SENTENZA
N. 134
ANNO 2014
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Gaetano SILVESTRI Presidente
- Luigi MAZZELLA Giudice
- Sabino CASSESE ”
- Giuseppe TESAURO ”
- Paolo Maria NAPOLITANO ”
- Giuseppe FRIGO ”
- Alessandro CRISCUOLO ”
- Paolo GROSSI ”
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Sergio MATTARELLA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
ha
pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 16 e
29, comma 6, lettera g), della legge
della Regione Basilicata 16 aprile 2013, n. 7 (Disposizioni nei vari settori di
intervento della Regione Basilicata), promosso dal Presidente del Consiglio
dei ministri con ricorso
notificato il 19-24 giugno 2013, depositato in cancelleria il 28 giugno 2013 ed
iscritto al n. 72 del registro ricorsi 2013.
Udito nell’udienza pubblica del 25 marzo 2014 il Giudice
relatore Luigi Mazzella;
udito l’avvocato dello Stato Antonio Tallarida per il
Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in
fatto
1.– Con ricorso notificato il 19-24
giugno 2013, depositato in cancelleria il 28 giugno 2013 e iscritto al n. 72
del registro ricorsi dell’anno 2013, il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso, in
riferimento agli artt.
3, 97 e 117, secondo comma,
lettera l), della Costituzione,
questioni di legittimità costituzionale dell’art. 16, comma 2, [rectius: dell’art. 16, nella parte in cui
sostituisce l’art. 27, comma 2, della legge della Regione Basilicata 30
dicembre 2011, n. 26 (Disposizioni per la formazione del bilancio di previsione
annuale e pluriennale della Regione Basilicata – Legge finanziaria 2012)] e
dell’art. 29, comma 6, lettera g),
della legge della Regione Basilicata 16 aprile 2013, n. 7 (Disposizioni nei
vari settori di intervento della Regione Basilicata).
1.1.– L’art. 16 della legge della
Regione Basilicata n. 7 del 2013 ha sostituito l’art. 27 della legge reg.
Basilicata n. 26 del 2011, che dispone il trasferimento all’Azienda sanitaria
di Potenza (ASP) delle attività sanitarie di prevenzione e riabilitazione
visiva e clinico-gestionali svolte dalla Sezione italiana dell’agenzia
internazionale per la prevenzione della cecità (SIACP) di cui alla legge della
Regione Basilicata 16 giugno 2003, n. 22 (Norme in materia di prevenzione della
cecità), e prevede, al comma 2, che la stessa ASP subentri anche nei contratti
di lavoro di diritto privato del personale della SIACP.
Ad avviso dell’Avvocatura generale dello
Stato, il predetto comma 2, che comporta il trasferimento di personale da una onlus di diritto
privato (SIACP) ad un ente pubblico (ASP) contrasta sia con gli artt. 3 e 97
Cost., in quanto consente l’inquadramento in una pubblica amministrazione di
personale non selezionato attraverso pubblico concorso, sia con l’art. 117,
secondo comma, lettera l), Cost., che
riserva alla competenza esclusiva dello Stato l’ordinamento civile e, quindi, i
rapporti di diritto privato regolati dal codice civile. Sotto questo secondo
profilo, il ricorrente denuncia l’illegittimità dell’introduzione di una
modalità di assunzione del personale in oggetto (stipulazione di un contratto
di diritto privato a tempo indeterminato che non comporta inquadramento nei
ruoli della ASP) non prevista nel vigente ordinamento statale, con particolare
alterazione del quadro di riferimento normativo regolante i rapporti del
personale dell’ente pubblico.
1.2.– Il Presidente del Consiglio dei
ministri impugna, inoltre, l’art. 29, comma 6, lettera g), della legge reg. Basilicata n. 7 del 2013, che include tra le
possibili varianti ai piani nelle aree industriali quelle che «prevedano
modifiche alle distanze dai confini, purché nel rispetto di quelle dettate dal
codice civile». Secondo il ricorrente, la predetta disposizione di legge, non
contemplando espressamente, oltre all’obbligo del rispetto del codice civile,
anche quello del rispetto delle distanze tra i fabbricati di cui all’art. 9 del
decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444 (Limiti
inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e
rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e
produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde
pubblico o a parcheggi da osservare ai fini della formazione dei nuovi
strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell’art.
17 della legge 6 agosto 1967, n. 765), contrasta con l’art. 117, secondo comma,
lettera l), Cost., il quale riserva
allo Stato la materia dell’ordinamento civile. La difesa dello Stato richiama,
in proposito, la giurisprudenza di questa Corte secondo cui l’art. 9 del citato
decreto ministeriale è autonomamente dotato di «efficacia precettiva e inderogabile»
(sentenza n. 6
del 2013), perché riguarda materia inerente all’ordinamento civile, e
dunque rientra nella competenza legislativa esclusiva dello Stato.
Considerato
in diritto
1.–
Il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso, in riferimento agli artt.
3, 97 e 117, secondo comma, lettera l),
della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 16, comma
2, [rectius:
dell’art. 16, nella parte in cui sostituisce l’art. 27, comma 2, della legge
della Regione Basilicata 30 dicembre 2011, n. 26 (Disposizioni per la
formazione del bilancio di previsione annuale e pluriennale della Regione
Basilicata – Legge finanziaria 2012)] e dell’art. 29, comma 6, lettera g), della legge della Regione Basilicata
16 aprile 2013, n. 7 (Disposizioni nei vari settori di intervento della Regione
Basilicata).
1.1.–
L’art. 16 della legge reg. Basilicata n. 7 del 2013 sostituisce l’art. 27 della
legge della Regione Basilicata 30 dicembre 2011, n. 26, il quale, al comma 1,
dispone il trasferimento delle attività sanitarie di prevenzione,
riabilitazione visiva e clinico-gestionali della Sezione italiana dell’agenzia
internazionale per la prevenzione della cecità (SIACP), all’Azienda sanitaria
di Potenza (ASP), in coordinamento, per le stesse attività, con l’Azienda
sanitaria di Matera.
Il comma 2 del suddetto articolo
prevede, poi, (oltre al trasferimento delle dotazioni strumentali e
finanziarie, assegnate dalla Regione al SIACP e non ancora utilizzate, alla
ASP) il subentro della stessa ASP «nei contratti di lavoro di diritto privato
del personale in essere alla data di entrata in vigore della presente legge,
senza che ciò costituisca l’instaurarsi di un rapporto di pubblico impiego».
Ad avviso dell’Avvocatura generale dello
Stato, quest’ultima disposizione contrasta con gli artt. 3 e 97 Cost., in
quanto consente l’inquadramento in una pubblica amministrazione di personale
non selezionato attraverso pubblico concorso. Essa, inoltre, vìola l’art. 117,
secondo comma, lettera l), Cost., che
riserva alla competenza esclusiva dello Stato la materia dell’ordinamento
civile e, quindi, i rapporti di diritto privato regolati dal codice civile,
poiché prevede una modalità di assunzione del suddetto personale (un contratto
di diritto privato a tempo indeterminato che non comporterebbe inquadramento
nei ruoli della ASP) sconosciuta dal vigente ordinamento statale.
1.2.– L’art. 29, comma 6, lettera g), della medesima legge reg. Basilicata
n. 7 del 2013 include tra le possibili varianti ai piani nelle aree industriali
quelle che prevedano modifiche alle distanze dai confini, purché siano
rispettate le distanze «dettate dal codice civile».
Il ricorrente afferma che la predetta
disposizione di legge, non contemplando espressamente, oltre all’obbligo di
osservanza del codice civile, anche quello del rispetto delle distanze tra i
fabbricati di cui all’art. 9 del decreto del Ministro dei lavori pubblici 2
aprile 1968, n. 1444 (Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di
distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra spazi destinati agli
insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle
attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi da osservare ai fini della
formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli
esistenti, ai sensi dell’art. 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765), contrasta
con l’art. 117, secondo comma, lettera l),
Cost., che riserva allo Stato la materia dell’ordinamento civile.
2.– La censura formulata con riguardo
all’art. 16, comma 2, della legge reg. Basilicata n. 7 del 2013, è chiaramente
rivolta contro l’art. 27, comma 2, ultimo periodo, della legge reg.
Basilicata n. 26 del 2011, nel testo
sostituito dal succitato art. 16, che prevede la successione dell’ASP nel
contratto di lavoro privato del personale della SIACP, senza costituzione di
alcun rapporto di pubblico impiego.
2.1.– Così intesa, la questione è
fondata, poiché la norma impugnata vìola gli artt. 3 e 97 della Costituzione.
Il concorso pubblico costituisce la
modalità generale ed ordinaria di accesso nei ruoli delle pubbliche
amministrazioni. Questa Corte ha già ritenuto illegittimo il mancato ricorso a
detta forma di reclutamento del personale delle pubbliche amministrazioni in
relazione a norme regionali di generale ed automatico reinquadramento
del personale di enti di diritto privato nei ruoli di Regioni o enti pubblici
regionali, perché un simile trasferimento si risolve in un privilegio indebito
per i soggetti beneficiari di un siffatto meccanismo, in violazione dell’art.
97 Cost. (sentenze
n. 227 del 2013, n. 62 del 2012,
n. 310 e n. 299 del 2011,
n. 267 del 2010).
Neppure il principio in base al quale il
passaggio di attività da uno ad altro soggetto comporta il trasferimento del
personale ivi addetto «consente di prescindere dall’esigenza di pari condizioni
di accesso di tutti i cittadini e di selezione dei migliori» (sentenza n. 227 del
2013).
La mancata previsione di un concorso
pubblico ai fini della successione dell’ASP nei rapporti di lavoro del
personale già dipendente dalla SIACP integra la denunciata violazione degli
artt. 3 e 97 Cost., senza che possa indurre a diversa conclusione l’espressa
esclusione, sancita nella norma censurata, dell’instaurazione di un rapporto di
pubblico impiego. Infatti, la prosecuzione del rapporto di lavoro con una pubblica
amministrazione non può che risolversi nell’insorgenza di un rapporto di
impiego pubblico alle dipendenze di quest’ultima.
Neppure vale osservare che questa Corte
ha, in via di principio, riconosciuto che si possa eccezionalmente derogare
alla regola del pubblico concorso, quando lo scostarsi dalla stessa si riveli a
sua volta maggiormente funzionale al buon andamento dell’amministrazione e
ricorrano straordinarie esigenze d’interesse pubblico (da ultimo, sentenza n. 217 del
2012). Infatti non si rinviene alcuna ragione o esigenza che, nella specie,
possa giustificare una deroga siffatta.
Va quindi dichiarata l’illegittimità
costituzionale dell’art. 27, comma 2, ultimo periodo, della legge reg.
Basilicata n. 26 del 2011, nel testo introdotto dall’art. 16 della legge reg.
Basilicata n. 7 del 2013.
Resta assorbito l’ulteriore profilo di
illegittimità prospettato dall’Avvocatura generale dello Stato.
3.– La questione di legittimità
costituzionale dell’art. 29, comma 6, lettera g), della legge reg. Basilicata n. 7 del 2013 non è fondata, nei
sensi di seguito precisati.
La disciplina delle distanze tra i
fabbricati va ricondotta alla materia dell’«ordinamento civile», di competenza
legislativa esclusiva dello Stato (sentenze n. 6 del
2013, n. 114
del 2012, n.
232 del 2005; ordinanza
n. 173 del 2011). Deve però essere precisato che «i fabbricati insistono su
di un territorio che può avere rispetto ad altri – per ragioni naturali e
storiche – specifiche caratteristiche, [sicché] la disciplina che li riguarda –
ed in particolare quella dei loro rapporti nel territorio stesso – esorbita dai
limiti propri dei rapporti interprivati e tocca anche interessi pubblici» (sentenza n. 232 del
2005), la cui cura è stata affidata alle Regioni, in base alla competenza
concorrente in materia di «governo del territorio» di cui all’art. 117, terzo
comma, della Costituzione.
Dunque, se, in linea di principio, la
disciplina delle distanze minime tra costruzioni rientra nella competenza
legislativa statale esclusiva, alle Regioni è comunque consentito fissare
limiti in deroga alle distanze minime stabilite nella normativa statale, anche
se unicamente a condizione che tale deroga sia giustificata dall’esigenza di
soddisfare interessi pubblici legati al governo del territorio.
Ne consegue che la legislazione
regionale che interviene sulle distanze, interferendo con l’ordinamento civile,
è legittima solo in quanto persegue chiaramente finalità di carattere
urbanistico, demandando l’operatività dei suoi precetti a «strumenti
urbanistici funzionali ad un assetto complessivo ed unitario di determinate
zone del territorio» (sentenza n. 232 del
2005). Le norme regionali che, disciplinando le distanze tra edifici,
esulino, invece, da tali finalità, risultano invasive della materia
«ordinamento civile», riservata alla competenza legislativa esclusiva dello
Stato. Nella delimitazione dei rispettivi ambiti di competenza – statale in
materia di «ordinamento civile» e concorrente in materia di «governo del
territorio» –, il punto di equilibrio è stato rinvenuto nell’ultimo comma
dell’art. 9 del d.m. n. 1444 del 1968, che questa
Corte ha più volte ritenuto dotato di efficacia precettiva e inderogabile (sentenze n. 114 del
2012 e n.
232 del 2005; ordinanza
n. 173 del 2011). Tale disposto ammette distanze inferiori a quelle stabilite
dalla normativa statale, ma solo «nel caso di gruppi di edifici che formino
oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni
planovolumetriche».
In definitiva, le deroghe
all’ordinamento civile delle distanze tra edifici sono consentite se inserite
in strumenti urbanistici, funzionali a conformare un assetto complessivo e
unitario di determinate zone del territorio (sentenza n. 6 del
2013).
Tale principio è stato sostanzialmente
recepito dal legislatore statale con l’art. 30, comma 1, 0a), del decreto-legge
21 giugno 2013, n. 69 (Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia),
convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 9 agosto 2013,
n. 98, che ha inserito, dopo l’art. 2 del d.P.R. 6
giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari
in materia edilizia – Testo A), l’art. 2-bis,
a norma del quale «Ferma restando la competenza statale in materia di
ordinamento civile con riferimento al diritto di proprietà e alle connesse
norme del codice civile e alle disposizioni integrative, le regioni e le
province autonome di Trento e di Bolzano possono prevedere, con proprie leggi e
regolamenti, disposizioni derogatorie al decreto del Ministro dei lavori
pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, e possono dettare disposizioni sugli spazi da
destinare agli insediamenti residenziali, a quelli produttivi, a quelli
riservati alle attività collettive, al verde e ai parcheggi, nell’ambito della
definizione o revisione di strumenti urbanistici comunque funzionali a un
assetto complessivo e unitario o di specifiche aree territoriali».
La norma regionale impugnata dev’essere,
dunque, scrutinata alla luce dei suesposti princìpi. Essa s’inserisce in un
elenco di varianti ai piani vigenti alla data di entrata in vigore della legge
reg. Basilicata n. 7 del 2013, che, nel quadro di una normativa transitoria
applicabile nelle aree industriali lucane, è previsto siano adottate e approvate
dal consiglio di amministrazione del Consorzio territorialmente competente, in
deroga alla normale procedura regolata dai commi precedenti dello stesso art.
29, «anche su istanza degli operatori economici insediati o che intendano
insediarsi nell’area, […] previo espletamento delle procedure di partecipazione
per osservazione di cui all’art. 9, comma 2, della legge regionale 11 agosto
1999, n. 23».
Le varianti di cui alla disposizione
regionale denunciata attengono, dunque, a strumenti urbanistici mirati (come i
piani di area di sviluppo industriale), i quali producono, a norma dell’art.
51, sesto comma, del d.P.R. 6 marzo 1978, n. 218
(Testo unico delle leggi sugli interventi nel Mezzogiorno), «gli stessi effetti
giuridici del piano territoriale di coordinamento di cui alla legge 17 agosto
1942, n. 1150». Tanto determina, per i Comuni ricadenti nell’ambito del piano,
l’obbligo di adeguare ad esso i propri strumenti urbanistici [art. 6 della
legge 17 agosto 1942, n. 1150 (Legge urbanistica)].
Conseguentemente, ricorre nella specie
quella finalizzazione urbanistica dell’intervento regionale, intesa alla
costruzione di un assetto complessivo ed unitario di determinate zone del
territorio, che costituisce l’estrinsecazione della relativa competenza legislativa
regionale.
Peraltro, venendo in rilievo una
competenza concorrente riguardo ad una materia che, relativamente alla
disciplina delle distanze, interferisce con altra di spettanza esclusiva dello
Stato, non v’è dubbio che debbano essere comunque osservati i principi della
legislazione statale quali «si ricavano dall’art. 873 cod. civ. e dall’ultimo
comma dell’art. 9 del d.m. 2 aprile 1968, n. 1444,
emesso ai sensi dell’art. 41-quinquies
della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (introdotto dall’art. 17 della legge 6
agosto 1967, n. 765), avente efficacia precettiva e inderogabile, secondo un
principio giurisprudenziale consolidato» (sentenza n. 230 del
2005).
Quindi, seppure il regime delle distanze
ha la sua prima collocazione nel codice civile, la stessa disciplina ivi
contenuta è poi precisata in ulteriori interventi normativi, tra cui rileva, in
particolare, il d.m. n. 1444 del 1968, costituente un
corpo unico con la regolazione codicistica.
Per tali ragioni d’ordine sistematico,
l’esplicito richiamo al codice civile contenuto nell’art. 29, comma 6, lettera g), della legge reg. Basilicata n. 7 del
2013 deve essere inteso come riferito all’intera disciplina civilistica di cui
il citato decreto ministeriale è parte integrante e fondamentale.
Così interpretata, la disposizione
regionale censurata risulta pienamente rispettosa della competenza legislativa
esclusiva dello Stato nella materia civilistica dei rapporti interprivati,
appunto perché essa impone il rispetto del codice civile e di tutte le
disposizioni integrative dettate in tema di distanze nell’ambito
dell’ordinamento civile, comprese quelle di cui all’art. 9 del d.m. n. 1444 del 1968.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara l’illegittimità costituzionale
dell’art. 27, comma 2, ultimo periodo, della legge della Regione Basilicata 30
dicembre 2011, n. 26 (Disposizioni per la formazione del bilancio di previsione
annuale e pluriennale della Regione Basilicata – Legge finanziaria 2012), nel
testo sostituito dall’art. 16 della legge della Regione Basilicata 16 aprile
2013, n. 7 (Disposizioni nei vari settori di intervento della Regione
Basilicata);
2) dichiara non fondata, nei sensi di cui
in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 29, comma
6, lettera g), della legge della
Regione Basilicata n. 7 del 2013, promossa, in riferimento all’art. 117,
secondo comma, lettera l), della
Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato
in epigrafe.
Così deciso in Roma,
nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 maggio 2014.
F.to:
Gaetano SILVESTRI, Presidente
Luigi MAZZELLA, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 21 maggio 2014.