Sentenza n. 241 del 2015

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SENTENZA N. 241

ANNO 2015

 

Commento alla decisione di

G.L.

Corte costituzionale: il cumulo materiale delle sanzioni irrogabili in concreto, se più favorevole al reo, costituisce il limite della pena applicabile per il reato continuato o per il concorso formale tra reati

 

per g.c. di Diritto penale Contemporaneo

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

- Alessandro                  CRISCUOLO                                  Presidente

- Giuseppe                     FRIGO                                               Giudice

- Paolo                           GROSSI                                                   ”

- Giorgio                        LATTANZI                                              ”

- Aldo                            CAROSI                                                   ”

- Marta                           CARTABIA                                             ”

- Mario Rosario              MORELLI                                                ”

- Giancarlo                     CORAGGIO                                            ”

- Giuliano                       AMATO                                                   ”

- Silvana                         SCIARRA                                                ”

- Daria                            de PRETIS                                               ”

- Nicolò                          ZANON                                                   ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 81, quarto comma, del codice penale, promosso dal Tribunale ordinario di Macerata nel procedimento penale a carico di P.R., con ordinanza del 4 giugno 2014, iscritta al n. 22 del registro ordinanze 2015 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 9, prima serie speciale, dell’anno 2015.

Udito nella camera di consiglio del 21 ottobre 2015 il Giudice relatore Giorgio Lattanzi.

Ritenuto in fatto

Il Tribunale ordinario di Macerata, con ordinanza del 4 giugno 2014 (r.o. n. 22 del 2015), ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 81, quarto comma, del codice penale, aggiunto dall’art. 5 della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione), con particolare riguardo ai «casi nei quali la pena per il reato satellite debba determinarsi inderogabilmente nel massimo edittale».

Il Tribunale rimettente premette di essere investito, in sede dibattimentale, del procedimento penale a carico di P.R., imputato dei reati di cui agli artt. 628, commi primo e terzo, numero 1), cod. pen. e 4 della legge 18 aprile 1975, n. 110 (Norme integrative della disciplina vigente per il controllo delle armi, delle munizioni e degli esplosivi), e osserva che, «in caso di affermazione di penale responsabilità dell’imputato per i reati allo stesso ascritti», l’art. 81, quarto comma, cod. pen. imporrebbe «la irrogazione necessitata ed inderogabile della pena per il reato di cui all’art. 4 L. 110/75 in misura pari al massimo edittale».

Nel caso di specie, infatti, il reato più grave è quello previsto dall’art. 628, commi primo e terzo, numero 1), cod. pen., che è punito con la pena della reclusione non inferiore a 4 anni e 6 mesi; il Tribunale, quindi – in base all’ultimo comma dell’art. 81 cod. pen., secondo cui, per coloro ai quali sia stata applicata la recidiva reiterata (art. 99, quarto comma, cod. pen.), l’aumento di pena per il cosiddetto reato satellite «non può essere comunque inferiore ad un terzo della pena stabilita per il reato più grave» – dovrebbe applicare, per il reato di porto di armi od oggetti atti ad offendere, contestato in continuazione con la rapina aggravata, la pena della reclusione di un anno, «dovendosi rispettare il vincolo del non superamento della pena massima edittale prevista per tale reato».

La questione sarebbe rilevante, anche perché «la serie di gravissimi e specifici precedenti dell’imputato, la ammessa consumazione di altra rapina in data 19 agosto 2009 [….] e la gravità del fatto per il quale si procede (compiuto da più persone travisate, con taglierino ed arma giocattolo – oggetto non pericoloso ma tale da intimidire i presenti) sono elementi che appaiono tali da poter imporre l’applicazione della contestata recidiva».

Inoltre, prosegue il giudice a quo, «non sono stati evidenziati dalla difesa elementi inerenti la possibile concessione delle attenuanti generiche», che comunque, ancorché concesse e riconosciute equivalenti alla recidiva, non escluderebbero la rilevanza della questione sollevata, considerato che il giudizio di equivalenza «presupporrebbe, comunque, la “applicazione” della recidiva, che viene in rilievo ad elidere le concesse attenuanti e che, pertanto, ha piena efficacia per gli effetti di cui all’art. 81 u.c.c.p.».

Infine, «[l]a contestualità delle condotte e la finalizzazione del porto del taglierino alla commissione della rapina imporrebbero, ad avviso del tribunale, l’applicazione della disciplina del reato continuato tra tale reato e quello di rapina».

La questione sarebbe, inoltre, non manifestamente infondata con riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost.

La norma censurata violerebbe l’art. 3 Cost. innanzitutto sotto il profilo dell’irragionevole disparità di trattamento, in caso di riconoscimento della continuazione, tra il condannato cui sia stata applicata la recidiva prevista dall’art. 99, quarto comma, cod. pen. e quello che non si trovi in tale situazione.

Ad avviso del giudice a quo, l’aumento per la continuazione nel caso di specie comporterebbe «una pena estremamente rigorosa, pari al massimo della pena edittale prevista per il reato satellite», nonostante si tratti del «porto di un mero taglierino e, pertanto, [di] un fatto oggettivamente di per sé non connotato da particolare gravità».

L’art. 3 Cost. sarebbe violato anche per la parificazione di situazioni fattuali differenti, in quanto l’applicazione dell’aumento di pena imposto dall’art. 81, quarto comma, cod. pen., «comportando l’obbligatoria irrogazione del massimo della pena previst[a] per il reato satellite, può impedire ogni differenziazione sanzionatoria tra le possibili condotte sussumibili sub art. 4 l. 110/75, con conseguente irragionevole irrilevanza del profilo oggettivo del reato».

La norma censurata contrasterebbe inoltre con l’art. 3 Cost. sotto il profilo «della diversa quantificazione proporzionale della pena tra reato base e reato satellite», in quanto sarebbe «irrazionale che la pena per il reato base possa essere quantificata dal giudice in misura anche molto distante dal massimo della pena, valutate tutte le circostanze del caso concreto, mentre quella del reato satellite possa essere inderogabilmente vincolata a quantificazione nel massimo edittale».

Da ultimo l’art. 3 Cost. sarebbe violato «per irragionevole differenza del trattamento sanzionatorio rispetto alla ipotesi dei medesimi reati non in continuazione», in quanto «il medesimo fatto [viene] sanzionato con pena variabile entro un significativo range edittale in caso di commissione dello stesso non in continuazione con altro più grave, mentre ove il medesimo fatto, commesso dallo stesso soggetto, sia commesso in continuazione con altro più grave reato la norma censurata fa sì che possa essere imposta per tale fatto la irrogazione di una pena “fissa” e determinata nel massimo edittale».

La norma censurata sarebbe in contrasto anche con l’art. 27, terzo comma, Cost. «sotto il profilo della assenza di ogni possibilità di modulare la pena in relazione alla necessaria funzione rieducativa della stessa», infatti l’applicazione dovuta «della pena massima edittale comporta per il giudice l’assenza di ogni discrezionalità nella quantificazione della pena irroganda, con consequenziale impossibilità di tenere conto delle varianti oggettive e soggettive del caso concreto».

Nel caso di specie, ad esempio, la non particolare pericolosità dell’arma e le condizioni soggettive dell’imputato – «soggetto con difficili esperienze di vita pregresse, privo di occasioni di lecita attività lavorativa, e che non si ritiene meritevole di una “pena esemplare” in relazione a tale reato» – avrebbero giustificato, ad avviso del Tribunale rimettente, «una sanzione ben minore del massimo edittale imposto dalla norma della cui illegittimità si dubita».

Considerato in diritto

1.– Il Tribunale ordinario di Macerata dubita, in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’art. 81, quarto comma, del codice penale, aggiunto dall’art. 5 della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione), con particolare riguardo ai «casi nei quali la pena per il reato satellite debba determinarsi inderogabilmente nel massimo edittale».

Ad avviso del Tribunale rimettente, la norma censurata si pone in contrasto con l’art. 3 Cost. in quanto, se l’imputato non è recidivo reiterato, l’aumento di pena per il cosiddetto reato satellite è libero, mentre, se lo è, «l’obbligo di aumento non inferiore ad un terzo della pena per il reato base […] può comportare un aumento obbligato della pena relativa al reato satellite di entità tale da non trovare possibile giustificazione nella mera veste soggettiva dell’imputato (recidivo reiterato)». Ciò darebbe luogo, in casi come quello di specie, a «una pena estremamente rigorosa, pari al massimo della pena edittale prevista per il reato satellite», nonostante si tratti di «un fatto oggettivamente di per sé non connotato da particolare gravità».

L’art. 3 Cost. sarebbe anche violato, sia per la parificazione di situazioni fattuali tra loro differenti, in quanto l’applicazione dell’aumento di pena imposto dall’art. 81, quarto comma, cod. pen., «comportando l’obbligatoria irrogazione del massimo della pena previst[a] per il reato satellite, può impedire ogni differenziazione sanzionatoria tra le possibili condotte sussumibili sub art. 4 l. 110/75», sia per la «diversa quantificazione proporzionale della pena tra reato base e reato satellite».

La norma censurata sarebbe inoltre in contrasto con l’art. 3 Cost., «per irragionevole differenza del trattamento sanzionatorio rispetto alla ipotesi dei medesimi reati non in continuazione».

Infine la questione di legittimità costituzionale dell’art. 81, quarto comma, cod. pen. sarebbe non manifestamente infondata anche con riferimento all’art. 27, terzo comma, Cost. «sotto il profilo della assenza di ogni possibilità di modulare la pena in relazione alla necessaria funzione rieducativa della stessa».

2.– La questione è inammissibile per una duplice ragione.

2.1.– In primo luogo è insufficiente la descrizione della fattispecie.

Nel sollevare la questione, il giudice rimettente, dopo avere premesso di essere investito, in sede dibattimentale, del procedimento penale a carico di P.R., imputato dei reati di cui agli artt. 628, commi primo e terzo, numero 1), cod. pen. e 4 della legge 18 aprile 1975, n. 110 (Norme integrative della disciplina vigente per il controllo delle armi, delle munizioni e degli esplosivi), ha osservato che, «in caso di affermazione di penale responsabilità dell’imputato per i reati allo stesso ascritti», dovebbe trovare applicazione l’art. 81, quarto comma, cod. pen., sia perché «[l]a contestualità delle condotte e la finalizzazione del porto del taglierino alla commissione della rapina imporrebbero […] l’applicazione della disciplina del reato continuato tra tale reato e quello di rapina», sia perché «la serie di gravissimi e specifici precedenti dell’imputato, la ammessa consumazione di altra rapina in data 19 agosto 2009 […] e la gravità del fatto per il quale si procede […] sono elementi che appaiono tali da poter imporre l’applicazione della contestata recidiva».

Il Tribunale rimettente però non dice se la recidiva reiterata era stata applicata con una precedente sentenza, anteriore alla commissione dei reati per i quali si procede, o se l’applicazione sarebbe avvenuta per la prima volta nel giudizio a quo, e la precisazione era necessaria perché, secondo la prevalente giurisprudenza di legittimità (Corte di cassazione, prima sezione penale, 26 marzo 2013, n. 18773; terza sezione penale, 28 settembre 2011, n. 431/2012; prima sezione penale, 1° luglio 2010, n. 31735; prima sezione penale, 2 luglio 2009, n. 32625), è solo nel primo caso che trova applicazione l’art. 81, quarto comma, cod. pen.

Era stata inizialmente questa stessa Corte a rilevare che la «consecutio temporum delle voci verbali impiegate (“reati … commessi da soggetti ai quali sia stata applicata la recidiva prevista dall’articolo 99, quarto comma”)» poteva logicamente far riferire la norma impugnata «al caso in cui l’imputato sia stato ritenuto recidivo reiterato con una precedente sentenza definitiva». All’epoca tuttavia la Corte aveva considerato «non implausibile» anche il diverso orientamento del giudice rimettente, che aveva mostrato implicitamente di considerare la norma in questione applicabile «al caso in cui l’imputato venga dichiarato recidivo reiterato in rapporto agli stessi reati uniti dal vincolo della continuazione» (ordinanza n. 193 del 2008).

La successiva giurisprudenza della Corte di cassazione, tenendo conto della «assoluta eccezionalità della disposizione in esame», aveva ritenuto di dover «seguire l’interpretazione restrittiva in qualche modo suggerita dallo stesso Giudice delle leggi traendo spunto dalla costruzione lessicale della formula normativa», e aveva escluso l’applicabilità dell’art. 81, quarto comma, cod. pen., se «non risulta[va] che l’imputato era stato già ritenuto recidivo all’epoca della commissione dei reati» oggetto del giudizio (Corte di cassazione, prima sezione penale, 2 luglio 2009, n. 32625).

Ciò posto, la questione sul momento di applicazione della recidiva reiterata non può essere elusa, sicché il Tribunale rimettente avrebbe dovuto precisare se nel caso in questione l’applicazione era avvenuta con una precedente sentenza anteriore alla commissione dei reati per i quali si procede. Ove ciò non fosse avvenuto e tuttavia avesse ritenuto ugualmente applicabile la norma impugnata, dovendo egli stesso applicare la recidiva reiterata, il Tribunale avrebbe avuto l’onere di dare una plausibile spiegazione della sua diversa interpretazione di tale norma.

La mancanza delle necessarie indicazioni impedisce a questa Corte di verificare la rilevanza della questione, che è pertanto inammissibile (ex multis, ordinanze n. 16 del 2014 e n. 295 del 2013).

2.2.– In secondo luogo la questione è inammissibile perché muove da un erroneo presupposto interpretativo.

Nel giudizio a quo all’imputato sono addebitati i reati di rapina aggravata (artt. 628, commi primo e terzo, numero 1, cod. pen.) e di porto di armi od oggetti atti ad offendere (art. 4 della legge n. 110 del 1975) e il Tribunale rimettente rileva che il reato più grave, cioè la rapina aggravata, è punito con la pena della reclusione non inferiore a 4 anni e 6 mesi, sicché, a norma dell’ultimo comma dell’art. 81 cod. pen. (secondo cui l’aumento di pena per il cosiddetto reato satellite non può essere inferiore a un terzo della pena stabilita per il reato più grave), per il reato di porto di armi od oggetti atti ad offendere, contestato in continuazione con la rapina, si imporrebbe l’applicazione, a titolo di continuazione, di un anno di reclusione, «dovendosi rispettare il vincolo del non superamento della pena massima edittale prevista per tale reato».

Il giudice a quo però non considera che l’art. 81, quarto comma, cod. pen. fa salvi i limiti precedentemente indicati al terzo comma, il quale, a sua volta, stabilisce che, nei casi di concorso formale e di reato continuato, «la pena non può essere superiore a quella che sarebbe applicabile a norma degli articoli precedenti», cioè degli articoli che disciplinano appunto il cumulo materiale delle pene.

Ciò significa che la pena derivante dal cumulo giuridico non può superare la pena che, in concreto, il giudice avrebbe inflitto in caso di cumulo materiale. È da aggiungere che, come ha precisato la Corte di cassazione (prima sezione penale, 2 luglio 2009, n. 32625), il riferimento alla pena applicabile in caso di cumulo materiale è evidentemente alla pena che il giudice ritiene adeguata alla fattispecie concreta, non certo a quella massima edittale, comminata dalla legge, come invece sembra ritenere il Tribunale rimettente.

Perciò, il presupposto interpretativo dal quale muove il giudice a quo – secondo cui in base alla norma impugnata si sarebbe dovuto applicare, a titolo di aumento per la continuazione, il massimo edittale allora vigente per il reato previsto dall’art. 4 della legge n. 110 del 1975, cioè un anno di reclusione – è erroneo.

All’epoca della commissione dei reati in questione la contravvenzione di porto di armi od oggetti atti ad offendere era punita «con l’arresto da un mese ad un anno e con l’ammenda da euro 51 a euro 206», ed è nell’ambito di questa cornice edittale che il Tribunale avrebbe potuto determinare la sanzione per il reato satellite, stabilendola in una misura prevedibilmente assai diversa da quella di un anno di reclusione, alla quale è stata collegata la questione per denunciare la violazione dell’art. 3 Cost.

L’evidente erroneità del presupposto interpretativo dal quale il giudice rimettente ha preso le mosse comporta l’inammissibilità della questione di legittimità costituzionale (sentenze n. 218 del 2014, n. 249 del 2011 e n. 125 del 2009).

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 81, quarto comma, del codice penale, aggiunto dall’art. 5 della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Macerata, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 ottobre 2015.

F.to:

Alessandro CRISCUOLO, Presidente

Giorgio LATTANZI, Redattore

Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 26 novembre 2015.