SENTENZA N. 16
ANNO 2015
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta
dai signori:
- Alessandro CRISCUOLO Presidente
- Paolo Maria NAPOLITANO Giudice
- Giuseppe FRIGO ”
- Paolo GROSSI ”
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Sergio MATTARELLA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA
”
- Daria de PRETIS
”
- Nicolò ZANON
”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 9,
comma 1, della legge
della Regione Marche 18 marzo 2014, n. 3 (Modifiche alla legge regionale 23
febbraio 2005, n. 6 – Legge forestale regionale) e dell’art. 2 della legge
della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 28 marzo 2014, n. 5 (Disposizioni
urgenti in materia di OGM e modifiche alla legge regionale 23 aprile 2007, n. 9
– Norme in materia di risorse forestali), promossi dal Presidente del
Consiglio dei ministri con ricorsi notificati il 23-27 maggio 2014 e il 28
maggio-4 giugno 2014, depositati in cancelleria il 29 maggio e il 3 giugno 2014
ed iscritti rispettivamente ai nn. 35 e 36 del
registro ricorsi 2014.
Visto l’atto di costituzione della Regione Marche;
udito nell’udienza pubblica del 27 gennaio 2015 il Giudice
relatore Marta Cartabia;
uditi l’avvocato dello Stato Massimo Salvatorelli per il
Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Stefano Grassi per la
Regione Marche.
Ritenuto in fatto
1.– Con ricorso spedito per la notifica
il 23 maggio 2014, ricevuto dalla resistente il 27 maggio 2014 e depositato
nella cancelleria di questa Corte il 29 maggio 2014 (reg. ric. n. 35 del 2014),
il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato l’art. 9 della legge della
Regione Marche 18 marzo 2014, n. 3 (Modifiche alla legge regionale 23 febbraio
2005, n. 6 – Legge forestale regionale), in riferimento all’art. 117, primo comma e
secondo comma, lettera s), della
Costituzione.
1.1.– Il ricorrente ha ricordato che
l’impugnato art. 9, introducendo il comma 6-bis
nell’art. 19 della legge della Regione Marche 23 febbraio 2005, n. 6 (Legge
forestale regionale), ha stabilito che «Fermo restando il rispetto delle
distanze indicate ai commi 2 e 6, costituisce utilizzo in agricoltura
l’abbruciamento del materiale di cui al medesimo comma 6, ovvero di altro
materiale agricolo e forestale naturale non pericoloso, in quanto inteso come
pratica ordinaria finalizzata alla prevenzione degli incendi o metodo di
controllo agronomico di fitopatie, di fitofagi o di infestanti vegetali».
Ad avviso del ricorrente tale
disposizione, che consente l’utilizzo in agricoltura della combustione di
materiale agricolo e forestale non pericoloso (paglia, stoppie e materiale
vegetale derivante da colture erbacee ed arboree e dalla distruzione di erbe
infestanti, rovi e simili), intesa come pratica ordinaria finalizzata alla
prevenzione di incendi e infestazioni, afferirebbe alla materia dei rifiuti.
Poiché quest’ultima rientrerebbe nella materia della tutela dell’ambiente,
attribuita alla potestà legislativa esclusiva statale, la disposizione
violerebbe l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.
Nel ricorso è stato poi richiamato il
contenuto dell’art. 185, comma 1, lettera f),
del decreto
legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), il quale,
recependo la previsione di cui all’art. 2 della direttiva 19 novembre 2008, n.
2008/98/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai
rifiuti e che abroga alcune direttive), ha escluso dall’applicazione della
normativa sui rifiuti «[…] paglia, sfalci e potature, nonché altro materiale
agricolo o forestale naturale non pericoloso utilizzati in agricoltura, nella
selvicoltura o per la produzione di energia da tale biomassa mediante processi
o metodi che non danneggiano l’ambiente né mettono in pericolo la salute
umana». Ad avviso del ricorrente, tale disposizione conterrebbe una disciplina
eccezionale rispetto alla normativa quadro sui rifiuti e, pertanto, dovrebbe
essere oggetto di un’interpretazione restrittiva, ai sensi dell’art. 14 delle
«preleggi»: da ciò discenderebbe la non applicabilità di questa esclusione ai
casi di combustione di tali materiali effettuata direttamente sui terreni
agricoli.
Secondo la prospettazione
dell’Avvocatura generale dello Stato, i materiali vegetali in questione,
pertanto, per poter essere esclusi dalla disciplina sui rifiuti, dovrebbero
essere riutilizzati in attività agricole o impiegati in impianti aziendali per
produrre energia, calore e biogas, mediante processi che non danneggino
l’ambiente o la salute umana; e dovrebbero, altresì, soddisfare i requisiti
posti dall’art. 184-bis del d.lgs. n.
152 del 2006, introdotto dall’art. 12, comma 1, del decreto legislativo 3
dicembre 2010, n. 205 (Disposizioni di attuazione della direttiva 2008/98/CE
del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 novembre 2008 relativa ai rifiuti
e che abroga alcune direttive) ai fini della classificazione come
«sottoprodotti», anziché come «rifiuti». Tale classificazione, inoltre, ad
avviso del ricorrente, dovrebbe avvenire sulla base di una valutazione
effettuata caso per caso, e non operabile in astratto dal legislatore.
Sulla base di questi elementi,
l’Avvocatura generale dello Stato ha sostenuto che l’impugnato art. 9 della
legge reg. Marche n. 3 del 2014, operando una esclusione a priori e, in via generale, dei residui vegetali sottoposti ad
abbruciamento dall’ambito di applicazione della disciplina sui rifiuti,
contrasterebbe con la disciplina contenuta nel d.lgs. n. 152 del 2006 e con
quella di cui alla direttiva 2008/98/CE, ponendosi, pertanto in violazione
dell’art. 117, primo comma e secondo comma, lettera s), Cost.
1.2.– Con memoria del 30 giugno 2014,
depositata il 3 luglio 2014, si è costituita in giudizio la Regione Marche,
chiedendo che la questione promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri
sia dichiarata non fondata.
In particolare, la Regione Marche ha
sottolineato come nel ricorso non si neghi che l’abbruciamento di materiale
agricolo o forestale non pericoloso costituisca una normale pratica agricola;
tuttavia, si sostiene che essa non potrebbe rientrare nel campo di applicazione
dell’art. 185, comma 1, lettera f),
del d.lgs. n. 152 del 2006, data la natura eccezionale di questa norma. Ad
avviso della Regione Marche, al contrario, la combustione di paglia, sfalci e
potature rispetterebbe tutte le condizioni poste dall’art. 185, comma 1,
lettera f), del d.lgs. n. 152 del
2006 e dall’art. 2, paragrafo 1, lettera f),
della direttiva n. 2008/98/CE: ossia che, da un lato, si tratti di materiali
agricoli o forestali naturali non pericolosi utilizzati nell’attività agricola
e che, dall’altro, questi ultimi siano sottoposti a processi o metodi che non
danneggino l’ambiente, né mettano in pericolo la salute umana. Tale attività,
in effetti, risulterebbe tutelare sia l’ambiente, sia la salute, dal momento
che, tra l’altro, previene gli incendi e consente il controllo di fitopatie,
fitofagi, infestanti vegetali, nonché la mineralizzazione degli elementi
contenuti nei residui organici e la riduzione delle avversità biotiche sui
terreni interessati.
Sempre secondo la Regione Marche non si
potrebbe neppure sostenere la asserita natura eccezionale della disposizione di
cui all’art. 185, comma 1, lettera f),
del d.lgs. n. 152 del 2006. Non si tratterebbe, infatti, di interpretare in via
analogica tale disposizione, nella parte in cui esclude alcuni residui agricoli
dalla categoria dei rifiuti, bensì di operare un’interpretazione estensiva
della medesima. Rappresenterebbe, poi, principio pacifico quello secondo cui le
norme eccezionali sarebbero suscettibili di interpretazione estensiva (Corte di
cassazione, quinta sezione civile, sentenza 23 aprile 2014, n. 9136). La
Regione Marche ha, inoltre, sostenuto che l’interpretazione proposta dal
ricorrente risulterebbe irragionevole, perché determinerebbe un trattamento
differenziato per due attività tipicamente agricole, quali la trinciatura di
elementi vegetali, che sarebbe ammessa, e la loro combustione, che sarebbe,
invece, vietata.
In secondo luogo, la resistente ha
osservato che la disposizione impugnata, che si inserisce nella legge forestale
regionale, non interverrebbe nella materia dei rifiuti, ma riguarderebbe la
disciplina di una normale e da sempre ammessa pratica agricola. Pertanto, essa
rientrerebbe nell’ambito di una delle materie di competenza legislativa
residuale regionale ai sensi dell’art. 117, quarto comma, Cost. (in questo
senso, con riferimento alla materia «agricoltura», da ultimo, la sentenza n. 62 del
2013 di questa Corte).
Infine, la Regione Marche ha richiamato
i contenuti di una sentenza della Corte di cassazione (terza sezione penale,
sentenza 11 aprile 2013, n. 16474), nella quale si è assolto un soggetto
imputato per aver effettuato lo smaltimento di rifiuti, mediante combustione,
di frasche e residui da potatura, perché tale attività è stata ritenuta rientrare
nella normale pratica agricola, con conseguente esclusione, ai sensi dell’art.
185, comma 1, lettera f), del d.lgs.
n. 152 del 2006, dei relativi materiali dal novero dei rifiuti.
1.3.– Con successiva memoria, depositata
il 2 gennaio 2015, in prossimità dell’udienza pubblica, la Regione Marche ha
ribadito gli argomenti che dovrebbero condurre a ritenere non fondato il
ricorso, dal momento che la norma censurata, per un verso, non contrasterebbe
né con i principi fissati dal legislatore europeo né da quelli stabiliti da
quello statale; e, per altro verso, costituirebbe esercizio della competenza
legislativa residuale regionale nella materia «agricoltura».
Riguardo al primo assunto, oltre agli
argomenti già presenti nella precedente memoria, la Regione Marche ha fatto
leva sulla disciplina statale sopravvenuta: in particolare, sul nuovo comma 6-bis dell’art. 182 del d.lgs. n. 152 del
2006, aggiunto dall’art. 14, comma 8, lettera b), del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91 (Disposizioni urgenti
per il settore agricolo, la tutela ambientale e l’efficientamento energetico
dell’edilizia scolastica e universitaria, il rilancio e lo sviluppo delle
imprese, il contenimento dei costi gravanti sulle tariffe elettriche, nonché
per la definizione immediata di adempimenti derivanti dalla normativa europea),
convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 11 agosto
2014, n. 116. Con tale disposizione, si è stabilito che «costituiscono normali
pratiche agricole consentite per il reimpiego dei materiali come sostanze
concimanti o ammendanti, e non attività di gestione dei rifiuti», «[l]e
attività di raggruppamento e abbruciamento in piccoli cumuli e in quantità
giornaliere non superiori a tre metri steri per ettaro dei materiali vegetali
di cui all’art. 185, comma 1, lettera f)»
del medesimo codice dell’ambiente. Al contempo, è stata vietata la combustione
di residui vegetali agricoli e forestali nei periodi di massimo rischio per gli
incendi boschivi, come dichiarati dalle Regioni; e si è concessa ai Comuni e alle
altre amministrazioni competenti in materia ambientale la facoltà di
sospendere, differire o vietare la combustione del materiale in questione «in
tutti i casi in cui sussistono condizioni metereologiche, climatiche o
ambientali sfavorevoli e in tutti i casi in cui da tale attività possano
derivare rischi per la pubblica e privata incolumità e per la salute umana, con
particolare riferimento al rispetto dei valori annuali delle polveri sottili
(PM10)». Ad avviso della Regione Marche, la legge regionale censurata si
limiterebbe a replicare quanto ora risultante dalla normativa statale,
stabilendo, altresì, l’applicabilità di ulteriori limiti di sicurezza e di
prevenzione dei rischi di incendio e chiarendo che l’attività di abbruciamento
di tale materiale costituisce utilizzo in agricoltura «in quanto intesa come
pratica ordinaria finalizzata alla prevenzione degli incendi o metodo di
controllo agronomico di fitopatie, di fitofagi o di infestanti vegetali».
Sempre ad avviso della Regione Marche,
un’ulteriore conferma dell’infondatezza della censura si potrebbe ricavare
dall’art. 256-bis del d.lgs. n. 152
del 2006, aggiunto dall’art. 3, comma 1, del decreto-legge 10 dicembre 2013, n.
136 (Disposizioni urgenti dirette a fronteggiare emergenze ambientali e industriali
ed a favorire lo sviluppo delle aree interessate), convertito, con
modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 6 febbraio 2014, n. 6, e
quindi novellato dall’ art. 14, comma 8, lettera b-sexies), del
decreto-legge n. 91 del 2014, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma
1, della legge n. 116 del 2014. In particolare, l’esclusione dell’applicazione
della nuova disciplina sulla combustione illecita dei rifiuti
«all’abbruciamento di materiale agricolo o forestale naturale, anche derivato
da verde pubblico o privato», disposta dal legislatore statale «[f]ermo
restando quanto previsto dall’art. 182, comma 6-bis» del codice dell’ambiente, confermerebbe, in modo
inequivocabile, la coerenza della norma regionale impugnata rispetto ai
principi della legislazione statale (che ora adotterebbe una formulazione
letterale analoga a quella impiegata dal legislatore regionale).
Infine, nella memoria,
la Regione Marche, allo scopo di sostenere che la norma censurata rientri nella
competenza legislativa regionale, ha sinteticamente richiamato l’evoluzione
della giurisprudenza costituzionale sia in materia di tutela dell’ambiente, in
cui la legislazione statale, in particolare riguardo a norme relative alla
gestione dei rifiuti, è stata ritenuta in grado di imporsi sull’autonomia delle
Regioni anche quando queste esercitino proprie potestà legislative (sentenze n. 269, n. 232 e n. 70 del 2014
e n. 300 del
2013), sia in materia di agricoltura, materia quest’ultima pacificamente
attribuita alla competenza legislativa residuale regionale (sentenze n. 116 del 2006,
n. 282 e n. 12 del 2004).
La Regione ha sostenuto, in proposito, che la Corte costituzionale potrebbe
accogliere un’interpretazione meno rigida dei limiti derivanti dalla
legislazione statale in materia di «tutela dell’ambiente» nei casi in cui –
come quello di specie – la precisazione del contenuto e delle modalità di
svolgimento dell’attività agricola interferisca con i limiti fissati per la
tutela dell’ambiente, ma, al contempo, contribuisca a definire positivamente il
valore costituzionale che deve essere perseguito tanto dal legislatore statale
quanto da quello regionale. Quindi, poiché la disciplina riconducibile
all’agricoltura e, in particolare, alla silvicoltura risulterebbe strettamente
intersecata con la tutela dell’ambiente, in quanto volta – anche ai sensi della
definizione di agricoltura adottata a livello comunitario – a mantenere la
terra in buone condizioni agronomiche ed ambientali, le Regioni ben potrebbero
attuare e chiarire la portata della disciplina di principio fissata dal
legislatore comunitario e dal legislatore statale.
2.– Con ricorso spedito per la notifica
il 28 maggio 2014, ricevuto dalla resistente il 4 giugno 2014 e depositato nella
cancelleria di questa Corte il 3 giugno 2014 (reg. ric. n. 36 del 2014), il
Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura
generale dello Stato, ha impugnato l’art. 2 della legge
della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 28 marzo 2014, n. 5 (Disposizioni
urgenti in materia di OGM e modifiche alla legge regionale 23 aprile 2007, n. 9
– Norme in materia di risorse forestali), in riferimento all’art. 117, primo comma e
secondo comma, lettera s), della
Costituzione.
2.1.– Il ricorrente ha ricordato che
l’impugnato art. 2, introducendo il comma 3-ter
dell’art. 16 della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 23 aprile
2007, n. 9 (Norme in materia di risorse forestali), ha stabilito, nella lettera
a), che: «Ferme restando le
disposizioni regionali in materia di antincendio boschivo, è ammesso il
reimpiego nel ciclo colturale di provenienza dei residui ligno-cellulosici derivanti
da attività selvicolturali di cui all’articolo 14, comma 1, lettera a), da potature, ripuliture o da altri
interventi agricoli e forestali, previo rilascio, triturazione o abbruciamento
in loco, entro 250 metri dal luogo di produzione, purché il materiale triturato
e le ceneri siano reimpiegate nel ciclo colturale, tramite distribuzione, come
sostanze concimanti o ammendanti e lo spessore del materiale distribuito non
superi i 15 centimetri nel caso della triturazione e i 5 centimetri nel caso delle
ceneri». Nella successiva lettera b),
il medesimo art. 2, introducendo il comma 4-bis
dell’art. 17 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 9 del 2007, ha previsto
la relativa sanzione amministrativa: «La violazione delle modalità esecutive di
cui all’articolo 16, comma 3-ter,
comporta l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria da 50 euro a
300 euro».
Ad avviso del ricorrente, la
disposizione impugnata, escludendo a
priori, e in via generale, i residui vegetali sottoposti ad abbruciamento dalla
disciplina sulla gestione dei rifiuti, si porrebbe in contrasto con la
normativa statale di cui agli artt. 184-bis
e 185 del d.lgs. n. 152 del 2006 e con la direttiva n. 2008/98/CE, eccedendo
perciò le competenze statutarie in quanto violerebbe l’art. 117, primo comma e
secondo comma, lettera s), Cost.
Infatti, secondo quanto prospettato
dall’Avvocatura generale dello Stato, perché i materiali vegetali siano
classificati come «sottoprodotti», e perciò esclusi dal campo di applicazione
della normativa sui rifiuti, dovrebbero risultare in concreto,
contemporaneamente e cumulativamente sussistenti tutti i requisiti e le
condizioni elencati dall’art. 184-bis
del d.lgs. n. 152 del 2006, oltre al necessario utilizzo in agricoltura, nella
selvicoltura o per la produzione di energia mediante processi o metodi che non
danneggino l’ambiente né mettano in pericolo la salute umana, ai sensi
dell’art. 185 del medesimo decreto legislativo.
2.2.– La Regione autonoma Friuli-Venezia
Giulia non si è costituita in giudizio.
Considerato in diritto
1.– Con due distinti ricorsi il
Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato, rispettivamente, l’art. 9
della legge della Regione Marche 18 marzo 2014, n. 3 (Modifiche alla legge
regionale 23 febbraio 2005, n. 6 – Legge forestale regionale) e l’art. 2 della
legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 28 marzo 2014, n. 5
(Disposizioni urgenti in materia di OGM e modifiche alla legge regionale 23
aprile 2007, n. 9 – Norme in materia di risorse forestali), entrambi in riferimento
all’art. 117, primo comma e secondo comma, lettera s), della Costituzione.
Nel primo ricorso è censurato l’art. 9
della legge reg. Marche n. 3 del 2014, nella parte in cui esclude a priori e, in via generale, dall’ambito
di applicazione della disciplina sui rifiuti alcuni residui vegetali (paglia;
stoppie; materiale vegetale derivante da colture erbacee ed arboree, e dalla
distruzione di erbe infestanti, rovi o simili; altro materiale agricolo e
forestale naturale non pericoloso) sottoposti ad abbruciamento, in riferimento
all’art. 117, primo comma e secondo comma, lettera s), Cost., in quanto contrasterebbe con la disciplina contenuta
negli artt. 184-bis e 185, comma 1,
lettera f), del decreto legislativo 3
aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale) e nella direttiva 19 novembre
2008, n. 2008/98/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa
ai rifiuti e che abroga alcune direttive).
Nel secondo ricorso è censurato l’art. 2
della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 5 del 2014, nella parte in cui
esclude a priori e, in via generale,
dall’ambito di applicazione della disciplina sui rifiuti alcuni residui
vegetali (residui ligno-cellulosici derivanti da attività selvicolturali, da
potature, ripuliture o da altri interventi agricoli e forestali), sottoposti a
rilascio, triturazione o abbruciamento in
loco, ad alcune condizioni – ossia: a) il trattamento avvenga entro 250
metri dal luogo di produzione; b) il materiale triturato e le ceneri siano
reimpiegate nel ciclo colturale, tramite distribuzione, come sostanze
concimanti o ammendanti; c) lo spessore del materiale distribuito non superi i
15 centimetri nel caso della triturazione e i 5 centimetri nel caso delle
ceneri –, in riferimento all’art. 117, primo comma e secondo comma, lettera s), Cost., in quanto contrasterebbe con
la disciplina contenuta nei citati artt. 184-bis e 185, comma 1, lettera f),
del d.lgs. n. 152 del 2006, e nella citata direttiva n. 2008/98/CE, eccedendo
perciò le competenze statutarie.
2.– Occorre preliminarmente disporre la
riunione dei giudizi introdotti con i ricorsi di cui sopra, in quanto invocano
i medesimi parametri e implicano la soluzione di questioni sostanzialmente
connesse (ex plurimis, sentenze n. 209, n. 165 e n. 144 del 2014).
3.– Relativamente al ricorso n. 36 del 2014 proposto nei confronti della
legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 5 del 2014, si segnala – sempre in
via preliminare – che gli artt. 95, comma 1, lettera b), e 96 della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia
26 giugno 2014, n. 11 (Disposizioni di riordino e semplificazione in materia di
risorse agricole e forestali, bonifica, pesca e lavori pubblici), pubblicata
nel Bollettino Ufficiale della
Regione Friuli-Venezia Giulia 2 luglio 2014, n. 27, S.O. n. 12, ed entrata in
vigore il 3 luglio 2014, hanno disposto l’abrogazione – rispettivamente –
dell’art. 16, comma 3-ter, e
dell’art. 17, comma 4-bis, della
legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 9 del 2007, introdotti dall’impugnato art.
2 della legge regionale sopra richiamata (entrata in vigore il 1° aprile 2014).
Secondo consolidata giurisprudenza
costituzionale, perché sia dichiarata la cessazione della materia del
contendere occorre che sussistano due requisiti: a) la sopravvenuta
abrogazione o modificazione delle norme censurate in senso satisfattivo della
pretesa avanzata con il ricorso; b) la mancata applicazione, medio tempore, delle norme abrogate o
modificate (ex plurimis, sentenze n. 8 del 2015, n. 269 e n. 68 del 2014,
n. 300, n. 193 e n. 32 del 2012
e n. 325 del
2011).
Nel
caso di specie, la prima condizione può ritenersi sussistente, dal momento che
la legge regionale n. 11 del 2014 ha disposto l’abrogazione delle due
disposizioni introdotte dalla norma impugnata. Quanto alla seconda condizione,
essa non può reputarsi soddisfatta, ancorché le disposizioni introdotte dalla
norma impugnata siano rimaste in vigore per un arco temporale piuttosto
limitato, pari a poco più di tre mesi, dal momento che non sembra potersene
escludere l’applicazione medio tempore,
anche in considerazione del fatto che, in virtù del loro contenuto, esse non
richiedono ulteriori sviluppi normativi o organizzativi per poter essere
implementate.
Non
sono, pertanto, riscontrabili i presupposti per dichiarare la cessazione della
materia del contendere, relativamente al ricorso n. 36 del 2014 proposto nei
confronti della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 5 del 2014.
4.– Nel merito
le questioni non sono fondate.
4.1.– Per una
corretta comprensione delle norme regionali oggetto del presente giudizio, è
necessario ricostruire sommariamente l’evoluzione del quadro normativo relativo
all’abbruciamento dei residui vegetali, in rapporto alla disciplina in materia
di smaltimento dei rifiuti, adottata in attuazione delle direttive europee e
collocata all’interno del codice dell’ambiente di cui al decreto legislativo n.
152 del 2006 (Parte quarta: artt. 177-266).
Ai sensi di
quanto originariamente stabilito dal codice dell’ambiente, infatti, erano
esclusi dall’ambito dell’applicazione della disciplina della gestione dei
rifiuti soltanto «le carogne ed i seguenti rifiuti agricoli: materie fecali ed
altre sostanze naturali non pericolose utilizzate nelle attività agricole ed in
particolare i materiali litoidi o vegetali e le terre da coltivazione, anche
sotto forma di fanghi, provenienti dalla pulizia e dal lavaggio dei prodotti
vegetali riutilizzati nelle normali pratiche agricole e di conduzione dei fondi
rustici, anche dopo trattamento in impianti aziendali ed interaziendali
agricoli che riducano i carichi inquinanti e potenzialmente patogeni dei
materiali di partenza» (art. 185, comma 1, lettera e), del testo originario del d.lgs. n. 152 del 2006). Nella vigenza
di tale normativa, la Corte di cassazione (terza sezione penale, sentenza 4
novembre 2008, n. 46213) aveva ritenuto che l’eliminazione, mediante
incenerimento, dei rami degli alberi tagliati fosse da considerarsi illecita,
non potendo essere qualificata come una forma di utilizzazione di tali
materiali nell’ambito di un’attività produttiva.
Il quadro
normativo è mutato a seguito dell’entrata in vigore del decreto legislativo 3
dicembre 2010, n. 205 (Disposizioni di attuazione della direttiva 2008/98/CE
del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 novembre 2008 relativa ai rifiuti
e che abroga alcune direttive), il cui art. 13, riscrivendo integralmente
l’art. 185 del codice dell’ambiente – e riprendendo letteralmente quanto
stabilito dall’art. 2, paragrafo 2, lettera f),
della direttiva n. 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio – ha
previsto, al comma 1, lettera f), che
dall’applicazione della disciplina sui rifiuti sono escluse, tra l’altro, «le
materie fecali, se non contemplate dal comma 2, lettera b), paglia, sfalci e potature, nonché altro materiale agricolo o
forestale naturale non pericoloso utilizzati in agricoltura, nella selvicoltura
o per la produzione di energia da tale biomassa mediante processi o metodi che
non danneggiano l’ambiente né mettono in pericolo la salute umana». Alla luce
di questo nuovo quadro normativo, è mutata altresì la giurisprudenza di legittimità.
Sempre la terza sezione penale della Corte di cassazione (sentenza 7 marzo
2013, n. 16474) ha, infatti, ritenuto che la combustione degli sfalci e dei
residui da potatura, ove non abbia determinato un danno per l’ambiente o messo
in pericolo la salute umana, rientri nella normale pratica agricola: dunque, i
materiali relativi devono essere esclusi dal novero dei rifiuti.
Nonostante
l’avallo della Corte di cassazione, la suddetta interpretazione è stata
contraddetta dalle «Linee guida dell’attività operativa 2013» del Corpo
forestale dello Stato, dettate con nota del Ministero delle politiche agricole
alimentari e forestali del 10 aprile 2013, prot. n. 458. In esse, pur dandosi
conto dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 205 del 2010, se ne propone una
interpretazione volta a sminuirne il contenuto innovativo, stabilendo che,
salvo che vi sia un utilizzo in agricoltura o per la produzione di energia, «la
combustione sul campo di rifiuti vegetali configura reato di illecito
smaltimento dei rifiuti, sanzionato penalmente» dall’art. 256, comma 1, del
d.lgs. n. 152 del 2006.
Anche a
seguito di tale interpretazione adottata dal Corpo forestale dello Stato,
diversi legislatori regionali sono intervenuti sulla questione, con discipline
di tenore diverso, ma tutte dirette a chiarire, sulla scorta di quanto già
affermato dalla Corte di cassazione, che l’abbruciamento dei residui vegetali,
ove rispetti determinate condizioni, rientra nella normale pratica agricola ed
è perciò attività sottratta alla disciplina dei rifiuti e alle relative
sanzioni.
È in questo
contesto ordinamentale che debbono essere collocate e comprese le due leggi
regionali impugnate. Esse sono state
approvate al fine di superare talune interpretazioni della normativa del codice
dell’ambiente affermatesi in via amministrativa che sminuivano la portata
innovativa delle modifiche al codice dell’ambiente apportate, nel 2010, in
conformità alla citata direttiva dell’Unione europea. In tal modo, i
legislatori regionali hanno inteso fornire elementi di certezza agli
imprenditori agricoli, che altrimenti si sarebbero trovati esposti al rischio
di incorrere, nell’esercitare una tradizionale pratica agricola e anche per
piccoli quantitativi di materiale vegetale, in sanzioni di notevole gravità.
4.2.– Occorre
ancora rimarcare che recentemente anche il legislatore statale è intervenuto
sulla materia, con l’art. 14, comma 8, lettera b), del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91 (Disposizioni urgenti
per il settore agricolo, la tutela ambientale e l’efficientamento energetico
dell’edilizia scolastica e universitaria, il rilancio e lo sviluppo delle
imprese, il contenimento dei costi gravanti sulle tariffe elettriche, nonché
per la definizione immediata di adempimenti derivanti dalla normativa europea),
convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 11 agosto
2014, n. 116. Tale disposizione esplicita, con una novella al codice
dell’ambiente, che «[l]e attività di raggruppamento e abbruciamento in piccoli
cumuli e in quantità giornaliere non superiori a tre metri steri per ettaro dei
materiali vegetali di cui all’articolo 185, comma 1, lettera f), effettuate nel luogo di produzione,
costituiscono normali pratiche agricole consentite per il reimpiego dei
materiali come sostanze concimanti o ammendanti, e non attività di gestione dei
rifiuti» (art. 182, comma 6-bis, del
d.lgs. n. 152 del 2006). Al tempo stesso, il legislatore statale ha vietato la
combustione di residui vegetali agricoli «[n]ei periodi di massimo rischio per
gli incendi boschivi, dichiarati dalle regioni» e ha attribuito ai comuni e
alle altre amministrazioni competenti in materia ambientale «la facoltà di
sospendere, differire o vietare la combustione del materiale di cui al presente
comma all’aperto in tutti i casi in cui sussistono condizioni meteorologiche,
climatiche o ambientali sfavorevoli e in tutti i casi in cui da tale attività
possano derivare rischi per la pubblica e privata incolumità e per la salute
umana, con particolare riferimento al rispetto dei livelli annuali delle polveri
sottili (PM10)».
Con un
ulteriore intervento di coordinamento, sempre ad opera del decreto-legge n. 91
del 2014, come convertito si è, inoltre, disposto – novellando l’art. 256-bis del codice dell’ambiente, che era
stato inserito dall’art. 3, comma 1 del decreto-legge 10 dicembre 2013, n. 136
(Disposizioni urgenti dirette a fronteggiare emergenze ambientali e industriali
ed a favorire lo sviluppo delle aree interessate), convertito, con
modificazioni, dall’art. 1, comma 1 della legge 6 febbraio 2014, n. 6 –, che la
disciplina sulla combustione illecita dei rifiuti non si applica
«all’abbruciamento di materiale agricolo o forestale naturale, anche derivato
da verde pubblico o privato» e che resta fermo «quanto previsto dall’art. 182,
comma 6-bis» del medesimo codice
dell’ambiente (comma introdotto dal già ricordato decreto-legge n. 91 del 2014,
come convertito).
4.3.– Alla
luce di quanto fin qui esposto, appare chiaro che, come attestato a più riprese dalla Corte di
Cassazione (oltre alle già citate sentenze, si veda, ancor più esplicitamente, terza sezione penale, sentenza 7
gennaio 2015, n. 76), l’art. 185, comma 1, lettera f), del codice dell’ambiente (e quindi anche le corrispondenti
disposizioni della direttiva n. 2008/98/CE) consentiva – pure anteriormente
all’introduzione del comma 6-bis
all’art. 182 da ultimo ricordata – di annoverare tra le attività escluse
dall’ambito di applicazione della normativa sui rifiuti l’abbruciamento in loco dei residui vegetali,
considerato ordinaria pratica applicata in agricoltura e nella selvicoltura.
In questa chiave, dunque, si può
ritenere che il legislatore regionale sia legittimamente intervenuto sul punto,
nell’esercizio della propria competenza nella materia «agricoltura», di
carattere residuale per le Regioni a statuto ordinario (ex plurimis, sentenze n. 62 del 2013,
n. 116 del 2006
e n. 282 e n. 12 del 2004)
ed esclusiva per la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, ai sensi dell’art. 4, primo comma, numero 2),
della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della
Regione Friuli-Venezia Giulia).
Peraltro, dato che attiene alla «tutela
dell’ambiente», di competenza esclusiva dello Stato, la definizione degli ambiti
di applicazione della normativa sui rifiuti, oltre i quali può legittimamente
dispiegarsi la competenza regionale nella materia «agricoltura e foreste»,
restano fermi i vincoli posti dal sopravvenuto comma 6-bis dell’art. 182 del codice dell’ambiente al fine di assicurare
che l’abbruciamento dei residui vegetali in agricoltura – in conformità del
resto a quanto stabilito dalla normativa dell’Unione europea – non danneggi
l’ambiente o metta in pericolo la salute umana.
1) dichiara
non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 9 della legge
della Regione Marche 18 marzo 2014, n. 3 (Modifiche alla legge regionale 23
febbraio 2005, n. 6 – Legge forestale regionale), promossa, in riferimento all’art.
117, primo comma e seconda comma, lettera s),
della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso
indicato in epigrafe (reg. ric. n. 35 del 2014);
2) dichiara
non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2 della legge
della Regione Friuli-Venezia Giulia 28 marzo 2014, n. 5 (Disposizioni urgenti
in materia di OGM e modifiche alla legge regionale 23 aprile 2007, n. 9 – Norme
in materia di risorse forestali), promossa, in riferimento all’art. 117, primo
comma e secondo comma, lettera s),
della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso
indicato in epigrafe (reg. ric. n. 36 del 2014).
Così deciso in Roma, nella sede della Corte
costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 gennaio
2015.
F.to:
Alessandro CRISCUOLO, Presidente
Marta CARTABIA, Redattore
Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 26 febbraio 2015.