Ordinanza n. 34 del 2013

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ORDINANZA N. 34

ANNO 2013

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-          Franco                          GALLO                                             Presidente

-          Gaetano                        SILVESTRI                                         Giudice

-          Sabino                          CASSESE                                                 ”

-          Giuseppe                      TESAURO                                                ”

-          Paolo Maria                  NAPOLITANO                                        ”

-          Giuseppe                      FRIGO                                                      ”

-          Alessandro                   CRISCUOLO                                           ”

-          Paolo                            GROSSI                                                    ”

-          Giorgio                         LATTANZI                                               ”

-          Aldo                             CAROSI                                                   ”

-          Marta                           CARTABIA                                              ”

-          Sergio                           MATTARELLA                             ”

-          Mario Rosario              MORELLI                                                 ”

-          Giancarlo                      CORAGGIO                                             ”

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 11-quater, comma 4, del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203 (Misure di contrasto all’evasione fiscale e disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 2 dicembre 2005, n. 248, promosso dalla Corte di cassazione con ordinanza del 13 giugno 2012, iscritta al n. 195 del registro ordinanze 2012 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 39, prima serie speciale, dell’anno 2012.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 13 febbraio 2013 il Giudice relatore Gaetano Silvestri.

Ritenuto che, con ordinanza deliberata il 13 giugno 2012, la Corte di cassazione ha sollevato, in riferimento all’articolo 77 [secondo comma] della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 11-quater, comma 4, del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203 (Misure di contrasto all’evasione fiscale e disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 2 dicembre 2005, n. 248;

che, secondo quanto riferisce la rimettente, il giudizio principale ha ad oggetto il ricorso, proposto dall’Agenzia delle entrate, avverso la sentenza resa dalla Commissione tributaria regionale di Ancona, che ha ritenuto fondata la pretesa della società Megas Net s.p.a.;

che quest’ultima aveva chiesto la restituzione delle maggiori imposte versate in applicazione del regime di ammortamento, introdotto dal citato art. 11-quater, dei beni strumentali per l’esercizio delle attività di distribuzione e trasporto di gas naturale;

che la sentenza oggetto di impugnazione ha accolto la pretesa della Megas Net s.p.a. sul rilievo che, essendo la predetta società estranea al processo di distribuzione del gas naturale, essa non rientrerebbe tra i soggetti indicati dall’art. 2, comma 1, lettera n), del decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 164 (Attuazione della direttiva 98/30/CE recante norme comuni per il mercato interno del gas naturale, a norma dell’articolo 41 della legge 17 maggio 1999, n. 44), ai quali si applica il regime di ammortamento previsto dall’art. 11-quater, donde il diritto alla restituzione dei maggiori importi versati;

che la ricorrente Agenzia delle entrate contesta tale interpretazione della normativa in esame, osservando che il regime di ammortamento riguarda i beni utilizzati per l’attività di trasporto e di distribuzione del gas naturale, e dunque ha come destinatario il soggetto proprietario dei beni stessi, essendo del tutto irrilevante che questi eserciti l’indicata attività;

che la società Megas Net ha chiesto il rigetto dell’impugnazione e, nelle note d’udienza, ha eccepito, comunque, l’illegittimità costituzionale dell’art. 11-quater del d.l. n. 203 del 2005, come convertito dalla legge n. 248 del 2005, per violazione dell’art. 77 Cost.;

che il giudice a quo esamina preliminarmente la suddetta eccezione, a sostegno della quale è stata richiamata la sentenza n. 22 del 2012 della Corte costituzionale;

che nella citata pronuncia, secondo la parte, sarebbe stato confermato il principio per cui «le leggi di conversione di un decreto-legge non possono contenere anche norme contenute in altri decreti-legge»;

che la rimettente riporta alcuni passi della sentenza, dove si trova affermato, in particolare, che «l’esclusione della possibilità di inserire nella legge di conversione di un decreto-legge emendamenti del tutto estranei all’oggetto e alle finalità del testo originario non risponde soltanto ad esigenze di buona tecnica normativa, ma [è] imposto dallo stesso art. 77, secondo comma, della Costituzione, che istituisce un nesso di interrelazione funzionale tra decreto-legge, formato dal Governo ed emanato dal Presidente della Repubblica, e legge di conversione, caratterizzata da un procedimento di approvazione peculiare rispetto a quello ordinario»;

che, nell’argomentare la non manifesta infondatezza della questione avente ad oggetto l’art. 11-quater, comma 4, del d.l. n. 203 del 2005, la Corte di cassazione ripercorre l’iter di approvazione della indicata disposizione, segnalando che la stessa era originariamente contenuta nell’art. 2 del decreto-legge 17 ottobre 2005, n. 211 (Misure urgenti per il raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica e disposizioni in materia aeroportuale), non convertito in legge e quindi decaduto;

che, in data 2 dicembre 2005, era approvata la legge n. 248 del 2005, che convertiva il d.l. n. 203 del 2005, al cui interno era stato inserito il testo dell’art. 2 del d.l. n. 211 del 2005, rubricato come art. 11-quater;

che l’innesto della disposizione censurata nel d.l. n. 203 del 2005, «avente ad oggetto materie diverse e […] tutt’altre finalità» sarebbe avvenuto in assenza di qualsiasi riferimento alla circostanza che la disposizione in oggetto facesse parte, in origine, di un diverso decreto-legge, e senza considerare la specificità del titolo della legge di conversione, che riguardava esclusivamente il d.l. n. 203 del 2005;

che, avuto riguardo alla rilevanza della questione, la rimettente osserva che gli obblighi fiscali della società controricorrente derivano dall’applicazione del disposto dell’art. 11-quater, comma 4, del d.l. n. 203 del 2005, sicché una eventuale declaratoria di illegittimità costituzionale avrebbe sicura incidenza sulla definizione del giudizio principale;

che, con atto depositato il 23 ottobre 2012, è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ed ha concluso chiedendo che la questione sia dichiarata manifestamente inammissibile o, comunque, non fondata;

che la difesa statale si sofferma sul contenuto della sentenza n. 22 del 2012 della Corte costituzionale, e in particolare sul principio secondo cui l’inserimento, nel testo di un decreto-legge, in sede di conversione, di norme aventi contenuto eterogeneo rispetto alla materia trattata ed alle finalità perseguite dal medesimo decreto, rompe il necessario legame tra decretazione d’urgenza e legge di conversione, risolvendosi in un «uso improprio, da parte del Parlamento, di un potere che la Costituzione gli attribuisce, con speciali modalità di procedura, allo scopo tipico di convertire, o non, in legge un decreto-legge» (sentenza n. 22 del 2012);

che, tuttavia, la Corte costituzionale ha avuto cura di precisare che il conseguente vulnus al parametro di riferimento non discende dall’operazione di integrazione, in sé considerata, bensì dalla eterogeneità, per materia e finalità, delle norme inserite, con la conseguenza che la verifica del rispetto del predetto parametro deve essere condotta caso per caso, avuto riguardo al contenuto delle norme;

che, secondo la difesa dello Stato, l’ordinanza di rimessione risulterebbe priva di adeguata motivazione al riguardo, poiché la rimettente non avrebbe indicato neppure genericamente i profili di eterogeneità della disposizione censurata rispetto al corpus normativo contenuto nel d.l. 203 del 2005, essendosi limitata ad affermare che l’art. 11-quater è stato inserito in un decreto-legge «avente ad oggetto materie diverse e perseguente diverse finalità»;

che la segnalata carenza motivazionale renderebbe la questione manifestamente inammissibile;

che, osserva ancora in via preliminare la difesa dello Stato, il giudice a quo ha più volte evidenziato come la norma censurata, in origine, fosse contenuta nel d.l. n. 211 del 2005, non convertito e quindi decaduto, senza peraltro formulare sul punto una esplicita doglianza, sicché l’ordinanza di rimessione risulterebbe «in qualche misura perplessa», non essendo chiaro il profilo di incostituzionalità che lo stesso giudice intende far valere;

che, nel merito, la questione sarebbe comunque infondata sotto entrambi i possibili profili di violazione dell’art. 77, secondo comma, Cost.;

che la norma censurata conterrebbe disposizioni di natura tributaria che limitano – relativamente all’esercizio di imposta in corso (art. 11-quater, comma 1) – gli ammortamenti dei beni materiali strumentali per l’esercizio di alcune attività regolate, ed è chiaramente finalizzata a realizzare un incremento del gettito fiscale, risultando così omogenea, per contenuto e scopo, al d.l. n. 203 del 2005, recante «Misure di contrasto all’evasione fiscale e disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria»;

che la difesa statale richiama altre disposizioni del d.l. n. 203 del 2005 a suo dire riconducibili alla materia tributaria, in particolare gli artt. 5, 6 e 7, la cui finalità, consistente nell’incremento delle entrate erariali, sarebbe comune alla norma censurata, pur nella diversità dei meccanismi di realizzazione;

che, dunque, i risultati dell’analisi comparativa tra la disposizione denunciata e l’articolato del d.l. n. 203 del 2005, prima della sua conversione in legge, condurrebbero ad uno scrutinio positivo di conformità al parametro evocato, con conseguente non fondatezza del dubbio di legittimità costituzionale;

che la questione risulterebbe non fondata anche sotto il profilo, pure non esplicitato dalla rimettente, relativo all’originario inserimento della disposizione censurata nell’articolato del d.l. n. 211 del 2005, poi decaduto;

che la difesa statale richiama sul punto la giurisprudenza costituzionale che ha affermato il divieto di reiterazione dei decreti-legge non convertiti, fatta eccezione per i casi in cui il «nuovo decreto» risulti fondato su autonomi motivi di necessità ed urgenza (sono citate le sentenze n. 398 del 1998 e n. 360 del 1996);

che, in ogni caso, il tema risulterebbe nella specie non pertinente, giacché il d.l. n. 211 del 2005, in origine recante la norma censurata, non era affatto decaduto al momento in cui la stessa norma è stata inserita, come art. 11-quater, nel testo del d.l. n. 203 del 2005, dalla legge di conversione di quest’ultimo;

che, infatti, il termine per la conversione in legge del d.l. n. 211 del 2005 è scaduto il 17 dicembre 2005, mentre la legge di conversione del d.l. n. 203 del 2005 è stata pubblicata il 2 dicembre 2005;

che, dunque, evidenti ragioni di economia della produzione legislativa avrebbero indotto il legislatore a trasferire nel d.l. n. 203 del 2005, in sede di conversione, la disposizione censurata, unitamente all’intero testo del d.l. n. 211 del 2005, attesa l’omogeneità della materia disciplinata;

che, d’altra parte, non sarebbe dubitabile l’esistenza di autonome ragioni di urgenza della norma censurata, dovendo la stessa trovare applicazione per il periodo di imposta in corso, relativo all’anno 2005;

che la medesima disciplina è stata inserita «a regime», con effetto a partire dal 2006, dall’art. 1, comma 325, della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2006), che ha introdotto il nuovo art. 102-bis del d.P.R. n. 917 del 1986;

che, in conclusione, l’Avvocatura generale dello Stato sottolinea come la norma censurata non sia stata introdotta nel corpo di un “altro” decreto-legge, ma adottata dal Parlamento, in sede di conversione, sicché essa, in realtà, ha fatto parte dell’articolato della legge di conversione, con la conseguenza che, a tutto concedere, si sarebbe realizzato l’«effetto sanante» individuato dalla sentenza n. 360 del 1996 della Corte costituzionale.

Considerato che la Corte di cassazione dubita, in riferimento all’art. 77, secondo comma, della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’art. 11-quater, comma 4, del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203 (Misure di contrasto all’evasione fiscale e disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 2 dicembre 2005, n. 248;

che la disposizione denunciata, in origine contenuta nell’art. 2 del decreto-legge 17 ottobre 2005, n. 211 (Misure urgenti per il raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica e disposizioni in materia aeroportuale), non convertito in legge e quindi decaduto, è stata introdotta nel testo del d.l. n. 203 del 2005, in sede di conversione di quest’ultimo in legge;

che, a parere della rimettente, la predetta disposizione sarebbe eterogenea, per contenuto e finalità, rispetto al testo originario del d.l. n. 203 del 2005, sicché è denunciata come frutto di un improprio esercizio del potere legislativo, richiamando i princípi stabiliti dalla sentenza n. 22 del 2012 di questa Corte;

che preliminarmente occorre esaminare le eccezioni sollevate dalla difesa dello Stato, riguardanti la carenza di motivazione dell’ordinanza di rimessione in punto di non manifesta infondatezza, e il carattere «perplesso» della questione;

che il limite motivazionale segnalato dalla difesa statale in riferimento al mancato esame della norma censurata, e al conseguente mancato raffronto tra la stessa e le disposizioni contenute nel testo originario del d.l. n. 203 del 2005, si connette, in realtà, ad una erronea interpretazione del dictum della sentenza n. 22 del 2012, e dunque attiene al merito della questione;

che, quanto all’eccezione relativa alla “perplessità della questione”, il richiamo della rimettente alla circostanza che il d.l. n. 211 del 2005, nel quale era originariamente contenuta la disposizione censurata, fosse poi decaduto, non assume effettivo rilievo nell’economia della questione prospettata;

che infatti, come osservato anche dalla difesa statale, la rimettente non ha formulato in proposito specifiche censure, e lo stesso dispositivo dell’ordinanza di rimessione è circoscritto alla denunciata eterogeneità della norma introdotta nel d.l. n. 203 del 2005 in sede di conversione in legge, con la conseguenza che il tema della reiterazione dei decreti-legge non convertiti non risulta posto;

che, nel merito, la questione è manifestamente infondata;

che, all’esito dei richiami alla motivazione della sentenza n. 22 del 2012 di questa Corte, la rimettente ritiene incompatibili con il parametro evocato le disposizioni che, al pari di quella oggetto di censura, siano state introdotte dal Parlamento in sede di conversione di un decreto-legge, e che in origine fossero contenute in un altro testo normativo, pure predisposto dal Governo;

che in ciò è ravvisata l’«eterogeneità», per contenuto e per finalità, della disposizione denunciata rispetto al testo del d.l. n. 203 del 2005;

che il ragionamento della rimettente si basa su una lettura erronea della citata pronuncia;

che questa Corte, con la sentenza n. 22 del 2012, ha fissato i limiti alla emendabilità del decreto-legge in una prospettiva contenutistica ovvero finalistica, richiamando le norme procedimentali che riflettono la natura della legge di conversione come legge «funzionalizzata e specializzata», che non può aprirsi a qualsiasi contenuto ulteriore (art. 96-bis del Regolamento della Camera dei deputati; art. 97 del Regolamento del Senato della Repubblica; art. 15, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400 del 1988, recante «Disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri»);

che la coincidenza tendenziale tra oggetto del decreto-legge e oggetto della legge di conversione implica che le Camere possono emendare il testo del decreto-legge nel rispetto del contenuto o della finalità del provvedimento governativo, in quanto «ciò che esorbita dalla sequenza tipica profilata dall’art. 77, secondo comma, Cost., è l’alterazione dell’omogeneità di fondo della normativa urgente, quale risulta dal testo originario, ove questo, a sua volta, possieda tale caratteristica» (ancora sentenza n. 22 del 2012);

che, nel caso di provvedimenti governativi ab origine a contenuto eterogeneo, il limite all’introduzione di ulteriori disposizioni in sede di conversione è costituito dal rispetto della ratio;

che, nella questione decisa con la citata sentenza, questa Corte ha sanzionato l’inserimento, nel decreto-legge cosiddetto “mille proroghe”, di «un frammento, relativo ai rapporti finanziari, della disciplina generale e sistematica, tuttora mancante, del riparto delle funzioni e degli oneri tra Stato e Regioni in materia di protezione civile», ritenendo che le relative disposizioni risultassero del tutto estranee alla ratio del provvedimento governativo, registrandosi in tal senso uno scostamento intollerabile della funzione legislativa dal parametro evocato;

che, dunque, secondo il paradigma tracciato dalla sentenza n. 22 del 2012, la verifica di compatibilità con l’art. 77, secondo comma, Cost. delle disposizioni introdotte dal Parlamento, in sede di conversione di un decreto-legge, impone di procedere all’individuazione, da un lato, della ratio del provvedimento governativo, e, dall’altro lato, del contenuto delle disposizioni aggiunte, per poi raffrontarli;

che, nel caso prospettato dall’odierna rimettente, la verifica indicata conduce ad un esito positivo dello scrutinio di legittimità costituzionale;

che, infatti, il d.l. n. 203 del 2005, recante «Misure di contrasto all’evasione fiscale e disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria», ha introdotto, al Titolo III (artt. da 4 a 7), norme in tema di «perequazione delle basi imponibili», con effetto di incremento del gettito fiscale;

che la disposizione censurata, la quale reca la disciplina dell’ammortamento dei beni strumentali all’esercizio di impresa per alcune attività cosiddette regolate, da applicarsi per l’anno d’imposta 2005, presenta contenuto all’evidenza omogeneo a quello delle richiamate disposizioni del d.l. n. 203 del 2005;

che non riveste significato, ai fini del sindacato sollecitato dalla rimettente, la collocazione impropria dell’art. 11-quater nel Titolo IV, rubricato «previdenza e sanità», anziché nel Titolo III del testo normativo, nel quale sono inserite le norme in tema di perequazione delle basi imponibili;

che, pertanto, non essendo riscontrabile la denunciata eterogeneità dell’art. 11-quater, comma 4, rispetto all’oggetto e alle finalità del d.l. n. 203 del 2005, la questione deve essere dichiarata manifestamente infondata.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, commi 1 e 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 11-quater, comma 4, del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203 (Misure di contrasto all’evasione fiscale e disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 2 dicembre 2005, n. 248, sollevata, in riferimento all’art. 77, secondo comma, della Costituzione, dalla Corte di cassazione, con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 febbraio 2013.

F.to:

Franco GALLO, Presidente

Gaetano SILVESTRI, Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 6 marzo 2013.