Ordinanza n. 165 del 2015

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ORDINANZA N. 165

ANNO 2015

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Alessandro                  CRISCUOLO                                  Presidente

-           Giuseppe                     FRIGO                                               Giudice

-           Paolo                           GROSSI                                                   ”

-           Giorgio                        LATTANZI                                              ”

-           Aldo                            CAROSI                                                   ”

-           Marta                           CARTABIA                                             ”

-           Mario Rosario              MORELLI                                                ”

-           Giancarlo                     CORAGGIO                                            ”

-           Giuliano                       AMATO                                                   ”

-           Silvana                         SCIARRA                                                ”

-           Daria                            de PRETIS                                               ”

-           Nicolò                          ZANON                                                   ”

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 89, comma 4, del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza), promosso dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Catanzaro nel procedimento penale a carico di P.M. con ordinanza del 10 giugno 2014, iscritta al n. 243 del registro ordinanze 2014 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 2, prima serie speciale, dell’anno 2015.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio dell’8 luglio 2015 il Giudice relatore Giuseppe Frigo.

Ritenuto che, con ordinanza del 10 giugno 2014, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Catanzaro ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 32 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 89, comma 4, del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza), nella parte in cui – nel prevedere che le disposizioni dei commi 1 e 2 dello stesso articolo non si applicano quando si procede per il delitto di cui all’art. 74 del medesimo decreto n. 309 del 1990 (associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope) – «non fa salva l’ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari di eccezionale rilevanza»;

che il rimettente premette di essere investito dell’istanza di sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere con gli arresti domiciliari presso una comunità terapeutica per tossicodipendenti, ai sensi dell’art. 89, comma 2, del d.P.R. n. 309 del 1990, presentata da una persona sottoposta ad indagini per i delitti di cui agli artt. 73 e 74 del medesimo decreto e agli artt. 56 e 629 del codice penale;

che, ad avviso del giudice a quo, l’istanza risulterebbe meritevole di accoglimento, avendo il ricorrente documentato la sussistenza dei presupposti richiesti dal citato art. 89, comma 2, per la concessione della misura e non essendo, altresì, ravvisabili esigenze cautelari di eccezionale rilevanza;

che all’adozione del provvedimento richiesto osterebbe, tuttavia, il comma 4 del medesimo art. 89, in forza del quale le disposizioni dei precedenti commi 1 e 2 non si applicano quando si procede per uno dei delitti previsti dall’art. 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà): delitti tra i quali è compreso anche quello di associazione finalizzata al traffico illecito di stupefacenti, per cui il richiedente è indagato;

che il rimettente dubita, tuttavia, della legittimità costituzionale della norma;

che, quanto alla rilevanza della questione, il giudice a quo osserva come l’art. 89, comma 2, del d.P.R. n. 309 del 1990, in una prospettiva di tutela della salute, consenta alla persona tossicodipendente o alcooldipendente sottoposta a custodia cautelare in carcere – quando pure non vi sia un’attenuazione delle esigenze cautelari che giustifichi la sostituzione della misura, ai sensi dell’art. 299 del codice di procedura penale – di essere comunque ammessa agli arresti domiciliari presso una comunità terapeutica al fine di iniziare o proseguire un programma di recupero, con l’unico limite che non ricorrano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza;

che nel caso di specie, se, per un verso, non sussisterebbero – come detto – esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, per altro verso, non sarebbe, tuttavia, nemmeno ravvisabile un’attenuazione delle esigenze cautelari poste a base della misura carceraria in atto, idonea a legittimare la sua sostituzione con gli arresti domiciliari ai sensi del citato art. 299 cod. proc. pen.;

che quanto, poi, alla non manifesta infondatezza, il rimettente rileva come nel sistema delle misure cautelari personali siano rinvenibili plurimi «correttivi» alla disciplina generale circa la scelta della misura da applicare, allorché la persona interessata versi in particolari condizioni: da un lato, infatti, a norma dei commi 4 e seguenti dell’art. 275 cod. proc. pen., sono richieste esigenze cautelari di eccezionale rilevanza per disporre la custodia in carcere nei confronti di una donna incinta o madre di prole di età non superiore a sei anni con lei convivente, ovvero padre di essa, qualora la madre sia deceduta o assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole, o di persona ultrasettantenne o che si trovi in condizioni di salute incompatibili con lo stato di detenzione; dall’altro, l’art. 286 cod. proc. pen. prevede la custodia in un luogo di cura, anziché in carcere, con riguardo alla persona totalmente o parzialmente inferma di mente;

che, in tali casi, le finalità cautelari della custodia carceraria risultano, dunque, cedevoli di fronte a situazioni soggettive peculiari, reputate dal legislatore prevalenti, a prescindere dal reato per cui si procede, con l’unico limite – omologo a quello previsto dall’art. 89, comma 2, del d.P.R. n. 309 del 1990 – della sussistenza di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza;

che, per questo verso, la norma censurata si porrebbe quindi in contrasto con l’art. 32 Cost., in quanto accorderebbe al diritto alla salute dei tossicodipendenti e degli alcooldipendenti una protezione irragionevolmente più ridotta rispetto a quella prefigurata per i casi dianzi ricordati;

che la norma denunciata violerebbe, altresì, l’art. 3 Cost., sotto il profilo della ingiustificata discriminazione tra le persone tossicodipendenti o alcooldipendenti imputate del delitto di cui all’art. 74 del d.P.R. n. 309 del 1990 e quelle imputate di reati diversi, per le quali trova piena applicazione il regime delineato dai commi 1 e 2 del citato art. 89 ed è, dunque, privilegiata la misura cautelare non carceraria, salvo che ricorrano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza;

che mentre, infatti, il limite delle esigenze cautelari di eccezionale rilevanza lascia al giudice la possibilità di stabilire se la normativa in esame debba operare o meno sulla base di una valutazione degli elementi specifici del caso concreto, la previsione di una preclusione legata al titolo del reato per cui si procede implicherebbe una presunzione assoluta e insuperabile di sussistenza delle predette esigenze eccezionali;

che si tratterebbe, peraltro, di una presunzione irragionevole, posto che il delitto di cui all’art. 74 del d.P.R. n. 309 del 1990 costituisce una «fattispecie aperta», idonea ad abbracciare fenomeni criminali marcatamente eterogenei tra loro e tali da poter essere fronteggiati, sul piano cautelare, anche con misure diverse da quella carceraria, quale quella prevista dall’art. 89, qualora siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari di eccezionale rilevanza;

che varrebbero di conseguenza, in materia, «mutatis mutandis», le stesse considerazioni che hanno indotto la Corte costituzionale a dichiarare costituzionalmente illegittima, con la sentenza n. 231 del 2011, la presunzione assoluta sul «grado» delle esigenze cautelari stabilita proprio per il reato associativo in questione dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen.;

che è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile, ovvero manifestamente infondata.

Considerato che il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Catanzaro dubita, in riferimento agli artt. 3 e 32 della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’art. 89, comma 4, del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza), nella parte in cui – nel prevedere che le disposizioni dei commi 1 e 2 dello stesso articolo non si applicano quando si procede per il delitto di cui all’art. 74 del medesimo decreto n. 309 del 1990 (associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope) – «non fa salva l’ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari di eccezionale rilevanza»;

che siffatto petitum trova la sua premessa logica nell’assunto del rimettente, stando al quale la norma censurata stabilirebbe una presunzione assoluta di sussistenza di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza nei confronti della persona sottoposta ad indagini o imputata del delitto in questione, presunzione da reputare irragionevole ed arbitraria;

che la tesi è palesemente inesatta;

che il denunciato art. 89, comma 4, del d.P.R. n. 309 del 1990 si limita, in realtà, semplicemente ad escludere i soggetti indagati o imputati di reati di particolare gravità e allarme sociale – tra cui quello considerato – dallo speciale regime cautelare delineato dai primi due commi dello stesso articolo in favore delle persone tossicodipendenti o alcooldipendenti che abbiano in corso o intendano sottoporsi ad un programma terapeutico di recupero presso apposite strutture pubbliche o private: regime di favore in forza del quale, quando pure sussistano gli ordinari presupposti di applicazione della custodia cautelare in carcere, il giudice deve disporre la misura extramuraria immediatamente meno gravosa (gli arresti domiciliari) al fine di consentire la prosecuzione o l’avvio del predetto programma, salvo che ricorrano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza;

che, in questo modo, la norma censurata non introduce alcuna presunzione, né in ordine alla sussistenza, né in ordine al grado delle esigenze cautelari;

che nei confronti della persona indiziata del delitto di associazione finalizzata al traffico illecito di stupefacenti il giudice può, infatti, ritenere del tutto insussistenti le esigenze cautelari (la contraria presunzione, posta anche con riguardo al reato in questione dall’art. 275, comma 3, del codice di procedura penale, è, infatti, solo relativa e, dunque, superabile ove siano acquisiti elementi che la smentiscano);

che, del pari, il giudice può ravvisare nei confronti del suddetto soggetto esigenze cautelari suscettibili di essere soddisfatte, alla stregua dei criteri ordinari, con misure diverse e meno gravose della custodia carceraria, ivi compresi gli arresti domiciliari presso una struttura diretta al recupero dei tossicodipendenti: il che è, peraltro, riconosciuto dallo stesso giudice rimettente;

che, al di là dell’evidenziato vizio di prospettiva che inficia il petitum, il giudice a quo ripropone censure già disattese da questa Corte con la sentenza n. 45 del 2014, attualizzando le considerazioni svolte nella precedente ordinanza n. 339 del 1995;

che il giudice a quo reputa, in specie, violato l’art. 32 Cost., assumendo che la norma censurata accorderebbe al diritto alla salute del tossicodipendente (e dell’alcooldipendente) una tutela ingiustificamente meno energica di quella apprestata dal codice di rito – sempre in deroga all’ordinario regime delle misure cautelari – a favore di altre categorie di soggetti, quali la donna incinta o madre di prole convivente in tenera età (ovvero padre di essa, nel caso di impedimento della madre), l’ultrasettantenne, la persona affetta da malattia particolarmente grave, l’infermo e il seminfermo di mente (artt. 275, commi 4 e seguenti, e 286 cod. proc. pen.): ipotesi, queste ultime, nelle quali la disciplina derogatoria opera indipendentemente dal reato per cui si procede;

che le situazioni poste a raffronto dal giudice a quo risultano, peraltro, «palesemente eterogenee e tali, quindi, da rendere del tutto legittimo un trattamento differenziato (i singoli regimi derogatori […] sono, del resto, anche significativamente diversi tra loro)» (sentenza n. 45 del 2014);

che, in ogni caso, il nucleo incomprimibile del diritto alla salute del tossicodipendente resta «salvaguardato dalla stessa regola di cui all’art. 275, comma 4-bis, cod. proc. pen. – inclusa del rimettente fra i tertia comparationis, ma certamente applicabile anche al soggetto in questione – in forza della quale la custodia in carcere non può essere disposta o mantenuta quando le condizioni di salute dell’interessato, per la loro gravità, risultino incompatibili con lo stato di detenzione e comunque tali da non consentire adeguate cure in ambito carcerario» (sentenza n. 45 del 2014);

che il rimettente lamenta, in secondo luogo, la violazione dell’art. 3 Cost., sotto il profilo della ingiustificata discriminazione tra i tossicodipendenti gravemente indiziati del delitto di cui all’art. 74 del d.P.R. n. 309 del 1990 e quelli indiziati di altro delitto, che possono invece fruire della speciale disciplina di cui si discute;

che, anche in questo caso, il rimettente pone, tuttavia, a raffronto fattispecie disomogenee;

che – come già rilevato da questa Corte – in una prospettiva di contemperamento delle contrapposte esigenze che vengono in rilievo (difesa sociale, da un lato, disintossicazione e riabilitazione dei soggetti in questione, dall’altro), il legislatore ben può, «nella sua discrezionalità e salvo il limite della ragionevolezza, escludere da un regime cautelare di favore, quale quello in esame, i soggetti indagati o imputati per determinati reati, avuto riguardo alla loro gravità e alla pericolosità soggettiva da essi solitamente desumibile, a condizione che ciò non comporti l’assoggettamento dell’interessato ad un indiscriminato “automatismo sfavorevole”, che precluda ogni apprezzamento delle singole vicende concrete» (sentenza n. 45 del 2014);

che tale situazione non si riscontra nell’ipotesi in esame, dopo che questa Corte, con la sentenza n. 231 del 2011, ha rimosso – trasformandola in presunzione solo relativa – la presunzione assoluta di adeguatezza della sola custodia in carcere, precedentemente sancita dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. nei confronti del soggetto gravemente indiziato del delitto di associazione finalizzata al traffico illecito di stupefacenti: pronuncia successivamente recepita dal legislatore in sede di riscrittura della citata disposizione del codice di rito con la recente legge 16 aprile 2015, n. 47 (Modifiche al codice di procedura penale in materia di misure cautelari personali. Modifiche alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di visita a persone affette da handicap in situazione di gravità);

che, in conseguenza di ciò, il tossicodipendente imputato del delitto in parola – ancorché non ammesso a beneficiare del regime cautelare “privilegiato” di cui all’art. 89, commi 1 e 2, del d.P.R. n. 309 del 1990 – può comunque fruire, sulla base di valutazione “individualizzata” della singola vicenda, condotta sul metro degli ordinari criteri stabiliti dal codice di rito, (anche) degli arresti domiciliari finalizzati allo svolgimento di un programma di recupero;

che la questione va dichiarata, pertanto, manifestamente infondata.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 89, comma 4, del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 32 della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Catanzaro con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l’8 luglio 2015.

F.to:

Alessandro CRISCUOLO, Presidente

Giuseppe FRIGO, Redattore

Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 15 luglio 2015.