Ordinanza n. 123 del 2014

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ORDINANZA N. 123

ANNO 2014

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Gaetano                       SILVESTRI                                  Presidente

-           Luigi                            MAZZELLA                                  Giudice

-           Sabino                         CASSESE                                            ”

-           Giuseppe                     TESAURO                                           ”

-           Paolo Maria                 NAPOLITANO                                   ”

-           Giuseppe                     FRIGO                                                 ”

-           Alessandro                  CRISCUOLO                                      ”

-           Paolo                           GROSSI                                               ”

-           Giorgio                        LATTANZI                                          ”

-           Aldo                            CAROSI                                               ”

-           Marta                           CARTABIA                                         ”

-           Sergio                          MATTARELLA                                              ”

-           Mario Rosario              MORELLI                                            ”

-           Giancarlo                     CORAGGIO                                        ”

-           Giuliano                       AMATO                                               ”

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 2941, primo comma, numero 7) del codice civile, promosso dal Collegio arbitrale di Padova nel procedimento vertente tra la S.I.PER. – Società Immobiliare Perginese snc di F.P. & C. e F.P., con ordinanza del 26 agosto 2013 iscritta al n. 250 del registro ordinanze 2013, e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 47, prima serie speciale, dell’anno 2013.

            Udito nella camera di consiglio del 26 marzo 2014 il Giudice relatore Giuseppe Tesauro.

Ritenuto che il Collegio arbitrale di Padova, con ordinanza del 26 agosto 2013, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 2941, primo comma, numero 7) del codice civile, nella parte in cui «non prevede la sospensione della prescrizione tra la società in nome collettivo e i suoi amministratori per le azioni sociali di responsabilità nei loro confronti finché sono in carica»;

che, secondo l’ordinanza di rimessione, una società in nome collettivo (infra: Società), in persona del legale rappresentante, con atto di citazione notificato il 1° marzo 2010, ha convenuto in giudizio davanti al Tribunale ordinario di Trento F.P., amministratore della medesima, deducendo che questi avrebbe commesso molteplici atti di mala gestio, anche durante il periodo in cui gli altri due soci gli avevano affidato «l’intera amministrazione della società», e ne ha chiesto la condanna al risarcimento dei danni, ma detto Tribunale, con sentenza depositata il 10 novembre 2011, ha dichiarato «l’improponibilità della domanda», ritenendo la controversia riservata alla decisione degli arbitri, in virtù della clausola compromissoria contenuta nell’art. 14 dello statuto sociale;

che, ad avviso del rimettente, la Società ha dato «inizio al presente arbitrato» con atto notificato il 23 ottobre 2012, recante «atto di nomina di arbitro» e di formulazione dei quesiti e F.P. ha aderito alla procedura arbitrale «con atto di nomina di arbitro di parte»;

che, sintetizzati gli argomenti svolti dalle parti, il Collegio arbitrale deduce che alla società in nome collettivo non sarebbe applicabile la sospensione della prescrizione stabilita dall’art. 2941, primo comma, numero 7) cod. civ., in quanto essa è priva della personalità giuridica e, benché sia stata progressivamente attenuata la diversità tra gli enti dotati o non della stessa, il carattere eccezionale di siffatta norma ne impedirebbe l’applicazione per analogia;

che, in tal senso, a suo avviso, è, infatti, significativo che la sentenza di questa Corte n. 322 del 1998, nello scrutinare detta norma, nella parte in cui non prevede la sospensione della prescrizione tra le società di persone ed i loro amministratori, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della stessa esclusivamente in riferimento alla società in accomandita semplice;

che, quindi, secondo il rimettente, la questione di legittimità costituzionale sarebbe rilevante, anche perché, nonostante l’interruzione della prescrizione determinata dalla notificazione dell’atto di citazione, il diritto della Società, in difetto della sospensione prevista dalla norma censurata, è prescritto in relazione alle condotte tenute dall’amministratore anteriormente al 1° marzo 2005, produttive, in larga misura, del danno denunciato;

che, ad avviso del Collegio arbitrale, l’art. 2941, primo comma, numero 7) cod. civ. violerebbe l’art. 3 Cost., in quanto non sussisterebbero «elementi decisivi di distinzione» tra le società di capitali, la società in accomandita semplice e la società in nome collettivo, in grado di giustificare la disparità di trattamento realizzata da detta norma;

che, in primo luogo, per tutti i tipi sociali sono, previsti rimedi di carattere sostanziale o processuale allo scopo di porre rimedio all’inconveniente costituito dalla sostanziale coincidenza tra attore e convenuto che, comunque, sussisterebbe anche in riferimento alla società di persone, in quanto soggetto di diritto distinto dai soci della stessa;

che, in secondo luogo, la diversità di disciplina neppure sarebbe giustificata dalla possibilità per i soli amministratori delle società munite di personalità giuridica, finché sono in carica, di occultare gli eventuali illeciti, rendendone difficile la percezione, poiché la riformata disciplina della società a responsabilità limitata (analiticamente approfondita dall’ordinanza di rimessione) dimostrerebbe che in questo tipo sociale è addirittura più elevato il livello di trasparenza della gestione e sono più efficaci gli strumenti di reazione alla mala gestio rispetto alla società in nome collettivo;

che, in terzo luogo, l’enfatizzazione della struttura corporativa dell’organizzazione, caratterizzata da una rigida separazione di competenze tra gli organi dell’ente, tipica delle società munite di personalità giuridica, neanche giustificherebbe la diversità di regolamentazione stabilita dalla norma censurata, in quanto l’attuale disciplina della società a responsabilità limitata permette di derogare il principio della separazione di competenze degli organi sociali e consente ai soci di conformarla sul modello della società in nome collettivo, soprattutto in riferimento «all’organizzazione ed ai rapporti tra ente – e collettività dei soci – e suoi gestori», con conseguente insussistenza di una ragionevole giustificazione della diversità di trattamento stabilita dall’art. 2941, primo comma, numero 7) cod. civ.;

che, infine, secondo il rimettente, siffatta disparità di trattamento comporterebbe anche «una minorazione del diritto di difesa» dei soci della società in nome collettivo, in relazione agli illeciti compiuti dagli amministratori della società, con conseguente violazione dell’art. 24 Cost.

Considerato che il Collegio arbitrale di Padova ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 2941, primo comma, numero 7) del codice civile, nella parte in cui «non prevede la sospensione della prescrizione tra la società in nome collettivo e i suoi amministratori per le azioni sociali di responsabilità nei loro confronti finché sono in carica»;

che, secondo il rimettente, detta norma si porrebbe in contrasto con l’art. 3 Cost., in quanto non sussisterebbero «elementi decisivi di distinzione» tra le società di capitale e, in particolare, tra la società a responsabilità limitata, la società in accomandita semplice e la società in nome collettivo, i quali possano ragionevolmente giustificare la disparità di trattamento realizzata dalla stessa, che comporterebbe, altresì, una violazione del diritto di difesa dei soci di società in nome collettivo, con conseguente vulnus anche dell’art. 24 Cost.;

che, in linea preliminare, deve essere ribadita la legittimazione degli arbitri rituali a sollevare incidentalmente questione di legittimità costituzionale delle norme di legge che essi sono chiamati ad applicare (sentenze n. 223 del 2013 e n. 376 del 2001) e, quindi, sotto questo profilo, la questione è ammissibile, considerato che il rimettente ha diffusamente motivato in ordine al carattere rituale del procedimento in corso davanti allo stesso;

che, tuttavia, sempre in linea preliminare, va ricordato che, per costante giurisprudenza costituzionale, rientra tra i poteri di questa Corte il sindacato, in sede di ammissibilità, sulla validità dei presupposti di esistenza del giudizio principale, qualora risultino manifestamente carenti (sentenze n. 61 del 2012 e n. 270 del 2010), ovvero manchi una plausibile motivazione in ordine agli stessi (tra le più recenti, ordinanze n. 325 e n. 269 del 2013);

che in virtù dell’art. 34, comma 2, del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5 (Definizione dei procedimenti in materia di diritto societario e di intermediazione finanziaria, nonché in materia bancaria e creditizia, in attuazione dell'articolo 12 della legge 3 ottobre 2001, n. 366), la clausola compromissoria «deve prevedere il numero e le modalità di nomina degli arbitri, conferendo in ogni caso, a pena di nullità, il potere di nomina di tutti gli arbitri a soggetto estraneo alla società»;

che siffatta norma, secondo l’orientamento costante della Corte di cassazione, comporta la nullità della clausola che non sia stata adeguata alla stessa, mediante la previsione della nomina degli arbitri da parte di un soggetto estraneo alla società (Corte di cassazione, VI-3 sezione civile, sentenze 13 maggio 2011, n. 21202; 11 marzo 2011, n. 5913), essendo possibile attribuire alla società il potere di provocarne la nomina da parte dell'autorità giudiziaria, non anche quello di designarlo (Corte di cassazione, I sezione civile, sentenza 30 gennaio 2013, n. 2189), restando escluso che la clausola “non adeguata” possa continuare ad essere applicata accanto a (o invece di) quella conforme alla disposizione indicata (Corte di cassazione, VI-1 sezione civile, ordinanza 10 ottobre 2012, n. 17287);

che, alla luce del citato orientamento, tenuto conto della modalità della designazione degli arbitri quale esposta nell’ordinanza di rimessione e sopra sintetizzata, il mancato esame, sotto questo profilo, della validità della clausola compromissoria si risolve in una carenza argomentativa in ordine alla potestas iudicandi degli stessi, che comporta la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale, per difetto di motivazione sulla rilevanza;

che, peraltro, indipendentemente da ogni considerazione in ordine alla circostanza che l’istituto della riassunzione del giudizio è divenuto applicabile nei rapporti tra giudici ed arbitri soltanto in virtù della dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 819-ter del codice di procedura civile, in parte qua (sentenza n. 223 del 2013), l’ordinanza di rimessione non ha specificato che il Tribunale ordinario di Trento ha fissato il termine per la riassunzione, ed ha invece indicato che la sentenza che ha definito il relativo giudizio è stata depositata il 10 novembre 2011 e che il procedimento arbitrale è stato promosso con atto notificato il 23 ottobre 2012, quindi oltre il termine stabilito dall’art. 50, primo comma, cod. proc. civ.;

che, pertanto, la pronuncia resa da detto Tribunale, benché abbia ritenuto valida la clausola compromissoria, siccome costituisce una sentenza resa sulla competenza, avrebbe effetti preclusivi soltanto per il giudice dello stesso processo (Corte di cassazione, III sezione civile, sentenza 14 novembre 2003, n. 17248) e il rimettente non ha motivato in ordine a siffatto profilo ed alle ragioni che potrebbero, invece, indurre a ritenere inesistente il proprio potere di accertare la validità della clausola compromissoria;

che, quindi, la questione deve essere dichiarata manifestamente inammissibile.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi avanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 2941, primo comma, numero 7) del codice civile, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione dal Collegio arbitrale di Padova, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 maggio 2014.

F.to:

Gaetano SILVESTRI, Presidente

Giuseppe TESAURO, Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 9 maggio 2014.