Ordinanza n. 193 del 2011

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ORDINANZA N. 193

ANNO 2011

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-      Paolo                MADDALENA           Presidente

-      Alfio                  FINOCCHIARO         Giudice

-      Alfonso               QUARANTA                "

-      Franco              GALLO                            "

-      Luigi                  MAZZELLA                    "

-      Gaetano            SILVESTRI                     "

-      Sabino              CASSESE                        "

-      Giuseppe          TESAURO                       "

-      Paolo Maria      NAPOLITANO               "

-      Giuseppe          FRIGO                             "

-      Alessandro       CRISCUOLO                  "

-      Paolo                 GROSSI                           "

-      Giorgio             LATTANZI                      "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 10-bis del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), aggiunto dall’art. 1, comma 16, lettera a), della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), promosso dal Giudice di pace di Firenze nel procedimento penale a carico di Dahmani Fathi con ordinanza del 14 gennaio 2010 iscritta al n. 8 del registro ordinanze 2011 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 4, prima serie speciale, dell’anno 2011.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio dell’11 maggio 2011 il Giudice relatore Paolo Maria Napolitano.

Ritenuto che il Giudice di pace di Firenze, con ordinanza del 14 gennaio 2010, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 10-bis del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), aggiunto dall’art. 1, comma 16, lettera a), della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), per violazione degli artt. 2, 3, 25 e 27 della Costituzione;

che il rimettente premette, in fatto, di dover giudicare un cittadino straniero extracomunitario imputato del nuovo reato di ingresso o soggiorno illegale nel territorio dello Stato «per essersi trattenuto nel territorio dello Stato senza il permesso di soggiorno e dunque in violazione delle norme previste dal medesimo decreto legislativo» e che, nel giudizio a quo, la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Firenze ha eccepito l’illegittimità costituzionale della nuova fattispecie incriminatrice sulla base di argomentazioni che egli ritiene di condividere;

che il Giudice di pace di Firenze, in punto di non manifesta infondatezza, ritiene la norma censurata in contrasto con l’art. 3 Cost., sotto il profilo dell’irragionevolezza della scelta legislativa di criminalizzare l’ingresso e la permanenza illegale nello Stato italiano;

che, infatti, se è vero che compete al legislatore un generale potere «di regolare la materia dell’immigrazione, in correlazione ai molteplici interessi pubblici da essa coinvolti ed ai gravi problemi connessi a flussi migratori incontrollati» (Corte costituzionale sentenza n. 5 del 2004), in ogni caso dovrebbe essere rispettato il limite insuperabile di osservanza dei principi fondamentali del sistema penale stabiliti dalla Costituzione e permarrebbe la necessità di adottare soluzioni orientate a canoni di ragionevolezza e di razionalità finalistica;

che l’irragionevolezza della nuova fattispecie criminosa sarebbe chiaramente evidenziata dalla carenza di un suo pur minimo fondamento giustificativo, non potendo riscontrarsi, nella condotta incriminata, la minima offensività sociale, mentre la penalizzazione di una condotta dovrebbe intervenire come extrema ratio in tutti i casi in cui non sia possibile individuare altri strumenti idonei al raggiungimento dello scopo;

che, a parere del rimettente, l’obiettivo perseguito dalla nuova fattispecie incriminatrice costituito dall’allontanamento dello straniero irregolare dal territorio dello Stato sarebbe stato già perfettamente raggiungibile, prima dell’introduzione della nuova figura di reato, mediante l’adozione dell’espulsione coattiva in via amministrativa ai sensi dell’art. 13, comma 4, del d.lgs. n. 286 del 1998;

che la nuova norma non modificherebbe in alcun modo i presupposti necessari per l’espulsione, dato che il suo ambito di applicazione coinciderebbe perfettamente con quello della preesistente misura amministrativa, sia sotto il profilo dei soggetti destinatari (stranieri entrati o trattenuti irregolarmente nel territorio dello Stato), sia sotto quello della ratio giustificativa e, in definitiva, verrebbe utilizzato il procedimento penale esclusivamente per ottenere un risultato di natura amministrativa, quale quello dell’espulsione dello straniero;

che, anche in riferimento alla previsione dell’espulsione a titolo di sanzione sostitutiva ex art. 62-bis del d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell’articolo 14 della L. 24 novembre 1999, n. 468), si determinerebbe una palese ed irragionevole disparità di trattamento tra soggetti ugualmente destinatari della predetta sanzione sostitutiva, in quanto solo per i condannati ex art. 10-bis del d.lgs. n. 286 del 1998 sarebbe preclusa la possibilità per il giudice di concedere il beneficio della sospensione condizionale della pena e, quindi, solo in questi casi, caratterizzati da una minore gravità, la sanzione sostitutiva dovrebbe essere comunque eseguita;

che l’art. 3 Cost. risulterebbe violato sotto un altro specifico profilo, concernente la irragionevole disparità di trattamento tra la nuova fattispecie e quella di cui all’art. 14, comma 5-ter, del d.lgs. n. 286 del 1998, che prevede la punibilità dello straniero, inottemperante all’ordine di allontanamento del Questore, solo quando lo stesso si trattenga nel territorio dello Stato oltre il termine stabilito e «senza giustificato motivo», condizioni che non si ritrovano nella nuova figura criminosa, cosicché sarebbe sufficiente il venir meno, per un qualche motivo, del permesso di soggiorno perché sia immediatamente e automaticamente integrata una ipotesi di trattenimento illecito, senza alcuna possibilità, per l’interessato, di addurre una qualche giustificazione o di usufruire di un termine per potersi allontanare;

che la norma in esame sarebbe anche in contrasto con gli artt. 3 e 25, secondo comma, Cost., avuto riguardo alla configurazione di una fattispecie penale discriminatoria, perché fondata su particolari condizioni personali e sociali, anziché su fatti e comportamenti riconducibili alla volontà del soggetto attivo, in quanto la nuova fattispecie incriminatrice sanzionerebbe solo apparentemente una condotta (l’azione dell’ingresso e l’omissione del mancato allontanamento), mentre il vero oggetto della incriminazione sarebbe la mera condizione personale dello straniero, costituita dal mancato possesso di un titolo abilitativo all’ingresso e alla successiva permanenza nel territorio dello Stato, situazione priva di una qualche significatività sotto il profilo della pericolosità sociale;

che, secondo il rimettente, la nuova fattispecie criminosa pregiudicherebbe indirettamente anche alcuni diritti inviolabili dell’uomo, quali, in particolare, il diritto alla propria identità personale e alla cittadinanza fin dal momento della nascita (diritto riconosciuto dall’art. 7 della Convenzione sui diritti del fanciullo adottata a New York il 20 novembre 1989 e ratificata dall’Italia con legge 27 maggio 1991, n. 76) a causa della modifica dell’art. 6, comma 2, del d.lgs. n. 286 del 1998, che ha reso obbligatoria l’esibizione agli uffici della pubblica amministrazione dei documenti inerenti il soggiorno anche per i provvedimenti relativi agli atti di stato civile, all’accesso a pubblici servizi, con esclusione delle sole prestazioni sanitarie di cui all’art. 35 del d.lgs. n. 286 del 1998 e delle prestazioni scolastiche obbligatorie, ponendosi così in contrasto con l’art. 2 Cost.;

che, secondo il Giudice di pace di Firenze, l’art. 10-bis del d.lgs. n. 286 del 1998 contrasterebbe anche con l’art. 27, terzo comma, Cost. in quanto l’espulsione amministrativa, da considerarsi a tutti gli effetti come la pena prevista per la contravvenzione in esame, non può avere reali e concreti effetti rieducativi;

che, infine, la previsione sulla improcedibilità dell’azione penale, in caso di intervenuta espulsione dello straniero in via amministrativa, oltre ad essere intrinsecamente irragionevole, determinerebbe una disparità di trattamento di situazioni identiche in violazione dell’art. 3 Cost., dipendendo solo dalla solerzia dell’apparato amministrativo la condanna o meno dell’immigrato clandestino;

che è intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o infondata;

che l’Avvocatura dello Stato richiama, a sostegno dell’inammissibilità e dell’infondatezza, la sentenza di questa Corte n. 250 del 2010;

che, in particolare, la difesa statale ricorda che la Corte ha già ritenuto manifestamente infondata la censura relativa alla violazione del principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost. motivata sull’assunto che la sfera applicativa della norma penale si sovrapporrebbe a quella dell’espulsione quale misura amministrativa;

che, in tale occasione, la Corte ha detto che la sovrapposizione della disciplina penale a quella amministrativa e la circostanza che il legislatore abbia mostrato di «considerare l’applicazione della sanzione penale come un esito “subordinato” rispetto alla materiale estromissione dal territorio nazionale dello straniero» – giustificabile «nel diminuito interesse dello Stato alla punizione di soggetti ormai estromessi dal proprio territorio» – non comportano ancora che il procedimento penale per il reato in esame rappresenti, a priori, un mero “duplicato” della procedura amministrativa di espulsione «e ciò, a tacer d’altro, per la ragione che – come l’esperienza attesta – in un largo numero di casi non è possibile, per la pubblica amministrazione, dare corso all’esecuzione dei provvedimenti espulsivi»;

che anche la questione di costituzionalità relativa alla violazione dell’art. 3 Cost. per l’ingiustificata disparità di trattamento determinata dalla facoltà del giudice di sostituire, nel caso di condanna, la pena pecuniaria comminata per il reato di cui all’art. 10-bis del d.lgs. n. 286 del 1998, con la misura dell’espulsione e dalla preclusione della concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena, è già stata dichiarata dalla Corte manifestamente inammissibile in quanto «a prescindere da ogni considerazione di merito, la lesione costituzionale denunciata non deriva dalla disposizione impugnata, ma da norme distinte, non coinvolte nello scrutinio di costituzionalità» quali: l’art. 16, comma 1, del d.lgs. n. 286 del 1998, (come modificato dall’art. 1, commi 16 e 22, della legge 15 luglio 2009, n. 94), l’art. 62-bis del d.lgs. n. 274 del 2000 e gli artt. 4, comma 2, e 60 del medesimo d.lgs. n. 274 del 2000;

che la Corte ha anche escluso la configurabilità di una violazione dell’art. 3 Cost., sotto il profilo della disparità di trattamento rispetto al delitto di inottemperanza all’ordine di allontanamento impartito dal Questore, di cui all’art. 14, comma 5-ter, del d.lgs. n. 286 del 1998 (sentenza n. 250 del 2010), rilevando che la mancata reiterazione, nella norma impugnata, della clausola «senza giustificato motivo», presente nella citata disposizione, non esclude che alla contravvenzione in esame si applichino le esimenti di ordine generale e, in particolare, quella dello stato di necessità (art. 54 cod. pen.), come pure le cause di esclusione della colpevolezza, ivi compresa l’ignoranza inevitabile della legge penale (art. 5 cod. pen., quale risultante a seguito della sentenza n. 364 del 1988) e, con particolare riguardo alla figura dell’illecito trattenimento, il basilare principio ad impossibilia nemo tenetur, valevole per la generalità delle fattispecie omissive proprie;

che, inoltre, alla fattispecie in esame si applica l’istituto dell’improcedibilità per particolare tenuità del fatto, proprio dei reati di competenza del Giudice di pace (art. 34 del d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274, recante «Disposizioni sulla competenza penale del Giudice di Pace, a norma dell’articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468»): istituto che «può valere a “controbilanciare” la mancata attribuzione di rilievo alle fattispecie di “giustificato motivo” che esulino dal novero delle cause generali di non punibilità» (sentenza n. 250 del 2010);

che, del pari, l’Avvocatura dello Stato ritiene infondato l’ulteriore profilo secondo cui l’art. 10-bis del d.lgs. n. 286 del 1998 viola il principio di materialità del reato, poiché sarebbe sottoposta a pena una «condizione personale e sociale» – come quella di straniero «clandestino» (o, più propriamente, «irregolare») – della quale viene arbitrariamente presunta la pericolosità sociale, in assenza della lesione o messa in concreto pericolo di un bene giuridico costituzionalmente tutelato, in quanto la Corte, con la sentenza n. 250 del 2010, ha già affermato che la norma impugnata non reprime un «modo di essere» della persona, ma uno specifico comportamento trasgressivo di norme vigenti, come quello descritto dalle locuzioni alternative «fare ingresso» e «trattenersi» contra legem nel territorio dello Stato e che a queste locuzioni corrispondono, rispettivamente, una condotta attiva istantanea (il varcare illegalmente i confini nazionali) ed una a carattere permanente il cui nucleo antidoveroso è omissivo (l’omettere di lasciare il territorio nazionale, pur non essendo in possesso di un titolo che renda legittima la permanenza),

che, pertanto, la norma censurata non è volta a rendere penalmente rilevanti situazioni di povertà e di emarginazione, ma si limita a reprimere la commissione di un fatto oggettivamente (e comunque) antigiuridico, offensivo di un interesse reputato meritevole di tutela, identificabile nell’interesse dello Stato al controllo e alla gestione dei flussi migratori;

che la difesa del Presidente del Consiglio dei ministri ritiene infondata anche la questione relativa alla violazione del principio di solidarietà sociale desumibile dall’art. 2 Cost., perché, come la Corte ha già avuto modo di osservare, in materia di immigrazione «le ragioni della solidarietà umana non possono essere affermate al di fuori di un corretto bilanciamento dei valori in gioco» ed esse «non sono di per sé in contrasto con le regole in materia di immigrazione previste in funzione di un ordinato flusso migratorio e di un’adeguata accoglienza ed integrazione degli stranieri»;

che, con la sentenza n. 250 del 2010, si è anche rilevato che le ragioni della solidarietà trovano espressione – oltre che nella disciplina dei divieti di espulsione e di respingimento e del ricongiungimento familiare – anche nell’applicabilità, allo straniero irregolare, della normativa sul soccorso al rifugiato e sulla protezione internazionale, di cui al d.lgs. 19 novembre 2007, n. 251 (Attuazione della direttiva 2004/83/CE recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di Paesi terzi o apolidi, della qualifica del rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta), fatta espressamente salva dal comma 6 dello stesso art. 10-bis del d.lgs. n. 286 del 1998;

che, con riferimento al parametro della funzione rieducativa della pena sancita dall’art. 27 Cost., l’infondatezza, anche in questo caso, sarebbe desumibile da quanto affermato nella precedente sentenza da questa Corte;

che, infine, le restanti questioni relative all’obbligo di esibire agli uffici della pubblica amministrazione i documenti di soggiorno anche per i provvedimenti inerenti gli atti di stato civile e l’accesso a pubblici servizi sarebbero manifestamente inammissibili perché la lesione costituzionale denunciata non deriverebbe dalla norma incriminatrice contenuta nell’art. 10-bis del d.lgs. n. 286 del 1998;

Considerato che il Giudice di pace di Firenze dubita, in riferimento agli artt. 2, 3, 25 e 27 Cost., della legittimità costituzionale dell’art. 10-bis del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), aggiunto dall’art. 1, comma 16, lettera a), della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), che punisce con l’ammenda da 5.000 a 10.000 euro, salvo che il fatto costituisca più grave reato, lo straniero che fa ingresso o si trattiene illegalmente nel territorio dello Stato;

che l’ordinanza di rimessione presenta carenze in punto di descrizione della fattispecie concreta e di motivazione sulla rilevanza tali da precludere lo scrutinio nel merito delle questioni;

che, nella sostanza, il rimettente si limita a riportare un generico capo d’imputazione e non riferisce in modo esaustivo la vicenda concreta oggetto del giudizio;

che in mancanza di riferimenti specifici alla fattispecie concreta che ha dato origine all’imputazione resta inibita a questa Corte la necessaria verifica circa l’influenza della questione di legittimità sulla decisione richiesta al rimettente;

che le questioni vanno dichiarate, pertanto, manifestamente inammissibili.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 10-bis del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), aggiunto dall’art. 1, comma 16, lettera a), della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), sollevate, in riferimento agli artt. 2, 3, 25 e 27 della Costituzione, dal Giudice di pace di Firenze con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8 giugno 2011.

F.to:

Paolo MADDALENA, Presidente

Paolo Maria NAPOLITANO, Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 15 giugno 2011.