Sentenza n. 146 del 2013

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SENTENZA N. 146

ANNO 2013

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Franco                        GALLO                                 Presidente

-           Luigi                           MAZZELLA                           Giudice

-           Gaetano                      SILVESTRI                                   "

-           Sabino                        CASSESE                                      "

-           Giuseppe                    TESAURO                                    "

-           Paolo Maria                NAPOLITANO                             "

-           Alessandro                 CRISCUOLO                                "

-           Paolo                          GROSSI                                        "

-           Giorgio                       LATTANZI                                   "

-           Aldo                           CAROSI                                        "

-           Marta                          CARTABIA                                  "

-           Sergio                         MATTARELLA                            "

-           Mario Rosario             MORELLI                                     "

-           Giancarlo                    CORAGGIO                                 "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 53, terzo comma, della legge 11 luglio 1980 n. 312 (Nuovo assetto retributivo-funzionale del personale civile e militare dello Stato), promosso dalla Corte d’appello di Firenze nel procedimento vertente tra il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca e F.P. ed altra con ordinanza del 13 marzo 2012 iscritta al n. 267 del registro ordinanze 2012 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 48, prima serie speciale, dell’anno 2012.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio dell’8 maggio 2013 il Giudice relatore Sergio Mattarella.

Ritenuto in fatto

1.— Due lavoratrici della scuola hanno promosso, nei confronti del Ministero della pubblica istruzione, una controversia nella quale, adducendo di aver lavorato per molti anni, in qualità di supplenti con contratti a tempo determinato, presso vari istituti scolastici, hanno chiesto al Tribunale di Pisa, in funzione di giudice del lavoro, che venisse loro riconosciuto il diritto a percepire gli scatti biennali di stipendio previsti dall’art. 53, terzo comma, della legge 11 luglio 1980, n. 312 (Nuovo assetto retributivo-funzionale del personale civile e militare dello Stato).

Il Tribunale ha accolto la domanda.

2.— Nel corso del giudizio di appello, proposto da parte del Ministero della pubblica istruzione, la Corte d’appello di Firenze, in funzione di giudice del lavoro, ha sollevato – in riferimento agli articoli 3, 36, 11 e 117 della Costituzione, questi ultimi due parametri in relazione alla clausola 4 dell’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, allegato alla direttiva 28 giugno 1999, n. 1999/70/CE del Consiglio – questione di legittimità costituzionale del menzionato art. 53, terzo comma, della legge n. 312 del 1980, nella parte in cui «esclude il personale della scuola non di ruolo supplente (sia docente che non docente) dal diritto alla maturazione degli aumenti economici biennali riconosciuti al personale non di ruolo a tempo indeterminato», nonché «nella parte in cui, con riferimento all’ultimo comma dello stesso articolo, prevede un diverso trattamento tra docenti di religione e docenti di materie diverse, anche nel caso in cui entrambi rendano, come supplenti, una prestazione a tempo determinato».

2.1.— Osserva il giudice a quo, sotto il profilo della rilevanza, che la censurata disposizione, nel menzionare il personale non di ruolo nominato dal provveditore agli studi quale beneficiario degli scatti biennali, si riferisce alla categoria dei cosiddetti docenti incaricati, ossia docenti non di ruolo a tempo indeterminato; tale figura, ancorché soppressa dal decreto-legge 6 giugno 1981, n. 281 (Proroga degli incarichi del personale docente, educativo e non docente delle scuole materne, elementari, secondarie, artistiche e delle istituzioni educative nonché delle istituzioni scolastiche e culturali italiane all’estero), convertito, con modificazioni, dalla legge 24 luglio 1981, n. 392, è tuttavia sopravvissuta attraverso il richiamo ad essa contenuto nei contratti collettivi del comparto scuola (art. 142 del CCNL per il periodo 2002-2005 e art. 146 del CCNL per il periodo 2006-2009). Tuttavia, la previsione dell’impugnato art. 53, terzo comma, secondo cui i supplenti sono esclusi in ogni caso da ogni aumento biennale di stipendio, «costituisce un ostacolo diretto ed insuperabile al riconoscimento del diritto alla maturazione degli scatti di anzianità in favore del personale non di ruolo assunto a tempo determinato», categoria alla quale appartengono entrambe le ricorrenti, l’una in qualità di docente e l’altra di collaboratore scolastico; esse, infatti, hanno lavorato con contratti annuali per un periodo complessivo di circa nove anni.

La Corte d’appello, perciò, evidenzia che, se l’espressione «escluse in ogni caso le supplenze» venisse rimossa dal testo della norma impugnata, le lavoratrici ricorrenti avrebbero diritto al riconoscimento degli scatti di anzianità in discussione; e, d’altra parte, il testo di legge è tale da non poter essere superato in via interpretativa, come risulta anche dalla giurisprudenza della Corte di cassazione e del Consiglio di Stato, i quali hanno negato che gli scatti biennali possano spettare ai supplenti.

2.2.— Ciò posto, il giudice a quo rileva, in punto di non manifesta infondatezza, che la norma impugnata crea due disparità di trattamento, l’una tra il personale docente e amministrativo a tempo determinato rispetto a quello non di ruolo a tempo indeterminato, e l’altra tra i primi e i docenti di religione.

Sotto il primo profilo, la giurisprudenza comunitaria ha evidenziato in più di una occasione (Corte di giustizia, sentenza 13 settembre 2007, Del Cerro Alonso, nonché sentenza 15 aprile 2008, Impact) che la citata clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato – che stabilisce il principio di non discriminazione a favore del personale assunto a tempo determinato – è incondizionata e sufficientemente precisa, sicché può essere invocata dinanzi ad un giudice nazionale; e, in base a detta clausola, «a parità di qualità e quantità della prestazione lavorativa, non si giustifica un trattamento economico differenziato a scapito del personale temporaneo».

Sotto il secondo profilo, l’art. 53, terzo comma, della legge n. 312 del 1980 crea una discriminazione in favore degli insegnanti di religione, ai quali l’ultimo comma del medesimo art. 53 garantisce una progressione economica di carriera anche se si tratta di docenti assunti con contratti annuali. Simile disparità, secondo la Corte d’appello, poteva trovare giustificazione in origine, in quanto i docenti di religione non potevano mai diventare di ruolo, sicché era ragionevole riconoscere, in loro favore, almeno il diritto ad una progressione stipendiale. Ma nel sistema attuale – venutosi a creare a seguito dell’entrata in vigore della legge 18 luglio 2003, n. 186 (Norme sullo stato giuridico degli insegnanti di religione cattolica degli istituti e delle scuole di ogni ordine e grado), la quale ha consentito l’ingresso in ruolo anche di tali docenti, con apposito concorso – le ragioni della diversità di trattamento sono venute meno.

Ne consegue che la censurata disposizione appare in contrasto col principio di uguaglianza e con quello della parità di trattamento economico di cui agli artt. 3 e 36 Cost.; ciò in quanto non vi sarebbe ragione per la quale, «a parità di anzianità lavorativa e di opportunità di progressione in carriera, l’insegnante di materie non religiose debba percepire, dopo il primo quadriennio, una retribuzione inferiore a quella percepita dall’altro», tanto più che l’insegnante di religione mantiene il beneficio anche dopo l’ingresso in ruolo, siccome conservato ad personam ai sensi dell’art. 1-ter del decreto-legge 5 dicembre 2005, n. 250 (Misure urgenti in materia di scuola, università, beni culturali ed in favore di soggetti affetti da gravi patologie, nonché in tema di rinegoziazione di mutui, di professioni e di sanità), inserito dalla legge di conversione 3 febbraio 2006, n. 27, mentre il docente di altre materie viene immesso in ruolo con il solo stipendio base.

La Corte fiorentina, in conclusione, aggiunge di dover sollevare d’ufficio la presente questione di legittimità costituzionale, non potendo comunque procedere alla diretta disapplicazione della norma nazionale, anche perché rimarrebbe il problema di decidere quale disciplina di progressione economica dovrebbe essere in concreto applicabile.

3.— È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione venga dichiarata inammissibile o infondata.

3.1.— Rileva la parte intervenuta che l’art. 53, terzo comma, della legge n. 312 del 1980 prevede l’attribuzione degli scatti biennali di stipendio nei confronti di una particolare categoria di personale scolastico non di ruolo, cioè i docenti incaricati a tempo determinato, i quali costituivano una categoria ben diversa da quella dei supplenti. Con la sopravvenuta contrattualizzazione del pubblico impiego, lo status giuridico ed economico dei docenti è ormai regolato dal contratto collettivo, per cui gli aumenti biennali di stipendio sono stati eliminati per tutto il personale scolastico; il CCNL per il periodo 1994-1997, infatti, ha previsto il sistema dei cosiddetti gradoni per i passaggi stipendiali. Ora, le norme dei contratti collettivi richiamate dall’ordinanza di rimessione dimostrano che il sistema degli scatti biennali è rimasto in vigore per i soli docenti di religione (art. 66, comma 7, del CCNL citato, nonché art. 142 del CCNL per il periodo 2002-2005). Il beneficio in questione, quindi, è «scomparso da anni dal sistema di adeguamento della retribuzione del personale scolastico», il che dovrebbe determinare l’inammissibilità della questione.

3.2.— Nel merito, la questione sarebbe infondata.

Osserva al riguardo l’Avvocatura dello Stato che la norma censurata è stata da sempre ritenuta applicabile soltanto al personale a tempo indeterminato nonché al personale incaricato; quest’ultimo, titolare di un rapporto di durata illimitata destinato a trasformarsi in un rapporto di ruolo non appena un posto si fosse reso disponibile, aveva comunque una posizione giuridica diversa da quella dei supplenti. Nel sistema attuale, regolato dalla legge 3 maggio 1999, n. 124 (Disposizioni urgenti in materia di personale scolastico), le supplenze si articolano in annuali, sino al termine delle attività didattiche, e temporanee, tutte comunque caratterizzate dalla temporaneità dell’incarico; e una conferma in tal senso si trae anche dall’art. 1, comma 1, del decreto-legge 25 settembre 2009, n. 134 (Disposizioni urgenti per garantire la continuità del servizio scolastico ed educativo per l’anno 2009-2010), convertito, con modifiche, dall’art. 1, comma 1, della legge 24 novembre 2009, n. 167, in base al quale i contratti a tempo determinato stipulati per il conferimento delle supplenze possono trasformarsi in rapporti di lavoro a tempo indeterminato solo nel caso di immissione in ruolo.

Alla luce della giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, poi, la normativa nazionale in tema di supplenze non sarebbe in contrasto con quella europea.

Come la Corte di giustizia ha ribadito in numerose pronunce, infatti, la direttiva 1999/70 CE lascia agli Stati membri un ampio margine di discrezionalità nell’attuazione delle relative previsioni.

Il reclutamento del personale scolastico è regolato da una disciplina particolare. Nel caso dei docenti, il rapporto di lavoro temporaneo trova giustificazione nella necessità di garantire, comunque, il servizio pubblico dell’istruzione allo scopo di tutelare, in favore di tutti i cittadini, il diritto universale all’istruzione di cui agli artt. 33 e 34 Cost., organizzando «un apparato che permetta di assicurare sempre e comunque una continuità nell’erogazione delle prestazioni che costituiscono il cardine fondamentale del servizio stesso». Il ricorso alla nomina dei supplenti, pertanto, ha natura «residuale obbligatoria», nel senso che non dipende da una scelta discrezionale della pubblica amministrazione, bensì da esigenze obiettive, il che «induce a ritenere che l’istituto trovi la sua giustificazione in una legittima finalità di politica sociale», la quale integra una di quelle «ragioni obiettive» che giustificano, in base al menzionato accordo quadro, il rinnovo dei successivi contratti a tempo determinato.

D’altra parte, l’assunzione di personale con contratto a tempo indeterminato sull’intero numero di posti del cosiddetto organico di diritto non sarebbe un’ipotesi praticabile, non potendosi sapere con certezza che la popolazione scolastica manterrà in futuro sempre la medesima consistenza. Simile sistema, poi, potrebbe dare luogo ad un indiscriminato aumento delle piante organiche, tanto più grave in un momento come quello attuale nel quale sussistono innegabili e gravi necessità di risparmio di denaro pubblico.

L’Avvocatura dello Stato, poi, richiama la sentenza 20 giugno 2012, n. 10127, con la quale la Corte di cassazione ha affermato che la specifica disciplina del reclutamento del personale scolastico cosiddetto precario è conforme alla clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, in quanto la copertura dei posti di insegnamento vacanti mediante il conferimento di contratti a tempo determinato è conseguente alla particolare attività dell’insegnamento nella scuola, il che esclude il presunto contrasto.

La Corte di giustizia dell’Unione europea, a sua volta, nella sentenza 26 gennaio 2012 (in causa C-586/10, Kucuk), ha chiarito che il mero fatto che un datore di lavoro supplisca all’esigenza di personale sostitutivo attraverso la conclusione di contratti a tempo determinato non comporta – anche se tali esigenze siano permanenti – un abuso del datore ai sensi della citata clausola 5 dell’accordo quadro.

3.3.— Quanto, infine, alla presunta violazione del principio di uguaglianza conseguente al differenziato trattamento previsto per i docenti di materie diverse dalla religione, l’Avvocatura dello Stato ritiene opportuna una ricostruzione storica della normativa di settore.

La legge 28 luglio 1961, n. 831 (Provvidenze a favore del personale direttivo ed insegnante delle scuole elementari, secondarie ed artistiche, dei provveditori agli studi e degli ispettori centrali e del personale ausiliario delle scuole e degli istituti di istruzione secondaria ed artistica), prevedeva l’attribuzione di aumenti biennali per tutti i docenti non di ruolo incaricati, ivi compresi quelli della religione cattolica. Successivamente, la legge 20 maggio 1982, n. 270 (Revisione della disciplina del reclutamento del personale docente della scuola materna, elementare, secondaria ed artistica, ristrutturazione degli organici, adozione di misure idonee ad evitare la formazione di precariato e sistemazione del personale precario esistente), ha soppresso la figura dei docenti incaricati, residuando tale figura solo per i docenti di religione, per i quali non esisteva un ruolo specifico, né la possibilità di ingresso in ruolo.

In quel sistema, perciò, la previsione dell’art. 53, sesto comma, della legge n. 312 del 1980 ha consentito ai docenti di religione di conseguire uno sviluppo professionale che li tenesse agganciati allo status dei docenti di ruolo. Tuttavia, l’attribuzione degli aumenti biennali era riservata soltanto a coloro i quali avessero almeno quattro anni di anzianità e accettassero una cattedra con orario completo.

La legge n. 186 del 2003, richiamata dalla Corte d’appello remittente, non ha stabilito, in realtà, la possibilità di ingresso in ruolo dei docenti di religione sull’intero numero dei posti disponibili, bensì solo sul 70 per cento di questi; pertanto il restante 30 per cento dei predetti docenti è rimasto nella precedente condizione di docente incaricato annuale; in relazione a costoro, pertanto, si giustifica la permanenza degli aumenti biennali, perché essi, altrimenti, «sarebbero esclusi da qualsiasi possibilità di sviluppo professionale». Ne consegue che la prospettata questione sarebbe priva di fondamento.

Considerato in diritto

1.— La Corte d’appello di Firenze, in funzione di giudice del lavoro, ha sollevato questione di legittimità costituzionale – in riferimento agli articoli 3, 36, 11 e 117 della Costituzione, questi ultimi due parametri in relazione alla clausola 4 dell’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, allegato alla direttiva 28 giugno 1999, n. 1999/70/CE del Consiglio – dell’art. 53, terzo comma, della legge 11 luglio 1980, n. 312 (Nuovo assetto retributivo-funzionale del personale civile e militare dello Stato), nella parte in cui «esclude il personale della scuola non di ruolo supplente (sia docente che non docente) dal diritto alla maturazione degli aumenti economici biennali riconosciuti al personale non di ruolo a tempo indeterminato», nonché «nella parte in cui, con riferimento all’ultimo comma dello stesso articolo, prevede un diverso trattamento tra docenti di religione e docenti di materie diverse, anche nel caso in cui entrambi rendano, come supplenti, una prestazione a tempo determinato».

2.— Occorre innanzitutto rilevare che l’odierna questione è stata posta dalla Corte d’appello di Firenze non in termini generali – ossia con riguardo alle differenze retributive esistenti tra i docenti ed il personale amministrativo, tecnico e ausiliario (A.T.A.) con rapporto di lavoro a tempo determinato ed il corrispondente personale di ruolo – bensì con riferimento a due diverse situazioni che il rimettente assume come tertia comparationis: da un lato i docenti non di ruolo a tempo indeterminato e, dall’altro, i docenti di religione a tempo determinato. L’ordinanza di rimessione, infatti, impugna espressamente il solo terzo comma dell’art. 53 della legge n. 312 del 1980, in base al quale al personale non di ruolo con nomina del provveditore agli studi, «escluse in ogni caso le supplenze», sono attribuiti aumenti periodici di stipendio per ogni biennio di servizio prestato.

Rimane pertanto estranea al presente giudizio ogni questione relativa alla disparità di trattamento tra personale di ruolo e non di ruolo, come risulta senza possibilità di dubbio dal tenore complessivo dell’ordinanza di rimessione e dal fatto che la medesima non ha proposto alcuna questione di legittimità costituzionale relativa al primo comma del medesimo art. 53; sicché l’oggetto del presente scrutinio di legittimità costituzionale deve essere limitato all’ambito sopra delineato.

3.— Così chiariti i termini dell’odierna questione, va rilevato che il primo tertium comparationis non è stato individuato dal giudice a quo in modo corretto.

La Corte d’appello di Firenze pone a confronto il trattamento economico dei lavoratori ricorrenti – che, come si è visto, sono supplenti con contratto a tempo determinato reiterato nel corso di più anni successivi – con quello dei docenti non di ruolo a tempo indeterminato.

3.1.— La categoria dei docenti incaricati risale ad un’epoca del tutto diversa rispetto a quella odierna, nella quale l’innalzamento dell’obbligo scolastico e la crescita della popolazione avevano creato una situazione di continua necessità di assunzione di nuovi docenti. Si trova menzione di tale figura già nella legge 19 marzo 1955, n. 160 (Norme sullo stato giuridico del personale insegnante non di ruolo delle scuole e degli istituti di istruzione media, classica, scientifica, magistrale e tecnica), il cui art. 3 prevedeva la possibilità di conferire incarichi annuali di insegnamento, da parte dei vari provveditori agli studi, in relazione alle cattedre ivi indicate, stabilendo che l’incarico annuale potesse essere confermato a domanda. La legge 28 luglio 1961, n. 831 (Provvidenze a favore del personale direttivo ed insegnante delle scuole elementari, secondarie ed artistiche, dei provveditori agli studi e degli ispettori centrali e del personale ausiliario delle scuole e degli istituti di istruzione secondaria ed artistica), ampliò gli spazi degli incarichi, stabilendo che gli stessi divenissero triennali (art. 6), con annesso riconoscimento degli incrementi stipendiali (art. 7) e del conseguente trattamento di quiescenza per gli incaricati forniti di abilitazione all’insegnamento (art. 8).

La legge 13 giugno 1969, n. 282 (Conferimento degli incarichi e delle supplenze negli istituti di istruzione secondaria), dispose (art. 1) che alla copertura delle cattedre cui non era assegnato personale docente di ruolo si provvedesse «con personale docente non di ruolo, che viene assunto con incarico a tempo indeterminato», in tal modo istituendo la figura del docente incaricato a tempo indeterminato, mentre l’art. 2 del decreto-legge 19 giugno 1970, n. 366 (Istituzione delle cattedre, non licenziabilità degli insegnanti non di ruolo, riserve dei posti e sospensione degli esami di abilitazione all’insegnamento, nelle scuole ed istituti di istruzione secondaria ed artistica), convertito, con modifiche, dalla legge 26 luglio 1970, n. 571, dispose la non licenziabilità degli insegnanti abilitati con nomina a tempo indeterminato.

Tuttavia già l’art. 1 della legge 9 agosto 1978, n. 463 (Modifica dei criteri di determinazione degli organici e delle procedure per il conferimento degli incarichi del personale docente e non docente; misure per l’immissione in ruolo del personale precario nelle scuole materne, elementari, secondarie ed artistiche, nonché nuove norme relative al reclutamento del personale docente ed educativo delle scuole di ogni ordine e grado), abrogando sia l’art. 1 della legge n. 282 del 1969 che l’art. 2 del d. l. n. 366 del 1970, sancì la fine degli incarichi a tempo indeterminato, poi soppressi definitivamente dall’art. 3 del decreto-legge 6 giugno 1981, n. 281 (Proroga degli incarichi del personale docente, educativo e non docente delle scuole materne, elementari, secondarie, artistiche e delle istituzioni educative nonché delle istituzioni scolastiche e culturali italiane all’estero), convertito, con modifiche, dalla legge 24 luglio 1981, n. 392, la cui previsione trova conferma nel successivo art. 15, quarto comma, della legge 20 maggio 1982, n. 270 (Revisione della disciplina del reclutamento del personale docente della scuola materna, elementare, secondaria ed artistica, ristrutturazione degli organici, adozione di misure idonee ad evitare la formazione di precariato e sistemazione del personale precario esistente).

3.2.— Della complessità di tale iter normativo, qui sommariamente tratteggiato, il giudice a quo si dimostra consapevole, ma ritiene che la figura dei docenti non di ruolo a tempo indeterminato continui ad essere operante attraverso il richiamo ad essa contenuto in alcune disposizioni dei contratti collettivi del settore scuola; in particolare, la Corte d’appello di Firenze cita l’art. 142 del Contratto collettivo per il quadriennio 2002-2005 e l’art. 146 del Contratto collettivo per il quadriennio 2006-2009.

Questa Corte rileva che, in realtà, già l’art. 66, comma 7, del Contratto collettivo del comparto scuola per il periodo 1994-1997 disponeva che per gli insegnanti di religione rimanessero in vigore le norme di cui all’art. 53 della legge n. 312 del 1980. L’art. 142, comma 1, lettera f), numero 5), del contratto collettivo per il quadriennio 2002-2005, si limita a specificare che continua ad applicarsi il menzionato art. 53 unitamente all’art. 3, commi 6 e 7, del d.P.R. 23 agosto 1988, n. 399 (Norme risultanti dalla disciplina prevista dall’accordo per il triennio 1988-1990 del 9 giugno 1988 relativo al personale del comparto scuola); e poiché queste ultime disposizioni si riferiscono ai soli insegnanti di religione – non a caso indicati, in parentesi, a conclusione della previsione citata di cui all’art. 142 del contratto collettivo – appare evidente che il richiamo contenuto nella disposizione del contratto collettivo si riferisce ai soli insegnanti di religione, attesa l’indubbia particolarità della loro situazione. Né a diversa conclusione può pervenirsi in riferimento all’art. 146, comma 1, lettera g), numero 5), del contratto collettivo del settore scuola per il periodo 2006-2009, altra norma citata nell’ordinanza di rimessione.

Le norme della contrattazione collettiva ora considerate, quindi, non hanno in alcun modo ricondotto in vita la figura dei docenti non di ruolo a tempo indeterminato.

Ne consegue che, essendo stata eliminata la figura dei docenti non di ruolo a tempo indeterminato, la questione di legittimità costituzionale deve essere dichiarata, sotto questo profilo, inammissibile per mancanza del tertium comparationis individuato dal giudice a quo, che si traduce in un’erronea rappresentazione del quadro normativo.

4.— La questione posta dalla Corte d’appello di Firenze è, invece, ammissibile in riferimento al secondo tertium comparationis individuato, costituito dai docenti di religione; per tale categoria, la previsione dell’ultimo comma del censurato art. 53 trova ancora applicazione, determinando il beneficio degli aumenti periodici del trattamento economico, che non è previsto per i lavoratori di cui al giudizio a quo, supplenti con incarico a tempo determinato.

4.1.— Occorre innanzitutto rilevare che – come correttamente argomenta il giudice remittente – lo status giuridico e la carriera dei docenti di religione hanno subito un profondo mutamento a seguito dell’entrata in vigore della legge 18 luglio 2003, n. 186 (Norme sullo stato giuridico degli insegnanti di religione cattolica degli istituti e delle scuole di ogni ordine e grado). Quest’ultima, superando il vecchio assetto delineato dalla legge 5 giugno 1930, n. 824 (Insegnamento religioso negli istituti medi d’istruzione classica, scientifica, magistrale, tecnica ed artistica), ha istituito un ruolo dei docenti di religione cattolica, con previsione di una determinata dotazione organica e con la creazione di un accesso al ruolo tramite concorso per titoli ed esami, alla luce dei criteri fissati nell’intesa tra lo Stato italiano e la Conferenza episcopale italiana, resa esecutiva con d.P.R. 16 dicembre 1985, n. 751 (Esecuzione dell’intesa tra l’autorità scolastica italiana e la Conferenza episcopale italiana per l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche).

L’art. 2 della legge n. 186 del 2003, nell’istituire, come si è detto, la dotazione organica dei posti per l’insegnamento della religione cattolica, ha stabilito che essa venga determinata «nella misura del 70 per cento dei posti d’insegnamento complessivamente funzionanti»; il che significa che la stabilizzazione del rapporto di lavoro di tali insegnanti è, comunque, limitata da un punto di vista numerico, perché il rimanente 30 per cento degli stessi continua a rimanere privo di stabilità. Ne consegue che il richiamo compiuto dalla Corte d’appello di Firenze alle profonde modifiche del rapporto di lavoro dei docenti di religione – le quali farebbero venire meno ogni ragionevole giustificazione della diversità di trattamento economico – si scontra con il dato ora evidenziato, e cioè che la stabilità del rapporto di lavoro non vale per l’intera categoria di docenti, in quanto per una parte minore, ma pur sempre significativa, di costoro la perdurante applicazione dell’art. 53, ultimo comma, della legge n. 312 del 1980 costituisce l’unico temperamento rispetto alla mancata stabilizzazione del rapporto di lavoro.

D’altra parte è innegabile che, nonostante la riforma di cui alla citata legge n. 186 del 2003, lo status degli insegnanti di religione mantenga alcune sue indubbie peculiarità, quali la permanente possibilità di risoluzione del contratto per revoca dell’idoneità da parte dell’ordinario diocesano (art. 3, comma 9, della legge n. 186 del 2003) e l’assenza di un sistema paragonabile a quello delle graduatorie permanenti – ora graduatorie ad esaurimento – previste per altri docenti, le quali consentono l’ingresso in ruolo in ragione del cinquanta per cento dei posti disponibili (art. 399 del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297 recante: «Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado»). Inoltre questa Corte ha sottolineato la peculiarità del rapporto di lavoro degli insegnanti di religione (sentenza n. 343 del 1999) e ha ricordato che tale categoria di docenti ha operato tradizionalmente con un rapporto di servizio nel quale assume un ruolo centrale l’Intesa tra l’autorità scolastica italiana e la Conferenza episcopale italiana (sentenza n. 297 del 2006).

Da tanto consegue che la prospettata questione di legittimità costituzionale è, in parte qua, priva di fondamento in riferimento all’art. 3 Cost., attesa l’inidoneità della categoria dei docenti di religione a fungere da idoneo tertium comparationis.

4.2.— La diversità della condizione dei suddetti docenti – la quale costituisce una naturale conseguenza dell’intrinseca diversità del loro rapporto di lavoro – rende, di conseguenza, priva di fondamento la prospettata questione di legittimità costituzionale in riferimento anche all’art. 36 Cost. nonché alla normativa europea richiamata attraverso gli artt. 11 e 117 Cost., poiché il principio di non discriminazione di cui alla clausola 4 dell’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, allegato alla direttiva 28 giugno 1999, n. 1999/70/CE del Consiglio, presuppone comunque la comparabilità tra le due categorie di lavoratori a tempo determinato e a tempo indeterminato.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 53, terzo comma, della legge 11 luglio 1980, n. 312 (Nuovo assetto retributivo-funzionale del personale civile e militare dello Stato), sollevata – in riferimento agli articoli 3, 36, 11 e 117 della Costituzione, questi ultimi due parametri in relazione alla clausola 4 dell’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, allegato alla direttiva 28 giugno 1999, n. 1999/70/CE del Consiglio – dalla Corte d’appello di Firenze, in funzione di giudice del lavoro, con riguardo al tertium comparationis costituito dai docenti non di ruolo a tempo indeterminato, con l’ordinanza di cui in epigrafe;

2) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale del medesimo art. 53, terzo comma, della legge n. 312 del 1980 sollevata, in riferimento ai medesimi parametri costituzionali, dalla Corte d’appello di Firenze, in funzione di giudice del lavoro, con riguardo al tertium comparationis costituito dai docenti di religione, con l’ordinanza di cui in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 17 giugno 2013.

F.to:

Franco GALLO, Presidente

Sergio MATTARELLA, Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 20 giugno 2013.