Sentenza n. 265 del 2014

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SENTENZA N. 265

ANNO 2014

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Paolo Maria                   NAPOLITANO                                 Presidente

-           Giuseppe                       FRIGO                                                 Giudice

-           Alessandro                    CRISCUOLO                                             ”

-           Paolo                             GROSSI                                                      ”

-           Giorgio                          LATTANZI                                                 ”

-           Aldo                              CAROSI                                                      ”

-           Marta                            CARTABIA                                                ”

-           Sergio                            MATTARELLA                                          ”

-           Mario Rosario               MORELLI                                                   ”

-           Giancarlo                      CORAGGIO                                               ”

-           Giuliano                        AMATO                                                      ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito della deliberazione del Senato della Repubblica del 21 dicembre 2012 (doc. IV-ter, n. 29), che ha dichiarato l’insindacabilità delle opinioni espresse da Raffaele (detto Lino) Iannuzzi, senatore all’epoca dei fatti, nei confronti del magistrato Luca Tescaroli, promosso dal Tribunale ordinario di Monza, sezione penale, con ricorso notificato l’11 aprile 2014, depositato in cancelleria il 9 maggio 2014 ed iscritto al n. 11 del registro conflitti tra poteri dello Stato 2013, fase di merito.

Visto l’atto di costituzione del Senato della Repubblica;

udito nell’udienza pubblica del 4 novembre 2014 il Giudice relatore Aldo Carosi;

udito l’avvocato Marcello Cecchetti per il Senato della Repubblica.

Ritenuto in fatto

1.– Con ricorso del 4 novembre 2013, depositato in cancelleria il 6 dicembre 2013, il Tribunale ordinario di Monza, sezione penale (già Tribunale di Monza – sezione distaccata di Desio) ha sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato in ordine alla deliberazione del 21 dicembre 2012 (doc. IV-ter, n. 29), con cui il Senato della Repubblica ha affermato che le dichiarazioni del senatore Raffaele (detto Lino) Iannuzzi – in relazione alle quali, nel processo penale pendente davanti a detto giudice, egli è imputato del reato di cui agli artt. 595, terzo comma, del codice penale, e 13 della legge 8 febbraio 1948, n. 47 (Disposizioni sulla stampa) – concernono opinioni espresse da un membro del Parlamento nell’esercizio delle sue funzioni e sono, pertanto, insindacabili ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione.

Secondo quanto riferito dal medesimo giudice, Raffaele Iannuzzi è imputato del reato di diffamazione a mezzo stampa a seguito della querela sporta dal dott. Luca Tescaroli, all’epoca dei fatti sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Caltanissetta, in relazione all’articolo dal titolo «Quell’esperto gestito come un pentito – Ma i pubblici ministeri non si scusano» – pubblicato sul quotidiano «Il Giornale» il 29 luglio 2007 – a firma di Iannuzzi, allora senatore.

In particolare, nell’articolo in questione il senatore Iannuzzi aveva tra l’altro scritto: «Non si è pentito il pm Luca Tescaroli, distaccato anche lui da Firenze a Caltanissetta, e che ha scritto nella sua requisitoria per il processo della strage di Capaci, e ne ha fatto poi un libro, che quella di Cancemi più che una “intuizione”, era stata una “deduzione logica”; visto che il presunto “pizzo” versato dalla Fininvest alla mafia non era stato un pizzo per proteggere le antenne delle tv, ma era un modo per finanziare “Cosa nostra”; visto che Riina diceva, e Cancemi l’aveva sentito con le proprie orecchie, che ormai aveva “nte manu” Berlusconi e Dell’Utri e che per aiutarli a prendere il potere bisognava fare le stragi; visto che prima delle stragi Riina aveva incontrato “due persone importanti”, evidentemente queste due persone non potevano che essere Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri. E dunque “possiamo affermare con assoluta certezza che il disegno criminale nel suo complesso, e la strage di Capaci del 23 marzo 1992, in particolare, si è mosso correlativamente al procedere di trattative volte ad incidere sui poteri politici e istituzionali, e sull’azione degli stessi, per ottenere vantaggi per gli adepti dell’accolita. Tutto ciò consente di inquadrare “le ipotesi di trattative coltivate e le ipotesi degli attentati programmati ed eseguiti nell’azione volta a creare le condizioni per l’affermazione di una nuova formazione politica”. Forza Italia, dunque, si è affermata e ha vinto perché Berlusconi e Dell’Utri hanno convinto Riina a fare le stragi e a dare così il colpo di grazia alla prima Repubblica. Tescaroli è stato così convinto delle sue tesi che si rifiutò di firmare l’archiviazione del procedimento per strage contro Berlusconi e Dell’Utri e lasciò Caltanissetta per tornarsene sul continente. Niente paura: nel quindicesimo anniversario della strage di Via d’Amelio a Caltanissetta hanno deciso di riaprire le indagini sui “servizi segreti deviati” e sui “mandanti occulti”. Chi sa che ciò che non è riuscito ai Pm di Palermo contro Berlusconi e Dell’Utri per il riciclaggio e ai Pm “distaccati” a Caltanissetta contro Berlusconi e Dell’Utri la prima volta per le stragi, non riesca questa volta. In fondo nessuno dei Pm che ci avevano provato si è ancora pentito».

Dopo aver riportato il capo d’imputazione e, testualmente, le frasi diffamatorie dell’articolo di stampa, aver sinteticamente ricostruito la vicenda processuale ed aver evidenziato l’insussistenza degli estremi di un proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen., il Tribunale di Monza, sezione penale, lamentando la lesione di attribuzioni costituzionalmente garantite, con il menzionato ricorso del 4 novembre 2013 ha sollevato conflitto di attribuzione, chiedendo che venga dichiarata la non spettanza al Senato della Repubblica del potere di deliberare l’insindacabilità delle dichiarazioni rese dal senatore Iannuzzi, con conseguente annullamento della deliberazione del 21 dicembre 2012. Ciò sul presupposto del difetto di nesso funzionale – quale ricostruito alla stregua della giurisprudenza costituzionale, di legittimità e della Corte EDU – tra le dichiarazioni contenute nell’articolo giornalistico, astrattamente lesive dell’altrui reputazione, e l’attività parlamentare concretamente svolta dal giornalista, esulandosi dall’ambito applicativo dell’art. 68, primo comma, Cost.

2.– Il conflitto è stato dichiarato ammissibile da questa Corte con l’ordinanza n. 53 del 2014. Il Tribunale di Monza, l’11 aprile 2014, ha notificato al Senato della Repubblica la citata ordinanza unitamente al ricorso introduttivo, depositando entrambi il 9 maggio 2014 con la prova dell’avvenuta notificazione.

3.– Il Senato della Repubblica si è costituito in giudizio con memoria depositata il 29 maggio 2014, chiedendo che il conflitto sollevato dal Tribunale di Monza venga dichiarato improcedibile, inammissibile o, comunque, infondato nel merito.

Il resistente, dopo aver richiamato la giurisprudenza costituzionale sulla natura e sui limiti della prerogativa dell’insindacabilità di cui all’art. 68, primo comma, Cost. riconosciuta ai membri del Parlamento per le opinioni espresse ed i voti dati nell’esercizio delle loro funzioni, sostiene che tale orientamento – ancorché ispirato alla esigenza di privare il giudizio d’insindacabilità di qualsiasi profilo di soggettività – non sarebbe idoneo a soddisfare le esigenze di tutela della libertà di manifestazione del pensiero connessa all’esercizio della funzione parlamentare, soprattutto in riferimento alla trasformazione tecnologica delle forme e dei mezzi della comunicazione pubblica.

Peraltro, il requisito della stretta continenza temporale tra dichiarazioni rese all’interno ed all’esterno, a giudizio del resistente, apporrebbe un termine di decadenza alla libertà di espressione del parlamentare attinente alla funzione rappresentativa. A sostegno di questi rilievi, il Senato della Repubblica richiama anche gli orientamenti della Corte di giustizia e della Corte europea dei diritti dell’uomo concernenti l’individuazione del nesso diretto tra la valutazione soggettiva e l’esercizio delle funzioni parlamentari secondo criteri sostanzialistici, anziché formalistici.

Con specifico riferimento al caso di specie, a giudizio del resistente, le dichiarazioni rese dal senatore Raffaele Iannuzzi, oggetto del giudizio penale pendente dinnanzi al giudice ricorrente, nel loro contenuto sostanziale sarebbero pienamente riconducibili alla sua ampia e prolungata attività parlamentare sulla legislazione in materia di collaboratori di giustizia: nella V legislatura, dal 1968 al 1972, quale componente della Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno della criminalità organizzata in Sicilia, i cui lavori sono stati trasfusi in numerosi documenti; nella XIV legislatura, in data 29 maggio 2003, quale promotore, insieme ad altri colleghi, del disegno di legge n. 2292 recante «Istituzione di una Commissione parlamentare d’inchiesta sulla gestione di coloro che collaborano con la giustizia», proposta poi ripresa nel Doc. XXII, n. 25 del 2004 e nel disegno di legge n. 1291 del 2007. Da ultimo il resistente riferisce che nella seduta n. 144 del Senato della Repubblica del 19 aprile 2007, nel corso dello svolgimento delle interpellanze n. 2-00072 e n. 2-00152, l’allora senatore Iannuzzi avrebbe posto ancora una volta l’accento sull’uso disinvolto delle dichiarazioni dei pentiti da parte dei magistrati. Di conseguenza, da un lato, il senatore Iannuzzi avrebbe condotto una battaglia politica contro la tendenza a costruire ipotesi investigative sulla base delle affermazioni dei collaboratori di giustizia per colpire la classe politica, dall’altro, i contenuti delle dichiarazioni oggetto del presente conflitto costituirebbero la mera trasposizione al soggetto asseritamente diffamato di uno schema di ragionamento in passato già sostenuto dal senatore Iannuzzi nei confronti di altri magistrati durante la sua carica di parlamentare. Sussisterebbe dunque la riconducibilità delle opinioni espresse nei confronti del magistrato Luca Tescaroli ad atti parlamentari tipici, non difettando né il requisito della corrispondenza sostanziale, né quello della contestualità temporale. L’articolo di stampa, oggetto del giudizio pendente dinnanzi al giudice ricorrente, seguirebbe di soli tre mesi l’ultimo dibattito parlamentare in cui il senatore Iannuzzi avrebbe espresso le sue posizioni sul punto e di sei mesi la presentazione del citato disegno di legge n. 1291.

4.– In data 14 ottobre 2014 il Senato della Repubblica ha depositato una memoria, in cui sviluppa la propria linea difensiva sotto tre ulteriori profili. Innanzitutto, a suo giudizio, la formulazione letterale dell’art. 68, primo comma, Cost. non conterrebbe alcuna limitazione ratione loci della garanzia dell’insindacabilità. In secondo luogo, la lettura in senso esclusivamente formalista del nesso funzionale condurrebbe ad irragionevoli paradossi, atteso che il criterio di identificazione ratione loci connoterebbe politicamente opinioni solo in quanto formalizzate in un atto parlamentare tipico. Di conseguenza, la definizione del perimetro dell’insindacabilità sarebbe rimessa alla libera scelta dello stesso parlamentare, nonostante si tratti di una garanzia di natura oggettiva ed impersonale, a presidio dell’autonomia delle istituzioni rappresentative. Da ultimo, ad avviso del Senato della Repubblica, la giurisprudenza costituzionale non sarebbe del tutto in armonia con il sistema multilivello di protezione dei diritti fondamentali assicurato dalla Corte di giustizia dell’Unione europea e dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. A livello sovranazionale varrebbe un’interpretazione sostanziale della nozione di nesso funzionale, che, da un lato, circoscriverebbe le forme di manifestazione del pensiero solamente a quelle dichiarazioni idonee e necessarie ad esercitare la funzione parlamentare; dall’altro, potrebbe meglio tutelare il parlamentare che manifesti opinioni ascrivibili alla funzione rappresentativa, sebbene non espresse nei luoghi fisici e negli atti del Parlamento.

Considerato in diritto

1.− Questa Corte è chiamata a risolvere il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, sollevato dal Tribunale di Monza, sezione penale (già Tribunale di Monza – sezione distaccata di Desio), in ordine alla deliberazione del Senato del 21 dicembre 2012 (doc. IV-ter, n. 29), con cui è stato affermato che le dichiarazioni del senatore Raffaele (detto Lino) Iannuzzi – in relazione alle quali, nel processo penale pendente davanti a detto giudice, egli è imputato del reato di cui agli artt. 595, terzo comma, del codice penale e 13 della legge 8 febbraio 1948, n. 47 (Disposizioni sulla stampa) – concernono opinioni espresse da un membro del Parlamento nell’esercizio delle sue funzioni e sono, pertanto, insindacabili ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione.

2.− Va preliminarmente confermata l’ammissibilità del conflitto, come già ritenuto da questa Corte con l’ordinanza n. 53 del 2014.

3.− Nel merito il ricorso è fondato.

3.1.− Secondo il costante orientamento di questa Corte, le dichiarazioni rese (come nel caso in esame) extra moenia da un parlamentare sono coperte dalla prerogativa dell’insindacabilità di cui all’art. 68, primo comma, Cost., a condizione che esse siano legate da un nesso funzionale con l’attività parlamentare in concreto esercitata.

In questa prospettiva è stato ritenuto indefettibile «il concorso di due requisiti: a) un legame di ordine temporale fra l’attività parlamentare e l’attività esterna […], tale che questa venga ad assumere una finalità divulgativa della prima; b) una sostanziale corrispondenza di significato tra le opinioni espresse nell’esercizio delle funzioni e gli atti esterni, al di là delle formule letterali usate […], non essendo sufficiente né una semplice comunanza di argomenti né un mero “contesto politico” entro cui le dichiarazioni extra moenia possano collocarsi […], né il riferimento alla generica attività parlamentare o l’inerenza a temi di rilievo generale, seppur dibattuti in Parlamento […], né, infine, un generico collegamento tematico o una corrispondenza contenutistica parziale (da ultimo, sentenza n. 55 del 2014)» (sentenza n. 221 del 2014)

È da aggiungere che, come già chiarito da questa Corte, «L’esigenza di salvaguardia della autonomia e libertà delle assemblee parlamentari dalle possibili interferenze di altri poteri (in particolare, di quello giudiziario) – quale sottesa alla insindacabilità delle opinioni espresse da membri del parlamento, ex art. 68 Cost. – deve, infatti, bilanciarsi con l’esigenza, di pari rilievo costituzionale, di garanzia del diritto dei singoli alla tutela della loro dignità di persone, prescritta dall’art. 2 Cost. E l’individuazione del punto di equilibrio, tra i corrispondenti contrapposti valori, porta, appunto, ad escludere che l’insindacabilità copra la complessiva attività politica posta in essere dal membro del Parlamento – poiché ciò trasformerebbe la prerogativa dell’immunità funzionale in un privilegio personale (sentenze n. 313 del 2013, n. 329 del 1999 e n. 289 del 1998) – ed a delimitare l’area di operatività della immunità in correlazione all’ambito di esercizio delle funzioni parlamentari» (sentenza n. 221 del 2014).

3.2.− Ciò premesso, è evidente – con riguardo alla fattispecie in esame – che i giudizi formulati dall’allora senatore Iannuzzi sul conto del magistrato Tescaroli, nell’articolo di stampa di cui si è detto, si collocano innegabilmente al di fuori del perimetro entro il quale opera la garanzia dell’insindacabilità delle opinioni del parlamentare.

Le dichiarazioni espresse extra moenia dal senatore Iannuzzi nel contestato articolo di stampa – sebbene caratterizzate da un rapporto temporale compatibile con la richiamata giurisprudenza di questa Corte – non possono essere considerate meramente divulgative della attività svolta dal senatore stesso con gli atti tipici indicati dalla difesa del Senato e neppure direttamente ricollegabili all’esercizio della funzione parlamentare. La battaglia politica svolta in Parlamento dal senatore Iannuzzi contro la tendenza a costruire ipotesi investigative sulla base delle dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia non è infatti sufficiente a porre in essere il richiesto nesso funzionale con le gravi e specifiche critiche rivolte nei confronti del dott. Tescaroli relativamente alla vicenda processuale delle stragi di Capaci e di via D’Amelio.

4.3.− La delibera per cui è conflitto risulta, quindi, adottata dal Senato in violazione dell’art. 68, primo comma, Cost., ledendo le attribuzioni dell’autorità giudiziaria, e va, pertanto, annullata.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara che non spettava al Senato della Repubblica affermare che le dichiarazioni rese dal senatore Raffaele Iannuzzi, per le quali pende il procedimento penale davanti al Tribunale di Monza, sezione penale, di cui al ricorso indicato in epigrafe, costituiscono opinioni espresse da un membro del Parlamento nell’esercizio delle sue funzioni, ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione;

2) annulla, per l’effetto, la delibera d’insindacabilità adottata dal Senato della Repubblica nella seduta del 21 dicembre 2012 (doc. IV-ter, n. 29).

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 17 novembre 2014.

F.to:

Paolo Maria NAPOLITANO, Presidente

Aldo CAROSI, Redattore

Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 26 novembre 2014.