Ordinanza n. 91 del 2014

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ORDINANZA N. 91

ANNO 2014

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Gaetano                       SILVESTRI                                     Presidente

- Luigi                            MAZZELLA                                      Giudice

- Sabino                         CASSESE                                                "

- Giuseppe                     TESAURO                                               "

- Paolo Maria                 NAPOLITANO                                       "

- Giuseppe                     FRIGO                                                     "

- Alessandro                  CRISCUOLO                                          "

- Paolo                           GROSSI                                                   "

- Giorgio                        LATTANZI                                              "

- Aldo                            CAROSI                                                   "

- Marta                           CARTABIA                                             "

- Sergio                          MATTARELLA                                                  "

- Mario Rosario              MORELLI                                                "

- Giancarlo                     CORAGGIO                                            "

- Giuliano                       AMATO                                                   "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 13 e 22 del decreto legislativo 23 febbraio 2006, n. 109 (Disciplina degli illeciti disciplinari dei magistrati, delle relative sanzioni e della procedura per la loro applicabilità, nonché modifica della disciplina in tema di incompatibilità, dispensa dal servizio e trasferimento di ufficio dei magistrati, a norma dell’articolo 1, comma 1, lettera f), della legge 25 luglio 2005, n. 150), promosso dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio nel procedimento vertente tra A.C. e il Ministero della giustizia e il Consiglio superiore della magistratura, con ordinanza del 15 giugno 2012, iscritta al n. 200 del registro ordinanze 2012 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale  della Repubblica n. 39, prima serie speciale, dell’anno 2012.

         Visti gli atti di costituzione di A.C. e del Consiglio superiore della magistratura nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

         udito nell’udienza pubblica del  25 febbraio 2014 il Giudice relatore Paolo Grossi;

         uditi l’avvocato Antonio Lirosi per A.C. e l’avvocato dello Stato Giustina Noviello per il Consiglio superiore della magistratura e per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto che il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio solleva, in riferimento agli artt. 3, 24, 97, 103, 104 e 107 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 13 e 22 del decreto legislativo 23 febbraio 2006, n. 109 (Disciplina degli illeciti disciplinari dei magistrati, delle relative sanzioni e della procedura per la loro applicabilità, nonché modifica della disciplina in tema di incompatibilità, dispensa dal servizio e trasferimento di ufficio dei magistrati, a norma dell’articolo 1, comma 1, lettera f), della legge 25 luglio 2005, n. 150), «nella parte in cui la formulazione di tali previsioni è suscettibile di essere interpretata nel senso che l’individuazione della sede di trasferimento del magistrato sia rimessa alla Sezione Disciplinare del C.S.M., con riveniente reclamabilità delle relative decisioni dinanzi alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione»;

che, in particolare, le norme censurate si presterebbero ad essere interpretate nel senso che sarebbe attratta nella sfera della giurisdizione ordinaria la cognizione in ordine alla «determinazione (amministrativa) di individuazione della sede di destinazione del magistrato, nel caso di trasferimento cautelare disposto nell’ambito del procedimento disciplinare»;

che il TAR rimettente è stato investito dal ricorso proposto da un magistrato sottoposto a procedimento disciplinare avverso l’ordinanza, emessa il 17 maggio 2012, con la quale la sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura ne aveva disposto il trasferimento provvisorio e che, dovendo decidere sulla istanza cautelare, la stessa sarebbe risultata «insuscettibile di immediata delibazione», proprio in considerazione del dubbio di legittimità costituzionale come sopra sollevato;

che la rilevanza della questione sarebbe suffragata dall’art. 10, comma 2, del codice del processo amministrativo, che inibisce al giudice amministrativo l’adozione di misure cautelari ove dubiti della sussistenza della propria giurisdizione in ordine alla controversia ad esso devoluta;

che, quanto alla non manifesta infondatezza, nei casi previsti dall’art. 13, comma 2, e dall’art. 22, comma 1, ultimo periodo, del d.lgs. n. 109 del 2006, sussisterebbero «elementi di non chiarita perplessità, anche alla luce dei difformi orientamenti manifestati dalla giurisprudenza amministrativa e della stessa Cassazione», in ordine alle controversie «aventi ad oggetto il provvedimento di individuazione della sede presso la quale il magistrato venga trasferito»;

che il profilo inerente alla individuazione della sede di servizio del magistrato trasferito sarebbe espressione non già del potere disciplinare ma di un’attribuzione di tipo amministrativo, con conseguente devoluzione del relativo contenzioso al giudice amministrativo;

che, invece, tenuto conto della disciplina dettata dalla circolare del CSM  n. 12046 dell’8 giugno 2009 sulle procedure per i trasferimenti disposti dalla sezione disciplinare, l’individuazione del giudice competente per le controversie relative alla sede verrebbe fatta dipendere dalla scelta della stessa sezione disciplinare, diretta a individuare o non l’ufficio di destinazione, risultando l’atto relativo, nel primo caso, di natura disciplinare e, perciò, sottratto alla giurisdizione amministrativa, e di natura amministrativa, nel secondo, con conseguente attribuzione al giudice amministrativo;

che detto epilogo interpretativo risulterebbe segnato da «insanabili contraddittorietà», tali da indurre a ritenere necessaria la riconduzione del contenzioso relativo all’individuazione della sede di trasferimento nell’ambito della cognizione del giudice amministrativo;

che la sottrazione, invece, della cognizione di tali controversie al giudice amministrativo confliggerebbe con: a) l’art. 3 Cost., «in ragione del differenziato trattamento riservato, quanto alle potenzialità di sollecitazione del sindacato giurisdizionale, al solo magistrato assoggettato a trasferimento “cautelare”»; b) l’art. 24 Cost., «in ragione della vulnerata potenzialità di piena esplicazione del diritto di difesa, escluso, per il caso di ritenuta giurisdizione delle (sole) Sezioni Unite, dall’attivabilità degli strumenti di tutela cautelare propri del giudizio amministrativo»; c) gli artt. 24 e 103 Cost., «a fronte della sottrazione alla cognizione del giudice amministrativo di vicende contenziose aventi ad oggetto l’esercizio del potere amministrativo e sostanziate dalla rappresentazione in giudizio di posizioni giuridiche soggettive di interesse legittimo, per le quali negli organi della giustizia amministrativa va ravvisato il “giudice naturale” precostituito per legge»; d) l’art. 97 Cost., «a fronte della rimessione ad un organo non amministrativo (la Sezione disciplinare del C.S.M.) dell’esercizio di un potere avente, invece, sostanza propriamente amministrativa, con consentita esercitabilità dell’opzione individuativa della sede e/o dell’ufficio di destinazione del magistrato cautelarmente trasferito anche indipendentemente dalla verificabilità della situazione degli organici degli uffici (preordinata a coniugare la relativa scelta con esigenze di ottimale allocazione delle risorse umane), con riveniente vulnerazione dei principi di corretto andamento della Pubblica Amministrazione e di efficacia/efficienza dell’azione amministrativa»; e) l’art. 104 Cost., «in quanto l’attribuzione in via esclusiva della competenza de qua alla Sezione Disciplinare è idonea ad elidere le attribuzioni rimesse al Plenum dell’Organo di autogoverno, al quale è rimessa l’adozione del (conclusivo) provvedimento di trasferimento a fronte della formulazione della relativa proposta ad opera della III Commissione dell’organo di autogoverno»; f) l’art. 107 Cost., «in quanto le vulnerate prerogative di tutela riservate, per effetto dell’indicata devoluzione delle controversie di che trattasi alle Sezioni Unite, vengono a suscitare ricadute direttamente pregiudizievoli sull’attuazione del principio di inamovibilità, la cui dinamica attuazione nell’ordinamento non può prescindere dal necessario coordinamento di esso con l’attuazione di un sistema di piena tutela della posizione giuridica in proposito vantata dal magistrato»;

che si è costituito il Consiglio superiore della magistratura ed è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo entrambi che la questione sia dichiarata inammissibile o, in subordine, infondata;

che, dopo aver svolto una approfondita disamina del complesso articolarsi del contenzioso generato dai vari provvedimenti adottati dal Consiglio superiore della magistratura e aver sottolineato che – alla data della proposizione dell’atto di intervento – era pendente davanti alle sezioni unite della Corte di cassazione regolamento preventivo di giurisdizione teso a contestare proprio la giurisdizione dell’attuale rimettente, la difesa erariale deduce la inammissibilità per irrilevanza della questione proposta;

che, infatti, il giudice a quo nulla avrebbe detto a proposito della sussistenza dei presupposti per la tutela cautelare richiesta, arrestandosi davanti al dubbio sulla propria giurisdizione e sollevando la questione di legittimità costituzionale attraverso l’enunciazione di un semplice quesito interpretativo;

che la carenza di giurisdizione del rimettente sarebbe, peraltro, in quanto manifesta, rilevabile da parte della stessa Corte costituzionale, come tempestivamente dedotto anche nel giudizio amministrativo;

che la mancata indagine del giudice a quo circa la sussistenza dei presupposti per l’invocata tutela cautelare (periculum in mora e fumus boni iuris), negati tanto da parte dello stesso TAR quanto del Consiglio di Stato, renderebbe una eventuale pronuncia di illegittimità costituzionale del tutto «ininfluente sul giudizio sospeso»;

che, non avendo il giudice a quo considerato la possibilità che una tutela cautelare possa essere assicurata dal giudice investito della controversia – le sezioni unite della Corte di cassazione – o anche da quello che ha emesso il provvedimento oggetto di contestazione (la sezione disciplinare del CSM), ha anche omesso di sperimentare la possibilità di una interpretazione costituzionalmente orientata della normativa denunciata;

che le censure proposte direttamente nei riguardi della circolare del CSM n. 12046 dell’8 giugno 2009 sarebbero inammissibili, non trattandosi di atto di normazione primaria, per di più irrilevante in quanto modificato proprio in parte qua;

che la questione sarebbe ulteriormente inammissibile per l’erroneità dei parametri indicati e comunque per la genericità e l’incongruità delle argomentazioni svolte a supporto del richiamo ad alcuni di essi;

che la questione sarebbe, comunque, manifestamente infondata, atteso che l’atto impugnato avrebbe natura sicuramente giurisdizionale in quanto proveniente da organo giurisdizionale, distinto dallo stesso CSM;

che, a proposito della distinzione tra le ipotesi rispettivamente previste dall’art. 13, comma 2, e dall’art. 22, comma 1, del d.lgs. n. 109 del 2006, si segnala la necessità che il procedimento sia unico, con unicità di giurisdizione in entrambi i casi, secondo anche le conclusioni del Procuratore generale in sede di regolamento preventivo di giurisdizione;

che non sussisterebbe, poi, alcun vulnus per le garanzie difensive del magistrato, mentre l’ipotesi di “scomporre” il procedimento in due componenti, l’una giurisdizionale e l’altra amministrativa, risulterebbe del tutto incoerente;

che anche la parte privata ha depositato atto di costituzione, per chiedere una declaratoria di illegittimità costituzionale delle norme denunciate, senza, tuttavia, svolgere alcun argomento;

che in una memoria depositata il 4 febbraio 2014, l’Avvocatura generale, insistendo nelle richieste già formulate, ha segnalato che la Corte di cassazione, a sezioni unite, con ordinanza 28 novembre 2012, n. 21112, ampiamente riportata nella memoria, ha dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo nella controversia di cui al giudizio principale e ha ritenuto «priva di rilevanza» la questione di legittimità costituzionale sollevata dal TAR medesimo e qui all’esame;

che, secondo l’Avvocatura, il TAR rimettente «avrebbe dovuto attendere la decisione del regolamento preventivo di giurisdizione da parte delle Sezioni Unite», «posto che, in difetto di giurisdizione, la questione era priva di rilevanza»;

che, con atto depositato lo stesso 4 febbraio 2014, la parte privata – dopo ampia rievocazione del nutrito contenzioso attivato in relazione ai vari provvedimenti adottati nei suoi confronti dal CSM – ha sostenuto l’ammissibilità della questione, malgrado la richiamata pronuncia delle Sezioni unite che hanno negato la giurisdizione del giudice amministrativo;

che, infatti, inibire a quest’ultimo di sollevare la questione equivarrebbe ad «escludere la prerogativa dell’autorità giudiziaria ad ottenere lo scrutinio costituzionale sulla questione di giurisdizione ed imporle di quietarsi rispetto alle valutazioni espresse dal medesimo organo (la Cassazione) della cui giurisdizione si discute sotto il profilo della legittimità costituzionale»;

che – quanto alla fondatezza dell’assunto secondo il quale non sarebbe stata sperimentata una interpretazione costituzionalmente orientata delle norme denunciate – il giudice rimettente avrebbe, al contrario, proposto una lettura delle norme proprio nel senso che gli atti individuativi della sede di destinazione del magistrato trasferito abbiano comunque natura amministrativa, sollevando la questione per l’ipotesi che si aderisse al diverso orientamento della Corte di cassazione;

che la tesi del Consiglio di Stato, secondo la quale non si determinerebbe, nella specie, un vuoto di tutela sotto il profilo cautelare, risulterebbe incompatibile con quanto previsto agli artt. 24 e 112 Cost., mancando la terzietà dell’organo decidente;

che costituirebbe, poi, semplice espediente per superare i denunciati profili di violazione della legalità in materia disciplinare l’affrettata modifica della circolare del CSM sui trasferimenti, adottata in corso di causa e pendente la questione di legittimità costituzionale;

che, quanto al merito, sarebbe piuttosto la competenza delle Sezioni unite a costituire una eccezione al principio della giurisdizione amministrativa nella materia disciplinare del pubblico impiego, con la conseguenza che ogni dilatazione della natura giurisdizionale degli atti della sezione disciplinare dovrebbe avere copertura legislativa;

che, essendo l’atto individuativo della sede di destinazione estraneo alle finalità del potere disciplinare, lo stesso non rientrerebbe nella sfera delle attribuzioni giurisdizionali della competente sezione del CSM;

che sussisterebbero ulteriori profili di illegittimità costituzionale, diversi da quelli prospettati dal giudice rimettente, e relativi alla dilatazione arbitraria delle competenze della sezione disciplinare del CSM a discapito del plenum nonché alla illegittimità della richiamata circolare sui trasferimenti, concludendosi per «l’illegittimità costituzionale delle norme oggetto dell’ordinanza di rimessione del TAR o di quelle altre ad esse consequenzialmente collegate».

Considerato che il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, 97, 103, 104 e 107 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 13 e 22 del decreto legislativo 23 febbraio 2006, n. 109 (Disciplina degli illeciti disciplinari dei magistrati, delle relative sanzioni e della procedura per la loro applicabilità, nonché modifica della disciplina in tema di incompatibilità, dispensa dal servizio e trasferimento di ufficio dei magistrati, a norma dell’articolo 1, comma 1, lettera f), della legge 25 luglio 2005, n. 150), «nella parte in cui la formulazione di tali previsioni è suscettibile di essere interpretata nel senso che l’individuazione della sede di trasferimento del magistrato sia rimessa alla Sezione Disciplinare del C.S.M., con rinveniente reclamabilità delle relative decisioni dinanzi alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione»;

che, a parere del giudice rimettente, una simile prospettiva ermeneutica si porrebbe in contrasto con: a) l’art. 3 Cost. «in ragione del differenziato trattamento riservato, quanto alle potenzialità di sollecitazione del sindacato giurisdizionale, al solo magistrato assoggettato a trasferimento “cautelare”»; b) l’art. 24 Cost., «in ragione della vulnerata potenzialità di piena esplicazione del diritto di difesa, escluso, per il caso di ritenuta giurisdizione delle (sole) Sezioni Unite, dall’attivabilità degli strumenti di tutela cautelare propri del giudizio amministrativo»; c) gli artt. 24 e 103 Cost., «a fronte della sottrazione alla cognizione del giudice amministrativo di vicende contenziose aventi ad oggetto l’esercizio del potere amministrativo e sostanziate dalla rappresentazione in giudizio di posizioni giuridiche soggettive di interesse legittimo, per le quali negli organi della giustizia amministrativa va ravvisato il “giudice naturale” precostituito per legge»; d) l’art. 97 Cost., «a fronte della rimessione ad un organo non amministrativo (la Sezione Disciplinare del C.S.M.) dell’esercizio di un potere avente, invece, sostanza propriamente amministrativa, con consentita esercitabilità dell’opzione individuativa della sede e/o dell’ufficio di destinazione del magistrato cautelarmente trasferito anche indipendentemente dalla verificabilità della situazione degli organici degli uffici (preordinata a coniugare la relativa scelta con esigenze di ottimale allocazione delle risorse umane), con riveniente vulnerazione dei principi di corretto andamento della Pubblica Amministrazione e di efficacia/efficienza dell’azione amministrativa»; e) l’art. 104 Cost., «in quanto l’attribuzione in via esclusiva della competenza de qua alla Sezione Disciplinare è idonea ad elidere le attribuzioni rimesse al Plenum dell’Organo di autogoverno, al quale è rimessa l’adozione del (conclusivo) provvedimento di trasferimento a fronte della formulazione della relativa proposta ad opera della III Commissione dell’organo di autogoverno»; f) l’art. 107 Cost.; «in quanto le vulnerate prerogative di tutela riservate, per effetto dell’indicata devoluzione delle controversie di che trattasi alle Sezioni Unite, vengono a suscitare ricadute direttamente pregiudizievoli sull’attuazione del principio di inamovibilità, la cui dinamica attuazione nell’ordinamento non può prescindere dal necessario coordinamento di esso con l’attuazione di un sistema di piena tutela della posizione giuridica in proposito vantata dal magistrato»;

che l’Avvocatura generale dello Stato, con memoria depositata il 4 febbraio 2014, ha dedotto che le sezioni unite della Corte di cassazione, a seguito di regolamento di giurisdizione proposto, nel procedimento a quo, dalla parte pubblica, hanno dichiarato, con ordinanza n. 21112 del 28 novembre 2012, il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo;

che, ancor prima, deve rilevarsi che il giudice rimettente coinvolge nel quesito di legittimità costituzionale, in forma paritetica e cumulativa, due disposizioni fra loro eterogenee quanto a struttura e dinamica procedimentale;

che, infatti, mentre l’art. 13, comma 2, del d.lgs. n. 109 del 2006 prevede che «Nei casi di procedimento disciplinare per addebiti punibili con una sanzione diversa dall’ammonimento, su richiesta del Ministro della giustizia o del Procuratore generale presso la Corte di cassazione, ove sussistano gravi elementi di fondatezza dell’azione disciplinare e ricorrano motivi di particolare urgenza, la Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, in via cautelare e provvisoria, può disporre il trasferimento ad altra sede o la destinazione ad altre funzioni del magistrato incolpato», l’art. 22, comma 1, ultimo periodo, dello stesso provvedimento stabilisce che, nell’ipotesi di sottoposizione del magistrato a procedimento penale ovvero a procedimento disciplinare per fatti che siano incompatibili con l’esercizio delle funzioni, «Nei casi di minore gravità il Ministro della giustizia o il Procuratore generale possono chiedere alla Sezione Disciplinare [in luogo della sospensione cautelare e del collocamento fuori ruolo] il trasferimento provvisorio dell’incolpato ad altro ufficio di un distretto limitrofo, ma diverso da quello indicato nell’articolo 11 del codice di procedura penale»;

che, a fronte delle due diverse ipotesi normative, accomunate soltanto dal profilo inerente al trasferimento provvisorio dell’incolpato, il giudice rimettente non concentra le proprie censure né sull’una né sull’altra delle alternative, formulando dunque un quesito in forma ambigua, se non ancìpite;

che, d’altra parte, omettendo di fornire precise indicazioni in tal senso, il giudice rimettente viene meno anche all’obbligo di esauriente descrizione della fattispecie sottoposta a giudizio, ai fini del necessario scrutinio in punto di rilevanza della questione;

che, inoltre, è lo stesso giudice rimettente a sottolineare come il prospettato dubbio di legittimità costituzionale trarrebbe alimento non già da un difetto intrinseco delle norme censurate, ma soltanto da una possibile loro interpretazione, potendosi, eventualmente, esse prestarsi a far considerare attratta nella sfera della giurisdizione ordinaria anche la cognizione in ordine alla «determinazione (amministrativa) di individuazione della sede di destinazione del magistrato, nel caso di trasferimento cautelare disposto nell’ambito del procedimento disciplinare»;

che, di conseguenza, la questione proposta mira, nella sostanza, a sollecitare un mero avallo interpretativo rispetto alla scelta tra una pluralità di opzioni che spetta al giudice a quo effettuare, attraverso, se del caso, la sperimentazione di soluzioni che pongano la normativa coinvolta al riparo dai prospettati dubbi di legittimità costituzionale (ordinanza n. 198 del 2013; sentenza n. 21 del 2013);

che, pertanto, la questione deve essere dichiarata manifestamente inammissibile.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli articoli 13 e 22 del decreto legislativo 23 febbraio 2006, n. 109 (Disciplina degli illeciti disciplinari dei magistrati, delle relative sanzioni e della procedura per la loro applicabilità, nonché modifica della disciplina in tema di incompatibilità, dispensa dal servizio e trasferimento di ufficio dei magistrati, a norma dell’articolo 1, comma 1, lettera f), della legge 25 luglio 2005, n. 150), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24, 97, 103, 104 e 107 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 aprile 2014.

F.to:

Gaetano SILVESTRI, Presidente

Paolo GROSSI, Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 10 aprile 2014.