Sentenza n. 204 del 2013

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SENTENZA N. 204

ANNO 2013

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Franco                        GALLO                                 Presidente

-           Luigi                           MAZZELLA                           Giudice

-           Gaetano                      SILVESTRI                                   "

-           Sabino                        CASSESE                                      "

-           Giuseppe                    TESAURO                                    "

-           Paolo Maria                NAPOLITANO                             "

-           Alessandro                 CRISCUOLO                                "

-           Paolo                          GROSSI                                        "

-           Giorgio                       LATTANZI                                   "

-           Aldo                           CAROSI                                        "

-           Marta                          CARTABIA                                  "

-           Sergio                         MATTARELLA                            "

-           Mario Rosario             MORELLI                                     "

-           Giancarlo                    CORAGGIO                                 "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 96, terzo comma, del codice di procedura civile e dell’art. 133 del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia – Testo A), promosso dal Tribunale di Tivoli, nel procedimento vertente tra L. F. e il Comune di Guidonia Montecelio ed altra, con ordinanza del 30 maggio 2012, iscritta al n. 260 del registro ordinanze 2012 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 47, prima serie speciale, dell’anno 2012.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 22 maggio 2013 il Giudice relatore Sergio Mattarella.

Ritenuto in fatto

1.— Con ordinanza del 30 maggio 2012, depositata in cancelleria il 6 novembre 2012 (reg. ord. n. 260 del 2012), il Tribunale di Tivoli ha sollevato, in riferimento agli articoli 3, 24 e 111 della Costituzione ed all’art. 6 della legge 4 agosto 1955, n. 848 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali firmata a Roma il 4 novembre 1950 e del Protocollo addizionale alla Convenzione stessa, firmato a Parigi il 20 marzo 1952), questione di legittimità costituzionale degli articoli 96, terzo comma, del codice di procedura civile e 133 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia – Testo A), nella parte in cui escludono pro quota lo Stato, ove gravato dell’onere del patrocinio gratuito in favore della parte vittoriosa, dal novero dei beneficiari delle somme oggetto di condanna irrogata ai sensi del suddetto art. 96, terzo comma, in ipotesi di responsabilità aggravata.

Il giudice rimettente espone che nel giudizio a quo l’attore, ammesso al gratuito patrocinio, ha chiesto la condanna di un Comune e delle Assicurazioni Generali s.p.a. al risarcimento dei danni subiti a seguito della caduta da un ciclomotore causata da una serie di buche stradali, nonché al pagamento di una somma da determinare in via equitativa per un danno qualificato «punitivo», a causa della mancata conclusione della controversia in via stragiudiziale. Dall’esame delle prove raccolte, il giudice ritiene essere stata raggiunta la prova della responsabilità del Comune convenuto per omessa custodia e per l’assenza di manutenzione della strada in questione, e di dovere quindi procedere alla quantificazione dei danni subiti dall’attore.

In particolare, in riferimento alla domanda relativa al suddetto danno «punitivo», per avere i convenuti resistito in giudizio senza addivenire ad un accordo stragiudiziale, stante l’evidenza dei fatti per cui è causa, il giudice rimettente osserva che essa risulta contenuta nell’atto di citazione notificato «nel maggio 2009»; sicché deve ritenersi che tale domanda sia riferita all’art. 96, primo comma, cod. proc. civ., dal momento che il terzo comma dello stesso articolo è stato introdotto dall’art. 45 della legge 18 giugno 2009, n. 69 (Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile). Ai fini dell’applicabilità nel giudizio a quo del terzo comma dell’art. 96 cod. proc. civ., il Tribunale di Tivoli dà atto che «l’intera attività difensiva e la stessa costituzione dei convenuti è successiva all’entrata in vigore della legge 69/2009», risalente al 4 luglio 2009, per cui la citata disposizione del terzo comma «può e deve» essere applicata «anche in ragione della sua natura processuale», posto che la condotta sanzionata dalla norma, costituita dalla resistenza colposa in giudizio, si è svolta tutta successivamente alla data della entrata in vigore della citata modifica legislativa.

Nel merito, il giudice rimettente ritiene che nel caso in esame sussistano gli estremi per dichiarare la colpa aggravata dei convenuti, a causa dell’evidenza probatoria e della «pretestuosità delle difese addotte», che hanno «costretto l’attore ad un giudizio che avrebbe dovuto essere evitato».

L’ordinanza osserva che, mentre la previsione di cui all’art. 96, primo comma, cod. proc. civ. subordina il risarcimento del danno, oltre che all’elemento oggettivo della soccombenza, al comportamento del soccombente e alla sua mala fede o colpa grave, configurando così un’ipotesi di responsabilità ai sensi dell’art. 2043 cod. civ., quella prevista dal terzo comma dello stesso articolo non individua le specifiche condotte sanzionabili. A tale riguardo il giudice rimettente condivide l’opinione secondo la quale, nel silenzio del legislatore circa i presupposti della condanna, questa possa essere pronunciata solo ove ricorrano le condizioni di cui al primo comma, e cioè qualora la parte abbia agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, ritenute esistenti nel caso in esame.

Inoltre, il giudice a quo afferma che la condanna prevista dall’art. 96, terzo comma, cod. proc. civ. si contraddistingue per il suo carattere sanzionatorio, dal momento che la sua quantificazione non risulta commisurata all’entità del danno subito, ma è rimessa all’equo apprezzamento del giudice. Queste caratteristiche distinguono l’ipotesi sanzionatoria in esame dal modello della responsabilità aquiliana, dal momento che essa non concreta una fattispecie risarcitoria di un danno, ma risulta finalizzata a prevenire l’abuso del processo ed a tutelare l’efficienza dell’amministrazione della giustizia. Sotto diverso profilo, essa costituisce un adempimento «degli obblighi cosiddetti positivi» derivanti dall’art. 6 CEDU, e pertanto la sanzione in esame ha natura composita e, tra l’altro, è volta a compensare il rischio processuale che inevitabilmente corre la parte a causa dell’abuso del processo.

Nella peculiare ipotesi che ricorre nel giudizio a quo, il soggetto su cui grava il rischio, a causa dell’ammissione dell’attore al gratuito patrocinio a spese dello Stato, non è «la controparte», ma il pubblico erario, tenuto comunque al pagamento delle spese sostenute per il giudizio. In tale situazione, sussiste «una disparità di trattamento tra parte privata gravata del rischio e delle spese processuali e parte pubblica (intesa come Stato persona giuridica onerato delle spese del patrocinio) gravata ex lege del medesimo onere». Poiché, infatti, l’art. 133 del d.P.R. n. 115 del 2002 consente solo il pagamento (o il recupero ai sensi dell’art. 134) delle spese processuali, ma non considera la possibilità di un ristoro a favore dello Stato del rischio risarcibile con la sanzione prevista dall’art. 96, terzo comma, cod. proc. civ., tale mancata previsione nelle norme impugnate risulta lesiva degli artt. 3, 24 e 111 Cost., e dell’art. 6 CEDU, per violazione del principio di parità di trattamento e degli obblighi positivi gravanti sullo Stato italiano al fine di ridurre la durata dei processi. Rileva infine il giudice rimettente che il chiaro contenuto della disposizione di cui all’art. 96, terzo comma, cod. proc. civ., che indica nella «controparte» il solo ed unico beneficiario, e la mancanza di qualunque previsione nella legge sul patrocinio a spese dello Stato, non consentono spazi per un’interpretazione adeguatrice delle disposizioni censurate.

2.— E’ intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, per chiedere che la questione sollevata sia dichiarata non fondata.

Osserva la difesa dello Stato che la finalità della nuova disposizione prevista dall’art. 96, terzo comma, cod. proc. civ. è quella di sanzionare comportamenti che abusino dello strumento processuale e che il legislatore, nell’esercizio della sua discrezionalità, non ha previsto alcuna liquidazione a favore dell’erario. L’esclusione dello Stato dal novero dei soggetti ristorati dalla sanzione civile in questione non assume una diversa rilevanza nei casi in cui le spese processuali siano a carico dell’erario per essere riconosciuto alla parte soccombente il patrocinio a spese dello Stato. In casi di parte patrocinata gratuitamente vittoriosa, infatti, l’art. 133 del d.P.R. n. 115 del 2002 prevede che le spese processuali siano liquidate, a carico della parte soccombente, a favore dello Stato. In tale contesto, la condanna alle spese di lite neutralizza l’intervento dello Stato nell’assicurare il patrocinio gratuito alla parte vittoriosa, e rende tale fattispecie equivalente a quelle in cui le parti assumano direttamente gli oneri della propria difesa.

L’Avvocatura dello Stato afferma che l’ordinanza di rimessione non considera adeguatamente che la lesione in parola si determina in ogni caso, e non unicamente quando lo Stato sostiene anticipatamente le spese di lite della parte vittoriosa, e ribadisce che il legislatore, nella sua discrezionalità, ha ritenuto di tutelare detti interessi pubblici non introducendo anche una sanzione pubblicistica, ma attraverso l’effetto dissuasivo indiretto della sanzione civile, a vantaggio della parte processuale vittoriosa, e lesa dall’abuso del diritto di difesa. Inoltre, in riferimento al rischio di mancato recupero delle spese sostenute, nel caso di patrocinio a carico dello Stato, l’Avvocatura dello Stato sostiene che la prospettazione non risulta convincente, dal momento che la previsione di cui all’art. 96, cod. proc. civ. rappresenta una forma di responsabilità civile per un comportamento illecito, costituito dall’abuso del diritto di difesa, e la somma viene liquidata equitativamente, ma sempre in relazione a un danno effettivamente patito dalla parte.

L’art. 96, terzo comma, cod. proc. civ. si applica solo nel caso in cui il danno non si è verificato, quando risulti soccombente la parte che ha posto in essere la condotta illecita e di conseguenza, sempre ad avviso dell’Avvocatura dello Stato, non può condividersi l’assunto del giudice rimettente secondo il quale tale disposizione è volta a ristorare anche il rischio di soccombenza per la parte poi risultata vittoriosa. Parimenti, non è configurabile un diritto costituzionale, che vincoli l’esercizio della discrezionalità del legislatore ad assegnare allo Stato, che sia vittima del «rischio di soccombenza», una quota della somma liquidata dal giudice ai sensi dell’art. 96, terzo comma, c.p.c.; a tale proposito, l’Avvocatura dello Stato richiama anche l’ordinanza della Corte costituzionale n. 138 del 2012, resa in un caso simile a quello in esame, affermando che le argomentazioni contenute in quel provvedimento sarebbero applicabili anche nel caso in esame.

Considerato in diritto

1.— Il Tribunale di Tivoli ha sollevato, in riferimento agli articoli 3, 24 e 111 della Costituzione ed all’art. 6 della legge 4 agosto 1955, n. 848 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali firmata a Roma il 4 novembre 1950 e del Protocollo addizionale alla Convenzione stessa, firmato a Parigi il 20 marzo 1952), questione di legittimità costituzionale degli articoli 96, terzo comma, del codice di procedura civile e 133 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia – Testo A), nella parte in cui escludono pro quota lo Stato, ove gravato dell’onere del patrocinio gratuito in favore della parte vittoriosa, dal novero dei beneficiari delle somme oggetto di condanna irrogata ai sensi del suddetto art. 96, terzo comma, in ipotesi di responsabilità aggravata.

Ritiene il giudice a quo che tale omissione – risultante, a suo dire, in modo indiscutibile dalla formulazione letterale delle due censurate disposizioni – sia in contrasto con i richiamati parametri costituzionali, in particolare sotto il profilo della violazione del principio della parità di trattamento, «nella prospettiva degli obblighi positivi gravanti sulla Repubblica italiana in merito alla riduzione dei tempi processuali».

2.— La questione è inammissibile.

Va innanzitutto osservato – come rileva lo stesso giudice rimettente – che l’art. 96, terzo comma, cod. proc. civ., è stato introdotto dall’art. 45, comma 12, della legge 18 giugno 2009, n. 69 (Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile), pubblicata in data 19 giugno 2009 ed entrata in vigore il 4 luglio del medesimo anno, quindi successivamente all’instaurazione del giudizio a quo, introdotto mediante atto di citazione notificato «nel maggio 2009». Il giudice a quo, tuttavia, sostiene che il citato art. 96, terzo comma, sia ugualmente applicabile nel giudizio a lui sottoposto, quale norma processuale, dal momento che l’attività difensiva e la costituzione dei convenuti si sarebbero realizzate in epoca successiva all’entrata in vigore della norma medesima.

In tale ricostruzione, però, il Tribunale di Tivoli omette di considerare che, per espressa previsione dell’art. 58, comma 1, della legge n. 69 del 2009, le norme della medesima che modificano il codice di procedura civile e le disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile «si applicano ai giudizi instaurati dopo la data della sua entrata in vigore»; e la modifica dell’art. 96, terzo comma, cod. proc. civ., non rientrando tra quelle per le quali i successivi commi dell’art. 58 prevedono una diversa entrata in vigore, segue la menzionata regola generale quanto alla decorrenza della sua applicazione; punto questo che trova conferma anche nell’ordinanza 17 maggio 2011, n. 10846, della Corte di cassazione.

Ne consegue che l’art. 96, terzo comma, cod. proc. civ. non può trovare applicazione nel giudizio a quo, instaurato mediante atto di citazione notificato in epoca antecedente alla sua entrata in vigore, avvenuta in data 4 luglio 2009; e, d’altra parte, il giudice a quo, nel dare conto della rilevanza della presente questione di legittimità costituzionale, non dimostra di aver tenuto in considerazione l’art. 58 della legge n. 69 del 2009, il che costituisce un’ulteriore ragione di inammissibilità della stessa sotto il profilo dell’incompleta considerazione del quadro normativo di riferimento.

Ne deriva l’inammissibilità dell’odierna questione di legittimità costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli articoli 96, terzo comma, del codice di procedura civile, e 133 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia – Testo A), sollevata, in riferimento agli articoli 3, 24 e 111 della Costituzione ed all’art. 6 della legge 4 agosto 1955, n. 848 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali firmata a Roma il 4 novembre 1950 e del Protocollo addizionale alla Convenzione stessa, firmato a Parigi il 20 marzo 1952), dal Tribunale di Tivoli con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 luglio 2013.

F.to:

Franco GALLO, Presidente

Sergio MATTARELLA, Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 18 luglio 2013.