, per la soppressione della ritenuta sugli interessi, premi ed altri frutti derivanti da depositi e conti correnti interbancari, nonché altre disposizioni tributarie), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 24 marzo 1993, n. 75, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione.

La Commissione tributaria regionale premette di essere chiamata a decidere l’appello proposto dall’usufruttuaria di un immobile oggetto di «prescrizioni di tutela indiretta», ai sensi dell’art. 21 della legge 1° giugno 1939, n. 1089 (Tutela delle cose d’interesse artistico e storico), a salvaguardia e tutela della Basilica di S. Maria Maggiore, compresa tra i beni di cui agli artt. 2 e 3 della stessa legge n. 1089 del 1939.

Nel giudizio principale – espone il giudice a quo – la contribuente afferma che, dovendo far fronte a gravosi oneri di restauro e consolidamento per adempiere alle prescrizioni imposte dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, avrebbe diritto ad usufruire del medesimo trattamento fiscale agevolato accordato agli immobili di interesse culturale vincolati ai sensi dell’art. 3 della legge n. 1089 del 1939, il cui reddito – ai fini IRPEF e ICI, rispettivamente in forza dell’art. 11, comma 2, della legge n. 413 del 1991, e dell’art. 2, comma 5, del d.l. n. 16 del 1993 – viene «determinato mediante l’applicazione della minore tra le tariffe d’estimo previste per le abitazioni della zona censuaria nella quale è collocato il fabbricato». Chiede, quindi, che l’amministrazione finanziaria sia condannata a restituire la parte delle imposte IRPEF e ICI pagate per gli anni 2007, 2008 e 2009, eccedente rispetto a quanto dovuto in applicazione delle disposizioni citate.

La rimettente precisa ancora che, stante il chiaro tenore letterale delle norme censurate e la giurisprudenza formatasi sul punto, il trattamento fiscale previsto per gli immobili dichiarati di interesse culturale non potrebbe essere esteso in via ermeneutica all’edificio gravato da vincolo indiretto. Ritiene, nel contempo, rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 11, comma 2, della legge n. 413 del 1991 e dell’art. 2, comma 5, del d.l. n. 16 del 1993, nella parte in cui non estendono i benefici in essi previsti anche agli immobili soggetti a «prescrizioni di tutela indiretta» ai sensi dell’art. 21 della legge n. 1089 del 1939.

In punto di rilevanza, la Commissione tributaria regionale chiarisce che la dichiarazione di illegittimità costituzionale delle norme censurate comporterebbe l’accoglimento della pretesa fiscale azionata dalla contribuente, che andrebbe altrimenti respinta.

In punto di non manifesta infondatezza, il dubbio della violazione degli artt. 3 e 53 Cost. è così argomentato: posto che il fondamento delle agevolazioni fiscali considerate andrebbe ravvisato nell’esigenza «di venire incontro alle maggiori spese di manutenzione e di conservazione che i proprietari sono tenuti ad affrontare per preservare, nell’interesse pubblico, le caratteristiche degli immobili sottoposti a vincolo» – come riconosciuto dalla Corte costituzionale (sentenze n. 346 e n. 345 del 2003) e dalla Corte di cassazione (Corte di cassazione, sezione tributaria, sentenza 14 maggio 2010, n. 11794) – e che tali oneri sussistono anche in capo ai proprietari di immobili gravati da vincolo indiretto, che dello stesso vincolo “diretto” sarebbe immediata conseguenza, la non omogeneità dei criteri adottati dal legislatore per la liquidazione delle imposte in esame (IRPEF e ICI) comporterebbe una irragionevole disparità di trattamento.        

2.– Il 20 ottobre 2015 è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, eccependo pregiudizialmente l’inammissibilità delle questioni, in quanto il giudice tributario rimettente non avrebbe adeguatamente ricostruito il quadro normativo di riferimento, non essendosi avveduto che la legge n. 1089 del 1939, alla quale rinviano le norme censurate, non era più in vigore all’epoca delle annualità in contestazione.

Nel merito, le questioni di legittimità costituzionale, prospettate al fine di ottenere l’estensione ai beni gravati dal vincolo “indiretto” della disciplina fiscale di favore prevista per i beni sottoposti a vincolo storico-artistico, sarebbero comunque infondate.

La scelta di riconoscere un trattamento agevolato solo a favore degli immobili soggetti a vincoli storico-artistici “diretti”, e non anche a quelli adiacenti, vincolati a tutela indiretta dei primi, rientrerebbe nell’ambito della discrezionalità legislativa, che incontra il solo limite della non manifesta irragionevolezza e arbitrarietà. Tale limite, nel caso di specie, non sarebbe stato superato dal legislatore, stante la evidente disomogeneità tra i beni di interesse storico e artistico e quelli presi in considerazione dalla legge, non per la loro intrinseca valenza, bensì soltanto per completare e meglio realizzare la tutela dei primi. Il differente trattamento fiscale, oltre a giustificarsi in ragione della diversità degli scopi perseguiti dalle due forme di protezione dei diversi tipi di beni considerati, risulterebbe, altresì, coerente con le esigenze di equilibrio di bilancio tutelate dall’art. 81 Cost.

Considerato in diritto

1.– La Commissione tributaria regionale del Lazio dubita della legittimità costituzionale dell’art. 11, comma 2, della legge 30 dicembre 1991, n. 413 (Disposizioni per ampliare le basi imponibili, per razionalizzare, facilitare e potenziare l’attività di accertamento; disposizioni per la rivalutazione obbligatoria dei beni immobili delle imprese, nonché per riformare il contenzioso e per la definizione agevolata dei rapporti tributari pendenti; delega al Presidente della Repubblica per la concessione di amnistia per reati tributari; istituzioni dei centri di assistenza fiscale e del conto fiscale), e dell’art. 2, comma 5, del decreto-legge 23 gennaio 1993, n. 16 (Disposizioni in materia di imposte sui redditi, sui trasferimenti di immobili di civile abitazione, di termini per la definizione agevolata delle situazioni e pendenze tributarie, per la soppressione della ritenuta sugli interessi, premi ed altri frutti derivanti da depositi e conti correnti interbancari, nonché altre disposizioni tributarie), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 24 marzo 1993, n. 75.

Ad avviso della rimettente, tali norme violerebbero gli artt. 3 e 53 della Costituzione, in quanto limitano l’agevolazione fiscale prevista ai fini IRPEF e ai fini ICI solo «agli immobili di interesse storico o artistico ai sensi dell’art. 3 della legge 1° giugno 1939, n. 1089 e successive modifiche», senza prevedere analogo beneficio anche in favore degli immobili gravati da «prescrizioni di tutela indiretta», pur ricorrendo per entrambi i tipi di beni la medesima esigenza di compensare le maggiori spese di manutenzione e di conservazione imposte dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo.

1.1.– Va precisato che entrambe le disposizioni per le quali sono sollevate questioni di legittimità costituzionale non sono più in vigore. L’art. 11, comma 2, della legge n. 413 del 1991 è stato abrogato dall’art. 4, comma 5-quater, del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16 (Disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 26 aprile 2012, n. 44; a sua volta, l’art.  2, comma 5, del d.l. n. 16 del 1993, è stato abrogato dall’art 4, comma 5-ter, dello stesso d.l. n. 16 del 2012.

La circostanza non incide tuttavia sulla rilevanza delle questioni. Le norme censurate, infatti, restano senz’altro applicabili ratione temporis alla fattispecie controversa nel giudizio principale, avente ad oggetto anni di imposta antecedenti all’entrata in vigore delle norme abroganti. Si deve ritenere che queste ultime non hanno efficacia retroattiva, sia per il loro tenore letterale, sia in applicazione dell’art. 11 delle disposizioni preliminari al codice civile, e dell’art. 3, comma 1, della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente), il quale stabilisce che «[s]alvo quanto previsto dall’articolo 1, comma 2, le disposizioni tributarie non hanno effetto retroattivo». In base all’art. 1, comma 2, «L’adozione di norme interpretative in materia tributaria può essere disposta soltanto in casi eccezionali e con legge ordinaria, qualificando come tali le disposizioni di interpretazione autentica».

1.2.– Va ancora osservato che il giudice a quo ha esperito il tentativo di interpretazione costituzionalmente conforme, con la conseguenza che l’eventuale verifica dell’esistenza e della legittimità di un’alternativa esegetica costituisce questione che attiene al merito della controversia, e non alla sua ammissibilità (sentenza n. 221 del 2015). Si può comunque segnalare fin d’ora come la soluzione che esclude la possibilità di estendere in via interpretativa ai beni sottoposti a vincolo indiretto le agevolazioni concesse a quelli sottoposti a vincolo diretto sia suffragata da varie pronunce della Corte di cassazione, secondo cui: «poiché soltanto la L. n. 1089 del 1939, art. 3, che prevede il vincolo diretto per immobili espressamente qualificati di interesse storico/artistico, è richiamata dalla normativa fiscale di agevolazione richiamo che trova la sua “ratio” nella necessità di contemperare l’entità del tributo con le ingenti spese che i proprietari sono tenuti ad affrontare per preservare le caratteristiche degli immobili stessi – non può un vincolo genericamente apposto a salvaguardia di altri beni – quale è il vincolo indiretto di cui alla cit. L. n. 1089 del 1939, art. 21 (cfr. Cons. Stato, sez. 6A - Sent. 4757/01) – integrare la fattispecie agevolativa di cui è causa che, trattandosi di materia tributaria, è di stretta interpretazione e quindi non estensibile ai casi non espressamente previsti (in quanto, in generale, le norme contenenti agevolazioni fiscali derogano al generale principio, fissato nell’art. 53 della Costituzione, di assoggettamento ai tributi –sia sui redditi che sui trasferimenti di ricchezza – delle manifestazioni di capacità contributiva)» (Corte di cassazione, sezione tributaria, sentenza 16 novembre 2012, n. 20117; nello stesso senso, Corte di cassazione, sezione tributaria, sentenze 24 ottobre 2008, n. 25703 e 10 marzo 2008, n. 6328).

2.– L’eccezione, sollevata dall’Avvocatura generale dello Stato, di inammissibilità delle questioni per erronea ricostruzione del quadro normativo di riferimento – per avere la rimettente fatto riferimento alla legge n. 1089 del 1939, e non avere preso invece in considerazione la fonte di disciplina dei beni culturali attualmente vigente – è infondata.

La Commissione tributaria regionale rimettente, dopo avere correttamente identificato le norme fiscali oggetto delle questioni di costituzionalità, argomenta l’ingiustificata disparità di trattamento fiscale tra gli immobili dichiarati di interesse culturale e quelli gravati da «prescrizioni di tutela indiretta», facendo riferimento a una fonte normativa non più vigente all’epoca delle annualità in contestazione nel giudizio a quo. La legge n. 1089 del 1939, alla quale espressamente rinviano le norme fiscali contestate, risalenti rispettivamente al 1991 e al 1993, infatti, è stata successivamente abrogata dall’art. 166 del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali, a norma dell’articolo 1 della legge 8 ottobre 1997, n. 352), che ha disciplinato la materia dei beni culturali fino al 30 aprile 2004, quando è entrato in vigore il decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137), attualmente vigente. Quest’ultimo prevede ora agli artt. 13 e seguenti l’imposizione del vincolo diretto e all’art. 45 le prescrizioni di tutela indiretta.

La mancata indicazione, nell’ordinanza di rimessione, delle disposizioni del d.lgs. n. 42 del 2004 nelle quali sono confluite le norme precedentemente contenute agli artt. 3 e 21 della legge n. 1089 del 1939, non intacca la rilevanza delle questioni di legittimità costituzionale, né l’iter logico argomentativo posto a fondamento della valutazione della loro non manifesta infondatezza, giacché il carattere mobile del rinvio alla disciplina di settore dei beni culturali, contenuto nelle disposizioni fiscali censurate e fatto palese dall’espresso riferimento alle «successive modificazioni e integrazioni» dell’art. 3 della legge n. 1089 del 1939 (sentenza n. 18 del 1995 su un caso analogo), preserva la continuità precettiva di queste ultime.

Restano così certe, sia l’applicabilità nel processo principale delle norme sottoposte al vaglio di legittimità costituzionale, sia l’influenza della decisione della questione ai fini dello scrutinio della pretesa azionata dalla contribuente. E anche il dubbio di costituzionalità continua a risultare motivato in modo pertinente quanto al suo oggetto e ai parametri invocati, essendo rimasti sostanzialmente invariati, nel passaggio da una fonte normativa all’altra, sia il presupposto normativo della norma di favore (il vincolo diretto sui beni di interesse culturale), sia l’istituto delle «prescrizioni di tutela indiretta», del quale il giudice rimettente lamenta il diverso trattamento fiscale.

3.– Nel merito, la questione non è fondata.

3.1.– Le norme censurate operano, nel comparto delle imposte dirette, una discriminazione qualitativa a favore degli immobili oggetto di vincolo storico-artistico (o culturale, per utilizzare il lessico del codice dei beni culturali). L’art. 11, comma 2, della legge n. 413 del 1991 stabilisce che, ai fini IRPEF, il loro reddito è determinato con l’applicazione della minore fra le tariffe d’estimo previste per le abitazioni della zona censuaria nella quale è collocato il fabbricato. A sua volta, l’art. 2 del d.l. n. 16 del 1993, prevede che la base imponibile per il calcolo dell’ICI sia costituita dal valore che risulta applicando, alla rendita catastale determinata nel modo detto, specifici moltiplicatori. Gli immobili oggetto di vincolo vedono così ridotta, rispetto a quanto ordinariamente previsto, la misura dell’imposta dovuta dal loro proprietario.

3.2.– La Commissione tributaria rimettente non dubita della legittimità delle norme agevolative in sé considerate, ma prospetta come potenzialmente contrario agli artt. 3 e 53 Cost. il fatto che le agevolazioni in esse previste non siano estese anche ad altre categorie di beni, oltre a quella a cui la legge espressamente le riferisce. In particolare, chiede a questa Corte di verificare se la distinzione ai fini del trattamento fiscale tra gli immobili direttamente vincolati e gli immobili soggetti a «prescrizioni di tutela indiretta» sia, sotto lo specifico profilo considerato, manifestamente arbitraria e renda, quindi, costituzionalmente illegittima la limitazione dell’agevolazione fiscale che su di essa si basa.

L’istituto delle «prescrizioni di tutela indiretta», volte a preservare l’integrità di beni immobili di interesse culturale direttamente vincolati, è oggi regolato all’art. 45 del codice dei beni culturali e del paesaggio, nel quale è rifluita, con espressioni letterali largamente coincidenti, la fattispecie sostanziale disciplinata dapprima all’art. 21 della legge n. 1089 del 1939 e poi all’art. 49 del d.lgs. n. 490 del 1999. Tale tipo di vincolo, denominato “indiretto” per la sua funzione di completamento pertinenziale della visione e della fruizione dell’immobile principale (gravato da vincolo diretto), comporta che il diritto di proprietà su beni oggetto di prescrizioni di tutela indiretta possa essere limitato, sulla base di apprezzamenti rimessi all’autorità amministrativa competente, in funzione di protezione dell’ambiente circostante i beni di interesse culturale oggetto di vincolo. Più precisamente, l’amministrazione competente «ha facoltà di prescrivere le distanze, le misure e le altre norme dirette ad evitare che sia messa in pericolo l’integrità dei beni culturali immobili, ne sia danneggiata la prospettiva o la luce o ne siano alterate le condizioni di ambiente e di decoro» (art. 45 del d.lgs. n. 42 del 2004).

3.3.‒ Questa Corte si è trovata più volte a vagliare la legittimità costituzionale di disposizioni che prevedevano agevolazioni fiscali e, in questo contesto, ha affermato che norme di tale tipo, aventi carattere eccezionale e derogatorio, costituiscono esercizio di un potere discrezionale del legislatore, censurabile solo per la sua eventuale palese arbitrarietà o irrazionalità (sentenza n. 292 del 1987; ordinanza n. 174 del 2001); con la conseguenza che la Corte stessa non può estenderne l’ambito di applicazione, se non quando lo esiga la ratio dei benefici medesimi (sentenze n. 6 del 2014, n. 275 del 2005, n. 27 del 2001, n. 431 del 1997 e n. 86 del 1985; ordinanze n. 103 del 2012, n. 203 del 2011, n. 144 del 2009 e n. 10 del 1999).

È dunque necessario identificare il fondamento dei benefici in esame, per poi verificare se la ratio così individuata si possa considerare comune anche alla categoria dei beni indirettamente vincolati, ai quali l’agevolazione è negata e che soggiacciono alla disciplina ordinaria del tributo.

3.4.‒ Questa Corte ha già chiarito che la ratio delle misure fiscali censurate nel presente giudizio «va individuata in una esigenza di equità fiscale, derivante dalla considerazione della minore utilità economica che presentano i beni immobili di interesse storico o artistico in conseguenza del complesso di vincoli e limiti cui la loro proprietà è sottoposta», di modo che «l’applicazione di un beneficio fiscale trova […] il suo fondamento oggettivo proprio nella peculiarità del regime giuridico dei beni di cui si tratta» (sentenza n. 345 del 2003, relativa all’art. 2, comma 5, del d.l. n. 16 del 1993). Ha inoltre aggiunto, in altra occasione, che la scelta del legislatore appare «tutt’altro che arbitraria o irragionevole, in considerazione del complesso di vincoli ed obblighi gravanti per legge sulla proprietà di siffatti beni quale riflesso della tutela costituzionale loro garantita dall’art. 9, secondo comma, della Costituzione» (sentenza n. 346 del 2003, relativa all’art. 11, comma 2, della l. n. 413 del 1991). Tali conclusioni sono condivise dalla giurisprudenza di legittimità (ex plurimis, Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenza 9 marzo 2011, n. 5518).

Il fondamento del trattamento fiscale più favorevole riservato ai beni di interesse culturale va rinvenuto nella considerazione che la proprietà di tali beni denota una capacità contributiva ridotta, per effetto degli oneri che la normativa di settore impone ai loro titolari. Fra essi spiccano quelli connessi all’obbligo del proprietario di «garantirne la conservazione» (art. 30, comma 3, del d.lgs. n. 42 del 2004) e al potere del Ministro competente di «imporre al proprietario [...] gli interventi necessari per assicurare la conservazione dei beni culturali, ovvero provvedervi direttamente» (art. 32, comma 1, del d.lgs. n. 42 del 2004). Salve limitate eccezioni, «gli oneri per gli interventi su beni culturali, imposti o eseguiti direttamente dal Ministero ai sensi dell’articolo 32, sono a carico del proprietario» (art. 34, comma 1, del d.lgs. n. 42 del 2004).

3.5.‒ Anche la soggezione di determinati beni a prescrizioni di tutela indiretta, a protezione dei beni di interesse culturale contigui o prossimi, può fare insorgere, in capo ai loro titolari, vincoli e oneri. Si tratta tuttavia di oneri strutturalmente diversi da quelli che ricadono sul proprietario del bene di diretto interesse culturale. Solo in questo secondo caso, oggetto di protezione è direttamente il bene, che il proprietario è obbligato a preservare (in adempimento di una pluralità di “obblighi positivi” di conservazione, definiti agli artt. 30, 32, 33 e 34 del d.lgs. n. 42 del 2004), con le sue caratteristiche intrinseche, nella sua integrità e originalità; ciò che normalmente richiede impegno costante e l’impiego di specifiche tecniche e metodi di intervento manutentivo, e che può comportare, e di regola comporta, spese particolarmente ingenti. Nel caso di un bene solo indirettamente vincolato, invece, oggetto di protezione non è il bene stesso, in sé considerato, ma è il contesto ambientale o di prospettiva nel quale l’immobile di interesse si inserisce, e a garanzia del quale l’amministrazione può imporre, a carico dei beni in esso ricadenti, prescrizioni di vario tipo, ma non certo assimilabili al generale obbligo conservativo del bene culturale vero e proprio.

Si osservi ancora che, oltre che nei diversi obblighi positivi di conservazione, la diversità del trattamento legale degli immobili di diretto interesse culturale, si manifesta anche nella subordinazione a regime autorizzativo e di previa denuncia delle principali facoltà di godimento e disposizione dei beni stessi (artt. 21, 48, 50, 51 e da 54 a 62 del d.lgs. n. 42 del 2004), che non trova corrispondenza nel regime dei beni soggetti a prescrizioni di tutela indiretta.

3.6.‒ Su queste basi, la paventata discriminazione non è pertanto ravvisabile.

La diversità di regime degli immobili di interesse culturale rispetto agli immobili che tali non sono, pur essendo soggetti a un vincolo indiretto strumentale alla protezione dei primi, legittima il diverso trattamento fiscale degli uni rispetto agli altri e non autorizza ad estendere ai secondi ciò che il legislatore ha inteso, con buone ragioni, riservare ai primi.

Ciò non esclude naturalmente che, tenuto conto della particolare condizione dei beni soggetti a vincolo indiretto, lo stesso legislatore possa, ove lo ritenga opportuno nell’esercizio della sua discrezionalità, prevedere per essi distinte e proporzionate forme di agevolazione fiscale. Una volta appurato, tuttavia, che il beneficio accordato sulla componente fondiaria del reddito degli immobili di interesse culturale trova fondamento nella minore utilità economica derivante dalla conformazione legale dello specifico statuto dominicale di tali beni, non è irragionevole precludere l’applicazione del medesimo beneficio agli immobili che non sono soggetti allo stesso regime.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 11, comma 2, della legge 30 dicembre 1991, n. 413 (Disposizioni per ampliare le basi imponibili, per razionalizzare, facilitare e potenziare l’attività di accertamento; disposizioni per la rivalutazione obbligatoria dei beni immobili delle imprese, nonché per riformare il contenzioso e per la definizione agevolata dei rapporti tributari pendenti; delega al Presidente della Repubblica per la concessione di amnistia per reati tributari; istituzioni dei centri di assistenza fiscale e del conto fiscale), e dell’art. 2, comma 5, del decreto-legge 23 gennaio 1993, n. 16 (Disposizioni in materia di imposte sui redditi, sui trasferimenti di immobili di civile abitazione, di termini per la definizione agevolata delle situazioni e pendenze tributarie, per la soppressione della ritenuta sugli interessi, premi ed altri frutti derivanti da depositi e conti correnti interbancari, nonché altre disposizioni tributarie), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 24 marzo 1993, n. 75, sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, dalla Commissione tributaria regionale del Lazio, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 aprile 2016.

F.to:

Paolo GROSSI, Presidente

Daria de PRETIS, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 20 maggio 2016.